giovedì 28 luglio 2022

A proposito del “mea culpa” di Papa Francesco in Canada


La Chiesa cattolica, fedele al mandato del suo divino Maestro: «
Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc. 16, 15), ha svolto, fin dalla sua fondazione una grande opera missionaria, attraverso la quale ha portato al mondo non solo la fede, ma la civiltà, santificando luoghi, popoli, istituzioni e costumi. Grazie a quest’opera, la Chiesa ha civilizzato anche i popoli delle due Americhe, immersi nel paganesimo e nelle barbarie.  

In Canada, la prima missione gesuita tra i pellirosse irochesi, diretta dal padre Charles Lallemant (1587-1674), sbarcò a Quebec nel 1625. Una nuova missione arrivò nel 1632, guidata dal padre Paul Le Jeune (1591-1664). Il padre Giovanni de Brébeuf (1593-1649), ritornò nel 1633 con due padri. Di capanna in capanna, cominciarono ad insegnare il catechismo a fanciulli e ad adulti. Ma alcuni stregoni convinsero gli Indiani che la presenza dei padri causava la siccità, le epidemie e ogni altra disgrazia. I gesuiti decisero allora di proteggere i catecumeni isolandoli in villaggi cristiani. Il primo fu edificato a 4 miglia da Québec. Ebbe il suo fortino, la sua cappella, le sue case, l’ospedale, la residenza dei Padri.

Contemporaneamente alcuni volontari si offrivano per convertire gl’Indiani: santa Maria dell’Incarnazione Guyart Martin (1599-1672), un’orsolina di Tours, che aveva fondato con altre due religiose un pensionato a Québec per l’istruzione dei fanciulli indiani; la signora Marie-Madeleine de la Peltrie (1603-1671), una vedova francese, che aveva creato con alcune suore ospedaliere di Dieppe un ospedale, sempre a Québec; i membri della Società di Nostra Signora che, aiutati dal sacerdote sulpiziano Jean-Jacques Olier (1608-1657) e dalla Compagnia del Santissimo Sacramento, costruirono nel 1642 Ville Marie, dalla quale sarebbe nata Montreal.  

Gli Indiani Irochesi però si mostrarono irriducibilmente ostili. Essi avevano orribilmente mutilato il padre Isacco Jogues (1607-1646) e il suo coadiutore René Goupil (1608-1642) versando loro addosso carboni ardenti. Nel marzo 1649, gli Irochesi martirizzarono i padri de Brébeuf e Gabriele Lallemant (1610-1649). Il padre Brébeuf fu trafitto con aste arroventate e gli Irochesi gli strapparono brandelli di carne, divorandola sotto i suoi occhi. Poiché il martire continuava a lodare Dio, gli strapparono le labbra e la lingua e gli ficcarono in gola tizzoni ardenti. Il padre Lallemant fu torturato subito dopo con ferocia ancora maggiore. Poi un selvaggio gli fracassò la testa con la scure e gli strappò il cuore, bevendone il sangue, per assimilarne la forza e il coraggio. Un’altra ondata d’odio fece, nel mese di dicembre, due nuovi martiri, i padri Charles Garnier (1605-1649) e Noël Chabanel (1613-1649). Gli otto missionari gesuiti, conosciuti come “martiri canadesi” furono proclamati beati da papa Benedetto XV nel 1925 e canonizzati da papa Pio XI nel 1930.

Questi episodi fanno parte della memoria storica del Canada e non possono essere dimenticati. Papa Francesco, come gesuita dovrebbe conoscere questa epopea, narrata, tra gli altri, dal suo confratello padre Celestino Testore, nel libro I santi martiri canadesi, apparso nel 1941, e ripubblicato in Italia dall’editore Chirico nel 2007.

