lunedì 28 gennaio 2019

Vescovi al traino del Pd, l'Abruzzo insegna


In vista delle elezioni regionali una nota del vescovo di Chieti presenta un programma politico a base di immigrazioni, poveri e ambiente; e il suo confratello di Pescara ancora più esplicito nell'invitare i suoi preti a votare Pd. Ma è tutto qui ciò che la Chiesa sa proporre? Oppure è soltanto una passerella per fare bella figura con il Papa?

Viene proprio da chiedersi: se avevano tanta voglia di fare politica, perché hanno scelto la strada del sacerdozio? Oppure è che nel centenario del famoso “Appello ai liberi e forti” di don Luigi Sturzo, anche tanti vescovi si sono montati la testa?
Abbiamo parlato nelle scorse settimane delle tante manovre per un partito dei vescovi (clicca qui e qui), ora abbiamo anche vescovi che si impegnano direttamente nelle elezioni regionali, ovviamente a sostegno del Pd ma soprattutto contro la Lega. Stiamo parlando dell’Abruzzo, di monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e teologo molto vicino a papa Francesco. Nei giorni scorsi ha pubblicato una nota in vista delle regionali e delle comunali che per l’Abruzzo sono previste il prossimo 10 febbraio. I partiti non sono mai nominati ma il messaggio è chiaro: in cima alle priorità ovviamente gli immigrati: o si accoglie tutti senza se e senza ma oppure non si è buoni cristiani, ci dice in sostanza monsignor Forte. E poi, l’impegno per i poveri, il lavoro dei giovani, la sanità – «che non va gestita secondo una logica aziendale» -, e l’ambiente, con il problema dei rifiuti, la gestione delle acque e l’incentivazione delle fonti rinnovabili.
Monsignor Forte è anche il presidente della Conferenza episcopale di Abruzzo e Molise e quindi la sua nota ha un valore che va oltre la sua diocesi. E infatti il vescovo di Pescara-Penne, monsignor Tommaso Valentinetti, si è subito esposto entusiasta a sostegno della presa di posizione di monsignor Forte. Di più, Valentinetti è stato ancora più esplicito parlando ai vicari foranei della sua diocesi durante il ritiro mensile del clero lo scorso 15 gennaio a Montesilvano: «Si deve votare Partito Democratico», ha detto senza mezzi termini. Come se qualcuno potesse dimenticare.
Magari sono gli stessi che a suo tempo criticavano il cosiddetto “collateralismo” nei confronti della Democrazia Cristiana.
Ora, quello che però un semplice fedele è portato a chiedersi è: ma davvero davanti a un evento come le elezioni amministrative l’unica cosa che hanno da proporre i vescovi sono un elenco di rivendicazioni politiche, di cui peraltro – lo si capisce dal modo in cui scrivono – hanno una competenza pari a zero? La testimonianza cristiana si riduce soltanto ad accogliere i migranti, proporre la raccolta differenziata e mantenere la gestione dell’acqua nelle mani dello Stato? Fosse così, sarebbe davvero inutile frequentare la chiesa e andare a messa, tanto vale andare direttamente ad iscriversi al Pd.
Oltretutto nel testo di monsignor Forte si fa riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa, ma è soltanto una foglia di fico perché in realtà dei princìpi della Dottrina sociale non troviamo granché in queste frasi che sembrano più che altro slogan appiccicati l’uno all’altro. Pensiamo solo alla ossessione sui migranti: monsignor Forte inizia dal dovere di rispettare la «dignità di ogni persona umana, quale che sia il colore della sua pelle, la sua storia, la sua provenienza. Da un tale rispetto conseguono i doveri di solidarietà verso i più deboli e di accoglienza verso chi bussa alle nostre porte, fuggendo spesso da fame o violenza alla ricerca di un futuro migliore per sé e i propri cari». Ma il “dovere di solidarietà” non implica l’eliminazione dei confini nazionali, come questi vescovi vorrebbero, né la cancellazione della distinzione tra migranti regolari e irregolari; e la Dottrina sociale della Chiesa non ha nulla a che vedere con la condanna dell’«atteggiamento identitario». Al contrario, una identità chiara è la precondizione per un’accoglienza che punti all’integrazione di quanti sono ammessi a immigrare.
Cosa farebbe monsignor Forte se un giorno gli comparisse nel suo episcopio di Chieti, che so, il povero vescovo di San, in Mali, che pretende di condividere la guida della diocesi di Chieti, perché a San si soffre la fame? Gli direbbe davvero «Prego, si accomodi, resti con me e consideri questa la sua diocesi?».
E poi, il rispetto per la «dignità di ogni persona umana» deve restringersi soltanto agli immigrati e ai poveri? In Abruzzo ci sono già circa 90mila stranieri, pari al 6.5 della popolazione, e non risultano maltrattamenti o peggio nei loro confronti. Ma tra Abruzzo e Molise – ci dicono i dati diffusi la settimana scorsa dal ministero della Salute – nel 2017 ci sono stati 2.014 aborti, il 54% dei quali da donne nubili. Oltre duemila morti in un anno in Abruzzo e Molise, in un contesto di disgregazione della famiglia. La dignità che si deve a ogni persona umana non dovrebbe riguardare anche queste vittime innocenti? Ma di questa ecatombe guai a dire nulla, è un argomento troppo divisivo. Come nulla si dice della denatalità, causa importante della stagnazione economica attuale: si parla di mancanza di lavoro, ma non si menziona la causa.
Ma ecco il problema: questi vescovi cercano l’applauso del mondo; cercano l’amicizia dei politici immigrazionisti e poco importa se sono gli stessi che parlano di “aborto come diritto” e cercano di cancellare la possibilità ai medici di fare obiezione di coscienza; e soprattutto questi vescovi vogliono fare i bravi davanti al Papa, che sugli immigrati martella ogni giorno: chissà che non ci scappi qualche promozione al prossimo giro.

