giovedì 30 maggio 2024

PER IL PAPA LA SODOMIA NON È UN PROBLEMA MORALE, MA DI IMMAGINE


Le "frociaggini" di Francesco vanno inquadrate nel discorso ai vescovi, non come una lotta alla lobby gay vaticana: ad interessargli non è il comportamento morale dei sacerdoti, ma il chiacchiericcio che questo potrebbe sollevare. Infatti dall'inizio del suo pontificato non ha fatto altro che proteggere prelati omosessuali attivi
 

Ormai non si parla d'altro che delle “frociaggini” del Papa. In occasione della 79ma Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, tenuta lo scorso 20 maggio, papa Francesco ha avuto da ridire sul fatto che ormai, tra i preti, c'è troppa «aria di frociaggine», appunto. 
Solo due giorni fa la stampa iniziava a lanciare la notizia del papa omofobo e ieri su La Stampa l'immancabile Vito Mancuso protestava le scuse del papa, farneticando circa un onirico parallelo tra Francesco e Pio IX, entrambi partiti con un pontificato riformatore per finire con scelte intransigenti! 
E così, nel pomeriggio il direttore della Sala Stampa vaticana, Matteo Bruni, ha subito presentato le scuse del Pontefice: «Il Papa non ha mai inteso offendere o esprimersi in termini omofobi, e rivolge le sue scuse a coloro che si sono sentiti offesi per l’uso di un termine, riferito da altri». Seguirà un programma già visto, con il Papa che si sentirà ora in dovere di dimostrare fattivamente al mondo quanto egli sia aperto all'omosessualità. Aspettiamoci di tutto. 
Va da sé che il Papa si sia espresso con linguaggio tanto forbito e pertinente per il fatto che, ormai come di consueto, non prova nemmeno a leggere una riga dei discorsi che gli vengono preparati, ma preferisce parlare a braccio, per dare ampio spazio alle sollecitudini dello “spirito”. E siccome la parola di Dio non è incatenata (cf. 2Tm 2, 9), quella del papa, che, da un po' di tempo a questa parte, soffre di incontinenza verbale, è decisamente scatenata. Che al Papa sia scappata una parola di troppo? Che l'abbia pronunciata volutamente? Non è dato saperlo.
Ma al di là dell'espressione decisamente al di fuori delle righe e le congetture varie, bisogna cercare di capire quale sia stata la reale preoccupazione di Francesco. A spiegare il senso dell'improvvida esternazione, è l'aneddoto che il Papa ha raccontato; aneddoto che egli ha tenuto a precisare più e più volte essere assolutamente vero. Francesco ha raccontato di due preti conviventi, chiacchierati a tal punto che, in occasione del decesso della madre di uno dei due, le condoglianze sono state porte all'altro per la scomparsa della “suocera”.
La storiella indica non solo quanto Bergoglio sia egli stesso avvezzo a quei pettegolezzi che tanto stigmatizza negli altri, ma mostra con grande chiarezza la sua reale preoccupazione sul fenomeno gay: evitare di offrire il fianco alle critiche da parte della «cultura odierna dell'omosessualità», secondo la sua espressione, con la quale non ha nessuna intenzione di entrare in conflitto. Anzi. Ad interessargli veramente non è quindi il comportamento morale dei sacerdoti e la ricaduta di tale comportamento sulla vita di grazia e la loro missione nella Chiesa, ma il chiacchiericcio che un tale comportamento, se non adeguatamente occultato, potrebbe sollevare, e i guai che ne potrebbero derivare.
Interpretare l'esternazione del Papa come se esprimesse, un po' fuori dai toni, la sua volontà di opporsi all'infiltrazione della lobby gay tra il clero è irrealistico. Se non altro perché è dall'inizio del suo pontificato che il Papa non sta facendo altro che nominare e proteggere prelati omosessualmente attivi, inclusi quelli efebofili. Da Mons. Battista Ricca al cardinale Mc Carrick, passando per Mons. Gustavo Zanchetta, da P. James Martin a Suor Jeannine Gramick e il “suo” New Way Ministry, fino alle benedizioni delle coppie gay con “Fiducia supplicans”, il pontificato presente ha avuto come suo punto fermo proprio la promozione di persone dal comportamento sessuale altamente problematico, nonché la riduzione della sodomia ad una questione di orientamento personale, senza più alcuna valenza morale. Questi preti che prima egli nomina in posti prestigiosi e poi sono così sciocchi da farsi beccare in flagrante non sono un problema perché mettono in pericolo la propria salvezza eterna e quella altrui, e nemmeno perché macchiano l'immagine della Sposa di Cristo, la Chiesa, ma perché hanno inferto un'insanabile ferita all'immagine di papa Francesco.
Il papa dunque non è preoccupato che certi problemi morali esistano tra il clero, ma che vengano allo scoperto. Così come si è infastidito non tanto per le proprie parole offensive e fuori luogo, ma che alcuni vescovi abbiano spifferato all'esterno le sue parole “confidenziali”. Le dichiarazioni di Matteo Bruni sono piuttosto eloquenti; non solo la sottolineatura, come riportato sopra, che il termine in questione sia stato «riferito da altri», ma anche l'accentuazione che quella conversazione era stata tenuta «a porte chiuse, con i vescovi della CEI». Da aspettarsi nelle prossime settimane la caccia all'uomo, con relativo repulisti da parte del Papa della misericordia.
Con buona pace di tutti, rimane purtroppo intatto quel «chi sono io per giudicare?», dell'ormai lontano 2013, che esprime l'indifferenza del papa di fronte al problema morale della sodomia; dimensione che, nella conversazione con i vescovi italiani, non è stata neppure sfiorata. Che un prete possa radicarsi in un comportamento gravemente peccaminoso, e poi anche celebrare la Messa, aggiungendo così anche il sacrilegio, non sembra essere una priorità pastorale di questo pontificato, a patto che faccia le cose per bene e non si faccia scoprire.
A proposito di excusatio, proprio all'interno del programma per la Giornata mondiale dei Bambini voluta dal Papa, c'è stata l'esibizione del trasformista Carmine De Rosa, con travestimenti a dir poco equivoci. Chissà se Matteo Bruni comunicherà delle scuse anche per questo.

(Fonte: Luisella Scrosati, LNBQ, 29 maggio 2024) 
https://lanuovabq.it/it/per-il-papa-la-sodomia-non-e-un-problema-morale-ma-di-immagine

LE NUOVE NORME SULLE APPARIZIONI FANNO A PEZZI L'APOLOGETICA


Il documento del card. Víctor Manuel Fernández, detto Tucho presentato il 17 maggio è in chiara discontinuità con l'atteggiamento che la Chiesa ha sempre avuto nei confronti dei fenomeni soprannaturali. Le nuove norme negano la possibilità di riconoscere le tracce dell'intervento di Dio nella storia degli uomini.
 

