Padre Samir
Khalil Samir, gesuita, islamologo e consigliere di Benedetto XVI per i rapporti con
l'islam, analizza il ricatto islamista contro l'Europa cristiana.
"Le
città sono già occupate". Dagli islamici, dall'islam
radicale. Non usa mezzi termini Samir Khalil Samir, islamologo e
consigliere di Benedetto XIV per i rapporti con l'islam.
In un
lungo articolo pubblicato oggi sul Foglio, il docente al Pontificio Istituto
Orientale di Roma, analizza senza peli sulla lingua la realtà e il ricatto
dell'islam all'Europa cristiana.
"Le
città sono già occupate - scrive - gli immigrati vanno a stabilirsi attorno
alla città e la conseguenza più banale è che si formano dei quartieri abitati
solo da immigrati". Così si formano le Molenbeek di tutta Europa.
Quartieri dove la sharia diventa legge. E dove i musulmani la fanno da padroni.
Si radicalizzano, fanno proselitismo. E l'Europa, gli Stati restano a guardare.
Il motivo, spiega Samir, è che gli occidentali non hanno capito che "l'Islam
non è una religione nel senso cristiano della parola". "Per
noi la religione è un rapporto personale tra me e Dio - aggiunge - nel sistema
islamico, la religione è tutto. È un progetto globale: spirituale, sociale,
intellettuale, familistico, economico, politico e militare. Include il modo di
mangiare, di vestirsi, di stare con gli altri, di vivere. L'islam entra in ogni
cosa".
Questo
sistema è quello "wahabita, salafita o dei fratelli musulmani. Tutti
vanno nella stella linea, e cioè di imporre un modo di essere musulmano.
E questo determina che un quartiere, una città, o un paese intero divenga
sempre più diretto da questo gruppuscolo che ha un progetto chiaro e
determinato, nonché spesso finanziato dai ricchi paesi petroliferi".
Per riuscire a conquistare le città italiane c'è bisogno di una moschea. E così
la mettono al centro del loro progetto. La pretendono dalle autorità statali. E
fanno di tutto per farsela concedere. Fanno preghiere in piazza, occupano le
strade per invocare Allah. Quando la ottengono, poi, la trasformano in un
centro di propaganda islamista con "volumi fatti a mero scopo
propagandistico". Il problema - sentenzia l'ex consigliere di Ratzinger -
"è che gli europei pensano che una moschea sia come una chiesa. Ma nella
chiesa si prega, non si fa politica".
Ecco
quindi la differenza tra cristianesimo e islam: il primo "dice la sua,
ma non ha la possibilità di fare pressione sulla gente"; il secondo,
invece, permea tutta la vita degli aderenti alla comunità. "C'è una sorta
di ricatto, uno scambio: usano tutto a fini politici": come le
proteste per le moschee troppo piccole, o il fatto che lo Stato non dia la
stessa dignità al cristianesimo e all'islam. Ma è un ricatto.
Il ricatto islamista. "La verità - scrive Semir - è che siamo
incoscienti: se si impediosce di occupare le strade, passa l'idea che si sia
anti-musulmani. Invece è solo una norma di buon senso. Gli islamisti, i
fondamentalisti islamici usano tutti i mezzi per imporsi". "I
gruppi radicali - continua - hanno come scopo principale di diffondere la loro
visione dell'islam, perché per loro è quello l'autentico islam. Di conseguenza
questi quartieri che un tempo erano misti, diventano quartieri musulmani
radicali".
Infine,
il consigliere di Ratzinger smonta la retorica
buonista: "Lo Stato - scrive - deve spigare agli immigrati che ci
sono delle condizioni necessarie da rispettare, prima di tutte la necissità
d'imparare la lingua nazionale (...) e che ci si comporta non solo secondo le
leggi, ma anche secondo le norme e le usanze delle nostre società".
Poi aggiunge: "È banale ricondurre l'ondata integralista nelle banlieue
a problemi socio-economici. Riflettiamo sulla disoccupazione: sono disoccupati
perché non hanno imparato un mestiere in modo corretto, in modo da essere
ricercati e non rigettati".
Ecco
perché non bisogna piegarsi al ricatto islamico. Non bisogna cedere. Nei
musulmani c'è la "volontà di marginalizzarsi. Bisogna confrontarsi con
un fatto chiaro: l'Europeo è diverso dal musulmano nella sua mentalità. La
causa di ciò non è lo Stato: la causa sono io, musulmano, che rifiuto l'integrazione in
nome della fede".
(Fonte:
Giuseppe De Lorenzo, Il Giornale, 6 aprile 2016)
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