mercoledì 23 novembre 2016

Le contraddizioni di un giubileo che si chiude

Tra le chiavi di interpretazione del pontificato di papa Francesco c’è sicuramente il suo amore per la contraddizione. Questa disposizione di animo risulta evidente dalla lettera apostolica ‘Misericordia et misera‘, firmata a conclusione del Giubileo straordinario della misericordia. In questa lettera papa Bergoglio, stabilisce che quanti frequentano le chiese officiate dai sacerdoti della Fraternità san Pio X possano ricevere validamente e lecitamente l’assoluzione sacramentale. Il Papa sana dunque quello che, costituiva il principale fattore di “irregolarità” della Fraternità fondata da mons. Lefebvre: la validità delle confessioni. Sarebbe contraddittorio immaginare che una volta riconosciute valide e lecite le confessioni non siano considerate altrettanto lecite le Messe celebrate dai sacerdoti della Fraternità, che sono in ogni caso certamente valide. A questo punto non si capisce che necessità c’è di un accordo tra Roma e la Fraternità fondata da mons. Lefebvre, visto che la posizione di questi sacerdoti è di fatto regolarizzata e che i problemi dottrinali ancora sul tappeto, al Papa, come è noto, interessano scarsamente.
Nella stessa lettera, affinché «nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio», papa Bergoglio concede, d’ora innanzi «a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto». In realtà, i sacerdoti avevano già la facoltà di perdonare il peccato di aborto in confessione. Però, secondo la prassi plurisecolare della Chiesa, l’aborto rientra tra i peccati gravi puniti automaticamente con la scomunica. «Chi procura l’aborto, ottenendo l’effetto incorre nella scomunica latae sententiae» recita il Codice di Diritto Canonico del 1983 al canone 1398. I sacerdoti, dunque, avevano bisogno del permesso del proprio vescovo per togliere la scomunica prima di poter assolvere dal peccato di aborto. Adesso ogni sacerdote può assolvere anche dalla scomunica, senza bisogno di ricorrere al suo vescovo o d’esserne delegato. La scomunica di fatto cade e l’aborto perde la gravità che il diritto canonico gli attribuiva.
In un’intervista rilasciata il 20 novembre a Tv2000, papa Francesco ha affermato che «l’aborto rimane un grave peccato», un «crimine orrendo»,  perché «pone fine a una vita innocente». Può il Papa ignorare che la sua decisione di sganciare dalla scomunica latae sententiae il reato di aborto relativizza questo «crimine orrendo» e permette ai mass-media di presentarlo come un peccato che la Chiesa considera meno grave del passato e che facilmente perdona?
Il Papa afferma nella sua Lettera che «non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre», ma, come è evidente dalle sue stesse parole, la misericordia è tale perché presuppone l’esistenza del peccato, e dunque della giustizia. Perché parlare sempre e solo del Dio buono e misericordioso, e mai del Dio giusto, che premia e punisce secondo i meriti e le colpe dell’uomo? I Santi, come è stato osservato, non hanno mai cessato di esaltare la misericordia di Dio, inesauribile nel dare; e, insieme, di temere la sua giustizia, rigorosa nell’esigere. Sarebbe contraddittorio un Dio capace soltanto di amare e premiare il bene e incapace di odiare e punire il male.
A meno di non ritenere che la legge divina esiste, ma è astratta e impraticabile e l’unica cosa che conta è la vita concreta dell’uomo, che non può non peccare. Ciò che importa non è l’osservanza della legge, ma la fiducia cieca nel perdono e nella misericordia divina. Pecca fortiter, crede fortius. Ma questa è la dottrina di Lutero, non della Chiesa cattolica. 

(Fonte: Roberto de Mattei, Corrispondenza Romana, 22 novembre 2016)