Le nuove norme sulle apparizioni mariane presentate lo scorso 17 maggio, costringono a riprendere in mano l'atteggiamento tradizionale della Chiesa davanti a fenomeni soprannaturali per comprendere se tali norme siano o meno in continuità. Da sempre, si sa che in questo campo l'atteggiamento della Chiesa è all'insegna della prudenza. D'altra parte, abbiamo gli imperativi dell'apostolo Paolo: «Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono» (1Ts 5, 19-21). Si tratta di due aspetti complementari: la prudenza è precisamente a servizio dell'esortazione paolina, vale a dire che la Chiesa è chiamata ad esaminare ogni cosa, per arrivare quanto più possibile alla certezza morale se un certo evento sia effettivamente manifestazione dello Spirito.
Da sempre l'atteggiamento della Chiesa è stato appunto quello di osservare, esaminare, vagliare, per giungere ad un giudizio positivo o negativo circa la possibile origine soprannaturale di determinati fenomeni. Una certa sistematizzazione di questi criteri fu opera di importanti teologi del XV secolo, come il domenicano cardinale Juan de Torquemada, e del Doctor Christianissimus, Jean de Gerson. Sembra che ad aver acceso l'interesse teologico per l'argomento dei fenomeni soprannaturali sia stata la decisione del (discusso) Concilio di Basilea di porre sotto esame le famose Rivelazioni celesti di Santa Brigida di Svezia.
Due concili ecumenici successivi, il Lateranense V (1512-1517) e il Tridentino (1545-1563) esprimeranno che spetta al Vescovo competente agire e pronunciarsi in modo definitivo su eventuali fenomeni soprannaturali, servendosi dell'aiuto di alcuni uomini «docti et gravi» (Lateranense) e «theologi et pii» (Tridentino). Si tratta di un duplice principio – competenza del vescovo e ricorso ad esperti – che garantisce da un lato la dimensione della comunione gerarchica, dall'altra la necessaria scienza e competenza per giungere ad un giudizio che si avvicini quanto più possibile alla certezza morale. Rimane la cosiddetta “riserva apostolica”, ossia la possibilità di intervento della Sede Apostolica, anche senza il consenso del Vescovo.
Il XVI secolo ha poi conosciuto lo straordinario apporto di mistici come santa Teresa d'Avila, san Giovanni della Croce, sant'Ignazio di Loyola, che hanno arricchito di criteri più fini il discernimento relativo a presunti fenomeni soprannaturali. I secoli successivi hanno visto sorgere importanti trattati teologici, tra i quali spicca il De discretione spirituum del cardinale Giovanni Bona, e soprattutto l'opera del cardinale Prospero Lambertini, futuro Benedetto XIV, sia la monumentale De servorum Dei beatificatione, che l'opera, ormai dalla critica a lui attribuita e da qualche giorno finalmente disponibile in edizione critica, Notæ de miraculis.
Si giunge quindi alle Normæ del 1978, le quali compendiano il lungo sviluppo storico tracciato, enumerando alcuni criteri positivi e negativi avvalendosi dei quali l'Ordinario possa giudicare del fatto attenzionato, le relazioni con la Conferenza episcopale di riferimento e con la Congregazione per la Dottrina della Fede. Le Normæ succitate servivano per «giudicare, almeno con una certa probabilità» circa la possibile origine soprannaturale del fenomeno interessato.
Il documento del 1978 già aveva ben presenti l'odierna rapidità di diffusione di notizie relative ai presunti fenomeni, così come «la mentalità odierna e le esigenze scientifiche e quelle proprie dell'indagine critica» che «rendono più difficile, se non quasi impossibile, emettere con la debita celerità i giudizi che concludevano in passato le inchieste in materia». Ma è proprio per queste sopraggiunte difficoltà che erano state emanate le Normæ, per giungere «alla luce del tempo trascorso e dell'esperienza, con speciale riguardo alla fecondità dei frutti spirituali» ad, «esprimere un giudizio de veritate et supernaturalitate, se il caso lo richiede».
Il lettore perdoni il lungo excursus, necessario però per comprendere la direzione della Chiesa in questa materia: massima prudenza, senza aver fretta di pronunciarsi in un modo o nell'altro, ma anche apertura a riconoscere la presenza dello Spirito, mediante l'attestazione di elementi che fanno appello alla ragionevolezza dell'uomo, capace di giungere ad un giudizio altamente probabile e ad una certezza morale.
Sullo sfondo di tutto questo sviluppo storico si può identificare proprio questo punto fermo: la Chiesa ha la consapevolezza della capacità della ragione umana di cogliere i segni del soprannaturale. Questo principio è alla base della credibilità della Persona stessa di Gesù Cristo, del Vangelo e dell'evangelizzazione. L'apostolo Pietro, il giorno di Pentecoste, rivolgendosi ai Giudei, qualificò il Signore Gesù come l'«uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni» (At 2, 22); Dio accreditava anche l'operato degli stessi Apostoli per mezzo di «molti segni e prodigi» (At 5, 12). Il miracolo, l'evento soprannaturale è una specie di “firma di Dio”, che l'uomo è in grado di saper decodificare, indizio che Dio offre precisamente alla ragione dell'uomo, perché ne possa riconoscere l'origine. Tutta l'azione profetica, di Cristo stesso e degli Apostoli è basata precisamente su questo principio: l'uomo è in grado non di conoscere direttamente il soprannaturale, ma di identificarne i segni, le tracce, così da riconoscere l'impronta di Dio e aprirsi ad accoglierne l'azione e il messaggio.
Ora, che cosa troviamo nelle Nuove Norme? Il cardinale Fernández ha provato a giustificare il nuovo documento con la necessità di una maggiore prudenza da parte della Chiesa, in ragione della confusione generata dall'azione di alcuni vescovi e da pronunciamenti contraddittori. Ma la verità è che il problema non si colloca nella carenza di norme o nella loro oscurità, ma più semplicemente nell'azione imprudente di singoli prelati; tant'è vero che le Nuove Norme riprendono sostanzialmente i criteri del documento del 1978. Se il problema fosse dunque quello della prudenza, il documento sarebbe inutile.
La vera novità del documento sta invece nel fatto che d'ora in avanti verrà preclusa la possibilità di esprimersi positivamente quanto alla soprannaturalità di un evento, ma ci si dovrà limitare, al massimo, ad un nihil obstat; il caveat presente nell'art. 22 §2 esprime questa novità: anche nel caso del nulla osta, «il Vescovo diocesano presterà attenzione (...) a che i fedeli non ritengano nessuna delle determinazioni come un’approvazione del carattere soprannaturale del fenomeno». Il concetto è stato ribadito da Fernández in Conferenza Stampa, rispondendo ad una domanda della giornalista Diane Montagna; giustificandosi con il fatto che occorre limitarsi ad una decisione prudenziale, il cardinale ha affermato che «non si può chiedere una dichiarazione dell'origine soprannaturale per decidere in questo caso, precisamente perché il rischio di dichiarare [un fenomeno] come soprannaturale è quello di dare piena certezza. In modo che, in ultima analisi, non si possa più dubitare».
Ora, anche i sassi sanno che quando un vescovo si esprime favorevolmente circa la soprannaturalità di un'apparizione o di un miracolo, ed anche quando lo dovesse fare un papa, né intende né può vincolare la coscienza dei fedeli, quasi stesse insegnando un dogma o una verità de fide tenenda. Si è sempre trattato di un giudizio prudenziale, anche quando ci si esprimeva con un constat de supernaturalitate, il cui massimo grado di assenso è la certezza morale, non la certezza assoluta di un atto di fede. Tant'è vero che l'opposizione al giudizio autorevole del vescovo in tale materia di per sé significherebbe al massimo temerarietà, non eresia o scisma.
Il contenuto specifico del documento è pertanto ben altro: la negazione che la Chiesa abbia i mezzi per poter portare su un evento un giudizio di probabilità o di certezza morale circa la sua origine soprannaturale; ma come dare credito alla Chiesa che annuncia il miracolo della guarigione dell'idropico da parte del Signore, o dello storpio da parte di Pietro e Giovanni, se quella stessa Chiesa oggi ci dice che in sostanza non è possibile dire alcunché circa la soprannaturalità di un evento? Perché il punto in questione non è ciò che è oggetto di fede e ciò che non lo è, ma la capacità di esprimersi sulla credibilità di un fatto. Al netto delle molteplici differenze a riguardo tra i teologi, la linea che il Dicastero sta portando avanti appare del tutto nuova nella storia della Chiesa: sacrificare la credibilitas, per salvaguardare la credentitas, ossia rinunciare a pronunciarsi sulla soprannaturalità di un fatto per custodire l'atto di fede. Il cruccio di Tucho, come afferma nella Presentazione delle Nuove Norme, è che l'approvazione di alcune rivelazioni conduca ad apprezzarle «più dello stesso Vangelo»; ergo, meglio non dare segni di approvazione, ma solo di concessione.
L'esperienza è però diversa e considera le ragioni di credibilità un ausilio all'atto di fede vero e proprio e non un ostacolo. Lo si osserva quotidianamente nelle nostre chiese e nella pratica del popolo di Dio: se certe apparizioni mariane, come Lourdes, Fatima, Guadalupe, non fossero state accolte dalla Chiesa, la vita cristiana del popolo e la frequenza dei sacramenti sarebbe persino peggiore di quanto già non sia. La forza dei segni di credibilità dei miracoli eucaristici o delle apparizioni, emersi proprio grazie alla prudente e talvolta diffidente indagine dei vescovi, ha sempre sostenuto la fede delle persone, specie nei momenti di oscurità. Altro che ostacolare la fede.
La sensazione è che Tucho sia del tutto condizionato da quella corrente che da svariati decenni ha polverizzato l'apologetica, creando non un salto ma un vuoto tra le esigenze della ragione e l'atto di fede, sostenendo una sostanziale impossibilità di riconoscere con certezza (morale) le tracce degli interventi di Dio nella storia degli uomini.

(Fonte: Luisella Scrosati, LNBQ, 23 maggio 2024) 
https://lanuovabq.it/it/le-nuove-norme-sulle-apparizioni-fanno-a-pezzi-lapologetica

ORGOGLIO E SENSUALITÀ, "FIDUCIA SUPPLICANS" RIBALTA L’ORDINE DIVINO


La dichiarazione del prefetto del Dicastero per la dottrina della fede Víctor Manuel Fernández, detto Tucho, reca in sé alcune caratteristiche del pensiero rivoluzionario. Corrêa de Oliveira le riassumerebbe in orgoglio e sensualità. Infatti, FS rifiuta l’ordine voluto da Dio e sottomette l’intelletto e la volontà alla sensualità.

Il documento "Fiducia supplicans", che legittima le benedizioni delle coppie irregolari e di quelle omosessuali, reca in sé alcune caratteristiche proprie del pensiero rivoluzionario, ossia di quel pensiero che muove guerra all’ordine costituito da Dio. Vediamo un paio di queste caratteristiche citando alcune pagine del volume Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (1959) del pensatore Plinio Corrêa de Oliveira.
Quest’ultimo scrive: «Due nozioni concepite come valori metafisici esprimono adeguatamente lo spirito della Rivoluzione: uguaglianza assoluta, libertà completa. E due sono le passioni che più la servono: l’orgoglio e la sensualità» (p. 98). Partiamo dal binomio uguaglianza-orgoglio. Corrêa de Oliveira rileva che «la persona orgogliosa, soggetta all’autorità di un’altra, odia in primo luogo il giogo che in concreto pesa su di lei. In secondo luogo, l’orgoglioso odia genericamente tutte le autorità e tutti i gioghi, e più ancora lo stesso principio di autorità, considerato in astratto. […] E in tutto questo si manifesta un vero odio a Dio» (pp. 98-99).
Non è un mistero che questo pontificato da una parte rifiuta l’autorità della Chiesa intesa come realtà gerarchica – pensiamo alla figura evocata dal Papa della piramide rovesciata, alla Chiesa non docente ma in ascolto, al concetto distorto di sinodalità – ma dall’altra governa la Chiesa con autoritarismo. Il rifiuto dell’autorità della Chiesa inteso come rifiuto della gerarchia permette, apparentemente, di trasferire questa stessa autorità al popolo di Dio, anzi alla gente e dunque di rivestire di validità morale e teologica qualsiasi istanza provenga da essa, perché è il popolo ad insegnare la verità, non più la Chiesa. Abbiamo aggiunto l’avverbio “apparentemente” perché il rimando insistente al doveroso ascolto della base serve solo per promuovere un’agenda culturale di pochi da imporre ai “riottosi”. Ecco spiegato dunque l’inevitabile aspetto dell’autoritarismo nell’attuale governo della Chiesa, vero motore pastorale – motore comandato da un pastore unico – che gira a pieno regime dietro il paravento dell’uguaglianza, anzi dell’egualitarismo.
In questa agenda c’è sicuramente la voce “omosessualità”. Dato che forse il sinodo sulla Sinodalità è stato troppo timido su questa tematica, ecco che si agisce d’imperio e si pubblica FS. La benedizione dell’omosessualità esprime, tra le altre cose, il giudizio di rifiuto della condanna dell’omosessualità, il fastidio per questo giogo considerato ingiusto. Da qui la ribellione, il cui fulcro è l’orgoglio o, ancor meglio, la superbia, primo peccato, in senso temporale e di importanza, da cui scaturiscono gli altri. La ribellione in FS è evidente: rifiuto dell’autorità della Rivelazione che condanna l’omosessualità e dunque rifiuto dell’autorità della Chiesa quando insegna il contrario di ciò che esprime FS. L’umiltà avrebbe comandato obbedienza ad entrambe queste due fonti anche se tutto il mondo fosse insorto chiedendo di benedire l’omosessualità.
Viene da chiedersi perché alla fine benedire l’omosessualità, ossia perché considerare un bene questo orientamento e le relative condotte tanto da promuoverle anche in seno alla liturgia. E qui passiamo al secondo binomio indicato da Correa de Oliveira: libertà completa e sensualità. «L’intelligenza deve guidare la volontà, e questa deve dirigere la sensibilità […]. Il processo rivoluzionario […] una volta trasferito nelle potenze dell’anima, dovrà produrre la tirannia deplorevole di tutte le passioni sfrenate su una volontà debole e fallita e una intelligenza obnubilata. In modo particolare, il dominio di una sensualità ardente su tutti i sentimenti di modestia e pudore. Quando la Rivoluzione proclama la libertà assoluta come un principio metafisico, lo fa unicamente per giustificare il libero corso delle peggiori passioni e degli errori più funesti» (pp. 102-103).
Davvero il male è banale. Infatti il fulcro di FS è tutto qui: il dominio della sensualità su intelligenza e volontà. La passione contro natura per il fatto che esige di essere soddisfatta, di essere appagata viene letta dall’intelligenza come un bene verso cui la volontà deve tendere, pena vedersi tarpare le ali della libertà. La temperanza e/o l’orientamento delle passioni secondo le indicazioni della recta ratio vengono letti come attentati alla propria libertà personale. E dunque anche qui abbiamo un rovesciamento della piramide gerarchica voluta da Dio quando ha ordinato le potenze dell’anima: sono le passioni a dettare legge all’intelletto e alla volontà.
Ritorna poi l’autoritarismo che predica l’uguaglianza ma impone poi l’unicità di alcune idee: «Il liberalismo [ossia la libertà intesa in senso assoluto] dà poca importanza alla libertà per il bene. Gli interessa solo la libertà per il male. Quando è al potere, toglie facilmente e persino allegramente al bene la libertà, in tutta la misura possibile. Ma protegge, favorisce, sostiene, in molti modi, la libertà per il male. […] Mentre da un lato si proibiscono tirannicamente mille cose buone, o almeno innocue, dall’altro si favorisce il soddisfacimento metodico, e a volte con caratteri di austerità, delle peggiori e più violente passioni, come l’invidia, la pigrizia, la lussuria» (pp. 103-104). La libertà ricercata, infine, è solo quella che tende al male. La libertà propria di chi vive il bene viene vista come minaccia – anche solo perché ricorda fastidiosamente a tutti dove stia la verità – e deve essere soppressa.
Si potrebbe obiettare che FS non obbliga alla benedizione delle coppie irregolari e omosessuali. Le cose però non stanno così. Infatti il comunicato stampa del Dicastero per la Dottrina della Fede del 4 gennaio 2024, redatto per esplicitare la natura di questo documento e dunque valevole come interpretazione autentica, esplicitamente dichiara che, a fronte di alcune riserve, il documento dovrà prima o poi essere recepito dalle conferenze episcopali e quindi dai singoli sacerdoti. Il testo è chiaro: «La prudenza e l’attenzione al contesto ecclesiale e alla cultura locale potrebbero ammettere diverse modalità di applicazione, ma non una negazione totale o definitiva di questo cammino che viene proposto ai sacerdoti. […] Resta importante che queste Conferenze episcopali non sostengano una dottrina differente da quella della Dichiarazione approvata dal Papa, in quanto è la dottrina di sempre» (nn. 2-3. Notare che inevitabilmente un’indicazione pastorale come quella della benedizione delle coppie omosessuali non può che rimandare a monte ad una dottrina).
Ricapitolando, in principio ci sono le passioni che comandano su intelletto e volontà: assecondarle appare l’unica strada per essere libero. Le determinazioni assunte dalla ragione sono così in netto contrasto con il volere di Dio. Ecco allora che la superbia non piega le ginocchia davanti a Lui e non rispetta la sua autorità e quella del Magistero di sempre, ma esclama «Non serviam!». Considerando infine le passioni sregolate un bene, non si può poi che imporle a tutti. Questa è, nel fondo, parte della struttura ideologica su cui si regge FS.

