Ogni volta che c'è di mezzo
l'islam, Francesco è estremamente cauto. Ma sul Pakistan la sua reticenza è
massima. Ecco la storia della madre cristiana su cui egli tace. È in prigione
da sette anni e la sua sorte si intreccia con la strage di Pasqua a Lahore.
Nel
commentare la Pasqua di sangue di Lahore papa Francesco è stato attentissimo a
non chiamare in causa gli autori dell'attentato e a non esplicitare il senso di
quel crimine, che, anzi, ha definito "insensato":
Facendo
ciò si è inchinato ai canoni di quella diplomazia minimale che guida
tradizionalmente i passi della Santa Sede sui terreni più minati, giustificata
dalla volontà di non esporre a ulteriori pericoli le cristianità più
vulnerabili, come appunto quella pakistana.
E fin
qui nessuna sorpresa. Ogni volta che c'è di mezzo l'islam, Jorge Mario
Bergoglio è estremamente cauto. Una sola volta ha compiuto uno strappo, e tutto
d'iniziativa sua, con la Turchia riguardo al "genocidio" degli
armeni, mettendo non poco in affanno la segreteria di Stato vaticana, che ha
dovuto faticare mesi per ricucire con le autorità turche:
Ma sul
Pakistan il papa è ancor più riservato e silenzioso che mai, molto al di sotto
delle attese dei cristiani di quel paese. In segreteria di Stato il dossier
Pakistan è tra quelli più voluminosi e dolenti, eppure niente di esso affiora
in ciò che Francesco dice e fa, le rare volte in cui si trova obbligato a
intervenire.
L'emblema
di questa reticenza è nei 12 secondi – non uno di più – del faccia a faccia che
il papa ha avuto in piazza San Pietro, il 15 aprile di un anno fa, col marito e
la figlia più piccola di Asia Bibi, la cattolica pakistana condannata a morte
nel 2010 con la pretestuosa accusa di aver offeso il profeta Maometto, e da
allora in carcere in attesa di una nuova sentenza che le salvi la vita.
Nel fugace
incontro lungo le transenne – come si può osservare nel video – il papa appena
sfiora i due, accompagnati dal loro tutore. Non li ascolta, non parla, non li
benedice. La fanciulla lo guarda stupita di tanta freddezza. Tutto avviene come
se a Francesco il nome di Asia Bibi non dica nulla:
Il 17
novembre 2010, pochi giorni dopo la sua condanna a morte, Benedetto XVI invocò
pubblicamente che ad Asia Bibi fosse restituita la libertà. Ma questa è rimasta
la prima e ultima volta in cui un papa ha pronunciato in pubblico il suo nome,
nonostante la mobilitazione di tanti a sostegno di lei e nonostante la sua
vicenda si sia intrecciata a tutti i successivi eventi di odio anticristiano in
Pakistan, fino alla strage di quest'ultima Pasqua, con 74 morti e 350 feriti,
in gran parte donne e bambini.
Asia
Bibi fu arrestata il 19 giugno 2009 e condannata a morte l'11 novembre 2010,
con l'accusa, non sorretta da prove, di aver violato la legge che in Pakistan
punisce con l'esecuzione capitale l'offesa della religione islamica.
La
famiglia presentò ricorso e in molti si mossero per la liberazione della
condannata e per la revisione della legge contro la blasfemia, tra i quali
l'allora governatore del Punjab e futuro possibile primo ministro, Salmaan
Taseer, musulmano, che si recò anche a visitarla in carcere.
Ma il
4 gennaio 2011 Taseer fu ucciso da una delle sue guardie del corpo, Mumtaz
Qadri, proprio per rappresaglia contro questo suo impegno.
E due
mesi dopo, il 2 marzo, fu assassinato per lo stesso motivo Shahbaz Bhatti,
cattolico, ministro per le minoranze e paladino dei diritti umani. Benedetto
XVI lo conosceva di persona, lo aveva incontrato a Roma nel settembre dell'anno
precedente e provava per lui grande stima.
Il 10
gennaio 2011, pochi giorni dopo l'uccisione di Taseer e poco prima di quella di
Bhatti, Benedetto XVI dedicò alla questione questo passaggio del suo discorso
d'inizio d'anno al corpo diplomatico:
"Tra
le norme che ledono il diritto delle persone alla libertà religiosa, una
menzione particolare dev’essere fatta della legge contro la blasfemia in
Pakistan: incoraggio di nuovo le autorità di quel paese a compiere gli sforzi
necessari per abrogarla, tanto più che è evidente che essa serve da pretesto
per provocare ingiustizie e violenze contro le minoranze religiose. Il tragico
assassinio del governatore del Punjab mostra quanto sia urgente procedere in
tal senso: la venerazione nei riguardi di Dio promuove la fraternità e l’amore,
non l’odio e la divisione".
Il
fratello di Shahbaz Bhatti, Paul, ha cercato da allora di animare una
mobilitazione nazionale e internazionale a sostegno della libertà religiosa,
con Asia Bibi come caso emblematico.