(Fonte: Riccardo Cascioli,LNBQ, Editoriale, 28 gennaio 2019)
http://www.lanuovabq.it/it/vescovi-al-traino-del-pd-labruzzo-insegna



sabato 26 gennaio 2019

Via libera a gay pride? La libertà di espressione non è assoluta


Per il prossimo 8 giugno, dopo una serie di manifestazioni in varie parti della regione Friuli Venezia Giulia, è previsto a Trieste il Gay Pride. Antonella Nicosia, presidente di Arcigay Arcobaleno Trieste Gorizia, ha detto che non verranno richiesti patrocini né al comune di Trieste né alla Regione, ma saranno richiesti ad altri comuni.
Per Trieste si tratterebbe della prima volta di un Gay Pride al quale, da quanto si legge dai media locali, non ci sono opposizioni, tranne qualche sparuto e coraggioso consigliere comunale. L’idea diffusa anche tra coloro – istituzioni o singole persone che siano – che dissentono dalla Cirinnà e dal riconoscimento pubblico delle unioni civili tra persone omosessuali, è che comunque la manifestazione omosessualista va permessa e accettata in quanto manifestazione libera di libere opinioni.
La signora Nicosia non chiede il patrocinio a Comune e Regione perché sa bene che le attuali amministrazioni non lo concederebbero, però queste stesse amministrazioni non impediscono né contrastano la manifestazione, come si vuol dire, di un libero pensiero.
Mi chiedo se accettare una simile manifestazione pubblica sia in linea con la Dottrina sociale della Chiesa o meno. Non mi riferisco al tema del riconoscimento giuridico dell’omosessualità, né alla parificazione per legge delle unioni civili al matrimonio, né al presunto diritto di introdurre la concezione omosessualista nei programmi scolastici. È assodato che tutto ciò contraddice la Dottrina sociale della Chiesa. Mi chiedo, piuttosto, se la manifestazione del Gay Pride sia ammissibile da parte dell’autorità politica che, come è noto, ha come scopo il bene comune. 
La risposta ad una simile domanda è no: l’autorità politica non dovrebbe consentire tale manifestazione perché così facendo concederebbe ad una visione disordinata delle relazioni sessuali una “dignità” pubblica che non può avere. Il Gay Pride “promuove” l’omosessualismo, considera l’esclusività pubblica della relazione tra uomo e donna una discriminazione, diffonde (anche in modo sguaiato ma non è tanto questo che importa…) una cultura dei diritti che non esiste, promuove il relativismo in un settore molto delicato e che sta alla base della convivenza sociale, diffonde una cultura anti-familiare.
All’omosessualismo sono collegati anche l’adozione di minori da parte di coppie gay, la fecondazione artificiale, l’utero in affitto, ossia pratiche e tendenze innaturali che apertamente contrastano con il bene comune. 
Così dicendo si incontra un argomento, quello della libertà di espressione, che era molto presente nella Dottrina sociale della Chiesa preconciliare e che è invece quasi scomparso da quella postconciliare. La libertà di espressione non è un diritto assoluto, come sembra essere per le democrazie moderne figlie dell’ideologia illuministica. Oggi non si censura più niente, ma ci sarebbe molto da censurare.
Non per spirito repressivo o dittatoriale ma per difendere il bene della comunità. Ciò deve valere anche per le manifestazioni pubbliche come un Gay Pride. Chi si sentirebbe di approvare questo principio? Tutte indistintamente le manifestazioni pubbliche devono essere tollerate come diritto di espressione. Anche una manifestazione di pedofili? Anche una manifestazione di uomini e donne nudi? Anche una manifestazione di sostenitori delle camere a gas per qualche categoria di persone? È evidente che se qualche tipologia di manifestazione pubblica non è ammissibile, allora vuol dire che il diritto di espressione non è assoluto.
L’ambito pubblico non è l’ambito della libertà senza criteri, ma l’ambito della libertà responsabile e, quindi, non individualista ma solidale. La libertà responsabile significa che c’è un uso illecito della libertà, quando questa si sgancia da un ordine di doveri oggettivi che sorgono dalla natura stessa della persona e della società. L’autorità politica non è lì per garantire la libera espressione di una libertà scriteriata, come testimonia il fatto che molte manifestazioni non vengono autorizzate, ma per garantire il rispetto dei valori fondamentali che fanno di quella politica una comunità: sono i valori e i doveri morali a tenerci insieme e non i diritti. 