(Fonte: Tommaso Scandroglio, LNBQ, 8 maggio 2024) 
https://lanuovabq.it/it/orgoglio-e-sensualita-fiducia-supplicans-ribalta-lordine-divino

 

LA VENDETTA DI FRANCESCO SU GÄNSWEIN È PIENA DI IMPRECISIONI


Nel suo libro Bergoglio torna sui rapporti col predecessore, contro il segretario di Ratzinger che aveva smentito la "leggenda" della sintonia tra i due Papi. Dice la sua anche sul conclave del 2005, ma i conti non tornano.

Mentre invoca la pace per il mondo, Francesco apre nuovi fronti di guerra nella Chiesa. Lo ha fatto con le dichiarazioni concesse al giornalista spagnolo Javier Martinez-Brocal nel libro-intervista “El sucesor”. Nelle anticipazioni uscite in queste ore, il Papa ha detto la sua sul rapporto con Benedetto XVI senza risparmiare critiche durissime a monsignor Georg Gänswein.
La colpa del fidatissimo segretario particolare di Ratzinger è di aver smentito una volta per tutte nel suo libro Nient'altro che la verità la narrazione di una coabitazione armoniosa tra il Pontefice regnante ed il suo predecessore ritiratosi al monastero Mater Ecclesiae. Commentando i contenuti del volume scritto a quattro mani da Gänswein con il giornalista Saverio Gaeta, Bergoglio da un lato ha ostentato superiorità dicendo che «naturalmente non mi colpisce, nel senso che non mi condiziona», dall'altro invece ha esternato tutta la sua rabbia perché quel libro lo avrebbe «messo sottosopra, raccontando cose che non sono vere».
Nient'altro che la verità ha svelato i retroscena del siluramento di Gänswein nel 2020 dall'ufficio di prefetto della Casa Pontificia presumibilmente per non aver impedito a Benedetto XVI di pubblicare un testo a difesa del sacerdozio all'interno dell'ormai famoso Dal profondo del nostro cuore (Cantagalli editore) scritto dal cardinale Robert Sarah poco dopo il Sinodo sull'Amazzonia. Gänswein ha raccontato che Bergoglio non ascoltò la richiesta del suo predecessore di reintegrarlo come prefetto della Casa Pontificia. I fatti confermano che Gänswein, dopo lo scoppio del caso Sarah, non tornò più al fianco del Papa regnante nelle udienze pubbliche pur mantenendo formalmente l'incarico.
Scagliandosi sempre contro l'arcivescovo tedesco, Francesco ha detto a Martinez-Brocal di aver «vissuto come una mancanza di nobiltà e di umanità» l'uscita delle anticipazioni di Nient'altro che la verità nel giorno del funerale.
Al di là della critica in sé, inutile nascondere la reazione sbigottita di fronte a queste parole da parte dei molti che non dimenticano l'atteggiamento tenuto da Bergoglio nei giorni dell'esposizione e delle esequie del suo predecessore. Francesco non si recò in Basilica di San Pietro a pregare davanti alla salma, ostinatamente confermò l'udienza generale del mercoledì in aula Paolo VI nonostante i consigli di cardinali e collaboratori che riuscirono a malapena a convincerlo a spostare il funerale di qualche giorno per consentire ai porporati di tutto il mondo di arrivare a Roma in tempo. Tutti ricordano, poi, l'omelia breve e spersonalizzata così come la frettolosità del Papa durante le esequie.
Al di là del giudizio sulle questioni dottrinali e pastorali dell'attuale pontificato, in quel frangente emerse quella componente caratteriale che spesso ha portato Francesco a prendere decisioni amaramente incomprensibili in questi undici anni. La cacciata di Gänswein dal Vaticano un mese dopo, senza alcun altro incarico, ha chiuso il quadro.
Da un po' di tempo, a spregio dell'evidenza e a tratti del ridicolo, c'è chi deve aver consigliato al Papa di presentare una narrazione ben diversa del suo rapporto con Ratzinger, distinguendo quest'ultimo dai "ratzingeriani" che lo avrebbero usato contro di lui. In questa cerchia è finito persino monsignor Gänswein, l'uomo al suo fianco fino alla fine e che ne è stato esecutore testamentario. Nel libro-intervista El sucesor, questa volontà di presentare un rapporto probabilmente diverso dalla realtà è forse all'origine delle non poche contraddizioni dell'intervistato. Francesco non ha esitato a rendere pubblico il suo racconto del conclave del 2005.
L'immagine di un Papa che si mette a rivelare dettagli degli ultimi due conclavi – peraltro uno dei suoi argomenti preferiti con giornalisti e biografi – in forza del suo essere legibus solutus è di per sé poco rassicurante. Peggio ancora se queste presunte rivelazioni cozzano con le informazioni esistenti e con dichiarazioni precedentemente rilasciate da lui stesso.

Bergoglio ha sostenuto di essere stato "usato" dai cardinali che dopo la morte di Giovanni Paolo II volevano bloccare l'elezione del favorito Ratzinger e di aver favorito quest'ultimo facendo un passo indietro dopo aver raccolto 40 preferenze. In base al dettagliato resoconto del conclave di 19 anni fa pubblicato su Limes dal vaticanista Lucio Brunelli – estimatore di Bergoglio e uno dei pochi a prevederne l'elezione nel 2013 – sappiamo che l'allora cardinale argentino raccolse effettivamente 40 voti alla terza votazione. Il Papa ha detto a Martinez-Brocal che «se avessero continuato a votarmi, [Ratzinger] non sarebbe riuscito a raggiungere i due terzi necessari per essere eletto papa». A quel punto, secondo la sua versione, l'argentino avrebbe detto al cardinale Darío Castrillón Hoyos: «Non scherzare con la mia candidatura, perché adesso dico che non accetterò, eh? Lasciami qui'. E lì Benedetto fu eletto». Quindi, secondo il Pontefice regnante, il suo passo indietro sarebbe stato decisivo per sbloccare l'impasse e portare all'elezione di Ratzinger.
Ma questa versione suscita più di un dubbio. Infatti, in base al diario del cardinale anonimo pubblicato da Brunelli, sembrerebbe che alla quarta votazione non si azzerarono i voti per Bergoglio, come un ritiro "annunciato" del candidato avrebbe lasciato immaginare, ma ci fu un suo calo a 26 preferenze, con le restanti andate al favorito tedesco divenuto in quel modo Papa. Che quella attorno a Bergoglio fosse una candidatura vera già nel 2005 e che la sua sconfitta non fu l'effetto di un ritiro volontario sembra testimoniarlo l'amaro commento del cardinale belga, suo sostenitore, Godfried Danneels al quotidiano fiammingo De Morgen al quale disse che il conclave aveva «dimostrato che non era ancora il momento per un papa latinoamericano». Inoltre, sembra davvero improbabile che il cardinale Castrillón Hoyos, uno dei membri più conservatori dell'intero collegio e poi braccio destro di Benedetto nel dialogo con la Fraternità San Pio X, potesse essere addirittura un alfiere della fronda anti-Ratzinger.
Un'altra imprecisione è quella affermata a proposito dei «due terzi dei voti necessari per essere eletto» che il tedesco non avrebbe raggiunto se Bergoglio non si fosse ritirato. In realtà, la costituzione apostolica Universi Dominici Gregis in vigore dal 1996 aveva mandato in pensione il quorum della maggioranza di due terzi (poi ripristinato da Benedetto nel 2007): quindi, se gli anti-Ratzinger avessero resistito, ai suoi sostenitori sarebbe bastato andare avanti fino al 34° scrutinio per averla vinta a maggioranza assoluta. Il Papa ha 87 anni e da quel conclave ne sono passati quasi venti, quindi la memoria potrebbe avergli fatto un brutto scherzo.
Un'altra anticipazione del libro El sucesor destinata a far discutere è quella relativa alla difesa che Benedetto XVI, ormai emerito, avrebbe fatto del suo successore con alcuni cardinali che si sarebbero lamentati con lui per le dichiarazioni bergogliane sulle unioni civili. Queste le parole del Papa: «Ho avuto un colloquio molto bello con lui quando alcuni cardinali sono andati a incontrarlo sorpresi dalle mie parole sul matrimonio, e lui è stato chiarissimo con loro, li ha aiutati a distinguere le cose (...) così mi ha difeso». Il riferimento è probabilmente alle polemiche scaturite da uno spezzone di intervista tramesso in un documentario del regista Evgeny Afineevsky in cui il Pontefice apriva ad una legge sulle unioni civili. Quello dell'anziano e ormai emerito Benedetto che dà ragione al suo successore con i cardinali che lo vanno a trovare per lamentarsi con lui sembra quasi un topos di cui Francesco si è già servito, ad esempio sul volo di ritorno dall'Armenia rispondendo ad una domanda della  giornalista Elisabetta Piqué. Il viaggio apostolico, però, risale al 2016 quindi 4 anni prima la bufera sulle parole nel documentario. Il Papa emerito ha cacciato più di una volta i cardinali "criticoni" dal Mater Ecclesiae per difendere il suo successore o quello di Francesco è piuttosto un espediente narrativo, un po' come quando ha raccontato più di una volta che il suo segretario avrebbe visto un cagnolino in un passeggino collocando di volta in volta la scena ad un fantomatico "l'altro giorno"? Come fa il Pontefice regnante a sapere del contenuto di queste presunte conversazioni di Benedetto XVI con alcuni cardinali? Tirando in ballo un colloquio "molto bello" avuto con lui a ridosso di questo presunto episodio sembrerebbe alludere al fatto che sia stato Benedetto XVI stesso a raccontarglielo.
Difficile immaginarlo visto che, per quanto ci risulta, Ratzinger nel suo periodo al monastero Mater Ecclesiae non ha smesso di incontrare e di ascoltare i porporati più a disagio nell'attuale pontificato. In ogni caso per ciò che attiene le leggi sulle unioni civili, più di un episodio riferito de relato più di un anno dopo la morte del diretto interessato, fa fede quanto Joseph Ratzinger scrisse nel 2003 in un documento ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede – le Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali – dove si legge che «ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all’applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo».

