“I
gesti di Trump, un incubo che torna. Infame è il marchio.” (Marco Tarquinio, Avvenire, sabato
28 gennaio 2017).
C’è
davvero qualcosa che non torna se, di fronte al terrorismo islamico che giura
guerra (e la fa) all’America e all’Europa, un presidente che cerca di regolare
l’accesso alle frontiere viene additato come xenofobo dal direttore del
giornale dei vescovi in un editoriale di martedì. C’è certamente qualcosa che
non quadra se chi chiude temporaneamente le entrate ad alcuni paesi dove le
ambasciate Usa (come ha spiegato sulla
NBQ Stefano Magni) non hanno la possibilità di controllare le identità dei
richiedenti asilo, mentre la nostra gente viene uccisa a suon di Kamikaze,
viene praticamente additato da Marco Tarquinio come un senza cuore. Peggio,
come un mostro paragonabile al capo dei Jihadisti al Bagdadi che ha posto sulle
case dei cristiani la “N” di Nazareno per dare il via a una carneficina.
Soprattutto c’è qualcosa di sospetto, dato che il direttore di Avvenire non
può non sapere che Trump ha promesso di proteggere i cristiani, concedendo loro
asili speciali e chiamandone parecchi nella sua squadra di governo. Ancor più
difficile credere che sia all'oscuro del fatto che nel 2013 Obama restrinse gli
accessi a questi paesi, non per tre, come ha chiesto Trump, ma per ben sei
mesi.
D’accordo
la critiche sull’opportunità o
meno di certe politiche. Come, ad esempio, quella del patriarca iracheno Louis
Sako, che ha sconsigliato la corsia preferenziale per i cristiani preoccupato
di ulteriori ritorsioni sulla comunità locale (colpa di Trump che li vuole
accogliere o delle polemiche incendiate dalla stampa?), ma il livello di livore
sulle pagine di quelli che demonizzano i muri in nome del dialogo appare
davvero ingiustificabile. Soprattutto se si pensa, anche se si preferisce
tacerlo, che la guerra all'Occidente è stata dichiarata ed è solo all'inizio.
Dentro un quadro simile si comprende dunque il successivo imbarazzo di fronte a
un "al Bagdadi come Trump", che il giorno successivo all’editoriale
di Tarquinio ha chiesto la nomina alla Corte Suprema di Neil Gorsuch, uno
strenuo difensore della legge naturale:“Un giudice conservatore per la Corte
suprema”, ha titolato Avvenire sottolineando le critiche
anticlericali e femministe sul fatto che Gorsuch sarebbe “contro i lavoratori”
e “ostile ai diritti delle donne”, piuttosto che ricordare la sua difesa della
libertà religiosa in diverse cause, tra cui quella delle Little Sister of the
Poor. L’ordine di suore che assistono la popolazione americana più bisognosa e
che Obama voleva bloccare nella loro attività solo perché contrarie all’aborto
e alla contraccezione. Ad aggravare lo smarrimento è lo spazio esiguo dato alla
notizia dei provvedimenti del presidente contrari all’aborto e quella
dell’invio storico, per la prima volta da quando l’aborto è legale in Usa, del
suo vice Mike Pence alla Marcia per la Vita di Washigton, per dire “a nome del
Presidente degli Stati Uniti (…) Siate certi, ma certi, che insieme a voi, noi
non ci stancheremo, non avremo pace finché non avremo ripristinato una cultura
della vita in America”.
A
questo punto, però, è inevitabile chiedersi cosa rappresenta di così pericoloso Trump,
per suscitare in chi ama parlare di “ponti” un astio tanto irrazionale da
falsificare la realtà? L’editoriale di Tarquinio descrive, usando i termini
irenisti e semplicisti dell’ideologia globale, del sogno di una “casa comune” che
vieta di ergere “muri” , accusando Trump di disinteresse per i “poveri” . Ora,
a parte il fatto che il direttore di Avvenire non può non
sapere che la classe media americana è scomparsa sotto la presidenza del liberal Obama,
e non può nemmeno non porsi qualche domanda davanti all’odio che nutrono per le
ricette del neo eletto presidente le multinazionali e i "big" della
Silicon Valley (che si arricchiscono con fatturati miliardari dando lavoro a un
numero esiguo di persone, come spiega Baldini sulla Verità di
ieri), in questo modo la voce dei vescovi viene ridotta a politica. Un
quotidiano espressione dell’episcopato dovrebbe infatti preoccuparsi più che
altro di evangelizzare, leggendo i fatti alla luce della fede in Gesù Cristo e
del suo Magistero, che ha il compito di difendere l’uomo da un potere che odia
i princìpi della vita e della famiglia. Quelli che la Chiesa ha sempre
riconosciuto come gli unici non negoziabili nel valutare la politica, perché
strettamente legati alla difesa della fede e perché unico antidoto al potere
mondano.
Assumere
invece il linguaggio della globalizzazione, dell’ideologia multiculturale, significa servire queste due
filosofie diaboliche che mirano a livellare tutte le identità a una, quella
dell’Occidente laico che vuole appiattire l’uomo ai suoi istinti per farne uno
schiavo. E sì che la dottrina sociale della Chiesa mette in guardia dal
pacifismo e dall’egualitarismo ricordando che non c’è uguaglianza senza
riconoscimento di situazioni differenti, che non esiste dialogo senza identità
forti, che non c’è prosperità senza valorizzazione della propria economia. Che
non si ottiene stabilità senza difesa dei confini, anche quando non piacesse
alla Germania che fa da bandiera alla globalizzazione per soggiogare gli altri
paesi europei, come ha denunciato martedì il consigliere economico di Trump,
Peter Navarro. Ma si sa che svelare certe cose spaventa quanti strizzano
l’occhio a chi è espressione di quel potere e a chi, come Gentiloni, ha
twittato contro Trump: “Società aperta, identità plurale, nessuna
discriminazione”. Proprio secondo l’utopia descritta che ha ben poco a che fare
con il realismo cristiano di una pace sofferta e che si ottiene anche
combattendo.
Solo
un cristianesimo che perde l’orizzonte verticale e che mira ad espandersi
attraverso la tattica fatta di silenzi sulla verità, nell’illusione di
allargare la sua cerchia di consensi, può arrivare all'odio di sé e di chiunque
gli ricordi la sua vera identità. Eppure questa pare la mentalità che va per la
maggioranza fra i vertici della Chiesa che, mentre accusano quanti difendono i
princìpi non negoziabili di tentazione egemonica (peccato che non ci sia nulla
di più socialmente invalidante oggi), dimenticano la fede nell’Aldilà per un
piatto di lenticchie servito da chi usa l’umanitarismo per distruggere i
popoli. Siamo dunque al paradosso di una fetta di cristiani pro Trump che,
combattendo per un posto lassù, si sente più rappresentata da un presidente che
promette di arginare l’ideologia dei nemici della fede (si può ancora usare
questa parola e chiedere di essere difesi senza accuse di integrismo tipico
delle personalità deboli?), che dai loro pastori "accoglienti". E
attualmente più indaffarati a fare politica e schierarsi contro un presidente
americano che, ridando speranza alla Chiesa militante messa all'angolo, mette
in crisi il loro piano mondano di assicurarsi un posto quaggiù.
(Fonte:
Benedetta Frigerio, La Nuova BQ, 2 febbraio 2017)
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