giovedì 10 novembre 2016

Il caso Padre Cavalcoli e Radio Maria? Un'operazione della lobby gay

Diciamo la verità: della condizione e del sentimento delle popolazioni vittime del terremoto in Italia centrale non importa a nessuno. Almeno a nessuno di quelli che si sono gettati nell’arena per massacrare padre Cavalcoli e, a ruota, Radio Maria. Più i giorni passano, infatti, e più appare evidente che siamo davanti a una vera e propria operazione di cecchinaggio che ha in un certo mondo Lgbt la regia, a cui volentieri una parte di ecclesiastici sta facendo da sponda. 
Come abbiamo già scritto tutto nasce dal resoconto scandalizzato de L’Espresso in merito a un intervento di padre Giovanni Cavalcoli in una trasmissione di Radio Maria, in cui avrebbe affermato che il terremoto dell’Italia centrale «è colpa delle unioni civili». In realtà il caso nasce un po’ prima, perché padre Cavalcoli – che stava facendo una catechesi sul Battesimo - risponde alla domanda di un ascoltatore, tale Costantino di Cesena, che - lunga e articolata - sembra proprio voler mettere in bocca a padre Cavalcoli la risposta di cui sopra. 
Torniamo ad ogni modo all’articolo dell’Espresso che, come detto, attribuisce a padre Cavalcoli un’affermazione che invece non ha fatto. Anzi, in relazione alla domanda, il teologo domenicano si mostra molto prudente. Ma non importa perché il giornalista dell’Espresso ha già una tesi bella che pronta, e non sarà certo la prudenza di padre Cavalcoli a frenarlo. Guarda caso, l’autore dell’articolo è un giovane giornalista, Simone Alliva, militante Lgbt. Non solo, a sentire un suo intervento a un convegno Lgbt, si direbbe che tiene costantemente sotto controllo alcuni conduttori di Radio Maria che parlano di omosessualità e dintorni. Ovviamente l’articolo viene ripreso immediatamente da Repubblica (stesso gruppo editoriale), ma anche da altri giornali. Eppure avrebbe fatto la fine di altri articoli al veleno contro Radio Maria – dopo due giorni non l’avrebbe ricordato nessuno - se non fosse per l’intervento inusuale e a dir poco sproporzionato del numero 2 della segreteria di Stato, monsignor Angelo Becciu. 
Proprio il soggetto che interviene fa capire che l’intervento è più politico che dottrinale (la segreteria di Stato corrisponde al ministero degli Esteri), e il motivo è duplice: anzitutto il problema non è la sensibilità per le vittime del terremoto ma il riferimento alle unioni civili e perciò all’omosessualità. Non a caso a ruota di monsignor Becciu sono arrivati con i loro sgradevoli commenti il segretario della Cei, monsignor Nunzio Galantino, e alcuni vescovi particolarmente sensibili al tema omosessualità.
Se padre Cavalcoli avesse detto che la causa del terremoto a Norcia è stata la ribellione di Madre Natura per il mancato rispetto da parte dell’Italia degli accordi per ridurre le emissioni di anidride carbonica, nessuno avrebbe avuto nulla da ridire. Di più, dal Vaticano sarebbero arrivati ampi consensi per il richiamo alla “conversione ecologica”, consensi come al tempo in cui lo stesso Cavalcoli si dichiarò favorevole alla comunione per i divorziati risposati (dall’altare alla polvere in pochi mesi). Del resto anche il direttore di Radio Maria, padre Livio Fanzaga, per tutto il tempo della discussione sulla legge Cirinnà non è stato affatto tenero con quanti l’hanno apertamente sostenuta o comunque favorita. E per questo deve pagare, anche nel senso letterale del termine.