(Fonte: Nico Spuntoni, LNBQ, 3 aprile 2024) 
https://lanuovabq.it/it/la-vendetta-di-francesco-su-gaenswein-e-piena-di-imprecisioni

LA DIOCESI DI BOLOGNA SI LANCIA A PROMUOVERE LE COPPIE GAY


Tutto è famiglia "a prescindere dal genere" per il direttore editoriale della San Paolo, don Simone Bruno, che presenta il suo libro a Bologna con il vicario episcopale. Nella diocesi del presidente della CEI.
 

Dopo la sua performance a Milano, in occasione della fiera del libro BookPride, don Simone Bruno approda a Bologna. Ma questa volta sostenuto dalla diocesi guidata dal presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Matteo Zuppi. Il prossimo 6 aprile, il direttore editoriale delle edizioni San Paolo presenterà il suo recente libro Siamo sempre una famiglia? Separati, coppie di fatto, nuclei allargati: le nuove prospettive, introdotto dal vicario episcopale per la formazione cristiana della diocesi felsinea, don Davide Baraldi.
La diocesi non deve evidentemente aver avuto nulla da ridire circa le posizioni di don Bruno sulle “unioni” sodomite, che il sacerdote paolino ha reso note in occasione di Fiducia supplicans. Gli organizzatori dell'incontro, tali Cristiani Radicali di Bologna, associazione che – si legge nella loro pagina FB – «ha l'aspirazione ad essere il braccio operativo del nuovo spirito cristiano portato da Francesco nel cattolicesimo», con l'obiettivo di costruire «una comunità Cristiana Fraterna, Moderna e Costituzionale», hanno subito messo in chiaro la piega che prenderà l'incontro, riportando nei loro volantini di pubblicizzazione dell'evento, due citazioni di don Bruno.
La seguente citazione era stata riportata nella locandina originaria, che poi è stata modificata: «Il nuovo spaventa e attiva meccanismi regressivi. Ma dobbiamo resistere e mostrare che le unioni tra persone separate, divorziate e dello stesso sesso non sono peccaminose. Tra loro esiste un bene affettivo e relazionale, prendersi cura dell'altro». Era questo il commento che don Simone Bruno aveva scritto sulla pagina FB nel gennaio scorso e che è stato ampiamente analizzato e criticato da Tommaso Scandroglio.
Una sola riflessione in aggiunta: don Bruno è della stessa pasta del cardinale Fernández; l'uno e l'altro pensano che le persone siano così stupide da non rendersi conto che una tale posizione assomiglia molto a quella dei venditori di “fuffa”, che magnificano le qualità di un prodotto e ne tacciono tutte le magagne.
Il sofisma di don Bruno è piuttosto semplice da riconoscere: prima utilizza il termine “unione” estendendolo anche alla sfera sessuale e, subito dopo, ne restringe il campo semantico all'aspetto affettivo e relazionale, per spostare l'attenzione sul fatto che c'è del buono, in queste relazioni; e chi non avvertirebbe una certa empatia con l'affermazione di Samvise Gamgee, «c'è del buono in questo mondo, padron Frodo»?
Ma l'aspetto relazionale, l'aiuto reciproco, perché richiederebbero degli atti sessuali? Così, tanto per chiedere. E non è che magari la Chiesa cattolica ha sempre condannato questi atti sessuali, al di fuori del matrimonio e/o contro natura, e non l'amicizia e l'aiuto? Così, tanto per richiedere.
Seconda citazione di don Bruno, nella locandina riveduta e corretta: «Le famiglie unite dal Sacramento del Matrimonio possono coesistere in reciproca armonia con le diverse tipologie familiari: conviventi, di fatto, unite con rito civile e a prescindere dal genere?». Avevamo un James Martin (vedi qui) in Italia e non ce ne eravamo accorti... ma siccome difendiamo il made in Italy, abbiamo deciso di tralasciare il Martin a stelle e strisce ed occuparci di quello tricolore.
Dunque, delle tipologie elencate da don Bruno, solo ad una può essere attribuita l'aggettivazione “familiare”: alla coppia unita dal Sacramento del Matrimonio; vi sono anche vere famiglie naturali tra non battezzati, purché siano formate da un uomo e una donna e unite stabilmente ed indissolubilmente in una relazione aperta alla vita. I conviventi, le coppie di fatto, e quelle che prescindono dal genere non sono famiglie. Punto. Ma, evidentemente, nel suo speech, il direttore editoriale della San Paolo vorrà illustrare la sua visione variegata della famiglia.
E tutto ciò non inquieta minimamente il vicario episcopale – e, a quanto pare, nemmeno l'arcivescovo –, il quale ha pensato bene di andare a dare man forte a don Bruno. Don Davide Baraldi è quel fenomeno che aveva deciso, motu proprio, di modificare il precetto domenicale (qui e qui) per i suoi parrocchiani, dal momento che lui era a letto con l'influenza. Don Baraldi era stato scelto dal cardinale Zuppi nel settembre del 2022 per essere nominato vicario episcopale nella sezione della formazione cristiana. Probabilmente un premio dell'arcivescovo al prete che, in occasione della festa di San Valentino del 2022, aveva organizzato nella propria parrocchia un aperitivo per gli over 35 che volevano «tenere vivo il proprio cuore» (vedi qui). Brindisi volutamente aperto anche a non credenti e omosessuali, perché – spiegava don Baraldi – «nell’intenzione del vescovo c’è l’intenzione di intercettare genericamente la tematica dell’amore. Non chiudendola sulle questioni sacramentali, al matrimonio, al concetto di famiglia. Ma parlando proprio dell’amore così». Dopo tutto «quando si parla di amore non c’è né apertura né chiusura». Patetico.
La diocesi di Bologna, dunque, apre la strada ad una nuova tappa, dopo Fiducia supplicans: cancellare il sesto comandamento e la famiglia come Dio l'ha voluta. Nemmeno due anni fa, don Gabriele Davalli, direttore dell'Ufficio Pastorale della Famiglia, aveva presieduto ad una Messa simil-nuziale di due gay che si erano appena “sposati” al Comune di Budrio (qui e qui), consenziente il cardinale. Al quale evidentemente deve sfuggire che essere arci-vescovo non ha nulla a che vedere con l'essere dell'arci-gay.

(Fonte: Luisella Scrosati, LNBQ, 9 marzo 2024) 
https://lanuovabq.it/it/la-diocesi-di-bologna-si-lancia-a-promuovere-le-coppie-gay

"DEMOS II", INVITO A TORNARE AL CUORE DELLA RELIGIONE CATTOLICA


Un altro documento del “samizdat” ecclesiale [cioè di quanti dissentono, ndr] che esprime un senso di sconforto spirituale per l'attuale situazione della Chiesa. E per questo indica la strada del futuro che dovrà essere qualcosa d'altro rispetto a questo pontificato.
 