Ma soprattutto il Santo Padre avrebbe dovuto trattare con maggior prudenza il “caso” della presunta scoperta di fosse comuni nelle cosiddette ‘Indian residential schools’ del Canada, una rete di collegi per gli indigeni canadesi fondate dal governo e affidate prevalentemente alla Chiesa cattolica, ma anche in parte alla chiesa anglicana del Canada (30%), con l’idea di integrare i giovani nella cultura del paese, secondo il  Gradual Civilization Act,  approvato dal Parlamento canadese  nel 1857. Negli ultimi decenni però la Chiesa cattolica fu accusata di aver partecipato a un piano di sterminio culturale dei popoli aborigeni, i cui giovani venivano sequestrati alle famiglie, indottrinati e talvolta sottoposti ad abusi, per essere “assimilati” dalla cultura dominante, Nel mese di giugno 2008 il governò canadese, su posizioni “indigeniste”, fece le sue scuse ufficiali agli indigeni e istituì una Commission de vérité et réconciliation (CVR), per le scuole residenziali indiane.

I ricercatori della Commissione, malgrado i 71 milioni di dollari ricevuti, hanno lavorato sette anni, senza trovare il tempo di consultare gli archivi degli Oblati di Maria Immacolata, l’ordine religioso che, alla fine dell’Ottocento, iniziò a gestire le Residential Schools. Basandosi, invece, proprio su questi archivi, lo storico Henri Goulet, nella sua Histoire des pensionnats indiens catholiques au Québec. Le rôle déterminant des pères oblats (Presses de l’Université de Montréal, 2016) ha dimostrato che gli Oblati erano gli unici difensori della lingua e del modo di vita tradizionale degli Indiani del Canada, a differenza del governo e della chiesa anglicana, che insistevano per una integrazione che sradicava gli indigeni dalle loro origini. Questa linea storiografica trova conferma nelle opere di uno dei maggiori studiosi internazionali della storia religiosa del Canada, il prof. Luca Codignola Bo, dell’Università di Genova.

Dall’accusa di “genocidio culturale” si è intanto passati a quella di “genocidio fisico”. Nel maggio 2021, la giovane antropologa Sarah Beaulieu, dopo aver analizzato con un georadar il terreno vicino all’ex scuola residenziale di Kamloops, ha lanciato l’ipotesi dell’esistenza di una fossa comune, pur senza aver fatto nemmeno uno scavo. Le affermazioni dell’antropologa, divulgate sui grandi media e avallate dal premier Justin Trudeau, si sono trasformate in narrative diverse, alcune delle quali affermano che «centinaia di bambini» sarebbero «stati uccisi» e «sepolti segretamente» in «fosse comuni» o in tumuli irregolari nei terreni di «scuole cattoliche» di «tutto il Canada». 