(Fonte: Stefano Fontana, LNBQ, 26 gennaio 2019)
http://www.lanuovabq.it/it/via-libera-a-gay-pride-la-liberta-di-espressione-non-e-assoluta




mercoledì 16 gennaio 2019

Meno aborto, più ambiente e poveri: è la nuova bioetica


Con la lettera del Papa all'Accademia per la vita (PAV) muta il registro dottrinale sui temi morali: la persona umana vivente corredata di una propria dignità non rappresenta più il paradigma morale di riferimento per discernere il bene dal male, ma è sostituita dall’esistenza, una congerie di fatti e condizioni come l’immigrazione o la fratellanza universale. 
Povertà e ambiente ritenute più importanti di aborto ed eutanasia perché la giustizia sociale ha maggior peso della giustizia naturale.

Il Santo Padre il 6 gennaio scorso ha scritto una lettera a Mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita (PAV), in occasione del XXV anniversario dell’istituzione della medesima Accademia.
Nella lettera, resa pubblica ieri, vi sono sicuramente alcuni spunti interessanti e condivisibili, ma non mancano alcune riserve. Data la lunghezza della lettera siamo costretti a tralasciare molte riflessioni, volendo solo soffermarci su quello che, a nostro giudizio, pare essere il cuore di questa missiva: la nuova missione della PAV. Aborto, eutanasia, fecondazione artificiale, maternità surrogata, sperimentazione sugli embrioni, clonazione, contraccezione et similia non devono più rappresentare le materie di interesse principale della PAV, bensì sono altri gli orizzonti verso cui l’Accademia dovrà spingersi. Un cambio di direzione già annunciato il giugno scorso in occasione della XXIV Assemblea Generale della PAV.
La nuova identità della PAV, voluta da Giovanni Paolo II per dare risposta a quesiti morali di carattere bioetico, è oggi ampiamente confermata da Papa Francesco. Infatti i temi toccati nella lettera sono, tra i molti, le “relazioni familiari”, la “convivenza sociale”, la “diffidenza reciproca”, la “competizione esasperata”, la “violenza”, la “famiglia umana”, la “guerra”, il “godimento materiale”, “il sistema del denaro e l’ideologia del consumo”, la “divisione, l’indifferenza, l’ostilità” tra i popoli, il “compromesso mondano”, “i poveri e i disperati”, gli anziani e i giovani (“È urgente che gli anziani credano di più ai loro ‘sogni’ migliori; e che i giovani abbiano ‘visioni’ capaci di spingerli a impegnarsi coraggiosamente nella storia”).
Le tematiche però al centro della lettera del Papa e che devono quindi essere parimenti al centro degli sforzi della PAV sono altre: l’ambiente, il concetto di un nuovo umanesimo e la fraternità universale. In merito a quest’ultimo aspetto il Pontefice così si esprime: “Dobbiamo riconoscere che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità. […] La forza della fraternità, che l’adorazione di Dio in spirito e verità genera fra gli umani, è la nuova frontiera del cristianesimo”.
Tralasciamo qualsiasi commento al fatto che la modernità, ammesso e non concesso che abbia mai fatto promesse buone, non ha adempiuto a promesse ben più rilevanti di quella che interessa la fraternità e che indicare come nuova frontiera del cristianesimo “la forza della fraternità” pare voler dimenticare che la frontiera del cristianesimo è, a detta della dottrina cattolica, di altra e ben più elevata natura ed è sempre la medesima: la salvezza degli uomini. Tralasciando appunto queste riflessioni, ciò che rileva è l’uso delle espressioni “umanesimo” e “fratellanza universale” dato che sono termini alieni al portato culturale cattolico perché il loro contenuto, così come sedimentato dalla storia, non è cattolico. Vero è che potrebbero ricevere diversa accezione, però occorrerebbe specificare tale accezione. Ma, detto ciò, sarebbe comunque preferibile ricorrere all’infinita e ricchissima terminologia della teologia e morale cattolica che, in secoli di studio, ha cesellato termini precisi e inequivocabili ad uso e consumo dei fedeli. E così a posto di “umanesimo” si poteva usare “antropologia cattolica”, perché nell’umanesimo al centro c’era l’uomo e non Dio, e a posto di “fraternità universale”, dal sapore tanto illuminista, si poteva usare l’espressione “figli di Dio”.