Un altro documento di un anonimo cardinale, che parla come portavoce di altri, sul pontificato di Francesco valutato come disastroso. Era già accaduto con la denuncia firmata “Demos” e intitolata “Il Vaticano di oggi”, il cui autore, ritenuto sconosciuto per parecchio tempo, fu poi identificato nel cardinale Pell. Questa seconda fase si chiama “Demos II” e si intitola “Il Vaticano di domani”, a connotare una chiara continuità con la precedente. 
Una nuova puntata di comunicazione clandestina, un testo underground, una specie di samizdat ecclesiale e cardinalizio, pervaso, tra l’altro, da un profondo senso di tristezza proprio per la costrizione all’anonimato. Il motivo è desolatamente richiamato alla fine: «I lettori si chiederanno giustamente perché questo testo sia anonimo. La risposta dovrebbe essere ovvia per chiunque conosca l’attuale ambiente romano. La sincerità non è bene accetta e le sue conseguenze possono essere spiacevoli».
Questo senso di sconforto e desolazione pervade tutto il documento. Non si tratta di un sentimento psicologico ma spirituale, come quando ci si trova di fronte ad un malessere diffuso che colpisce le anime. Questo triste sconcerto emerge dalle righe di questo testo almeno a due livelli distinti. Il primo riguarda gli atteggiamenti di Francesco, la sua prassi pontificia, dipendente certamente dal suo carattere personale ma anche connessa con il suo modo di vedere la realtà, compresa quella del papato. I suoi metodi autoritari, impositivi e perfino, si legge nel documento, «vendicativi». La sua insistenza a seminare dubbi che mettono in difficoltà lo “stare” nella fede, creano divisioni e conflitti il cui risultato è oggi «una Chiesa più fratturata che in qualsiasi altro momento della storia». Il puntare su «nuovi paradigmi» e «nuovi sentieri inesplorati», l’inseguimento del nuovo per il nuovo. L’ambiguità delle sue affermazioni, l’uso di slogan privi di contenuto teologico e di una nuova retorica sentimentale e immaginifica ricca di «sfumature ambivalenti». Le purghe nella curia, le nomine politiche dei suoi affezionati e la protezione dei propri amici e sostenitori, il disprezzo per il diritto che spesso viene aggirato, gli eccessivi legami con la Compagnia di Gesù. L’incapacità di ascoltare e la fretta di demolire in un attimo quanto costruito e insegnato dai predecessori. Pianificare novità spesso dirompenti senza darne adeguata giustificazione. L’utilizzo di tatticismi politici.  La mancata convocazione dei cardinali ormai da ben dieci anni, le decisioni prese in solitudine, gli atti di intemperanza. Il tragico abbassamento del livello del magistero sia pontificio che vaticano.
Tutti questi segni denotano una crisi diffusa e profonda, suscitano tristezza e negativo stupore, manifestano sconcerto e confusione spirituale. Però potrebbero essere anche collegati a particolari tratti temperamentali di Francesco, attribuiti alla sua storia personale e magari controbilanciati da altri atteggiamenti come la «compassione per i deboli», la «solidarietà verso i poveri», la «preoccupazione per le questioni ambientali». Potrebbe non trattarsi di modi di essere e di fare preoccupanti e non significherebbero molto più di certi limiti personali. Il precedente documento “Demos” era stato perfino più analitico ed ampio nell’elencare i discutibili comportamenti di Francesco, discutibili in relazione al pontificato da lui esercitato. Questo “Demos II” ne accenna ma non ne fa il centro della critica, che invece verte su questioni di principio. Per questo motivo si può dire che esso risulta più accusatorio del precedente, appunto perché più concentrato sulle questioni decisamente essenziali.
Questo è appunto il secondo livello di analisi condotta da questo testo. I rimproveri qui rivolti a Francesco riguardano il cuore della religione cattolica. Il ruolo del papato viene trasformato e da garanzia della conferma dei fratelli nella fede diventa «modello di ambiguità nelle questioni di fede». L’esasperazione della misericordia di Dio a danno della sua giustizia. La storicizzazione delle «verità oggettive e immutabili sul mondo e sulla natura umana». Un’ermeneutica stravagante della Parola di Dio contenuta nelle Scritture. La revisione del concetto di peccato. Le riserve sulla missione evangelizzatrice della Chiesa. Una implicita interpretazione del Vaticano II come estranea alla continuità. La visione problematica del sensus fidelium deformata dalla lente della «teologia del popolo». La tendenza a modificare gli insegnamenti per adattarsi al mondo. La sottovalutazione del contenuto delle verità credute e la visione della dottrina come rigida ed astratta. Il disprezzo per il diritto canonico. Il documento insiste in modo particolare sui difetti dell’antropologia di papa Francesco, in particolare il suo allontanamento dalla «teologia del corpo» e da una «convincente antropologia cristiana» … «proprio in un momento in cui si moltiplicano gli attacchi alla natura e all’identità umana, dal transgenderismo al transumanesimo”.
I due livelli qui ricordati, quello degli atteggiamenti personali, indigesti ma attribuibili al carattere, e quello dottrinale, sono però integrati tra loro nel “Demos II”. Niente accade per caso in questo pontificato e non esistono incidenti di percorso, eccessi di carattere o retaggi sudamericani. Anche le contraddizioni hanno il loro motivo per nulla contraddittorio. Per questo il «Vaticano di domani» dovrà essere qualcosa d’altro. Parola di “Demos II”.

(Fonte: Stefano Fontana, LNBQ, 29 febbraio 2024) 
https://lanuovabq.it/it/demos-ii-invito-a-tornare-al-cuore-della-religione-cattolica

RUPNIK, L'EX SUORA ESCE ALLO SCOPERTO: "ABUSI MOLTO GRAVI"


In conferenza stampa Gloria Branciani denuncia richieste di natura sessuale sempre più aggressive e blasfeme. Un passo decisivo per far luce sul caso del sacerdote sloveno, che getta un'ombra sulla trasparenza dell'attuale pontificato.

«Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore, quello che gli trafigge il cuore». Sono passati quasi vent'anni dall'indimenticabile commento dell'allora cardinale Joseph Ratzinger alla nona stazione della Via Crucis al Colosseo. Sembra incredibile, ma diciannove anni dopo quel grido di dolore siamo ancora a fare i conti con la scarsa trasparenza delle più alte autorità ecclesiastiche in un clamoroso caso di abusi.
La vicenda è quella che vede protagonista don Marko Rupnik, ex gesuita e famoso artista sloveno accusato da più donne di abusi spirituali, psicologici e sessuali. I fatti risalgono alla fine degli anni Ottanta e all'inizio dei Novanta, ma ancora nel 2019 l'archistar assolveva in confessione una donna con cui aveva avuto un rapporto sessuale, beccandosi un anno più tardi la scomunica più breve della storia da parte della Congregazione per la Dottrina della fede. Scomunica ritirata, non si sa bene da chi e perché. Da quando il "bubbone" Rupnik è scoppiato in Vaticano, con la notizia di una prima indagine – finita in prescrizione nel 2021 – sulle sue presunte malefatte nella Comunità Loyola di Lubiana durate fino al 1993, alcune protagoniste hanno deciso di parlare, raccontando la loro esperienza in forma anonima ai giornali.
La giornata di ieri, però, fa segnare un passo in più: una presunta vittima, Gloria Branciani, ha deciso di metterci il volto e la voce al fine di reclamare verità e giustizia. Sono le due parole più ricorrenti nella lunga testimonianza fatta dall'ex suora di fronte ai giornalisti accorsi negli uffici della Federazione Nazionale della Stampa Italiana in via delle Botteghe Oscure. Al suo fianco una ex consorella ritrovata, Mirjam Kovac, che della fondatrice Ivanka Hosta è stata persino segretaria e che ha lodato il coraggio dimostrato già all'epoca da Gloria, quando decise di scappare dalla comunità dopo essere stata isolata per le sue denunce.
Le parole di Kovac sono molto importanti perché confessando di aver capito nel giro di pochi mesi che «Rupnik ha sfruttato la sua posizione alla ricerca di approcci erotico-sessuali su almeno venti sorelle su un totale nella comunità di quaranta» sembra rafforzare l'idea che, tanto per citare la nota dei gesuiti, il «grado di credibilità di quanto denunciato o testimoniato sembra essere molto alto».