Questa notizia è semplicemente priva di qualsiasi fondamento, visto che non sono mai stati riesumati dei cadaveri, come già ha documentato Vik van Brantegem il 22 febbraio 2022 sul suo blog Korazym.org. Il 1 aprile 2022, sul blog Uccr è apparsa un’accurata intervista allo storico Jacques Rouillard, professore emerito della Facoltà di Storia dell’Università di Montreal, che smentisce categoricamente il genocidio culturale e quello fisico degli indigeni canadesi, negando l’esistenza di fosse comuni nelle scuole residenziali. Egli è convinto che, dietro a tutto, ci sia solo un tentativo di risarcimento milionario. Lo scorso 11 gennaio lo stesso prof. Rouillard ha pubblicato sul portale canadese Dorchester Review un ampio articolo in cui afferma che nessun corpo di bambino è stato trovato nelle presunte fosse comuni, in sepolture clandestine o in qualsiasi altra forma di sepoltura irregolare nella scuola di Kamloops. Dietro i collegi ci sono solo semplici cimiteri, in cui venivano sepolti gli studenti delle scuole, ma anche i membri della comunità locale e gli stessi missionari. In base ai documenti presentati da Rouillard, 51 bambini sono morti in quell’internato tra il 1915 e il 1964. Nel caso di 35 di loro sono stati trovati documenti che provano la causa della morte, soprattutto malattie e in alcuni casi incidenti. Un nuovo articolo del professor Tom Flanagan e del magistrato Brian Gesbrecht, pubblicato il 1 marzo 2022 sul Dorchester Review con il titolo The False Narrative of the Residental Schools Burials, ribadisce come non c’è traccia di un solo studente ucciso nei 113 anni di storia delle scuole residenziali cattoliche. Secondo gli stessi  dati forniti dalla Commission de vérité et réconciliation (CVR) il tasso di mortalità nei giovani che frequentavano le scuole residenziali era in media di circa 4 decessi all’anno ogni 1.000 giovani e la causa principale era dovuta a tubercolosi ed influenza.  Sembra che finalmente si siano autorizzati gli scavi a Kamloops, ma, come afferma il prof. Rouillard, sarebbe stato meglio si fossero svolti lo scorso autunno, così da conoscere la verità ed impedire a papa Francesco di venire a scusarsi sulla base di ipotesi non provate. Queste le parole dell’accademico canadese: «È incredibile che una ricerca preliminare su una presunta fossa comune in un frutteto abbia potuto portare a una tale spirale di affermazioni avallate dal governo canadese e riprese dai media di tutto il mondo. Non si tratta di un conflitto tra storia e storia orale aborigena, ma tra quest’ultima e il buon senso. Sono necessarie prove concrete prima che le accuse contro gli Oblati e le Suore di Sant’Anna possano essere scritte nella storia. Le esumazioni non sono ancora iniziate e non sono stati trovati resti. Un crimine commesso richiede prove verificabili, soprattutto se gli accusati sono morti da tempo. È quindi importante che gli scavi avvengano al più presto, affinché la verità prevalga sulla fantasia e sull’emozione. Sulla strada della riconciliazione, il modo migliore non è forse quello di cercare e raccontare tutta la verità piuttosto che creare miti sensazionali?»

 

(Fonte: Roberto De Mattei, Corrispondenza Romana, 27 luglio 2022
https://www.corrispondenzaromana.it/a-proposito-del-mea-culpa-di-papa-francesco-in-canada/

 

 

La liturgia annega nel mare di Crotone


La Messa celebrata in acqua, con il celebrante in costume e usando un materassino come altare, è il culmine di decenni di sperimentazioni in cui ciascuno si sente padre-padrone del culto, da manipolare a piacere, nell'indifferenza di una gerarchia che sanziona soltanto la Tradizione.

 Le foto che stanno facendo il giro del web parlano da sole: una Messa in mare utilizzando un materassino come altare, con tutti i presenti in costume, compreso (ovviamente) il celebrante. A che pro? Nel corso dei decenni le hanno tentate tutte per mostrare una Chiesa “accattivante” (o semplicemente modaiola), ma a don Mattia Bernasconi va riconosciuto senz’altro il “merito” di aver superato tutti gli altri, buttando – letteralmente – a mare quel che resta della sacralità del culto cattolico ma anche del buon senso.


La bizzarra liturgia è avvenuta al termine di un campo di volontariato a Crotone, organizzato da Libera (l’associazione fondata da don Luigi Ciotti).  Qui il giovane sacerdote ambrosiano, viceparroco della Comunità Pastorale San Luigi Gonzaga di Milano, ha portato i suoi ragazzi a trascorrere alcuni giorni tra escursioni e incontri sulla legalità, al termine dei quali, essendo domenica, si doveva pur onorare il giorno del Signore. Ma dove? In chiesa sarebbe parso troppo scontato: «Avevamo scelto una pineta di un campeggio ma era occupata da un'altra iniziativa. Faceva molto caldo e così ci siamo detti: perché non fare la Messa in acqua? Una famiglia che si trovava nei pressi ci ha sentito parlare ed ha messo a disposizione il loro materassino che abbiamo trasformato in altare. È stato bellissimo anche se ci siamo scottati», riferisce il sacerdote.

