venerdì 28 febbraio 2014

Liturgia e rinnovamento: un punto di vista

“Hanno chiuso il Cielo” è il titolo dellEditoriale di Marzo 2014 del sito web "Radicati nella fede", che riportiamo integralmente.
«È la liturgia che si deve adattare al tempo degli uomini, o è il tempo degli uomini che deve prendere la forma della liturgia cattolica?
Ci sembra che la questione cruciale sia tutta qui.
Un cristianesimo “modernistico” che vede le verità di fede emergere dal profondo della coscienza degli uomini, vorrebbe che la liturgia prendesse le mosse dal vissuto antropologico, dalla vita degli uomini, per celebrare la consapevolezza umana del proprio rapporto con Dio. In fondo è stata questa la linea vincente di questi anni: la liturgia ha sempre di più celebrato l'uomo, anche quando ha celebrato la fede dell'uomo. Insomma, la liturgia si è adattata alla vita del tempo. Risultato? Una tragedia! Dio e le cose eterne praticamente scomparse dalle chiese, per far posto alla fede dei credenti, che esprimono, commentano, interpretano quello che loro vivono nei confronti di Dio. La liturgia riformata parla nel migliore dei casi della Chiesa, ma quasi mai di Dio. E quando parla della Chiesa, lo fa più secondo l'ottica di “Popolo di Dio in cammino” che come “Corpo Mistico di Cristo”.
E guardate che non stiamo parlando di quelle sfacciate para-liturgie tutte sociali e umanamente impegnate dei catto-comunisti degli anni '70... parliamo piuttosto di quelle liturgie, di quelle messe, che oggi vanno per la maggiore nell'ufficialità delle diocesi, dove si parla di fede, di comunità credente, di popolo attorno al suo vescovo; di liturgie che celebrano questa comunità, ma nelle quali non si adora Dio presente e non ci si inabissa nel mistero della redenzione. È una sorta di neomodernismo liturgico che ha superato la tentazione marxista del solo impegno del mondo, ma che parlando di fede si sofferma sui credenti, ma non arriva mai a Dio, a Nostro Signore, alle verità eterne, alla questione della salvezza. È come se ci si fosse accorti che non si poteva andare avanti, come anni fa, in un cristianesimo orizzontale, e si è così approdati all'impegno sociale ecclesiale, per edificare la comunità dei credenti. In ogni caso l'errore è sempre lo stesso: partire dall'uomo e chiudere il Cielo.
Ma l'uomo ha proprio bisogno di questa auto-celebrazione della propria fede, o non è fatto piuttosto per inabissarsi in Dio?
No, la liturgia cattolica è cosa totalmente diversa: è l'irruzione del Cielo sulla terra ed è la porta aperta tra il Cielo e la terra!
Se volete tentiamo di dare due eloquenti immagini contrapposte, che dicono due concezioni diverse, molto diverse del culto: quella di un semplice prete che in una delle tante chiese sparse nell'orbe cattolico celebra, nella quiete della preghiera, rivolto al Crocifisso, l'eterno sacrificio che salva le anime, assistito dalla orante e adorante attenzione dei fedeli, e quella di una rumorosa e festosa comunità, che andando alla messa è preoccupata di “fare comunità esprimendo i propri carismi” (in verità facendo qualcosa perché nelle nuove messe mal si sopporta lo stare fermi) e di mettersi al passo con le direttive dell'operatore pastorale... e che in ultimo farà certo anche la comunione. Sono due concezioni opposte, inconciliabili. Una, quella tradizionale, fa spazio all'azione di Dio, l'altra si sofferma... ma forse, osiamo dire, si ferma all'azione della comunità!
Vedete, le verità di fede non nascono dalla coscienza profonda degli uomini, dal vissuto della comunità che reinterpreta il proprio vissuto alla luce di Dio, ma sono comunicate dalla reale rivelazione di Dio che la Chiesa custodisce e trasmette: la rivelazione discende dal Cielo, non germoglia dalla terra come vorrebbero i modernisti. Così la liturgia porta il Cielo in terra e porta la terra al Cielo. É azione di Dio innanzitutto, e non primariamente azione della Chiesa. La Chiesa riceve l'azione di Dio, la custodisce, la esprime utilizzando certamente tutte le possibilità umane adeguate; salvaguardia la liturgia dalle modifiche errate che possono confondere l'opera di Dio e la trasmette fedelmente custodendola, perché il Cielo resti aperto sugli uomini.
Tutti, praticamente tutti, quando si parla di Movimento Liturgico amano rifarsi a dom Guéranger, il grande abate benedettino che rifondò il monachesimo in Francia dopo la tempesta rivoluzionaria. Con lui si dà inizio al Movimento Liturgico, cioè a quella rinascita dello spirito cristiano che dalla liturgia prende le mosse. Autore prolifico, pensiamo all'Anno Liturgico da lui pubblicato ma non solo, partecipe di tutti i drammi e le battaglie della Chiesa del XIX secolo, ascoltato consigliere di Pio IX... fondatore dell'abbazia di Solesmes.
Ma cosa voleva veramente dom Guéranger? E cosa chiedeva San Pio X, riprendendo con autorevolezza il lavoro del grande benedettino e dando così nuovo vigore proprio al Movimento Liturgico? Volevano che il popolo avesse l'intelligenza delle cose divine (che capisse la liturgia della Chiesa), perché queste penetrassero di nuovo la vita del popolo cristiano. Volevano una grande opera di educazione perché le cose del Cielo tornassero a dare forma alla vita degli uomini.
Ma citiamo dom Guéranger: “I misteri del grande sacrificio, dei sacramenti, dei sacramentali, le fasi del ciclo cristiano così feconde in grazia e in luce, le cerimonie, questa lingua sublime che la Chiesa parla a Dio davanti agli uomini; in una parola tutte queste meraviglie torneranno familiari al popolo fedele. L’istruzione cattolica sarà ancora per le masse il grande e sublime interesse che dominerà tutti gli altri; e il mondo tornerà a comprendere che la religione è il primo dei beni per l’individuo, la famiglia, la città, la nazione e per la razza umana tutta intera” (Institutions liturgiques - seconda ediz., t. III cap. 1, pag. 13).
Guéranger, e con lui Pio X con la sua troppo mal citata “partecipazione attiva”, volevano l'esatto contrario di quello che si è fatto dal Concilio in poi. Nel post-concilio la liturgia è stata trasformata per aderire alla vita degli uomini, la Chiesa nel passato ha invece sempre desiderato che la vita degli uomini prendesse forma dalla liturgia cattolica.
Non volevano un abbassamento della liturgia alla vita meramente naturale degli uomini, ma volevano un innalzamento del popolo ai sublimi misteri.
Cosa se ne fa un uomo di una liturgia che gli parla solo delle sue speranze e delle sue fatiche, che gli parla del suo “senso religioso”, ma che non gli parla mai del Cielo? E’ su questo equivoco che tragicamente è fallito il Movimento Liturgico.
Occorre tornare a Guéranger e al vero San Pio X. Ma, a quando questo ritorno?»