Ma che fine hanno fatto nella missiva del papa le tematiche proprie della bioetica, quelle su cui la PAV ha indagato per anni? C’è un solo passaggio della lunga lettera in cui si parla di aborto e eutanasia, laddove Papa Francesco apprezza l’impegno della PAV allorquando in più occasioni si è spesa per “la denuncia dell’aborto e della soppressione del malato come mali gravissimi, che contraddicono lo Spirito della vita e ci fanno sprofondare nell’anti-cultura della morte”. Ma subito dopo il Pontefice si affretta a chiarire che ora la mission della PAV si deve occupare (anche e soprattutto) di altro: “Su questa linea occorre certamente continuare, con attenzione ad altre provocazioni che la congiuntura contemporanea offre per la maturazione della fede, per una sua più profonda comprensione e per più adeguata comunicazione agli uomini di oggi. […] La prospettiva della bioetica globale, con la sua visione ampia e l’attenzione all’impatto dell’ambiente sulla vita e sulla salute, costituisce una notevole opportunità per approfondire la nuova alleanza del Vangelo e della creazione”. Ritorna il concetto di bioetica globale: mettiamo in secondo piano aborto, eutanasia, fecondazione artificiale, etc. e privilegiamo i temi sociali e ambientali.
La priorità del tema ecologista è comprovata da questi passaggi dove, addirittura, pare che l’ecologismo sia la fonte dei doveri morali: “Una nuova prospettiva etica universale, attenta ai temi del creato e della vita umana, è l’obiettivo al quale dobbiamo puntare sul piano culturale”. Curioso notare che il tema della vita umana viene dopo quella del creato. Forse perché la persona riceve valore dal fatto che è anch’essa creatura al pari di animali e piante? Pare, ma è solo un giudizio intuitivo, che la seguente affermazione, assai problematica per più motivi, vada in questa direzione: “La differenza [sic] della vita umana è un bene assoluto, degno di essere eticamente presidiato, prezioso per la cura di tutta la creazione”.
Un’altra prova che il registro dottrinale sui temi morali è mutato viene dal seguente periodo: “San Giovanni Paolo II registrava i gesti di accoglienza e di difesa della vita umana, il diffondersi di una sensibilità contraria alla guerra e alla pena di morte, una crescente attenzione alla qualità della vita e all’ecologia”. Dunque, tralasciando il fatto che citare in modo così parziale (ed anche partigiano) Giovanni Paolo II tradisce non poco il suo pensiero, pare che la difesa della vita umana sia strada percorribile solo se si è contrari alla guerra (anche a quella giusta?), alla pena di morte (anche a quella giusta?) e se ci si batte per la qualità della vita (che è sì un bene, ma non certo assoluto, altrimenti si spalancano le porte all’eutanasia, all’aborto e alla fecondazione extracorporea) e per l’ecologia.
In breve la lettera del Papa mette in luce due novità in tema di bioetica. Innanzitutto la PAV forse dovrebbe cambiare nome: non più Pontificia Accademia per la Vita, ma Pontificia Accademia per l’Esistenza. Infatti sembra che la persona umana vivente corredata di una propria dignità non rappresenti più il paradigma morale di riferimento per discernere il bene dal male e che sia stata sostituita dall’esistenza, ossia da una congerie di fatti e condizioni (l’immigrazione, la guerra, la fratellanza universale, il povero, l’anziano, il giovane, etc.) che diventano fonte da cui trarre i giudizi morali. Una impostazione antimetafisica perché rappresenta una declinazione teorica della cosiddetta fenomenologia etica: la prassi genera i principi etici. Schiacciato dunque sul piano orizzontale, l’uomo è essere vivente al pari degli altri esseri viventi e quindi i criteri di giudizio etico devono essere quelli dell’ecologismo.
In secondo luogo le tematiche classiche della bioetica si eclissano a favore di altri temi che nulla, o ben poco, hanno a che fare con la bioetica. Le motivazioni che soggiacciono a questa eclissi, in sintesi, possono essere le seguenti (qui per un’analisi un poco più approfondita). In primo luogo povertà, disagio sociale, ambiente etc. vengono ritenute materie più importanti di aborto ed eutanasia perché la giustizia sociale ha maggior peso della giustizia naturale. In secondo luogo le tematiche classiche bioetiche sono fortemente divisive, portano allo scontro e questo mal si concilia con una Chiesa intenta prevalentemente a gettare ponti e ad abbattere muri.