Da ieri, dunque, sappiamo che si chiama Gloria Branciani la presunta vittima del racconto più duro sull'ex gesuita sloveno, quello sulla richiesta blasfema di rapporti sessuali a tre fatta tirando in ballo la Trinità. Con voce esile ma determinata, interrompendosi solamente tre volte per la commozione, la donna ha ricostruito l'incontro che le ha rovinato la vita. Da studentessa universitaria di medicina, con il desiderio di diventare missionaria e la passione per l'arte, Gloria ha spiegato di aver conosciuto il religioso sloveno quando già era noto come figura di grande spiritualità. La personalità dell'ex gesuita si impose nella sua vita con complimenti ed attenzioni in un momento di scarsa autostima. Poi, il primo episodio che diede il via all'incubo: «mentre dipingeva in atelier, fissava il mio corpo e mi alzò la gonna dicendo che era il gesto che faceva la Madonna per rivelare la divina umanità di Cristo». Continua il racconto dell'ex suora: «Dopo quella volta mi diceva che se non rifacevo quel gesto sarebbe stata una prova di uno stop nella crescita spirituale. Io ero molto perplessa, disorientata, ma lui insisteva dicendo che potevo vivere quella relazione molto speciale perché avevo il dono della mistica».
La "ricezione indegna del suo Corpo" evocata da Ratzinger nella Via Crucis del 2005 fece capolino nel dramma di Gloria: «molte volte celebrava l'Eucarestia da solo con me nell'atelier e dopo l'Eucarestia o la confessione mi spingeva ad abbracciarlo. Poi dagli abbracci, lentamente, passò ai baci, sempre più profondi. Una volta mi disse che baciava me come bacia l'altare in cui celebra l'Eucarestia. Io in quel periodo ero molto ingenua e pensavo veramente che quel tipo di fisicità tra noi sarebbe finito quando la mia crescita spirituale lo avrebbe permesso». Ma non fu così. Rupnik la allontanò dalla famiglia e dagli amici, spingendosi a criticare il suo cammino di fede davanti agli altri se in privato si mostrava titubante di fronte alle sue richieste fisiche.
Il racconto di Gloria è stato molto lucido, scandito da tappe importanti nella relazione con il suo presunto abusatore. Una di queste si registrò una sera del giugno 1986, la sera prima di una partenza di Rupnik per la Grecia: «mi chiese di celebrare l'Eucarestia nell'atelier. Io avevo capito che era una scusa per farmi spogliare, così decisi di spostare l'attenzione sulla conversazione ma lui era molto spazientito ed accompagnandomi all'autobus la sua rabbia esplose, dicendo che non valevo niente e che voleva interrompere ogni rapporto. Me lo disse in modo molto aggressivo, sentivo che si era spezzato qualcosa». Il giorno dopo, però, al telefono cambiò tono e dalla Grecia le inviò una cartolina di saluti. Strategie che sembrano appartenere a quella che Gloria ha chiamato senza mezzi termini «manipolazione».
La donna ha sostenuto che il controllo del religioso divenne tale da spingerla a lasciare studi e città d'origine per trasferirsi in Slovenia, dopo pressioni esercitate anche da Hosta e culminate in una chiamata dell'allora arcivescovo di Lubiana monsignor Alojzij Šuštar. Questo è stato ricordato dalla protagonista come il periodo peggiore perché «gli abusi fisici divennero più violenti, soprattutto in auto perchè lui doveva fare giri per impegni spirituali». «Abusi molto gravi – ha rivelato la donna – a causa dei quali io persi anche la verginità e fui costretta ad altri tipi di rapporti intimi per i quali era evidente il mio disprezzo». Rupnik, però, di fronte alle resistenze si sarebbe dimostrato pronto a giustificare le sue richieste, sostenendo che la contrarietà della donna era dovuta al suo modo sbagliato di vivere la sessualità. Dopo aver emesso i voti perpetui, Gloria dovette fare i conti con la richiesta più blasfema: «mi disse che sentiva nella preghiera che il nostro rapporto non era esclusivo ma doveva essere ad immagine della Trinità, quindi dovevamo invitare un'altra sorella a vivere come noi». Ancora una volta, di fronte ai dubbi di Gloria, l'allora gesuita avrebbe fatto leva sull'aspetto psicologico e spirituale, dicendole che le mancavano determinazione e forza da assumere con l'aggressività sessuale. La prima traumatica esperienza a tre, con una suora indicata dal padre spirituale, sarebbe avvenuta in una casa di un'amica a Gorizia. Di fronte ai primi cedimenti della donna, Rupnik l'avrebbe minacciata di farla passare per pazza e si sarebbe giustificato dicendo di aver ottenuto dal suo padre spirituale «la conferma teologica sulla sua modalità di sessualità».
La situazione non cambiò a Roma dove Gloria fece ritorno, sempre soggiogata – secondo il suo racconto – da quello che era il suo confessore e garante per il discernimento davanti alla Chiesa. Accusata di atteggiamenti infantili, la suora ha raccontato di essere stata condotta da Rupnik per due volte in alcuni cinema porno romani, sulla Salaria e sulla Tuscolana: «si vedeva che lui era un abituale frequentatore», ha detto.
Continuando la testimonianza sul periodo romano: «le richieste di atti sessuali anche mentre dipingeva erano sempre più aggressive e spesso avvenivano quando dipingeva il volto di Gesù per qualche nostra cappella».
Esasperata, Gloria decise coraggiosamente di denunciare le presunte violenze di Rupnik nel 1993 con la superiora Ivanka. Da quel momento cominciò ad essere guardata a vista all'interno della comunità. La donna ha raccontato: «Cerco di parlare con Rupnik ma non ci riesco, provo col suo padre spirituale ma quando comincio a parlargli in confessione di tutto quello che avevo vissuto, dopo due minuti mi ferma e dice che sono cose mie e che non vuole saperle. Infine mi consegna due fogli e mi dice di scrivere una lettera di dimissioni nella comunità Loyola». Una lettera che fu proprio il padre spirituale di Rupnik a firmare perché Gloria non se la sentiva. Ieri la donna ha rivelato di conservare ancora quel documento che come motivazione per l'abbandono tirò in ballo la pressione troppo alta.
La fuga dalla comunità, elogiata diciannove anni dopo dall'ex consorella Mirjam che la visse da segretaria della superiora Hosta, culminò in una notte nei boschi in cui, ha spiegato Gloria in uno dei pochi momenti di commozione, sentì «profondamente che il Signore non voleva la mia morte». Quella dell'ex suora, infatti, non è stata una testimonianza di un'anticlericale: lei stessa ha raccontato che la prima persona con cui ha avuto il coraggio di aprirsi su quanto le è successo è stato un francescano. Inoltre, ai giornalisti presenti ieri ha detto che la sofferenza maggiore le proveniva dal sentirsi «violata nell'intimità, nel rapporto col divino, un'umiliazione per corpo, anima e spirito» aggiungendo, però, di essere riuscita a rialzarsi grazie all'«amore di Dio, quello vero, che ha trasformato questo peso in vita».
Queste parole intrise di fede dovrebbero far provare ancora più sconcerto per l'atteggiamento che le autorità ecclesiastiche coinvolte hanno dimostrato non solo all'epoca dei fatti ma anche in questi ultimi anni, da quando il Dicastero per la Dottrina della Fede ha iniziato le sue indagini sulle accuse contro Rupnik. Gloria ha detto di non essere rimasta stupita dalla misteriosa revoca della scomunica ai danni di Rupnik per il caso del 2019. E alla domanda se fosse delusa dal Papa, la donna non ha nascosto di ritenere che «la gestione dall'inizio non è stata trasparente». Prima di rivolgersi alla stampa, nel giugno 2022, l'ex suora – insieme alla Kovac – aveva scritto una lettera alle massime autorità ecclesiastiche, Pontefice compreso, ma senza ricevere risposta. Ad inizio conferenza, mostrando una foto, la direttrice di BishopAccountability.org Anne Barrett Doyle ha ricordato che lo scorso settembre, però, Francesco ha ricevuto Maria Campatelli, grande difenditrice di Rupnik. Così come grande amarezza è emersa dalla voce di Gloria Branciani per la nota del Vicariato di Roma che ha fatto quadrato attorno all'ex gesuita e al suo Centro Aletti.
La conferenza stampa di ieri, alla presenza di tv e testate internazionali e con gli applausi seguiti alla lucida e non rancorosa testimonianza della presunta vittima, ha dimostrato quanto la scarsa trasparenza della Santa Sede sul caso Rupnik abbia creato un gravissimo danno alla Chiesa. La vicenda dell'ex gesuita sloveno, oggi diocesano a Capodistria, difficilmente non inciderà nel giudizio storico sull'attuale pontificato relativamente alla gestione del dossier abusi.
Intanto Gloria, che potrebbe essere stata manipolata per anni facendo leva sulla sua fragilità, si è presa ieri la sua "rivincita" sul suo presunto abusatore ammettendo serenamente di averlo perdonato già da tempo. Adesso, però, tocca al Dicastero per la Dottrina della Fede farsi garante di quella ricerca di verità e giustizia invocata ieri.

(Fonte: Nico Spuntoni, LNBQ, 22 febbraio 2024) 
https://lanuovabq.it/it/rupnik-lex-suora-esce-allo-scoperto-abusi-molto-gravi

APPELLO A CARDINALI E VESCOVI: FERMATE "FIDUCIA SUPPLICANS"


La benedizione delle coppie gay sovverte la dottrina cattolica. I pastori vietino la sua applicazione e chiedano al Papa di revocare la Dichiarazione. Firme eccellenti da tutto il mondo lanciano un documento, a cui è possibile aderire.

Appello filiale a tutti i Cardinali e Vescovi della Chiesa Cattolica.
Eminenze, Eccellenze:

Noi sottoscritti, sacerdoti, accademici, scrittori, vi scriviamo in occasione dell'ultimo documento pubblicato dal Dicastero della Dottrina della Fede, Fiducia supplicans, che tanto scandalo ha suscitato nella Chiesa durante lo scorso Tempo di Natale. 
Come è noto, una parte importante dell'episcopato mondiale lo ha praticamente rifiutato, perché evidentemente si allontana dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione della Chiesa. Venti conferenze episcopali, decine di prelati e perfino cardinali che hanno ricoperto le cariche più importanti, come i cardinali Müller e Sarah, hanno espresso il loro inequivocabile giudizio di condanna. Lo stesso è stato fatto anche dalle Confraternite del clero cattolico britannica, americana e australiana.
Mai nella storia della Chiesa cattolica un documento del Magistero romano aveva suscitato un rifiuto così forte.
In effetti, nonostante l'esplicita conferma della dottrina tradizionale della Chiesa sul matrimonio, contenuta nel documento, la pratica pastorale che esso consente si trova in diretta opposizione ad essa.
Tant'è che il documento è stato accolto molto favorevolmente dai pochi episcopati e prelati che da decenni chiedevano un cambiamento nella dottrina sulla morale sessuale. È evidente che il messaggio pratico che questa nuova dichiarazione trasmette è molto più in linea con il programma e le idee di chi vuole cambiare la dottrina che con la stessa dottrina che il documento dichiara di voler mantenere intatta.
Il documento, infatti, introduce una separazione tra dottrina e liturgia, da un lato, e pratica pastorale, dall’altro. Ma questo è impossibile. Infatti, l’azione pastorale, come ogni azione, presuppone sempre una teoria e, quindi, se la pastorale fa qualcosa che non è in armonia con la dottrina, quella che viene proposta è, in realtà, una dottrina diversa.
La benedizione (sia essa “liturgica” o “pastorale”) di una coppia è, per così dire, un segno naturale. Il gesto concreto dice qualcosa naturalmente e, quindi, ha un effetto comunicativo naturale, immediato, che non può essere modificato artificialmente attraverso le diverse sottigliezze del documento. Inoltre una benedizione, in quanto tale, nel linguaggio universale dell'umanità, implica sempre un'approvazione di ciò che viene benedetto.
Quindi, il segno concreto che si dà con tali benedizioni, di fronte al mondo intero, è che le “coppie irregolari”, sia extraconiugali che omosessuali, sarebbero ormai, secondo la Chiesa cattolica, gradite a Dio, proprio nel tipo di unione che le configura come coppie.
Né ha senso separare “coppia” e “unione”, come ha tentato di fare il cardinal Fernández, poiché la coppia è coppia per l’unione stessa che le dà esistenza.
Il fatto che altre circostanze accidentali significative (come il tempo, il luogo, o gli addobbi – come fiori, abiti nuziali, ecc.) siano escluse dall'atto non cambia la natura dell'atto stesso, poiché persiste il gesto essenziale e centrale.
Inoltre, sappiamo tutti per esperienza quanto valgano e quanto durino queste “restrizioni”.
Il fatto decisivo è che un sacerdote dà la sua benedizione a due persone che si presentano come una coppia, e precisamente una coppia definita dalla sua relazione oggettivamente peccaminosa.
Pertanto (a prescindere dalle intenzioni e dalle interpretazioni del documento, o dalle spiegazioni che il sacerdote cercherà di dare) quest'azione sarà il segno visibile e tangibile di una dottrina diversa, che contraddice quella tradizionale.
Ricordiamo che la dottrina tradizionale in materia deve ritenersi infallibile, poiché confermata inequivocabilmente dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione, una tradizione universale e ininterrotta, ubique et semper. E bisogna anche ricordare che questa dottrina è una dottrina di legge naturale, che non ammette cambiamenti.
Nella pratica, i fedeli non saranno neppure al corrente delle sottili giustificazioni teoriche introdotte dalla Dichiarazione, tanto meno di quelle che sono state aggiunte successivamente nel chiarimento della Dichiarazione.
Il messaggio che è stato effettivamente lanciato e che il popolo di Dio e il mondo intero inevitabilmente riceverà e sta già effettivamente ricevendo è che:
La Chiesa cattolica si è finalmente evoluta e ora accetta le unioni omosessuali e, più in generale, le unioni extraconiugali.
Una situazione del genere giustifica pienamente il deciso rifiuto di tante conferenze episcopali e di tanti prelati, di tanti teologi e di tanti laici.
In questo contesto, non è assolutamente giustificato, soprattutto per un cardinale o un vescovo, rimanere in silenzio, poiché lo scandalo che si è già verificato è grave e pubblico e, lasciato a sé stesso, diventerà inevitabilmente più grave e profondo.
La minaccia non è minore, ma tanto maggiore e più grave, perché l’errore viene dalla stessa Sede Romana.
Questo errore è destinato a scandalizzare i fedeli, e soprattutto i piccoli, i semplici fedeli che non hanno modo di orientarsi e di difendersi in una tale confusione: «Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio che gli legassero al collo una macina da mulino e lo gettassero in mare» (Mt 18,6).
I pastori e tutti coloro che hanno una responsabilità nella Chiesa sono stati costituiti come sentinelle: «Se la sentinella, vedendo arrivare la spada, non suona il corno per avvertire il popolo, e quando arriva la spada colpisce qualcuno di loro, questi saranno colpiti per la loro iniquità, ma del loro sangue io chiederò conto alla sentinella» (Ez 33,6).
Alla luce di tutto ciò, vi supplichiamo ferventemente:
(1) Seguite l'esempio coraggioso di tanti fratelli vescovi sparsi nel mondo: vietate immediatamente l'applicazione di questo documento nelle vostre rispettive diocesi.
(2) Inoltre, chiedete direttamente al Papa di revocare urgentemente questo infelice documento, che è in contraddizione sia con la Scrittura che con l'ininterrotta Tradizione della Chiesa, e che produce chiaramente un grave scandalo.
In questo momento difficile, una parola chiara di verità sarà il miglior esempio della vostra dedizione coraggiosa e fedele al popolo di Dio che vi è stato affidato, segno di fedeltà alla vera missione del Papato e allo stesso tempo il modo migliore per collaborare con il Papa stesso, una eloquente “correzione fraterna”, di cui egli ha urgente bisogno in questo ultimo e più critico periodo del suo pontificato e della sua vita.
Se si reagisce prontamente, c'è ancora qualche speranza di salvare questo pontificato e la stessa persona del papa da una macchia che altrimenti potrebbe gravare su di lui indelebilmente, non solo nella storia, ma anche nell'eternità.