(Fonte: “Hanno chiuso il Cielo”, Editoriale marzo 2014, in www.Radicati nella fede)

Ecco il vescovo ideale secondo Papa Francesco

È passata un po’ in sordina, ma l’udienza concessa ieri mattina dal Papa alla congregazione per i Vescovi è destinata a rappresentare una delle pietre miliari capaci di indicare il modello del vescovo ideale immaginato da Francesco.
Quello fornito ai membri del dicastero presieduto dal prefetto Marc Ouellet (in carica dal 2010 e confermato da Bergoglio) è una sorta di manuale che istruisce circa la scelta dei pastori da mandare in giro per il mondo. Il linguaggio del Pontefice è a tratti duro e come finora sempre accaduto è privo di perifrasi e circonlocuzioni. Innanzitutto, spiega il Papa, “non esiste un pastore standard per tutte le chiese. Cristo conosce la singolarità del pastore che ogni chiesa richiede perché risponda ai suoi bisogni e la aiuti a realizzare le sue potenzialità. La nostra sfida è entrare nella prospettiva di Cristo, tenendo conto di questa singolarità delle chiese particolari”.
“Rinuncia e sacrificio sono connaturali alla missione episcopale”
Il “criterio essenziale per tratteggiare il volto dei vescovi che vogliamo avere”, ha aggiunto Francesco, deriva dal momento in cui la chiesa apostolica è chiamata a ricomporre il Collegio dei dodici dopo il tradimento di Giuda. Il successore, sottolinea il Papa, “va cercato tra chi ha seguito fin dagli inizi il percorso di Gesù e ora può diventare insieme ai dodici un testimone della risurrezione. C’è bisogno di selezionare  tra i seguaci di Gesù i testimoni del Risorto”. Ma come individuare tali testimoni? Il vescovo, ha detto il Pontefice, “è colui che sa rendere attuale tutto quanto è accaduto a Gesù e soprattutto sa, insieme con la chiesa, farsi testimone della sua Risurrezione. Il vescovo è un martire del Risorto” e “non un testimone isolato ma insieme con la chiesa”. Fondamentale è che “la sua vita e il suo ministero” rendano “credibile la Risurrezione”. Inoltre, “la rinuncia e il sacrificio sono connaturali alla missione episcopale” – frase che Francesco ha ripetuto due volte. “L’episcopato – ha aggiunto – non è per sé ma per la chiesa, per il gregge, per gli altri, soprattutto per quelli che secondo il mondo sono da scartare”.
I requisiti che deve avere un Vescovo
Da ciò deriva che “per individuare un vescovo non serve la contabilità delle doti umane, intellettuali, culturali e nemmeno pastorali”, in quanto “il profilo di un vescovo non è la somma algebrica delle sue virtù”. Menzionando i requisiti essenziali, il Papa parla di “integrità umana che assicura la capacità di relazioni sane ed equilibrate”, di “comportamento retto che attesta la misura alta dei discepoli del Signore”, di “preparazione culturale che permette di dialogare con gli uomini e le loro culture”, di “ortodossia e fedeltà alla Verità intera custodita dalla chiesa che rende (il candidato, ndr) una colonna e un punto di riferimento”, di “disciplina interiore ed esteriore che consente il possesso di sé e apre spazio per l’accoglienza e la guida degli altri”. Infine, gli ultimi due requisiti sono la “capacità di governare con paterna fermezza”, che “garantisce la sicurezza dell’autorità che aiuta a crescere” e “la trasparenza e il distacco nell’amministrare i beni della comunità”.
“Il pastore sia custode della dottrina, orante e paziente”
Francesco ha poi ribadito ancora una volta che “abbiamo bisogno di vescovo kerigmatici”, uomini custodi della dottrina non per misurare quanto il mondo viva distante dalla verità che essa contiene, ma per affascinare il mondo, per incantarlo con la bellezza dell’amore, per sedurlo con l’offerta della libertà donata dal Vangelo”. Kerigmatici ma anche oranti, “uomini di preghiera” e “pazienti, come il cardinale Siri soleva ripetere”.
“La chiesa non ha bisogno di crociati delle proprie battaglie”
Ma l’attacco più duro il Papa l’ha lanciato quando ha sottolineato che “la chiesa non ha bisogno di apologeti delle proprie cause né di crociati delle proprie battaglie, ma di seminatori umili e fiduciosi della verità, che sanno che essa è sempre loro di nuovo consegnata e si fidano della sua potenza”. E’ importante, poi, “ribadire che la missione del vescovo esige assiduità e quotidianità, ha detto Francesco: “Io penso che in questo tempo di incontri e di convegni è tanto attuale il decreto di residenza del Concilio di Trento: è tanto attuale e sarebbe bello che la congregazione dei Vescovi scrivesse qualcosa su questo. Al gregge serve trovare spazio nel cuore del pastore”.