(Fonte: Tommaso Scandroglio, LNBQ, Editoriale, 6 gennaio 2019)
http://www.lanuovabq.it/it/meno-aborto-piu-ambiente-e-poveri-e-la-nuova-bioetica?fbclid=IwAR1S6T_WmHAPboc3cnU_r1W4_yS_NMaCbJr3IiyzGWKq1YR0SJqGLf0UsWY




I nuovi ‘funerali’ officiati da un laico sono contro Rito e Catechismo


Crea molti problemi la clamorosa decisione della Diocesi di Bolzano-Bressanone di far celebrare i funerali ai laici. Il primo, enorme, consiste nella progressiva “protestantizzazione” della Chiesa Cattolica, sostituendo ovunque sia possibile l’Eucarestia con le celebrazioni della Parola.
Si vorrebbe così rispondere alla carenza di sacerdoti, il cui numero viene presentato come «insufficiente» dal quotidiano della Cei, Avvenire, dello scorso 12 gennaio. Eppure, i dati del 2015 registrano in Diocesi 455 preti per 281 parrocchie, in pratica 2 ogni parrocchia. Rebus sic stantibus, non pare difficile trovarne uno disposto a celebrare le esequie dei cari estinti, volendolo… Lasciandosi, magari, sostituire dai laici in oratorio con i giovani, ma non al camposanto …
A far problema non è comunque tanto e neanche soprattutto questo. Avvenire specifica come ad ottobre, presso lo Studio Teologico Accademico di Bressanone, sia partito per 17 candidati un corso di formazione «intensiva» – in 16 appuntamenti da sei ore l’uno – su tematiche pastorali, bibliche, liturgiche, psicologiche e relazionali con tanto di «seminario aperto sullo specifico del rito in caso di cremazione». La conclusione è prevista a maggio, quando si dovrebbero tenere «i primi funerali – senza Eucarestia –». 5 degli iscritti sono diaconi permanenti, circa gli altri il quotidiano della Cei si affretta a rassicurare, che sono «in perfetta parità di genere, 6 uomini e 6 donne», caso mai qualcuno cominciasse a preoccuparsene, in ogni caso tutte «persone attive nella comunità parrocchiale». E subito il giornale precisa come tale iniziativa sia «già presente da tempo nel mondo austriaco e tedesco».
Avvenire stesso parla anzi di un precedente, svoltosi lo scorso ottobre addirittura nel Duomo di Bolzano, quando fu un laico, per la precisione «un animatore delle liturgie» in parrocchia, «a guidare la celebrazione della Parola su richiesta del decano don Bernhard Holzer».
Stanti così le cose, i problemi sono enormi, dato che il Catechismo della Chiesa Cattolica, al n. 1689, prevede espressamente: «Quando la celebrazione ha luogo in chiesa, l’Eucarestia è il cuore della realtà pasquale della morte cristiana. È allora che la Chiesa esprime la sua comunione efficace con il defunto: offrendo al Padre, nello Spirito Santo, il sacrificio della morte e della risurrezione di Cristo, gli chiede che il suo figlio sia purificato dai suoi peccati e dalle loro conseguenze e che sia ammesso alla pienezza pasquale della mensa del Regno». Ora, è evidente come tutto questo un laico non lo possa fare. E nemmeno un diacono permanente. Neppure dopo 96 ore di formazione. Perché il punto non è quanto siano bravi ed impegnati in parrocchia, né quanto abbiano studiato. Il fatto è che non sono sacerdoti. Ed, a questo, non c’è alternativa.
Prosegue il Catechismo, utilizzando peraltro espressioni facilmente rintracciabili anche nel Rito delle esequie: «È attraverso l’Eucarestia così celebrata che la comunità dei fedeli, specialmente la famiglia del defunto, impara a vivere in comunione con colui che “si è addormentato nel Signore”, comunicando al corpo di Cristo di cui egli è membro vivente e pregando poi per lui e con lui». Attraverso l’Eucarestia. Non in altro modo. Proprio quell’Eucarestia che, nel nuovo “funerale” guidato da un laico, è stata evidentemente tolta, cancellata, espulsa, privando il caro estinto, come si vede, dell’essenziale.
Allora, il fatto che vi sia già stato un precedente nel Duomo di Bolzano e che ve ne siano stati altri in Austria ed in Germania non conta alcunché. Tanti abusi vengono commessi in Austria ed in Germania, ma il fatto che siano avvenuti non basta a renderli leciti: restano abusi e non è il caso di seguirli. Né è questione di gusti o di sensibilità personali. Vi sono regole precise, criteri chiari e norme inequivocabili. È a quelle che tutti quanti devono attenersi. E non ad altro.

(Fonte: Corrispondenza Romana, 16 gennaio 2019)
https://www.corrispondenzaromana.it/notizie-brevi/i-nuovi-funerali-con-laico-son-contro-rito-e-catechismo/




“Grazie Francesco”. Da “tutti i massoni del mondo!”