Il diritto canonico sembrerebbe pensarla diversamente: «La celebrazione eucaristica venga compiuta nel luogo sacro [cioè, in chiesa], a meno che in un caso particolare la necessità non richieda altro; nel qual caso la celebrazione deve essere compiuta in un luogo decoroso» (Can. 932 §1). Ci sarebbe da dire sia sul luogo «decoroso» (che dovrebbe significare anche: adatto all’azione sacra), sia sulla «necessità»: possibile che non ci siano chiese a Crotone? Immaginiamo che non fossero raggiungibili facilmente dall’allegra brigata costringendola a “improvvisare”... però «il sacrificio eucaristico si deve compiere sopra un altare dedicato o benedetto; fuori del luogo sacro può essere usato un tavolo adatto, purché sempre ricoperto di una tovaglia e del corporale» (ivi, §2). Almeno un tavolo, non un materassino! E perché in mezzo all’acqua invece che sulla riva, non avranno mica naufragato? La mobilità dell’altare “aquatico” non avrà forse favorito la dispersione di frammenti? E come sarà andata per la comunione? La sacra particola avrà cominciato a sciogliersi sulle mani probabilmente bagnate… Senza contare la possibilità che un’onda anomala travolgesse l’anomalo altare con tutto il Corpo e Sangue.
Se in contesti drammatici sacerdoti e fedeli sono stati costretti a celebrare con mezzi di fortuna, qui non siamo in un campo di concentramento, né in guerra, per cui l’unica «necessità» ipotizzabile è l’insopprimibile smania di protagonismo che da decenni spinge il clero a escogitare infinite variazioni di quella lex orandi che dicono sia e debba essere unica, ma invece si rivela di fatto una, nessuna, centomila.
La “Missa aquatica” di Crotone è la vetta (o l'abisso?) di una liturgia concepita come campo di battaglia in cui “vince” chi la inventa più grossa, annegando – è il caso di dirlo – l’unico vero Protagonista.

Ancora una considerazione, sul piano più laico: immaginereste un giudice che, spinto dalla calura e dal desiderio di mostrarsi cool, decidesse di tenere un processo in spiaggia, col costume invece della toga? O un giornalista che trasmettesse il telegiornale a bordo piscina? Qualunque sia l’ambito, nell’esercizio delle proprie funzioni ciascuno tende a presentarsi in modo professionale. Ne va della serietà di ciò che sta compiendo. Non dovrebbe valere, a maggior ragione, per chi compie la più elevata delle funzioni, la più sacra delle azioni? A meno di non ridurre la Messa a un gioco di società... Il tutto con un sottinteso senso di “impunità”, sapendo di poter stravolgere il mistero affidato loro, ben sapendo di non rischiare nulla (curioso paradosso, dopo un campo sulla “legalità”: vale solo per le norme civili, mentre il Corpo di Cristo si può manipolare a piacimento?). Di certo il comunicato della diocesi di Crotone («è necessario mantenere quel minimo di decoro e di attenzione ai simboli richiesti dalla natura stesse delle celebrazioni liturgiche») non basterà a dissuadere il don Mattia di turno dal presentare il proprio numero sulla scena del cabaret liturgico, mentre gli unici a subire sanzioni concrete sono quei sacerdoti che celebrano con pietà e riverenza secondo un rito usato per secoli nella Chiesa. 

La Messa di don Mattia è in realtà l'epifania della “pastorale della spoliazione”, che credeva di togliere orpelli e ha finito per perdere di vista la sostanza. Pur di “avvicinare” la gente (che non si è avvicinata affatto) alcuni chierici hanno iniziato spogliando gli altari. Poi hanno ridotto i paramenti, limitandosi a camice e stola, talvolta soltanto la stola. Infine, sono rimasti in mutande, pardon, in costume. Sarà stato, almeno quello, del colore liturgico giusto?