(Fonte: Matteo Matzuzzi, Formiche, 28 febbraio 2014)

La scuola in famiglia, si può fare

Uno degli ambiti in cui avanza, “nel silenzio”, quella che Mons. Luigi Negri chiama la “dittatura del politicamente e culturalmente corretto”, è certamente quello della scuola statale, dove all’ideologia che tende a massificare e a non valorizzare l’identità della persona, si aggiunge negli ultimi tempi l’indottrinamento che vuole inculcare nei bambini valori anti-umani, come quello del gender.
«Un modo per dare ai bambini e agli adolescenti la libertà che deriva dall’educazione cattolica – ci dice Maria Bonaretti, coordinatrice didattica delle scuole che a Reggio Emilia e nei paesi vicini fanno capo al Movimento Familiaris Consortio – è quello dell’istruzione familiare, basata sui principi del coinvolgimento delle famiglie, della personalizzazione dell’insegnamento e della libertà educativa».
Esiste dal 1983 a Sant’Ilario d’Enza, in provincia di Reggio Emilia, una scuola primaria voluta dalle famiglie del movimento ecclesiale Familiaris Consortio, che riunisce famiglie, giovani, sacerdoti e consacrati animati dal desiderio di vivere e testimoniare la Chiesa come Comunione e come “famiglia di Dio”. Il movimento ecclesiale nacque grazie dall’attività pastorale di Don Pietro Margini, per molti anni parroco a Sant´Ilario, dove morì l´8 gennaio 1990. La Cooperativa sociale don Pietro Margini gestisce la scuola primaria di Sant’Ilario, una scuola secondaria di primo grado, nata nel 1988 a Sant’Ilario e nel 2013 a Reggio Emilia e il Liceo scientifico paritario “San Gregorio Magno”, evoluzione dell’istituto magistrale attivo dal 1981. Dallo scorso mese di settembre, un’altra scuola media è stata fondata a Reggio. Sono tutte esperienze fondate sull’“istruzione familiare”, che è molto diffusa negli altri Paesi, specialmente in Francia e negli Stati Uniti, ma la cui idea, piano piano, sta prendendo corpo anche da noi, con molte esperienze homeschooling.
«Nel 1983 – afferma Maria Bonaretti – un gruppo di genitori della parrocchia di Sant´Eulalia in Sant´Ilario d´Enza, si trova ad avere un buon numero di figli (14 bambini/e) da iscrivere alla classe prima della scuola elementare. Sostenuti ed accompagnanti da don Pietro Margini decidono non di ‘scegliere una scuola’ ma di ‘fare una scuola’. Scoprono che la legge prevede l´istruzione paterna, nella quale i genitori si fanno carico dell´istruzione e dell´educazione dei loro figli. Chiedono ad un´insegnante, che proprio quell’anno è andata in pensione, di ripartire a settembre per questa nuova avventura. Come locali utilizzano una stanza dell´oratorio adibita ad aula. Tutti i genitori degli alunni collaborano e si adoperano, a vario titolo per ‘fare la scuola’ per i loro figli. Negli anni successivi si prosegue in modo continuativo con nuove classi e nel 1988, quando la prima classe finisce il ciclo delle elementari, si dà inizio alla "scuola" media secondo le stesse modalità».
Lei dice che i genitori scoprirono che la legge prevede l’istruzione paterna. Per coloro che non ne fossero a conoscenza, può dirci dov’è sancito questo diritto? L´istruzione paterna fonda la sua legittimità negli articoli 30-33-34 della Costituzione. Da quelle norme, appare evidente che sono i genitori ad avere la responsabilità di provvedere all´istruzione del figlio (anche tramite scuole private o insegnanti privati), e qualora questi non se ne possano occupare direttamente, allora provvederà lo Stato in loro vece.
In base all’art.2 del decreto legislativo 297/94, “I genitori dell´obbligato o chi ne fa le veci che intendano provvedere privatamente o direttamente all´istruzione dell´obbligato devono dimostrare di averne la capacità tecnica od economica e darne comunicazione anno per anno alla competente autorità". I genitori che fanno questa scelta devono confermarla anno per anno e questa conferma periodica è finalizzata a consentire alla competente autorità di disporre le verifiche necessarie per quanto riguarda la capacità (soprattutto tecnica) del richiedente. Occorre darne comunicazione alla direzione didattica di competenza ogni anno per l´anno successivo, attraverso un modulo consegnato a mano o con raccomandata con ricevuta di ritorno, entro il mese di gennaio/febbraio precedente l´inizio effettivo della scuola. Gli alunni che seguono l´istruzione paterna (così come quelli che frequentano scuole non paritarie) possono chiedere di essere ammessi come "privatisti" agli esami di idoneità dalle varie classi previste dall´ordinamento. Per quanto riguarda la fornitura dei libri di testo agli alunni della scuola primaria la Corte Costituzionale con il decreto 454 del 1994 sancisce che la fornitura dei libri di testo è strettamente connessa con l´obbligo scolastico e, poiché tale obbligo per legge può essere adempiuto anche tramite modalità diverse alla frequenza presso scuole statali, paritarie o private, sarebbe discriminatorio e lesivo dell´art. 3 della Costituzione il non fornire gratuitamente libri di testo a tutti coloro che devono assolvere l´obbligo scolastico, indipendentemente dalla modalità con il quale intendono assolverlo.
«Uno dei connotati più belli della nostra esperienza – sostiene Maria Bonaretti – è il coinvolgimento diretto dei genitori, secondo le loro competenze, nella cura della scuola e nel suo funzionamento (c’è chi si dedica alle pulizie, chi si occupa del giardino, ecc., noi lo chiediamo espressamente a tutti i genitori) e nell’istruzione dei loro figli. In prima elementare, trascorrono molte ore con i loro bambini, adoperandosi fattivamente per dare continuità educativa a quella impartita nell’ambito familiare. I bambini percepiscono direttamente quale importanza ha per i loro genitori, l’istruzione scolastica».
Gli insegnanti sono tutti genitori dei bambini? «Molti di loro lo sono. Altri si affiancano ai veri e propri insegnanti, la maggior parte dei quali sono volontari. Tutti tendono all’affermazione di un bene primario: la valorizzazione della personalità individuale». I bambini, alla fine di ogni anno, devono sostenere un esame di ammissione all’anno successivo. Non è un trauma per loro? «Nient’affatto. È una modalità prevista dall’ordinamento, che consente ai nostri alunni di acquisire sin da subito il senso della responsabilità di quel che fanno e che soprattutto favorisce una loro preparazione di alto livello». Qual è la differenza fondamentale con le scuole “normali”? «L’istruzione familiare risponde innanzitutto al convincimento che i primi educatori dei bambini sono i genitori, che hanno un dialogo costante con gli insegnanti o sono loro stessi insegnanti. Il progetto educativo è affidato alla comunità formata da genitori e famiglie, insegnanti, personale ausiliario e da tutti coloro che condividono le sue finalità, che sono quelle di preservare la dignità della persona; la maturazione culturale specifica e organica di ogni disciplina; l’educazione all’amicizia e alla vita comunitaria di ispirazione cristiana».