È davvero pieno di entusiasmo e riconoscenza il messaggio che i massoni spagnoli hanno inviato a Francesco: «Tutti i massoni del mondo si uniscono alla richiesta del papa per “la fraternità tra persone di diverse religioni”».
Il testo è stato rilanciato in un tweet della Gran Logia de España, nel quale si sottolinea l’identità di vedute rispetto a quanto sostenuto da Francesco nel messaggio di Natale.
«Nel suo messaggio natalizio dalla loggia centrale del Vaticano – scrivono infatti i massoni del Grande Oriente Español – Papa Francesco ha chiesto il trionfo della fratellanza universale tra tutti gli esseri umani: “Il mio augurio di buon Natale è un augurio di fraternità. Fraternità tra persone di ogni nazione e cultura. Fraternità tra persone di idee diverse, ma capaci di rispettarsi e di ascoltare l’altro. Fraternità tra persone di diverse religioni. Gesù è venuto a rivelare il volto di Dio a tutti coloro che lo cercano. E il volto di Dio si è manifestato in un volto umano concreto. Non è apparso in un angelo, ma in un uomo, nato in un tempo e in un luogo. E così, con la sua incarnazione, il Figlio di Dio ci indica che la salvezza passa attraverso l’amore, l’accoglienza, il rispetto per questa nostra povera umanità che tutti condividiamo in una grande varietà di etnie, di lingue, di culture…, ma tutti fratelli in umanità! Allora le nostre differenze non sono un danno o un pericolo, sono una ricchezza. Come per un artista che vuole fare un mosaico: è meglio avere a disposizione tessere di molti colori, piuttosto che di pochi!”».
Nel mettere in evidenza con enfasi l’importanza dei concetti espressi da Francesco, la Gran Loggia di Spagna rileva: «Le parole del Papa mostrano la lontananza attuale della Chiesa dal contenuto di Humanum genus (1884), l’ultima grande condanna cattolica della massoneria».
Nell’enciclica Humanus genus in effetti il papa Leone XIII condannò senza mezzi termini la massoneria, stigmatizzando «il grand’errore moderno dell’indifferentismo religioso e della parità di tutti i culti», un atteggiamento che il pontefice dell’epoca definì «via opportunissima per annientare le religioni tutte, e segnatamente la cattolica che, unica vera, non può senz’enorme ingiustizia esser messa in un fascio con le altre».
Secondo i massoni spagnoli, il modo in cui il papa attuale condanna il fondamentalismo religioso e chiede fraternità e tolleranza avvicina la  Chiesa alla massoneria accomunandole nell’impegno per la fratellanza universale, al di là delle differenze in campo politico, culturale, nazionale e religioso.
L’attestato di stima nei confronti del papa da parte della massoneria fa notizia, ma non stupisce. Dopo Paolo VI, Jorge Mario Bergoglio (che dal 1999 è socio onorario del Rotary Club) è decisamente il papa più apprezzato dalla massoneria internazionale.
Mentre Giovanni Paolo II e Benedetto XVI furono duramente osteggiati dai massoni, il pontefice argentino ha ricevuto ripetuti elogi dalla massoneria, sia in Europa sia nelle Americhe. E certamente nuovi elogi arriveranno, dato che il papa si appresta a partecipare ad Abu Dahbi, all’inizio del prossimo febbraio, su invito dello sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, all’Incontro interreligioso internazionale sulla fratellanza umana, tema da sempre caro alla massoneria.
Pure dai massoni italiani nel corso del tempo sono arrivate espressioni di stima e simpatia nei confronti di Francesco. Anni fa, per esempio, Gustavo Raffi, all’epoca gran maestro del Grande Oriente d’Italia, disse a migliaia di fratelli riuniti a convegno: «Basterà volgere lo sguardo dentro quelle mura che separano l’Italia dal Vaticano per capire che qualcosa sta cambiando. Osserviamo con attenzione e rispetto come questo papa stia accelerando i tempi di un cambiamento epocale entro l’orizzonte di strutture tradizionalmente restie ad accogliere i fermenti di innovazione. E di riflesso il suo influsso si riverbera ben oltre i confini delle sagrestie».
Per chi volesse leggere l’Humanus genus di Leone XIII, enciclica del 20 aprile 1884 sulla «condanna del relativismo filosofico e morale della massoneria», ecco qui il testo.  Che si conclude, occorre ricordarlo, con una quadruplice, intensa invocazione: alla Vergine Maria perché, «contro le empie sette… dimostri la potenza sua», a «San Michele, principe dell’angelica milizia, debellatore del nemico infernale», a «San Giuseppe, sposo della Vergine Santissima, Celeste e salutare patrono della cattolica Chiesa», e ai «grandi Apostoli Pietro e Paolo, propagatori e difensori invitti della fede cristiana».

(Fonte: Aldo Maria Valli, 9 gennaio 2019)
https://www.aldomariavalli.it/2019/01/09/grazie-francesco-da-todos-los-masones-del-mundo/




lunedì 7 gennaio 2019

DECRETO SICUREZZA: Sull'immigrazione i vescovi hanno perso la testa


Sconcerto, rabbia, amarezza: difficile dire quale sia il sentimento dominante nel leggere la raffica di dichiarazioni di vescovi e cardinali italiani che pontificano sul decreto sicurezza.

