Il
gossip ecclesiale gode di ottima salute in queste settimane. Cospirazioni
sinodali, il caso di monsignor Chamarsa, Vatileaks hanno sfilato di recente sul
red carpet di tutti i principali media mondiali. Da ultimo la sete di scandali
di giornali e Tv ha trovato appagamento nella notizia che l’ex abate di
Montecassino, Pietro Vittorelli, è stato indagato per aver usato in modo
indebito 500mila euro, soldi che appartenevano alla Curia. Vittorelli vantava
plurime aderenze con esponenti del mondo della politica non proprio immacolati
dal punto massmediatico e non solo.
Ricordiamo Piero Marrazzo, ex governatore della
Regione Lazio, il quale
si era rifugiato a Montecassino per sfuggire al polverone mediatico-giudiziario
scatenatosi per le sue frequentazioni con transessuali, e Angelo Balducci, già
presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, arrestato nel febbraio
2010 nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti per le Grandi opere. Dopo
l’esperienza monastica don Pietro scoprì la politica. Lo troviamo, infatti, in
abiti borghesi nell’ottobre del 2014 ad un convegno organizzato nella sede
italiana del Parlamento europeo a Roma, accanto al consigliere regionale del
Lazio Mario Abbruzzese e ad Antonio Tajani, primo vicepresidente del Parlamento
europeo. Il viso di dom Pietro era però conosciuto anche nell’ambiente gay,
dove si presentava con il nome di Marco Venturi. Si vocifera di festini e orge
in una casetta sulla Casilina, di pratiche erotiche estreme, di viaggi e cene
sontuose, di pernottamenti in hotel pentastellati (a volte le ricevute erano a
4 zeri), nonché di uso di droghe, a cui Vittorelli non avrebbe rinunciato
nemmeno dopo un ictus che lo avrebbe lasciato malconcio su una sedia a
rotelle.
Tutte licenze che il Vittorelli-Venturi si concedeva
distraendo fondi dell’ordine, destinati - ripetono i media - ai poveri. Insomma l’ex abate è la sintesi perfetta
dell’incarnazione del male per la vulgata corrente: un religioso che ruba ai
poveri, si dà a pratiche omosessuali, vive sfarzosamente, fa uso di droghe, è
amico di politici e uomini danarosi (tra i molti, Lapo Elkan) su cui girano
molte voci poco lusinghiere ed è pure indagato. Eppure, ci vien da dire, il
giudizio sulle condotte oggettivamente riprovevoli di dom Pietro è un tantino
ipocrita. Si rabbrividisce di fronte ai suoi festini a luci rosse. Ma la
libertà sessuale secondo i cliché correnti non dovrebbe essere concessa a
tutti, religiosi compresi? Per la cultura laica se Dio non esiste così come i suoi
precetti sulla castità, perché vietare godimenti venerei ai sacerdoti? Nei
giornali patinati in allegato ai quotidiani è tutto un florilegio del sesso
libero da tabù, di triangoli amorosi, di scappatelle e orgette con effetto
catartico sulla psiche e la vita di coppia. Perché negarlo anche a chi ormai è
un ex prete?
Si grida “Vergogna!” perché dom Pietro frequentava
bei maschioni. Eppure quei giornali che sbattono in prima pagina le vicende di Vittorelli sono gli
stessi che berciano in continuazione sulla normalità di ogni orientamento
sessuale. E che dire poi della presunta tossicodipendenza dell’ex abate? Il
governo e molti esponenti politici è da tempo che spingono per una
liberalizzazione dei trip a base di droghe.
In breve, il caso Vittorelli mette in luce che ci
sono vizi e vizi, peccati cattolici e peccati laici. Prendiamo ad esempio la vicenda
del “collega” Chamarsa. Questi dai media è stato trattato bene, anzi
benissimo, spesso elogiato per quel suo ormai famigerato outing. Perché
Chamarsa aveva rispettato alcune regole auree del politicamente corretto: non
era stato scoperto con le mani nella marmellata, ma era stato lui per primo ad
aprire il vaso di Pandora; appariva come vittima di una Chiesa conservatrice e
retriva e pioniere del nuovo che avanza in campo dottrinale, non aveva mai
rubato (peggior peccato mortale in questa nuova chiesa dei pauperisti) e la sua
relazione omosessuale non aveva il baricentro sulla voglia di trasgressione,
bensì sull’ “affetto”. Insomma nel salotto del mondo che conta si presenta bene
Chamarsa, con l’abito buono.
Il raffronto tra Vittorelli e Chamarsa è allora
illuminante. A ben vedere non importa di quali nefandezze si macchia un
prelato, ma è questione di stile. Importa il come, non il cosa. In altri
termini non esiste una dose minima di peccato ad uso personale che non suscita
riprovazione sociale. Dose, superata la quale, scatta la censura e la
lacerazione di vesti. Tu uomo in talare puoi comportarti come i tuoi omologhi
laici in fatto di sesso e sballo, l’importante è rispettare le regole del gioco
dettate dalla vulgata corrente. Rivendica per te il piacere erotico in ogni sua
declinazione come sana espressione della tua personalità e scamperai alla
censura. Non farti scoprire nel godere di ogni bassezza edonistica, ma vendila
come conquista sociale e rivendicala come gesto di libertà. Vivi pure di
istinti, ma vestili con i panni nobili dei diritti civili. Si badi bene. Non è
stata questa una difesa di Vittorelli, ma solo prurito per l’incoerenza di
giudizio.
(Fonte:Tommaso
Scandroglio, La nuova bussola quotidiana, 17 novembre 2015)
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