Durante
l’omelia pronunciata domenica mattina (durante la messa celebrata a Friburgo,
nell’ultimo giorno del suo viaggio in Germania) Benedetto XVI ha toccato, sia pur
brevemente, il problema terribilmente inquietante del male e del suo rapporto
con Dio. Se Dio c’è, perché esiste il male? Soprattutto, perché esiste la
sofferenza dell’innocente? È una domanda drammatica che da sempre travaglia la
coscienza umana, tanto che il male è la più grande e frequente contestazione
all’esistenza di Dio.
Il
Papa non ha toccato in questa occasione la questione della sofferenza
dell’innocente cagionata da malattie, o da calamità naturali, o dalla morte
(non ha cioè toccato la questione dal punto di vista ontologico, anche perchè
il tema richiederebbe lo spazio di una monografia e non basta certo quello di
una omelia; ciò sia detto per Umberto Eco e per tutti quei critici di Benedetto
XVI che giudicano frettolose le sue disamine: un’omelia o un angelus non sono e
non devono essere dei trattati di filosofia).
Piuttosto,
il Papa ha accennato al tema del male morale, cioè alla questione della
sofferenza umana causata dagli uomini. Come ha detto il Papa, «Ci sono teologi
che, di fronte a tutte le cose terribili che avvengono oggi nel mondo, dicono
che Dio non può essere onnipotente». In effetti, molti si sono chiesti:
«dov’era Dio ad Auschwitz o negli altri lager nazisti, o nei gulag comunisti, o
nei vari campi di concentramento della storia?». In effetti, se Dio è
onnipotente, perché non impedisce il male morale, cioè la malvagità degli
uomini?
Il
Papa ha risposto che certamente Dio è onnipotente, ma «esercita il suo potere
in maniera diversa da come gli uomini sogliono fare. Egli stesso ha posto un
limite al suo potere, riconoscendo la libertà delle sue creature».
In
effetti, Dio non è l’autore degli atti malvagi umani, però potrebbe evitarli,
dunque perché li tollera? La risposta è piuttosto articolata, perché i motivi
sono almeno quattro.
1) Dio
tollera gli atti malvagi perché da essi ricava un bene maggiore o evita un male
peggiore (è un discorso che non possiamo approfondire in questa sede).
2) Se
Dio impedisse il male morale, toglierebbe la sua sorgente che è la libertà.
Ora, Dio potrebbe togliere la libertà all’uomo, ma così lo priverebbe di quella
stupenda prerogativa che lo innalza al di sopra degli altri esseri, che lo
eleva al di sopra dell’universo.
Come
ha scritto Cornelio Fabro, «la imago Dei è soprattutto la libertà!». Infatti,
prima di agire l’uomo esamina delle alternative tra cui scegliere, delle
possibilità, degli esiti delle sue possibili scelte, e mediante la libertà fa
essere ciò che fino al momento della sua scelta non esiste, ciò che prima era
solo una possibilità, quindi l’esercizio della libertà «si apparenta e si
accosta alla creazione», che fa essere ciò che prima non esiste per nulla.
Infatti, qualsiasi evento fisico «si trova contenuto nelle sue cause (non solo
le eclissi, i terremoti, le sciagure, ma anche il prodursi delle stagioni, il
riprodursi degli animali e tutto il susseguirsi della vita nel mondo)», mentre
ciò che scaturisce dall’azione libera dell’uomo «non è contenuto nella serie o
catena delle cause». L’azione umana non è come il movimento della tessera di un
domino, che è la continuazione e la ritrasmissione alla tessera successiva di
un impulso ricevuto dalla tessera precedente. Lo ha scritto stupendamente
Hannah Arendt : «Agire […] significa prendere un’iniziativa, incominciare» e
«perché ci fosse un inizio fu creato l’uomo [...]. Questo inizio non è come
l’inizio del mondo, non è l’inizio di qualcosa ma di qualcuno, che è a sua
volta un iniziatore. Con la creazione dell’uomo, il principio del cominciamento
entrò nel mondo stesso, e questo, naturalmente, è solo un altro modo di dire
che il principio della libertà fu creato quando fu creato l’uomo [...]. Il
fatto che l’uomo sia capace d’azione significa che da lui ci si può aspettare
l’inaspettato».
3) Se
l’uomo non potesse compiere il male, se Dio impedisse la sua malvagità e se
quindi l’uomo non fosse libero, con ciò stesso non potrebbe nemmeno compiere il
bene: se io non sono libero non posso scegliere di odiare, né di assassinare,
ma nemmeno di amare, di donarmi, di sacrificare la mia vita per gli altri, ecc.
La malvagità è il volto tenebroso di quel Giano bifronte che è la libertà: se
non ci fosse la malvagità non potrebbe nemmeno esserci il bene morale.
4)
Come spiega Kierkegaard, Dio si rivolge all’uomo come un innamorato che offre
il suo amore a colei che ama, chiedendo all’uomo di corrispondere alla sua
proposta d’amore: «È incomprensibile, è il miracolo dell’amore infinito, che
Iddio» all’uomo «possa dire quasi come un pretendente [...]: Mi vuoi tu, sì o
no?». Proprio per questo lo lascia libero, cioè l’uomo è libero perché Dio gli
propone di partecipare alla comunione amorosa con Sé e «il Dio dell’amore non
vuole in alcun modo costringerti. Come potrebbe l’amore pensare di costringere
ad amare?». Se l’uomo non fosse libero non potrebbe conseguire la felicità, che
è la totale comunione d’amore con Dio.
Con
stupore e con (giusto) orgoglio Fabro rileva – con espressioni simili a quella
di Bendetto XVI in Germania – infatti che Dio può annientare l’uomo, ma «non
può sostituire il sì o il no della mia volontà», perché una libertà invasa
dall’esterno, «colonizzata» e coartata, non è (più) libertà.
Per questo motivo, aggiunge il pensatore friulano, «Dio stesso, all’annunzio
fatto a Maria, stava in ascolto», e perciò «San Bernardo è impaziente e scrive:
“affrettati, su, rispondi presto Maria!”. Ma Maria attese a rispondere come si
doveva: con la libertà che conviene al bene, per gettarsi [infine] in braccio
all’Infinito». E la risposta libera che Dio attendeva da Maria è analoga
(mutatis mutandis) a quella (poc’anzi menzionata) che Dio, come un innamorato,
attende da ogni uomo.
Così,
dice Fabro, «se c’è una cosa [...] che alle volte dà i brividi e la suprema
gioia di essere uomini, questa è la libertà». La grandezza della
volontà-libertà è tale che Fabro afferma: «dopo l’Assoluto non c’è niente di
più grande al mondo» della libertà e «la storia [del mondo] ha quindi senso
[...] in funzione della libertà».
Ha
senso in funzione della scelta di cor-rispondere o rifiutare la proposta
d’amore di Dio, riguardo alla quale lasciamo di nuovo parlare Kierkegaard: «Si
vive una volta sola. [...] E mentre tu vivi questa sola volta e la durata di
questa vita si accorcia ad ogni minuto che passa, sta il Dio dell’Amore nei
cieli, pieno d’amore, anche verso te. Sì, verso di te, Egli vorrebbe che tu
volessi ciò ch’Egli vuol volere con te per l’eternità [...]. Il Dio dell’amore
non vuole costringerti. Come potrebbe l’amore pensare di costringere ad
amare?».
(Fonte:
Giacomo Samek Lodovici, La bussola quotidiana, 27 settembre 2011)