Sconcerto, rabbia, amarezza: difficile dire quale sia il sentimento dominante nel leggere la raffica di dichiarazioni di vescovi e cardinali italiani che pontificano sul decreto sicurezza, ovviamente dando ragione ai sindaci ribelli e accusando il ministro dell’Interno Matteo Salvini di disumanità, nel migliore dei casi. A peggiorare la situazione poi, c’è il caso dei 49 migranti per i quali anche il Papa ieri ha lanciato un appello ai leader europei perché vengano accolti. Sono a bordo di due navi appartenenti a Ong, la Sea Watch e la Sea Eye, da 17 giorni al largo di Malta perché non vengono fatte attraccare.
Dal vescovo di Palermo, Corrado Lorefice, al presidente della Commissione migranti della Cei, Guerino di Tora, dal vescovo di Noto Antonio Staglianò (nella foto)  al cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, sembra ci sia una sola parola d’ordine: boicottare il decreto sicurezza, ribellarsi alla chiusura dei porti. Non si può non essere sconcertati nel notare una tale concentrazione di fuoco che almeno negli ultimi decenni non ha precedenti.  Non si è mai vista tanta mobilitazione neanche quando in discussione c’erano temi che rivoluzionano l’antropologia, vedi unioni civili e ideologia gender tanto per stare alle ultime vicende. Addirittura i vertici della Cei hanno cercato di fermare in tutti i modi il popolo dei Family Day. E ora, su temi ben più opinabili, come abbiamo ripetutamente spiegato, assistiamo a questo circo.
C’è anche rabbia perché in buona parte questi vescovi non sanno neanche di cosa stanno parlando: non conoscono il decreto sicurezza (sparano giudizi evidentemente dopo aver letto sbrigativamente qualche articolo di Repubblica o di Avvenire, che più o meno è la stessa cosa) e non conoscono neanche il catechismo (oppure lo conoscono, ma è roba del passato); parlano di obiezione di coscienza applicandola a materie sbagliate (clicca qui); si inventano nuove categorie cristiane per scomunicare quanti non odiano Salvini; addirittura il vescovo Staglianò, più a suo agio con le canzoni di Fabio Concato e Marco Mengoni che non con il catechismo, in una delirante intervista a Repubblica si inventa anche la categoria dei “cattolici convenzionali” (quelli che secondo lui sono contro l’accoglienza), sostenitori di una violenza satanica.
A nessuno di costoro passa per la mente almeno di confrontarsi con il semplice dato della realtà: nel 2018 le morti nel Mediterraneo - sono i dati ufficiali dell’Alto Commissariato per i rifugiati, pubblicati in questi giorni - sono più che dimezzate rispetto all’anno precedente (1.311 contro 2.872) grazie al fatto che sono state contenute le partenze dal Nord Africa (in Italia ci sono stati 23.371 sbarchi, quasi centomila in meno rispetto al 2017). E questo non solo non violando i diritti umani e non venendo meno al dovere di soccorrere le persone in mare, ma contribuendo alla lotta contro i trafficanti di uomini, visto che sono le grandi organizzazioni criminali quelle che gestiscono il traffico dai paesi africani al Mediterraneo.
E anche sulla vicenda dei 49 irregolari ancorati al largo di Malta ignorano che si tratta di una palese violazione delle regole da parte delle Ong, che hanno “rubato” gli immigrati alla guardia costiera libica per poter poi creare un caso politico, ricattando il nostro governo anche con l’aiuto di una Unione Europea che evidentemente ha deciso che l’Italia deve essere il campo profughi dell’Europa. A giocare sulla pelle di persone che sono state illuse e poi schiavizzate da bande di criminali sono queste Ong, non il governo italiano. Sarebbe ora che qualche vescovo scendesse dal pero e svelasse questa ipocrisia di falso umanitarismo.
Ma c’è anche una grande amarezza nel constatare come la gerarchia ecclesiastica stia riducendo la propria missione a politica, l’annuncio cristiano ad attività umanitarie. Sembra ormai esserci solo la dimensione orizzontale, l’affanno a riparare le cose del mondo che non vanno, oltretutto aderendo a criteri di giudizio mondani. Una gerarchia ecclesiastica che predica una liberazione politica, che propone una Chiesa ridotta al servizio di un’etica globale, cioè una Chiesa praticamente inutile.

(Fonte: Riccardo Cascioli, Editoriali LNBQ, 7 gennaio 2019)
http://lanuovabq.it/it/sullimmigrazione-i-vescovi-hanno-perso-la-testa?






venerdì 4 gennaio 2019

Il linguaggio di Francesco, volutamente impreciso


Nel giro di pochi giorni papa Francesco ha fatto tre affermazioni dal contenuto molto problematico. Dapprima ha detto che Maria non è nata santa. Poi ha detto che il cristianesimo è rivoluzionario. Infine, che è meglio essere atei piuttosto che andare in Chiesa e poi comportarsi male. Un linguaggio volutamente impreciso.