Passa infatti un solo giorno, ed ecco che Repubblica lancia, già pronto, un altro siluro: Radio Maria prende dei soldi dallo Stato – 2milioni e 90mila euro nel triennio 2011-2013 – a mero titolo di sostegno, denuncia. «Quegli anatemi di Radio Maria pagati con i soldi pubblici», titola sobriamente Repubblica. I terremotati non c’entrano niente: ma come, si chiedono a Repubblica, accusano lo Stato «di avere scatenato il castigo di Dio» (il problema è sempre la legge sulle unioni civili) e poi dallo stesso Stato pretendono denaro senza neanche vergognarsi?
E davanti a questo sdegno espresso da un giornale come Repubblica il governo non può certo rimanere insensibile. E infatti passano solo poche ore e il Ministero dello Sviluppo economico invia al giornale romano un comunicato in cui annuncia che a partire dall’esercizio 2016 il contributo a Radio Maria è sospeso. Più veloci della luce, a dimostrazione che il problema della lentezza in Italia non è nella Costituzione. «È un'ottima notizia, esattamente quella che speravamo di apprendere», chiosa Repubblica, soddisfatta per l'ordine eseguito.
Giustizia è fatta allora? Non ancora, perché nel frattempo il povero padre Cavalcoli – sospeso da Radio Maria e costretto al silenzio dal provinciale dei domenicani – si becca anche una querela per diffamazione da parte di alcuni rappresentanti del movimento gay: «La legge contro l’omo-transfobia che giace in Senato dal 2013  – dice un comunicato dell’Associazione nazionale contro le discriminazioni da orientamento sessuale (Anddos) - è purtroppo vecchia e superata nella sua impostazione, poichè giustifica l’omofobia delle organizzazioni religiose di carattere integralista: l’episodio di Padre Cavalcoli dimostra, infatti, la necessità di aprire una nuova fase culturale di sensibilizzazione sulle discriminazioni omo-transfobiche, un processo che dovrà culminare in una proposta di legge che equipari finalmente l’omo-transfobia al razzismo».
Qualcuno in Vaticano si è accorto del trappolone e ha pensato di fare retromarcia, quantomeno di frenare questa caccia alle “streghe” Cavalcoli e Radio Maria? Al contrario, ieri ci ha pensato Alberto Melloni a regolare definitivamente i conti in nome del nuovo corso della Chiesa, sempre dalle colonne di Repubblica che oltre che giornale-partito è ormai diventato anche un giornale-chiesa.
Melloni, intellettuale molto ben inserito nelle gerarchie che contano e anche nel governo (a proposito: il suo istituto bolognese prende tanti soldi pubblici da far impallidire Radio Maria) ieri ci è andato giù pesante nel regolamento di conti contro quel «sottosuolo cattolico opaco e apprensivo, fatto di sentimenti reazionari». È un mondo definito «pulviscolo integrista», che agita vecchi fantasmi anti-modernità usando i nuovi media e distribuisce paura e odio a piene mani. Radio Maria, dice Melloni, «inculca in dosi quotidiane sospetti e inimicizie, con il suo leader, padre Livio Fanzaga che ogni giorno spiega leggendo i giornali dove sono i pericoli, chi sono gli avversari e soprattutto "smaschera" i traditori».
Ma non è solo questa radio, c’è un mondo più ampio – dice sempre Melloni – di «siti e antenne, blog e social» che «somministrano paure su misura: le paure su quel che si insegna a scuola per i movimenti pro-vita, quelle dei preti tradizionalisti che danno alla xenofobia leghista profumo d' incenso, quelle del radicalismo familista che manifestano verso l'amore omosessuale il risentimento degli irrisolti».
Appare chiaro che per Melloni – e i suoi sodali in Vaticano - la soluzione sia spazzare via questa galassia senza pietà, perché rischia di ritardare la pacificazione con il mondo che la Santa Sede sta perseguendo. Vale a dire: la partita non è ancora finita, la triangolazione Repubblica-Governo-Vaticano (almeno alcuni settori) andrà avanti e il messaggio inviato attraverso Melloni è chiaro: non si fanno prigionieri.