(Fonte: Danilo Quinto, La nuova Bussola quotidiana, 14 febbraio 2014)

venerdì 21 febbraio 2014

Il doppio gioco del diavolo, pro e contro papa Francesco

A quasi un anno dall'elezione a papa, la popolarità di Francesco continua la sua marcia trionfale. Ma lui stesso è il primo a non volersi fidare degli applausi che gli arrivano dalle tribune anche più inaspettate e lontane.
Ad esempio la copertina che gli ha dedicato la rivista "Rolling Stone", un'incoronazione in piena regola dal tempio della cultura pop.
Oppure l'encomio che il rapporto del comitato dell'ONU per i diritti dei fanciulli ha tributato al famoso "Chi sono io per giudicare?" detto da papa Francesco, unico risparmiato in una Chiesa cattolica contro cui nello stesso rapporto si dice il peggio del peggio.
Nelle sue prime omelie mattutine da papa, Jorge Mario Bergoglio nominava spesso il diavolo. E anche questo suo dire piaceva, faceva tenerezza.
Ma una mattina, era il 19 novembre, invece che col diavolo egli se la prese col "pensiero unico frutto della mondanità", che tutto vuole sottomettere a "uniformità egemonica". Un pensiero unico, proseguì, che già domina il mondo e legalizza anche "le condanne a morte", anche "i sacrifici umani" con tanto di "leggi che li proteggono". E citò uno dei suoi romanzi preferiti, l'apocalittico "Il padrone del mondo" di Robert H. Benson.
Quando ai primi di questo mese di febbraio ha sfogliato le sedici pagine del rapporto dell'ONU, che perentoriamente ingiungono alla Chiesa cattolica di "correggere" la sua dottrina sull'aborto, sulla famiglia, sul sesso, Francesco dev'essersi ancor più convinto che i fatti gli stavano dando ragione, che il principe di questo mondo era davvero all'opera e voleva associare persino lui, il papa, adulando le sue decantate "aperture", all'impresa di uniformare la Chiesa al pensiero egemone, per annientarla.
Non è facile entrare nella mente di papa Bergoglio. Le sue parole sono come tessere di un mosaico di cui però non appare immediatamente il disegno. Dice cose anche forti, anche aspre, ma mai nel momento in cui potrebbero generare conflitto.
Avesse pronunciato quella sua tremenda omelia contro il pensiero unico che vuole egemonizzare il mondo il giorno dopo la pubblicazione del rapporto dell'ONU e in esplicita risposta ad esso, l'evento sarebbe entrato tra le "breaking news" dell'informazione mondiale. Ma così non è stato. Detta in una data qualunque, quella stessa omelia non provocò il minimo sconquasso. Fu ignorata.
Eppure è proprio lì che va letto il pensiero recondito del papa gesuita, il suo giudizio sull'epoca presente del mondo.
"Il parere della Chiesa lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa", dice e ridice Francesco. Il suo pensiero è lo stesso che è scritto nel catechismo. E qualche volta lo ricorda polemicamente a chi si aspetta da lui un cambio di dottrina, come nel passaggio meno citato della sua "Evangelii gaudium", dove ha parole durissime contro il "diritto" d'aborto.
Ma mai che proclami a voce alta la dottrina della Chiesa sui punti e nei momenti in cui lo scontro si fa incandescente.
Ha taciuto ora che in Belgio è stata consentita per legge l'eutanasia dei bambini. Si tiene appartato dai milioni di cittadini di ogni fede che in Francia e in altri paesi si oppongono alla dissoluzione dell'idea di famiglia fatta di padre, madre e figli. È restato in silenzio dopo l'inaudito affronto del rapporto dell'ONU.
Con ciò egli si prefigge di spuntare le armi al nemico. Di sconfiggerlo con la popolarità immensa della sua figura di pastore della misericordia di Dio.