(Fonte: Ecclesia, LNBQ, 2 febbraio 2024) 
appello-a-cardinali-e-vescovi-fermate-fiducia-supplicans (lanuovabq.it)

FAMIGLIA CRISTIANA USA "FIDUCIA SUPPLICANS" PER BENEDIRE LE UNIONI GAY


Il settimanale paolino dedica la copertina ai "credenti omosessuali" e benedice le unioni civili raccontando le storie delle coppie gay. Tra stravolgimenti della Bibbia, negazione del peccato e promozione dei gruppi cristiani Lgbt va in scena una presentazione della "famiglia gay".

Ecco come i media “cattolici” entrano nel calderone infuocato di Fiducia Supplicans per “tirare la volata” al documento sulle benedizioni gay firmato dal prefetto Víctor Manuel Fernández, detto Tucho, e difeso a spada tratta da Papa Francesco. Nel numero appena uscito in edicola, Famiglia Cristiana ha dedicato sei pagine più la copertina al caso Fiducia Supplicans intervistando tre coppie di credenti omosessuali e denigrando tutti i vescovi oppositori al documento papale.
Ma nel difendere le benedizioni si è spinta decisamente oltre andando a dare il via libera direttamente alle unioni civili, senza curarsi di quanto scritto dallo stesso settimanale riportando le parole di Francesco che «si benedicono le persone, non le unioni». Ma senza curarsi nemmeno dello stato di peccato manifesto in cui tali coppie vivono, credenti o no. Ma non c’è da stupirsi: la rivoluzione si serve di menzogne per poter affermare i suoi principi.
E i principi che Famiglia Cristiana vuole trasmettere nel difendere Fiducia Supplicans sono quelli dell’omoeresia come completamente affermata dentro la Chiesa. Chi la osteggia è meritevole – lui! - di condanna.
Tutto è studiato nei minimi dettagli. A cominciare dalla copertina che ritrae don Gianluca Carrega, vecchia conoscenza della “pastorale Lbgt+” torinese, che stringe la mano a Papa Francesco accanto a una donna lesbica. La “rivendicazione” per la scelta della foto di prima è nel titolo: Omosessuali credenti, una Chiesa in ascolto. Nel servizio, un corsivo del direttore Don Stefano Stimamiglio, spiega le ragioni: «Fedeli alla nostra tradizione e per sfuggire ai pregiudizi, abbiamo scelto anche noi di andare nei crocicchi del presente e di incontrare alcune coppie omosessuali credenti, per capire chi sono e come vivono i drammi che spesso sperimentano con le loro famiglie». Quello del crocicchio è un riferimento alla parabola evangelica della festa di nozze del figlio del re, tema che tornerà spesso nell’“inchiesta” con uno stravolgimento del dettato di Matteo. 
Le porte di casa si aprono e Innocenzo e Carlo, 52 e 51 anni, si fanno ritrarre nel tinello di casa con le tazzine da caffè in tinta, le mani che si sfiorano e l’anulare di uno dei due ben in vista con l’anello. Nella pagina successiva i due compaiono con in braccio un gattino: «Abbiamo scelto di non avere figli», dicono, «la nostra paternità si esprime nei confronti di chi accogliamo in Kairos e nell’aver creato l’esperienza di Gionata.org.
Veniamo al punto: Famiglia Cristiana non fa parlare due soldati semplici del catto-omosessualismo, ma “i generali”, essendo uno dei due il coordinatore del gruppo Kairos dal 2005. «Anni in cui per gli omosessuali non c’era un luogo in cui pregare», frase che dovrebbe suscitare qualche emozione per far comprendere che prima di Papa Francesco gli omosessuali non potessero neanche entrare in chiesa.

Tutto, nel racconto – a cura di Chiara Pelizzoni – è studiato per scimmiottare l’immagine della famiglia. Non solo le foto così “domestiche”, ma anche in certe affermazioni nelle quali appropriarsi dell’immagine matrimoniale e volgerla a beneficio delle coppie irregolari: «Ci siamo uniti civilmente nell’agosto 2020: un impegno di fedeltà e amore davanti alle persone che ci vogliono bene». E ancora: «Ci siamo presentati alle famiglie di origine», proprio come fanno le coppiette di fidanzati; «Gli aspetti decisivi della nostra vita sono l’omoaffettività e l’Amore per Dio»; «Il coro parrocchiale e l’attività nel gruppo famiglie», nella parrocchia di don Bledar Xhuli a Campi Bisenzio in diocesi di Firenze. Sì, gruppo famiglie, infatti il settimanale paolino non ha problemi a chiamare quella dei due una “famiglia”.
Dalla “famiglia” di Carlo e Innocenzo, si passa a quella di Maria e Paolo, genitori di Gioia, che in giugno convolerà a unione civile con la sua compagna di cui non si fa nemmeno il nome. Le due sono seguite dalla pastorale dell’inclusione voluta dal vescovo di Firenze Betori. I suoi genitori appaiono sorridenti e ricordano con orrore il periodo in cui la figlia le confidò che amava un’altra donna perché «la sigla Lgbt appariva come qualcosa di esoterico, disgustoso, riprovevole». Oggi invece, complice la frase biblica «tu sei preziosa ai miei occhi e io ti amo» i genitori hanno appreso che dalla Bibbia bisogna eliminare le interpretazioni fondamentaliste che creano un filo spinato, clave sulla testa delle persone omosessuali». Della serie: la Bibbia è omofoba, a patto che non la interpretiamo diversamente, allora tutto fila liscio.
Sì, ma come la mettiamo con il peccato che la condotta omosessuale porta con sé ed è sancito dal Catechismo? Niente paura: «Nessuno è senza peccato, tutti dobbiamo continuamente convertirci a Cristo». «E le condanne della Bibbia», chiede la giornalista? «Sono testi nati in determinati contesti storici che vanno riletti da una prospettiva diversa». Insomma, svecchiamo l’esegesi, mica siamo ancora nel 3000 avanti Cristo!
Da Firenze andiamo a Roma dove ad aprire le porte di casa al settimanale ormai “fu paolino” sono Giulia e Aurora, anch’esse unite civilmente nel settembre 2021. Anche loro attive in parrocchia, anche loro attiviste di un gruppo omoeretico chiamato Progetto Giovani Lgbtq+. Scopriamo che – sempre per scimmiottare la famiglia – le due hanno persino frequentato un corso pre-unione per fidanzati omosessuali tenuto da genitori con figli omosessuali: «Alla fine del percorso quattro coppie sono arrivate all’unione civile», esulta una delle due, proprio come se si trattasse dell’approdo nuziale.
Però le difficoltà con la Chiesa ci sono state, prima. «Col mio vecchio parroco c’erano problemi, una volta in confessione mi disse che l’omosessualità non esisteva. Oggi non riesco a confessarmi». E ti credo: non riesco o non posso? Al reverendo l’ardua sentenza.
La ciliegina sulla torta ce la mette il vescovo Antonio Staglianò, detto “don Tonino”, presidente della Pontificia Accademia di Teologia. Dice che Papa Francesco con Fiducia Supplicans è stato un profeta e minimizza il piccolo ostacolo del peccato manifesto che queste coppie ostentano: «La misericordia di Dio è prima del peccato originale, che non è universale, perché Maria ne è stata preservata». Della serie: Maria è il “tana libera tutti” per i nostri peccati. Siccome lei non ne aveva allora, non possiamo sempre perderci dietro queste quisquilie da confessionale.
Si procede così, con stravolgimenti costanti al magistero e alla Bibbia pur di adattare la realtà al dettato del nuovo documento pontificio, del quale ormai non interessa nemmeno l’aspetto delle benedizioni. Perché il servizio di Famiglia (fu) cristiana è costruito per propagandare non solo l’omoeresia dilagante, ma anche per difendere l’istituto dell’unione civile, da non confondere col matrimonio, ma comunque da tutelare, come del resto anche Papa Francesco ha detto.
Ma anche per negare il peccato, parola che non impensierisce nessuno degli autori dei servizi, e per salire sul carro esibendo lo scalpo degli sconfitti. Con la pubblicità fatta a tutti gruppi di cristiani Lgbt+, è chiaro che l’obiettivo è mostrare che la nota di Ratzinger del 1986, nella quale si metteva in guardia dall’ingresso nelle parrocchie di organizzazioni che promuovevano la causa gay nella Chiesa, è ormai morta e sepolta come il suo autore, che tra l’altro – il destino è beffardo a volte - fu proprio il predecessore di Tucho alla Dottrina della fede. 

(Fonte: Andrea Zambrano, LNBQ, 1 febbraio 2024) 
famiglia-cristiana-usa-fiducia-supplicans-per-benedire-le-unioni-gay (lanuovabq.it)

A BOLOGNA VA BENE TUTTO, ANCHE I "DIVERSAMENTE CREDENTI"


Diversamente credenti in dialogo col vescovo Zuppi a Bologna nel corso della visita pastorale. E l'immancabile «donna che ama altre donne». Cronache da una Chiesa liquida senza più certezze. Con la scusa di accogliere tutti, si sta accogliendo tutto.