(Fonte: Riccardo Cascioli, La Nuova bussola quotidiana, 9 novembre 2016).


venerdì 4 novembre 2016

La salvezza ci interessa, eccome!

Grazie a Dio non sono teologa, per cui non ci provo neanche a pesare col bilancino le parole che sono state dette dalle due parti in Svezia. Siccome sono cattolica, mi fido del Papa, e finché non cambia il Catechismo dormo come un bimbo svezzato in braccio a mia madre, la Chiesa. Una. Santa. Cattolica. Apostolica. Se cambia il Catechismo, avvisatemi (citofonate ore pasti).
Ma dire che non mi preoccupo, anzi mi fido delle scelte pastorali del Papa, non significa dire che non mi interessa ogni singolo iota del patrimonio che mi è stato tramandato. Non mi riconosco pertanto nell’incredibile articolo uscito sul Corriere della Sera a firma di Lucetta Scaraffia:
“oggi molti dei profondi dissensi che hanno causato la scissione della Chiesa non hanno più ragion d’essere: il problema della salvezza non assilla più nessuno”.
Io non so quali cattolici frequenti Lucetta, ma quelli che conosco io della salvezza si preoccupano eccome.
Sono quelli che vanno a messa, che affollano i santuari, che pregano (non perché siano bigotti ma perché c’è scritto nel Vangelo di pregare senza interruzione, e non l’ha detto mia nonna, ma Gesù), che digiunano, che scommettono seriamente la vita su Gesù, perché hanno trovato la felicità con lui solo. Che non vivono obbedendo a se stessi ma cercano di vivere la vita del battesimo, quindi la croce, scandalo per gli uomini, perché hanno scoperto che quella vita è meglio di quella del mondo. Sono quelli che hanno passato le porte sante perché sanno che il Giubileo non è una convention ma la possibilità della salvezza eterna per noi e per i morti a cui teniamo, contrariamente a quanto scritto:
“Così come le indulgenze sono scomparse dal nostro orizzonte, e pure l’aldilà sembra da decenni dileguato”.
Non so come la risolvano gli intellettuali, ma alle persone che frequento io, tante, la morte rappresenta ancora un problema, IL problema, per l’esattezza. Come possiamo non fare i conti con questo? Nonostante la nostra cultura rimuova il tema dall’immaginario (la morte non si dice, i morti non si fanno vedere ai bambini) o al contrario lo spettacolarizzi (altro modo di esorcizzarlo), il fatto che dobbiamo morire, e che non sappiamo né come, né quando, e che dopo c’è un’altra vita, ci riguarda tutti. Io per me, mio marito, i nostri figli e quelli a cui voglio bene, spero solo che ci salviamo, e che ci ritroveremo in cielo tutti. Non voglio figli di successo, né geni, né ricchi (il pericolo pare abbastanza remoto, peraltro), ma salvi, cioè vivi in eterno. Personalmente un Dio che mi ha predestinata a una sorte che ha deciso lui non mi sembra somigliare tanto a un Padre che mi ama alla follia, ma non voglio entrare nel merito.
Forse l’articolo intendeva solo dire che pochi sono consapevoli delle verità della fede, mi sono detta. E questo è vero, è sotto gli occhi di tutti, anche dei miei. Per esempio, quando ho lanciato dal mio blog l’idea di prendere ciascuno l’indulgenza plenaria per ognuna delle vittime del terremoto di Amatrice ho passato le successive 24 ore a rimuovere migliaia di insulti e bestemmie dal mio profilo. Forse la cattolica Lucetta vorrà anche lei lanciare l’allarme, sarà come me preoccupata. E invece no. Perché prosegue:
“Perché allora litigare ancora su tutto questo? E come litigare ancora sul libero accesso ai testi sacri, se oggi anche i cattolici sono abituati a leggere la Bibbia nelle edizioni che preferiscono, in gruppi di lettura e di commento animati dalla più grande vivacità?”
Io tengo alla Tradizione, che i luterani non riconoscono, cioè al deposito della fede tramandato in duemila anni di martiri, apostoli, padri della Chiesa, teologi e santi, e il Concilio ci ha invitato a riprenderci la Bibbia, sì, ma tenendo con una mano il capo di questa lunga cordata di intelligenze e geni che non si è mai interrotta nei secoli.
“Certo, rimangono questioni teologiche aperte, come i sacramenti — ridotti di numero dai luterani — ma queste sono per lo più questioni che non toccano molto i fedeli”.
I sacramenti trasfigurano completamente la realtà, e qui si gioca tutta la nostra fede, che non è un’ideologia, ma l’intervento attivo e personale di Dio sulla nostra vita, una presenza che cambia tutto. La confessione mi ridà l’intimità con Dio, e vorrei che lo facesse di più, perché “a chi non rimetterete i peccati resteranno non rimessi”, e io ne avrei sul groppone troppi. Sul matrimonio come sacramento ho scommesso tutta la mia vita. Con la cresima sono diventata adulta (a 19 anni). L’estrema unzione spero tanto di poterla avere, per questo mi auguro di non morire all’improvviso. Meglio soffrire ma potermi preparare all’incontro.
Quanto al sacerdozio, l’altro sacramento non riconosciuto dai protestanti, è ciò che permette il più grande prodigio della terra: il pane per noi è sostanza di Dio. O quel pane è davvero Dio o siamo tutti pazzi. Miliardi di pazzi hanno popolato il pianeta negli ultimi duemila anni? Di fronte a questa domanda, mi sembrano quisquilie i temi che secondo il Corriere ci dividono dai luterani:
 il divorzio, il controllo delle nascite, l’omosessualità, cioè sulle questioni bioetiche nelle quali le chiese protestanti, nel Novecento, hanno preso una posizione quasi sempre opposta a quella cattolica”.
Sinceramente, chi se ne importa di queste cose se non le misuriamo sulla vita eterna? Non me ne importa niente di essere una brava persona, mi importa di non rompere la relazione con il più bello tra i figli dell’uomo. Se non è per quello, della bioetica si occupino pure i filosofi.

(Fonte: Costanza Miriano, Il blog, 4 novembre 2016