C'è un attacco alla Chiesa di tipo giacobino, in Francia e altrove, che semplicemente la vuole estromettere dal consorzio civile.
Ma c'è anche un attacco più sottile, che si ammanta di consenso a una Chiesa rifatta nuova, aggiornata, al passo con i tempi. C'è anche questo nella popolarità di Francesco, un papa "come mai prima ce n'erano stati", finalmente "uno di noi", modellato col copia e incolla di sue frasi aperte, polivalenti.
Contro il suo predecessore Benedetto XVI questa astuzia mondana non poteva essere esercitata. Lui, il mite, preferiva il conflitto in campo aperto, col coraggio del sì sì no no, "opportune et importune", come a Ratisbona, quando tolse il velo alle radici teologiche del legame tra fede e violenza nell'islam, e poi ancora sulle questioni "non negoziabili". Per questo il mondo fu così feroce con lui.
Con Francesco è diverso. Altra partita. Ma nemmeno lui sa come il gioco proseguirà, ora che si fa più duro.

(Fonte: Sandro Magister, www.chiesa, 21 febbraio 2014)

mercoledì 19 febbraio 2014

E Vladimiro Guadagno non divenne martire

Ci ha provato Vladimiro Guadagno, ci ha provato in ogni modo, ma non ce l’ha fatta, non è diventato un martire.
Vladimiro Guadagno, detto Vladimir Luxuria come era scritto sul suo volantino elettorale, è andato a Sochi portando con sé una bandiera arcobaleno con scritto in russo “è ok essere gay”. Facendosi poi fotografare e twittare lo scatto commentando “Sono a Sochi! Saluti con i colori della rainbow, alla faccia di Putin!”
Ovviamente è stato fermato dalla polizia locale e subito si è cercato di montare il caso.
“Vladimir Luxuria e’ stata fermata a Sochi – rendeva noto ieri Flavio Romani, presidente dell’Arcigay-Associazione Lgbt italiana, riferendo di aver ricevuto una telefonata da Luxuria – I russi devono lasciarla libera subito. ll suo fermo conferma che la legge contro la propaganda gay è una legge infame, non c’é alcun motivo per non esporre una bandiera rainbow con la scritta ‘essere gay va bene’’”. Poi, come se non bastasse anche Imma Battaglia, presidente onorario di Gay Project, rendeva noto di aver ricevuto una telefonata analoga da Vladimir Luxuria. “É stata arrestata dalla polizia a Sochi mentre assisteva alle Olimpiadi con una bandiera con la scritta in russo ‘Gay è ok’. L’atteggiamento degli agenti é stato brutale e aggressivo. Nessuno parla inglese. Ora si trova da sola in una stanza con luci al neon sulla faccia, presumibilmente in stato di fermo. Chiediamo un intervento immediato del ministro Bonino”.
Quindi Guadagno, dopo essere stato arrestato dalla polizia russa, da quei tremendi cattivoni che ce l’hanno a morte coi gay, è riuscito a telefonare praticamente a mezzo mondo per dichiarare che l’avevano arrestato.
E invece? E invece si era tratto di un semplice controllo di documenti (e per la cronaca sulla sua carta d’identità c’è scritto Vladimiro Guadagno). Niente luci puntate in faccia, niente arresti violenti. Nulla.
Come se non bastasse il suo allarmismo vittimistico ha fatto sì che si attivasse anche l’unità di crisi della Farnesina! Che magari qualcosa di più importante da fare l’avrebbe anche.
Vedi Vladimiro, se vai in un Paese serio a provacare una reazione è ovvio che qualcosa accada. Non siamo in Italia. Solo che le tue sparanze di diventare martire e immolarti per la causa gay non hanno funzionato. Perchè la Russia si è dimostrata, ancora una volta, una Nazione seria, che non perde tempo con i provocatori e dà loro il giusto peso. Nessuno.