Nel giro di pochi giorni papa Francesco ha fatto tre affermazioni dal contenuto molto problematico. Dapprima ha detto che Maria non è nata santa ma lo è diventata perché santi non si nasce ma si diventa. Poi ha detto che il cristianesimo è rivoluzionario. Quindi ha affermato che è meglio essere atei piuttosto che andare in Chiesa e poi comportarsi male: “C’è gente che è capace di tessere preghiere atee, senza Dio, e lo fanno per essere ammirati dagli uomini. E quante volte vediamo lo scandalo di quelle persone che vanno in chiesa e stanno lì tutta la giornata o vanno tutti i giorni e poi vivono odiando gli altri o parlando male della gente! Meglio non andare in chiesa: vivi così, come se fossi ateo. Ma se tu vai in chiesa, vivi come figlio, come fratello e dà una vera testimonianza, non una contro-testimonianza”.
La prima affermazione chiama in causa la corretta interpretazione del dogma dell’immacolata concezione. La seconda si oppone agli insegnamenti di moltissimi pontefici che hanno insegnato l’incompatibilità tra il concetto di rivoluzione e la fede cristiana. La terza è un intrico di gravi questioni teologiche e pastorali che richiedono di essere decrittate tramite un fine lavoro di esegesi che però nessun fedele è in grado di fare. Da qui il “conflitto delle interpretazioni” e lo smarrimento di tanti che si attendono invece dal papa poche e chiare parole. A far confusione, dicono, ci pensiamo già noi.
La terza affermazione sugli atei e gli incoerenti frequentatori della messa è tra l’altro in contraddizione con altri insegnamenti dello stesso Francesco. E’ nota la discussa affermazione della Evangelii gaudium ripresa nella famosa nota 351 di Amoris laetitia secondo cui “l’Eucarestia non è un premio per i perfetti ma un aiuto per i deboli”. Ammesso che sia così, non si capisce perché sia meglio essere atei che andare in chiesa pur essendo cristiani incoerenti. La coerenza qui viene richiesta in modo assoluto, mentre in nome di una superiore misericordia ai divorziati risposati non si chiede più la coerenza di vivere come fratello e sorella secondo le indicazioni di Familiaris consortio 84.
In ogni caso, anche se esaminata in se stessa, la frase presenta delle oscurità teologiche. L’ateismo, quando è colpevole, un tempo era considerato un peccato. Oggi, di fatto, non è più così, perché si pensa che Dio si riveli in tutti gli uomini e quindi anche negli atei. E’ per questo che si concedono le chiese alle cattedre dei non credenti e si permette loro di insegnare (in chiesa) che Dio non esiste. L’ateismo è la situazione dell’uomo che consapevolmente rifiuta Dio. Come è possibile che tale situazione di vita sia preferibile a chi va in chiesa pur non riuscendo poi ad essere cristiano fino in fondo nella vita pratica? In questo modo la coerenza diventa il criterio di valutazione al posto del contenuto di verità. Un ateo coerente sarebbe preferibile ad un cristiano incoerente. Può essere corretto criticare l’ipocrisia, anche se oggi (siamo seri …) quanti vanno in chiesa tutti i giorni “per essere ammirati dagli uomini”?, ma è problematico indicare la coerenza dell’ateo come alternativa.
La frequenza con cui papa Francesco pronuncia frasi problematiche come queste conferma un significativo cambiamento del linguaggio pontificio su cui da tempo si concentrano studiosi e osservatori. L’esempio massimo di questo nuovo codice comunicativo è stata Amoris laetitia. Si tratta di un linguaggio volutamente impreciso, allusivo, evocativo, sfumato, volatile ed ondeggiante. Un linguaggio che propone domande senza risposta, contrapposizioni dialettiche senza sintesi, polarità senza combinazione e spesso usa frasi del tipo “sì...ma” dove il “ma” introduce non solo attenuanti ma eccezioni. E’ un linguaggio per immagini dalla problematica interpretazione teologica più che per concetti: la dottrina come pietre scagliate, la tradizione che non è un museo, il peccato chiamato fragilità, il confessionale che non deve essere sala di tortura … E’ un linguaggio che non chiude ma apre, non precisa ma pone domande, non conferma ma fa nascere dubbi. Un linguaggio “in tensione”, storico, biografico, esistenziale, dinamico, che procede per contrapposizioni e contraddizioni e che inquieta.
La questione principale davanti a questi evidenti cambiamenti su cui, come ripeto, sono stati già scritti libri e libri, è se dietro questo mutamento di linguaggio ci sia anche un mutamento nella concezione del papato stesso. Il linguaggio non è mai solo linguaggio. Quando si usano parole nuove per indicare le cose di prima vuol dire che è nata una nuova dottrina che le vede in modo diverso. Specularmente, se si vuole far nascere un nuovo modo di pensare bisogna parlare in modo diverso. In questo senso il linguaggio di papa Francesco è l’estremizzazione coerente del passaggio iniziato col Vaticano II dalla dottrina alla pastorale, dalla natura alla storia, dalla metafisica all’ermeneutica. E ciò non poteva non finire per riguardare anche il ruolo del papa nella Chiesa.

(Fonte: Stefano Fontana, LNBQ, Editoriale, 4 gennaio 2019)
http://www.lanuovabq.it/it/il-linguaggio-di-francesco-volutamente-impreciso