 

(Fonte: Stefano Chiappalone, LNBQ, 26 luglio 2022)
https://lanuovabq.it/it/la-liturgia-annega-nel-mare-di-crotone

  

venerdì 15 luglio 2022

La musica sacra: la grande assente


Nella lettera apostolica Desiderio Desideravi l’attenzione alla musica sacra e al canto si riduce a una parentesi, limitandosi a dire che sono aspetti da curare. In realtà, servirebbero cure drastiche, ma è il Vaticano il primo a dover agire. Da decenni è proposta al popolo una musica non degna della liturgia, mentre il gregoriano è messo da parte.

 Il tema della musica sacra è uno di quelli di cui si parla molto, ma si fa poco, anzi pochissimo. Oramai da decenni assistiamo alla dismissione di gloriose istituzioni musicali che vengono ritenute non più adeguate per la presente liturgia. Ma se la presente liturgia pretende di fare a meno di patrimoni di bellezza messi su nei secoli, non dovremmo pensare che c’è qualcosa di veramente sbagliato nella mentalità di qualcuno. Cori, anche celebri, o vengono soppressi oppure “normalizzati”, cioè in pratica impossibilitati a cantare il gregoriano o la polifonia antica e moderna. Bisogna promuovere il canto popolare, senza pensare che c’era e ci dovrebbe essere ancora una chiara distinzione tra canto liturgico e canto popolare, ma a chi importa?

Nella Lettera Apostolica Desiderio Desideravi al punto 23 viene detto: “Intendiamoci: ogni aspetto del celebrare va curato (spazio, tempo, gesti, parole, oggetti, vesti, canto, musica, …) e ogni rubrica deve essere osservata: basterebbe questa attenzione per evitare di derubare l’assemblea di ciò che le è dovuto, vale a dire il mistero pasquale celebrato nella modalità rituale che la Chiesa stabilisce”. L’attenzione alla musica sacra e al canto si riduce a quella parentesi. Vanno curati…ma come? Perché di cure drastiche hanno bisogno ora che sono grandi malate. Visto che è evidente che non sono curate, ci vorrebbe forse una presa di posizione più drastica.

In fondo questo è pienamente in linea con l’interesse dimostrato per questi argomenti negli ultimi decenni. E questo si vede bene dal fatto che la maggior parte degli abusi partono proprio dall’uso di musica indegna della celebrazione. E i Vescovi, che dovrebbero vigilare, spesso si girano dall’altra parte e fanno finta di niente. Non è la musica che vuole il popolo? No, è la musica che subisce il popolo perché non conosce altro, non è stato educato alla vera musica liturgica, come il Papa chiede nell’ultimo documento e il Vaticano II prima di lui.

Eppure, malgrado parole di circostanza sull’argomento, anche da parte di questo Pontefice, non sono mai seguite azioni efficaci per una riforma della musica sacra che tenga a cuore la sua dignità. Se si vuole essere inflessibili, come vediamo con i tradizionalisti, lo si è. Ma come mai coloro che abusano la liturgia attraverso musica indegna non possono ascoltare simili parole di condanna per loro? Eppure questi sono molti di più.

Forse perché la situazione è talmente deteriorata che si è persa la speranza di poter fare qualcosa per cambiarla. Ma se non tentano dal Vaticano, altrove le persone di buona volontà potranno poco in questo senso. Se non c’è un incoraggiamento deciso e dei paletti da non superare, anche i pochi che non agiscono per timore potranno fare ben poco per migliorare la tragica situazione.