(Fonte: Qelsi.it, Silvia Cirocchi, 17 febbraio 2014)

domenica 16 febbraio 2014

Sanremo blasfemo e gay, diffida al Festival

Il Festival della Canzone Italiana, la celebre kermesse canora che si svolge a Sanremo dal 1951, sta diventando sempre più una vetrina mediatica della propaganda omosessualista. L’anno scorso fu la volta del bacio gay scambiato sul palco tra due uomini. Quello che allora fece scandalo sulla stampa, però, non fu il bacio proibito ma la reazione, giustamente indignata, del senatore Giovanardi, bollato come omofobo e linciato dalla stampa progressista.
Poiché l’avanzata ideologica LGBT non conosce limiti, la 64ma edizione del Festival, quest’anno, pare intenda superare il limite della decenza. Con particolare orgoglio e convinto entusiasmo è stata, infatti, annunciata la presenza, quale gradito ospite straniero, del controverso cantante Rufus Wainwright, fervente detrattore della Chiesa Cattolica e difensore dei diritti LGBT, nonché promotore del matrimonio omosessuale e del commercio di bambini, tramite utero in affitto, destinati alle famiglie “arcobaleno”. Lui stesso il 2 febbraio 2011 ha annunciato la nascita della piccola Viva Katherine, concepita tramite utero in affitto e cresciuta da lui e dal suo compagno.
Rufus Wainawright è noto, tra l’altro, per l’esecuzione di testi osceni e dissacratori come il celebre “Gay Messiah” (che canta scimmiottando in maniera blasfema Gesù Cristo crocefisso), in cui si parla del «Messia che risusciterà da un film porno degli anni ‘70», del «Battista» che «non viene battezzato nello sperma», e di altre allusioni erotiche di natura blasfema. Quel testo integra palesemente il reato di offese ad una confessione religiosa mediante il vilipendio di persone, previsto e punito dall’art.403 del Codice Penale.
Occorre, peraltro, ricordare, che ai sensi dell’art. 25, primo comma, del Regolamento del Festival «gli artisti durante le loro esibizioni non potranno assumere atteggiamenti e movenze o usare abbigliamenti e acconciature in contrasto con i principi del buon costume ovvero in violazione di norme di legge o di diritti anche di terzi». Spetta agli organizzatori del Festival, ed in particolare alla Direzione Artistica, al Comitato di Controllo e alla Commissione Musicale, il compito di vigilare e controllare il puntuale rispetto della citata norma regolamentare. Nell’esercizio di tale delicata funzione di controllo non può non tenersi conto anche della sensibilità religiosa di milioni di telespettatori e della natura di servizio pubblico che riveste la rete emittente.
Per tutti questi motivi, i Giuristi per la vita hanno notificato una diffida, indirizzata agli organizzatori del 64° Festival della Canzone Italiana, al Presidente della Rai, alla Commissione Parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, e al Sindaco del Comune di Sanremo.
In quell’atto si sono invitati gli organizzatori del Festival ad esaminare attentamente il testo dei brani che gli artisti – ed in particolare Rufus Wainwright – eseguiranno, vigilando affinché negli stessi testi non si ravvisi alcun contenuto osceno o dissacratorio, in violazione di quanto disposto dal citato art. 25 del Regolamento. Si sono, inoltre, diffidati gli stessi organizzatori, ed in particolare la Direzione Artistica, il Comitato di Controllo e la Commissione Musicale, dall’autorizzare o consentire che il cantante Rufus Wainwright si esibisca utilizzando il controverso brano intitolato “Gay Messiah”, o altro brano dall’identico contenuto osceno e dissacratorio, avvertendo che, in difetto, agiranno giudizialmente contro tutti i responsabili, sia in sede civile (anche attraverso class action, azioni risarcitorie ed ogni altra iniziativa ritenuta utile), sia in sede penale, mediante denuncia alla competente Procura della Repubblica.
Vediamo se la diffida avrà qualche effetto. In caso contrario, saremo costretti a subire l’ennesimo oltraggio blasfemo in salsa gay, con la beffa che tutto ciò avverrà in una rete televisiva pubblica e a spese dei contribuenti. Questa volta, però, l’eventuale offesa dissacratoria non resterà priva di effetti. Gli organizzatori del Festival sono avvisati.