In
patria, Paul Bhatti ha fondato e presiede la All Pakistan Minorities Alliance
ed è stato ministro per l'armonia nazionale. E oggi rivendica i passi avanti
ottenuti nella difesa delle minoranze, nel controllo delle scuole coraniche in
cui si instilla odio contro gli "infedeli", nelle correzioni
legalitarie apportate dalla corte suprema ai processi per blasfemia e
soprattutto in un più deciso impegno delle autorità non solo politiche ma
militari nel combattere il radicalismo islamico, specie dopo il tremendo
attentato del 16 dicembre 2014 alla scuola militare di Peshawar, con
l'uccisione deliberata di 132 scolari d'età tra i 7 e i 18 anni.
Un
effetto di questa evoluzione è stato, a giudizio di Bhatti, proprio
l'accoglimento da parte della corte suprema del Pakistan, il 22 luglio del
2015, del ricorso di Asia Bibi. La quale, in attesa di un nuovo processo che la
riconosca innocente, continua dal carcere a far sentire la sua voce, con
lettere e appelli.
Ad
esempio con questa lettera aperta del dicembre 2012, nella quale ringrazia
Benedetto XVI per aver parlato in suo favore:
Come
anche con le due lettere da lei indirizzate personalmente a papa Francesco, che
non hanno ricevuto risposta.
Asia
Bibi è dal 2010 custodita in celle di massima sicurezza, in un isolamento
giustificato dalle continue minacce alla sua vita. Perfino il cibo le viene
controllato, per evitare che sia avvelenata.
Ma
anche i suoi famigliari, il marito Ashiq Masih e i cinque figli Imran, Nasima,
Isha, Sidra e Isham, devono nascondersi in località segrete per ragioni di
sicurezza. È quanto hanno dovuto fare, in particolare, alla fine dello scorso
febbraio, in concomitanza con l'esecuzione capitale di Mumtaz Qadri, l'autore
dell'assassinio nel 2011 del governatore del Punjab Salmaan Naseer.
L'impiccagione
di Qadri, avvenuta il 29 febbraio, ha suscitato la reazione di massa dei suoi
sostenitori e dei gruppi islamici radicali, che sono scesi in piazza a Lahore,
Karachi, Peshawar e altre città, qua e là con esplosioni di violenza.
Per
tutti costoro Qadri è un "eroe nazionale", ne chiedono la
riabilitazione e ne innalzano l'effigie. Mentre per Asia Bibi reclamano
incessantemente la morte.
Il
giorno di Pasqua, a un mese dall'esecuzione di Qadri, in 30 mila sono scesi in
piazza a Islamabad, la capitale, e hanno tentato di sfondare la "zona
rossa" dei palazzi delle istituzioni. Ma sono stati respinti. Nel
pomeriggio dello stesso giorno, a Lahore, un islamista ventenne si faceva
esplodere nel parco giochi Gulshan-i-Iqbal, facendo strage di donne e bambini
che stavano trascorrendo la festività, introdotta per la prima volta quest'anno
dal governo.
La
strage è stata rivendicata da un’organizzazione islamica chiamata
Jamaat-ul-Aharar, una fazione del Tehreek-e-Taliban Pakistan, come un attacco
deliberato contro i cristiani che celebravano la Pasqua.
E non
è il primo attentato compiuto in Pakistan con questo obiettivo dichiarato, di
domenica e davanti a delle chiese affollate. È accaduto così il 22 settembre
2013 a Peshawar, con 126 vittime, e il 15 marzo 2015 a Yuhannabad, con 26 morti
e numerosi feriti, tutti cristiani.
Il 31
marzo scorso i musulmani radicali hanno lasciato le piazze, millantando di aver
avuto dal governo l'assicurazione che Asia Bibi sarà presto impiccata. Le
autorità pakistane hanno smentito.
Mercoledì
2 marzo, al termine dell'udienza generale in piazza San Pietro, papa Francesco
aveva brevemente incontrato due ministri pakistani, quello della marina Kamran
Michael e quello degli affari religiosi Sardar Muhammad Yousaf. I due avevano
trasmesso al papa l'invito del primo ministro Nawaz Sharif a visitare il
Pakistan. E avevano interpretato la risposta del papa come un "sì",
facendo immaginare che egli avrebbe fatto tappa in Pakistan nel prossimo
settembre, in occasione del viaggio a Calcutta per la canonizzazione di madre
Teresa.
In
realtà, come precisato da padre Federico Lombardi, il papa non si recherà
quest'anno né a Calcutta né tanto meno in Pakistan.
Nè ha
finora dedicato una sola parola ad Asia Bibi. Il cui supplizio si riverbera sul
marito e i figli, che da quando lei è in prigione, da quasi 2500 giorni, devono
continuamente trovar riparo nella clandestinità, essendo anche loro in pericolo
di vita.
Dal
loro villaggio di Ittanwali si sono trasferiti a Lahore, una grande metropoli
dove è più facile l'anonimato. Ma presto anche lì sono stati riconosciuti e
minacciati. Per nascondersi, il marito ha dovuto smettere di lavorare. L'estate
scorsa sono stati cacciati di casa e oggi trovano riparo in una scuola della
Renaissance Education Foundation.
Il
direttore di questa fondazione, Joseph Nadeem, è il signore con la cravatta a
fianco della figlia di Asia Bibi, nel video dell'incontro con papa Francesco.
Al
quale ha tentato inutilmente di dire in spagnolo chi fossero l'uomo e la
bambina. E neppure è riuscito a mettergli in mano il dossier che aveva in animo
di dargli.
(Fonte:
Sandro Magister, www.chiesa, 5 aprile
2016)
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