 

(Fonte: Aurelio Porfiri, LNBQ, 4 luglio 2022)
https://lanuovabq.it/it/la-musica-sacra-la-grande-assente

  

Pastori scelti dalle "pecore": c'è un problema con laici e donne nel dicastero


Inversione tra pastori e pecore: le pecore finiscono per svolgere il ruolo dei pastori, nella scelta dei propri pastori; sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI avevano messo in guardia dal clericalizzare i laici, conferendo loro ruoli e ministeri che spettano invece ai ministri sacri. Il problema delle tre donne (una laica) scelte dal Papa nel Dicastero dei vescovi non è di abilità e competenze, ma di ordine sacro. Una manovra sbadata di “modernizzare” la Chiesa o un ulteriore passo verso il sacerdozio femminile?

 Quota rosa al Dicastero per i vescovi. Dopo la nomina, a novembre dello scorso anno, di suor Raffaella Petrini, delle Suore Francescane dell’Eucaristia, come segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, è ora venuto il momento della nomina di tre donne come membri del Dicastero dei vescovi.

Il Papa aveva anticipato la nomina di due ladies, circa una settimana prima, durante l’intervista concessa a Phil Pullella della Reuters (vedi qui). Ma, come si sa, non c’è due senza tre; e così sono ben tre le donne che condivideranno con gli altri membri, tutti vescovi (e un abate), la responsabilità per la nomina dei vescovi, nonché della costituzione, raggruppamento o soppressione di chiese locali e dell’erezione di Ordinariati militari o personali, compiti propri del Dicastero presieduto dal cardinale Marc Oullet.

Oltre alla già in carriera suor Raffaella Petrini, la quota rosa sarà nutrita anche dalla presenza della superiora generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, sr. Yvonne Reungoat, e dalla sociologa argentina Maria Lia Zervino, presidente dell’Unione Mondiale delle Organizzazioni Femminili Cattoliche e appartenente all’Ordo Virginum. La notizia è stata generalmente accolta con favore, quale segno di apertura della Chiesa cattolica alle donne e riconoscimento del loro peculiare contributo.

È stato anche correttamente sottolineato che queste tre nomine sono in linea con le indicazioni di riforma della Curia romana, espresse nella Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium, pubblicata il 19 marzo scorso.

È il § 10 ad incoraggiare la presenza di laici nei vari Dicasteri della Curia, per il fatto che «il Papa, i Vescovi e gli altri ministri ordinati non sono gli unici evangelizzatori nella Chiesa». La Costituzione enfatizza che «ogni cristiano, in virtù del Battesimo, è un discepolo-missionario “nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù”». Pertanto, nel progetto di aggiornamento della Curia, «si deve prevedere il coinvolgimento di laiche e laici, anche in ruoli di governo e di responsabilità», la cui presenza è considerata addirittura «imprescindibile».

C’è un però. E lo ha fatto presente padre Gerard Murray, sacerdote dell’arcidiocesi di New York e canonista (vedi qui, min.6:46-8:06): «La presenza di laici alla Congregazione dei vescovi è un grosso problema. I vescovi nella Congregazione suggeriscono al Papa i candidati da promuovere come vescovi e lo fanno sulla base della condivisione del governo della Chiesa, come consiglieri del Papa, essendo essi stessi vescovi». Fr. Murray spiega che in questo modo c’è un’inversione tra pastori e pecore: le pecore finiscono per svolgere il ruolo dei pastori, nella scelta dei propri pastori; sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI avevano messo in guardia dal clericalizzare i laici, conferendo loro ruoli e ministeri che spettano invece ai ministri sacri.

Il governo, nella Chiesa, può essere esercitato legittimamente solo dai pastori, che divengono tali mediante l’ordinazione sacramentale. Non si tratta fondamentalmente di abilità e competenze, ma di ordine sacro. Nell’Udienza Generale del 26 maggio 2010, Benedetto XVI spiegava che la parola “gerarchia” significa «“sacra origine”, cioè: questa autorità non viene dall’uomo stesso, ma ha origine nel sacro, nel Sacramento; sottomette quindi la persona alla vocazione, al mistero di Cristo; fa del singolo un servitore di Cristo e solo in quanto servo di Cristo questi può governare, guidare per Cristo e con Cristo». È questo principio sacro che crea il pastore; ed il pastore è tale «proprio guidando e custodendo il gregge, e talora impedendo che esso si disperda. Al di fuori di una visione chiaramente ed esplicitamente soprannaturale, non è comprensibile il compito di governare proprio dei sacerdoti».