(Fonte: Gianfranco Amato, La Nuova Bussola Quotidiana, 15 febbraio 2014)

giovedì 13 febbraio 2014

Perché l'Eucarestia ci cambia la vita

Nell’udienza generale del 12 febbraio 2014 Papa Francesco ha continuato il ciclo di catechesi sui sacramenti, riprendendo il tema – già affrontato nell’udienza precedente – dell’Eucarestia. Se il 5 febbraio il Papa aveva parlato della natura del sacramento, il 12 febbraio ha proposto una meditazione sui suoi frutti nella vita dei fedeli. «Quando andiamo a Messa la domenica, come la viviamo? È solo un momento di festa, è una tradizione consolidata, è un’occasione per ritrovarsi o per sentirsi a posto, oppure è qualcosa di più?».
Ci sono, ha detto il Pontefice, tre «segnali molto concreti» per capire se l’Eucarestia ci cambia davvero la vita. Se non la cambia, di solito è segno che non abbiamo capito bene di che si tratta, e che siamo vittima di dottrine errate, che riducono l’Eucarestia a una semplice commemorazione e che purtroppo si vanno diffondendo anche tra tanti cattolici.
Il primo segnale è se ci sentiamo più aperti e disponibili verso gli altri. «Nell’Eucaristia Cristo attua sempre nuovamente il dono di sé che ha fatto sulla Croce. Tutta la sua vita è un atto di totale condivisione di sé per amore». L’Eucarestia dove Gesù si dona a noi ci chiede di imparare a donare noi stessi agli altri.
Ma in concreto è così? L’Eucarestia «fa crescere in me la capacità di gioire con chi gioisce e di piangere con chi piange? Mi spinge ad andare verso i poveri, i malati, gli emarginati? Mi aiuta a riconoscere in loro il volto di Gesù?». Certo, «tutti noi andiamo a Messa perché amiamo Gesù e vogliamo condividere, nell’Eucaristia, la sua passione e la sua risurrezione». È una cosa buona, ed è il punto di partenza di tutto. Ma occorre portare l’amore di Gesù anche a chi è lontano dalla Chiesa, a chi soffre per tante forme di povertà oggi aggravate dalla crisi economica e talora da calamità naturali – il Pontefice ha fatto cenno alle piogge torrenziali a Roma –, a chi a diverso titolo è disperato. «Mi domando – ha detto il Papa –, e ognuno di noi si domandi: Io che vado a Messa, come vivo questo? Mi preoccupo di aiutare, di avvicinarmi, di pregare per coloro che hanno questo problema? Oppure sono un po’ indifferente? O forse mi preoccupo di chiacchierare: Hai visto com’è vestita quella, o come com’è vestito quello? A volte si fa questo, dopo la Messa, e non si deve fare! Dobbiamo preoccuparci dei nostri fratelli e delle nostre sorelle che hanno bisogno a causa di una malattia, di un problema».
Il secondo indizio che mostra che l’Eucarestia ci ha trasformato è «la grazia di sentirsi perdonati e pronti a perdonare. A volte qualcuno chiede: “Perché si dovrebbe andare in chiesa, visto che chi partecipa abitualmente alla Santa Messa è peccatore come gli altri?”.
Quante volte lo abbiamo sentito! In realtà, chi celebra l’Eucaristia non lo fa perché si ritiene o vuole apparire migliore degli altri, ma proprio perché si riconosce sempre bisognoso di essere accolto e rigenerato dalla misericordia di Dio, fatta carne in Gesù Cristo». Anzi: chi «non si sente bisognoso della misericordia di Dio, non si sente peccatore, è meglio che non vada a Messa! Noi andiamo a Messa perché siamo peccatori e vogliamo ricevere il perdono di Dio, partecipare alla redenzione di Gesù, al suo perdono».
Nel rito della Messa è incluso il «Confiteor»: «Confesso a Dio Onnipotente…». «Quel “Confesso” che diciamo all’inizio non è un “pro forma”, è un vero atto di penitenza! Io sono peccatore e lo confesso, così comincia la Messa!». Non andiamo a Messa per vantarci di essere giusti, come il fariseo del Vangelo, ma «umilmente, come peccatori»: e solo allora, dopo che abbiamo riconosciuto il nostro peccato, «il Signore ci riconcilia».
Un terzo indizio per valutare se l’Eucarestia ha portato frutto è il «rapporto tra la celebrazione eucaristica e la vita delle nostre comunità cristiane». Purtroppo anche tra molti cattolici si è diffusa l’erronea opinione che l’Eucarestia sia un semplice ricordo di un dramma avvenuto sul Calvario tanti secoli fa. Non è così: quel dramma si ripete a ogni consacrazione, su ogni altare. Si ripete realmente, non solo simbolicamente. «Bisogna sempre tenere presente che l’Eucaristia non è qualcosa che facciamo noi; non è una nostra commemorazione di quello che Gesù ha detto e fatto. No. È proprio un’azione di Cristo! È Cristo che lì agisce, che è sull’altare. E’ un dono di Cristo, il quale si rende presente e ci raccoglie attorno a sé». Se non crediamo questo, «una celebrazione può risultare anche impeccabile dal punto di vista esteriore, bellissima, ma se non ci conduce all’incontro con Gesù Cristo, rischia di non portare alcun nutrimento al nostro cuore e alla nostra vita. Attraverso l’Eucaristia, invece, Cristo vuole entrare nella nostra esistenza e permearla della sua grazia, così che in ogni comunità cristiana ci sia coerenza tra liturgia e vita».
Le parole di Gesù sono molto impegnative, e anche consolanti: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,54). Ma occorre vivere l’Eucarestia «con spirito di fede», convinti – ma veramente – che stiamo mangiando la carne e bevendo il sangue di Gesù Cristo, il quale è Dio che si dona a noi nel sacramento.