Sarà anche vero, come cantava Lucio Dalla, che a Bologna non si perde neanche un bambino, ma stavolta qualcuno deve aver perso il lume della ragione. Nel corso della visita del vescovo Zuppi alle parrocchie della zona pastorale dei Colli nei giorni scorsi, si è tenuto un incontro tra i fedeli e “don Matteo”. Protagonisti, secondo quanto ci raccontano le cronache di Bologna7, l’inserto domenicale di Avvenire, dei fedeli molto particolari.
Così fedeli da non essere nemmeno fedeli. O meglio: “diversamente credenti”. La neolingua non vuole definire meglio, ma semmai sovvertire l’esistente. Ora, è abbastanza pacifico che quando uno si definisce “diversamente credente”, lo fa in aperta contraddizione a qualcosa che definisce “credente”, ma che deve comunque essere accettabile. Ebbene, a fare la sua testimonianza è stata una coppia – sposati? Non ci giureremmo a questo punto –, Ginevra e Luigi, i quali hanno raccontato al vescovo di come si interrogano «sull’educazione dei figli e su come condividono la fede senza forzature e con equilibrio».
A questo punto viene da chiedersi che cosa si intende per diversamente credenti. Degli atei? Dei fedeli di altre religioni? Degli agnostici? Non si sa, l’articolo non lo spiega, ma ne fa un esempio di accoglienza, tanto che sua eminenza ha mostrato di aver apprezzato la loro testimonianza perché «la libera scelta della fede passa attraverso la formazione e non l’imposizione». Per poterlo scoprire allora siamo andati direttamente alla fonte. 
Così ci spiega don Carlo Bondioli, parroco moderatore della chiesa della Misericordia e della zona pastorale interessata dalla visita. «Si tratta di fedeli che hanno dubbi nel credere, come del resto il 90% di tutti noi». Interessante.
Una volta il dubbio veniva considerato un ostacolo da superare con tutti i mezzi che la Chiesa metteva a disposizione. Oggi invece siamo nell’era della liquidità, quindi, ben vengano i credenti diversi, o a metà, o a modo loro da prendere a modello evidentemente nel senso che quando si dà la possibilità di parlare pubblicamente, è quello il modello che si vuole presentare.
Certo, Gesù diceva che erano i malati che avevano bisogno del medico e non i sani, ma come la mettiamo se i malati vengono confermati nella loro condizione di malattia che può comunque andare bene? Se insomma non si va oltre la stantia ripetizione dell’«abbandono di un’idea di perfezione e di santità fuori dalla vita?».
La mettiamo che la proposta cristiana si fa debole, con la smania di accogliere tutti (todos, todos, todos) si finisce per accettare anche i peccati di tutti. Peccati che ora – non è un caso – si chiamano «vulnerabilità» – altrimenti dette ferite –, cambio linguistico per arrivare ad una accettazione di una situazione non voluta, quasi fisiologica. Di fronte alle vulnerabilità fisiologiche mica si può pretendere che la gente percorra i passi giusti per uscire dalla sua condizione. Mica puoi dire «pentiti e credi al Vangelo», al massimo «incerotta le ferite e credi diversamente».
Così si resta quasi interdetti se si pensa che oggi la parola “diversamente credente” non ha più nemmeno la valenza “etimologica”, ma di colui che crede in modo difforme e chiede di farsi accettare in ragione di questa difformità. Senza stare tanto a girarci intorno: se Gesù diceva che chi «crederà sarà salvo», al “diversamente credente” che cosa si dovrà chiedere? E che cosa succederà se un “diversamente credente” verrà confermato nella sua incrollabile diversità?
Ovviamente la stessa domanda si pone per altre diversità. Prima dei diversamente credenti, infatti, aveva preso la parola Valentina, la quale è stata scelta per dialogare col vescovo perché è una «donna innamorata di altre donne». Anche qui, il neologismo è infido e ugualmente urticante. Che cosa significa? Che oltre omosessuale, la signora è pure poliamorosa?
«Secondo lei che cosa significa?», ci risponde quasi spazientito don Bondioli: «É chiaro che si tratta di una omosessuale credente».
Della sua testimonianza capiamo che si è sentita una «figlia diversa», ma che «ha capito di dover accogliere il proprio limite (un altro sinonimo di peccato? ndr) per poter accogliere quello altrui». E don Matteo? Loda e invita a «distinguere tra accoglienza e pregiudizio». Evviva la diversità, qualunque diversità. 
Insomma, tra abbandono della santità, diversamente credenti che vengono confermati nei loro dubbi e omosessuali orgogliosi ormai in cattedra, la Diocesi di Bologna si mostra un passo avanti a tutti. Grazie al cambio della lingua, all’accomodamento delle situazioni di vita, il modello del cristiano che appare oggi come vincente è quello dell’irregolare che tale deve rimanere, del fragile al quale non viene chiesta la santità, ma una irenistica accettazione della propria condizione.
A qualcuno piace diversamente credente, senza dogmi, senza confini tra il lecito e l’illecito, senza un orientamento. Una Chiesa così potrà forse far sentire “i diversi” più accolti, ma non riesce nemmeno a emanare il fascino di una vita radicalmente nuova in Cristo. Dall’altra parte chi invece ha conservato le sponde della dottrina alle quali adattare la propria vita – pur nella fatica e nel dubbio, ma sapendo qual è l’orizzonte verso cui tendere - viene visto come rigido e non al passo con i tempi fino a finire lui spaesato.
È tempo di diversità, con la scusa di accogliere tutti, ma senza accorgersi che così si sta accogliendo tutto.

(Fonte: Andrea Zambrano, LNBQ, 30 gennaio 2024) 
https://lanuovabq.it/it/a-bologna-va-bene-tutto-anche-i-diversamente-credenti

ALL'ANGELUS VA IN SCENA LO SPOT PAPALE A LEGAMBIENTE


Nel testo letto da una bambina accanto al Pontefice il sostegno all'associazione ambientalista. Poteva forse mancare dopo anni di "conversione ecologica" e di elogi che, da Greta a Casarini, vanno sempre nella stessa direzione?

Durante l’Angelus di domenica scorsa dalla finestra del Palazzo Apostolico è andato in scena l’endorsement pontificio a Legambiente. Ci si sarebbe semmai stupiti del contrario, dopo tanta predicazione sulla conversione ecologica. Dopo anni di elogi a Napolitano, Bonino, Greta e Casarini non si poteva mica lasciar fuori Legambiente? 
Lo spot è stato affidato a due bambini affacciati insieme al Pontefice al termine della preghiera mariana, in occasione della “Carovana della Pace” promossa dall’Azione Cattolica, «durante la quale», spiega il Papa prima di cedere la parola, «avete riflettuto sulla chiamata ad essere custodi del creato, dono di Dio». Ed ecco il messaggio sulla pace affidato alla bambina che legge, tra le altre cose: «Caro Papa quest’anno lo slogan dell’Azione Cattolica è Questa è casa tua. Abbiamo capito che la nostra casa è il nostro pianeta e che dobbiamo prendercene tutti cura come in una riserva naturale. Per questa Carovana della Pace, ad esempio, abbiamo deciso di sostenere i progetti di Legambiente e l’iniziativa della Caritas di Roma, Io noi tutti, la nostra casa è comune».
Il 20 dicembre scorso è stata la volta della Ong Mediterranea Saving Humans di Luca Casarini, già leader del movimento no global. Al termine dell’udienza generale il Pontefice ha salutato «il gruppo di Mediterranea Saving Humans che è qui presente e che va in mare a salvare i poveretti che fuggono dalla schiavitù dell’Africa. Fanno un bel lavoro questi, salvano tanta gente». Il feeling tra Francesco e il «caro fratello» Luca Casarini era già noto da quella lettera del 10 aprile 2020: «Grazie per tutto quello che fate. Vorrei dirvi che sono a disposizione per dare una mano sempre. Contate su di me». Tre anni dopo, nel luglio 2023, il Papa nomina Casarini invitato speciale al Sinodo sulla Sinodalità.
Pubblica comprensione, addirittura in un’enciclica, per quei «gruppi detti “radicalizzati”. In realtà, essi occupano un vuoto della società nel suo complesso, che dovrebbe esercitare una sana pressione, perché spetta ad ogni famiglia pensare che è in gioco il futuro dei propri figli» (Laudate Deum, n. 58). Quali sono questi gruppi che, a detta del Papa, «occupano un vuoto della società»? Di sicuro le simpatie papali vanno a Greta Thunberg e al movimento Friday for Future, menzionati a proposito della «coscienza ecologica» nell’ottobre 2019 in chiusura del Sinodo sull’Amazzonia: «Nelle manifestazioni fatte dai giovani, nel movimento di Greta e in altri, alcuni sorreggevano un cartello con scritto: “Il futuro è nostro”, ossia, “non decidete voi il nostro futuro”. “È nostro!”. Già in questo c’è la coscienza del pericolo ecologico, ovviamente non solo in Amazzonia, ma anche in altri luoghi». Pochi mesi prima la Thunberg aveva salutato personalmente il Pontefice, ricevendone un breve incoraggiamento: «Vai avanti!». Ma è pur vero che un «Vai avanti» non si nega a nessuno, tant’è che se ne fregia anche Vladimir Luxuria.
Il duetto con Eugenio Scalfari risale ai primordi del pontificato, dando luogo a due interviste e non poche controversie, forse dovute alla mancanza di registratore, in materia di inferno e immortalità dell’anima. Nel frattempo, venuto a mancare il fondatore di Repubblica, il ruolo di Interlocutore di Sua Santità è passato a Fabio Fazio, che ha già all’attivo due interviste televisive e relativa confusione sui novissimi, ma stavolta senza dubbi sul virgolettato: l’allievo supera il maestro.
Non possiamo dimenticare infine che «tra i grandi dell'Italia di oggi ci sono Giorgio Napolitano ed Emma Bonino», così definiti dal Pontefice l’8 febbraio 2016. Com’è noto, Francesco ha dedicato una delle sue “improvvisate” all’ex capo dello Stato ormai defunto, recandosi a sorpresa presso la camera ardente allestita a Montecitorio. Un onore pubblico post mortem al presidente comunista, non concesso invece al suo stesso predecessore: salvo la visita privata a decesso appena avvenuto, testimoniata da mons. Gänswein, nessuno ha visto papa Francesco in Basilica nei tre giorni in cui un fiume di pellegrini rendeva omaggio alla salma di Benedetto XVI. 
Unendo i puntini dei pubblici endorsement papali si va sempre nella stessa direzione. Con un tocco vintage nel recente incontro con i «rappresentanti di DIALOP, da molti anni impegnati per la promozione del bene comune attraverso il dialogo tra socialisti/marxisti e cristiani», che ci riporta direttamente agli anni Settanta. «Anche il Papa ultimamente è un po' a sinistra», diremmo con Gaber, ma non sarà forse un po’ scorretto approfittarsi del proprio ruolo religioso per promuovere agende di carattere più politico-ideologico? Legittimo, se lo facesse il capo del PD (da non intendersi come “Papato Democratico”), un po’ meno se a farlo è il capo della Chiesa cattolica.

(Fonte: Stefano Chiappalone, LNBQ, 30 gennaio 2024) 
https://lanuovabq.it/it/allangelus-va-in-scena-lo-spot-papale-a-legambiente