Non è un caso che il capitolo IV del Codice di Diritto Canonico, dedicato alla Curia romana, sia inserito non solo nella seconda parte che riguarda “la costituzione gerarchica della Chiesa”, ma addirittura nella sua prima sezione, intitolata “la suprema autorità della Chiesa”. I Dicasteri della Curia Romana sono organi di governo della Chiesa; ed in modo particolare quello dei vescovi. Ora, poiché il governo della Chiesa spetta ai pastori e poiché si entra a far parte della gerarchia della Chiesa mediante l’ordine sacro, la nomina di laici a ruoli di governo nella Chiesa non può non porre più di un interrogativo.

Che si tratti di una manovra sbadata di “modernizzare” la Chiesa, corrispondendo alla richiesta montante di dare più spazio al femminile? Oppure che sia un ulteriore passo per muoversi nella direzione del sacerdozio femminile, concedendo intanto senza ordinazione quello che può essere conferito solo con l’ordinazione?

 

(Fonte: Luisella Scrosati, LNBQ, 15 luglio 2022) 
https://lanuovabq.it/it/pastori-scelti-dalle-pecore-ce-un-problema-con-laici-e-donne-nel-dicastero

 

 

Papa e aborto, qualcosa non torna


Le interviste a papa Francesco ormai escono a getto continuo, un fenomeno dannoso per la Chiesa. Ma vale comunque la pena rilevare lo strano atteggiamento davanti all'aborto: durissimo nel condannare la pratica, estremamente soft nel tirarne le conseguenze.

 Francamente di interviste a papa Francesco non se ne può proprio più. Ormai ne escono a getto continuo. Solo negli ultimi giorni abbiamo avuto tre chilometriche interviste: una all’agenzia argentina Telam, poi all’agenzia britannica Reuters (oltretutto pubblicata a puntate), infine all’emittente messicana Televisa/Univision. Insomma non passa quasi giorno che non si debba discutere di questa o quell’uscita di papa Francesco. Un fiume di parole che contempla: concetti che ormai ripete da anni; qualche opinione estemporanea sulla situazione politica mondiale – spesso discutibile se non imbarazzante, come le parole dolci a Televisa nei confronti del regime cubano -; alcuni giudizi ecclesiali o morali, che a volte generano diverse interpretazioni e polemiche.

Anche i fan più oltranzisti del Papa dovrebbero rendersi conto che si tratta di interviste che, aldilà dei contenuti, alla fine sono dannose per la Chiesa e per l’istituzione del papato. Perché così si sminuisce l’autorevolezza del Papa, ridotto al rango di un opinionista qualsiasi (già anni fa girava la battuta del signore che chiedeva “Ha detto qualcosa sulla campagna acquisti della Roma?”). Ma soprattutto genera nei fedeli – e non – una confusione tra ciò che è opinione personale (legittima, ma opinabile) e ciò che invece è l’insegnamento della Chiesa, che dovrebbe essere l’unica vera preoccupazione del Papa.

Sarebbe dunque cosa buona che si smettesse con queste interviste, e se proprio non ci riesce lui che siano almeno i giornalisti a rendersi conto che non conviene neanche a loro vendere un “prodotto” così inflazionato.

Detto questo però, per la sua importanza va rilevato almeno lo strano atteggiamento del Papa riguardo all’aborto. Da una parte è molto drastico nel giudizio: nell’intervista alla Reuters ha ripetuto un concetto già espresso in passato, «è come assoldare un sicario»; e poi: «È lecito, è giusto eliminare una vita umana per risolvere un problema?». Poi però nella stessa intervista diventa neutrale riguardo alla sentenza della Corte Suprema che ha negato l’aborto essere un diritto: il Papa afferma che «rispetta la sentenza» ma non è in grado di entrare nelle questioni tecnico-giuridiche. Una risposta “diplomatica” incomprensibile, visto che non c’è nulla di difficile da capire sul senso della sentenza. Poi, ancora peggio, lancia un siluro al vescovo di San Francisco, monsignor Cordileone, che – coerentemente con il Catechismo e il Codice di Diritto Canonico - ha deciso di negare la comunione alla leader democratica Nancy Pelosi per il suo sostegno aperto all’aborto: «Quando la Chiesa perde la sua natura pastorale, quando un vescovo perde la sua natura pastorale, crea un problema politico», ha detto il Papa. E pochi giorni prima aveva apertamente sconfessato monsignor Cordileone, accogliendo la Pelosi in Vaticano e lasciando che ricevesse la comunione alla messa in San Pietro che lo stesso Papa ha iniziato a celebrare (a metà messa ha fatto continuare la celebrazione a un cardinale).

Comunque, di fronte all’escalation della guerra per l’aborto negli USA che lo stesso presidente Biden incentiva, il Papa è tornato sull’argomento nell’intervista a Televisa, spiegando che, essendo cattolico, Biden è «incoerente» nel sostenere l’aborto, ma lascia questo alla «sua coscienza»: «Parli con il suo vescovo, con il suo pastore, con il suo parroco di questa incoerenza».

La domanda che sorge spontanea è questa: se Biden, invece di dichiarare guerra ai bambini non nati, firmasse un ordine esecutivo intimando alla polizia di frontiera di sparare sui migranti irregolari che entrano negli Stati Uniti dal Messico, il Papa direbbe ancora che Biden è incoerente, ma che se la veda con la sua coscienza? O lancerebbe tuoni e fulmini? Ricordiamo che per molto meno, sulle politiche migratorie, nel febbraio 2016 papa Francesco diede del «non cristiano» all’allora presidente americano Donald Trump.

È questo doppio standard sull’aborto che lascia interdetti e, in fondo, fa nascere dubbi sul reale pensiero del Papa in materia: sembra quasi che da una parte tenga buoni i pro life dicendo parole pesantissime contro l’aborto (a volte perfino esagerate), ma usi questo poi per poter avere un approccio pastorale molto soft, ai limiti della complicità.
Il problema posto da monsignor Cordileone e da altri vescovi non è affatto politico: se l’aborto è un peccato gravissimo, come sostiene anche papa Francesco, chi si comunica senza prima pentirsi, riconciliarsi con Dio e cambiare condotta, «mangia e beve la sua propria condanna», secondo san Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi. È un problema di vita eterna. Davvero il Papa è indifferente alla condanna eterna di Biden e Pelosi? Oppure è san Paolo a sbagliare?

Peraltro la questione è molto più ampia e riguarda tutti: se con un peccato pubblico così grave è lecito ricevere la Comunione, allora vale per chiunque sia in peccato mortale, basta sentirsi tranquilli con la coscienza. Perché dovrebbe essere diverso per chi bestemmia, ruba, tradisce il proprio coniuge, uccide i propri genitori, spaccia droga o chi comunque istiga a farlo?

Qui la politica non c’entra, il vero problema è anzitutto il significato dell’Eucarestia, se davvero sia o no la presenza reale di Gesù, con tutto quel che comporta. E se invece si è convinti di cosa sia l’Eucarestia, il problema diventa il giudizio vero sull’aborto: è davvero questo orribile assassinio oppure si pensa che, in fondo, non sia così grave?

 

(Fonte: Riccardo Cascioli, LNBQ, 14 luglio 2022) 
https://lanuovabq.it/it/papa-e-aborto-qualcosa-non-torna