(Fonte: Massimo Introvigne, Nuova Bussola Quotidiana, 12 febbraio 2014)


mercoledì 12 febbraio 2014

Omofobia o eterofobia? Un nuovo testo contro il gender

Il battagliero avvocato Gianfranco Amato, non nuovo a pubblicazioni di carattere militante e sanamente aggressivo, ha riunito, nel suo ultimo volume (cfr. G. Amato, Omofobia o eterofobia? Perché opporsi a una legge ingiusta e liberticida, Fede & Cultura, Verona 2014, pp. 210, € 16), tutta una serie di episodi che vedono, contrariamente al noto luogo comune, i gruppi omosessualisti in posizione di attacco e di violenza, e i cattolici in veste di vittime, sapientemente ignorate dal sistema.
I Giuristi per la Vita, di cui Amato è presidente nazionale, hanno seguito una triste e crescente casistica, in cui la violenza gay faceva il paio con l’indifferenza o peggio con la connivenza dei mass media del potere. Così vengono ripercorsi dall’Autore, con dovizia di dettagli tecnici e giuridici, i recenti casi Piccinelli, Ronco, Barilla, Ignazio Marino (cfr. pp. 18-64), in cui, costantemente, la tanto decantata libertà di pensiero e di espressione, per i cattolici critici delle teorie astruse del gender e delle nozze gay, è divenuta inesistente o è stata ridotta al lumicino.
Secondo Amato, si tratta di «una vera e propria Kulturkampf, attuata in maniera esplicita (ad esempio nelle scuole di Stato) o subliminale attraverso, soprattutto, la potenza mediatica pervasiva degli strumenti di comunicazione di massa, che ha come scopo quello di una rivoluzione antropologica» (p. 83).
Insomma si tenta in ogni modo di far sì che il male, ovvero l’omosessualità, venga chiamato bene, e che il bene, ossia la reazione a tutte le devianze, venga chiamato male. Sta a noi passare al contrattacco e denunciare la grande affabulazione che si nasconde dietro la più mortifera ideologia di tutti i tempi.

(Fonte: Fabrizio Cannone, Corrispondenza Romana, 11 febbraio 2014).

lunedì 10 febbraio 2014

Contro la spocchiosa incompetenza del culturame, le contrastate anime del cattolicesimo postconciliare

L’intollerato profumo della verità cattolica non è temuto dal portatore Ugo Frasca, uno studioso che mantiene intrepide e costose distanze dai pensieri squillanti nelle officine del sospetto ateista e nelle reggie dell’onorato Vizio, quello che fu profetizzato dal pioniere Eliogabalo, prima di diventare magnifico e universale emblema della Banca malthusiana.
In una voluminosa raccolta di saggi, “Noi Italiani“, pubblicato dal prestigioso editore napoletano Guida, Ugo Frasca osa gettare l’ombra del ridicolo su due santoni, Corrado Augias e Mauro Pesce, in attività sfrenata & pagata sul lepido palcoscenico della televisione pubblica (quella che, dietro versamento di un canone esigente, provvede all’educazione ateistica e pederastica degli italiani impertinenti e refrattari).
In obbedienza ad un alto disegno strategico, che prevede la dissacrazione del Cristianesimo e il trionfo di una fede liberata dal soprannaturale, Augias e Pesce scendono in campo impugnando  armi a misura della loro disinformazione: le smaccate sentenze, che il popolo parlante e sentenziante nei bar ha raccolto nelle cineree discariche del positivismo e del modernismo.
Nella pia convinzione di interrogare testimoni viventi, il duo Augias-Pesce dialoga, infatti, con le ossa di sentenze spolpate e messe a tacere dalla loro svelata inverosimiglianza.
I due tele-contestatori affermano, ad esempio, che Gesù non avrebbe apportato alcuna innovazione all’ebraismo. E per conferire credibilità alla loro strampalata e fossile opinione affermano, quasi facendo eco ai modernisti di prima e obsoleta generazione, che la dottrina cristiana fu elaborata nella seconda metà del secondo secolo.
Tale affermazione costringe il duo a  ignorare/occultare le contrarie testimonianze di San Paolo, di Plinio il Vecchio e di Ignazio d’Antiochia.
Ultimamente Benedetto XVI ha peraltro dimostrato che “i testi relativi all’accaduto sono contemporanei. Grazie a Paolo soprattutto veniamo condotti a ridosso degli avvenimenti. La sua testimonianza dell’Ultima Cena e quella della Risurrezione – I Corinzi 11 e 15 – risale letteralmente agli anni trenta”.
La censura delle testimonianze riguardanti la datazione dei testi non impedisce l’esecuzione da parte di Augias-Pesce di un funambolico esercizio di fanta-teologia: “le autorità ebraiche non avrebbero avuto alcuna partecipazione nella condanna di Gesù“.
Se non che in una Lettera di San Paolo, datata 40 d. C., si legge “i giudei hanno messo a morte Gesù” (I Tess. 2,15) mentre San Giovanni “mette in risalto il ruolo di capi e Sinedrio“.
Un vero infortunio di Augias-Pesce è la confusione di Gesù con il re che pronuncia – in una parabola – le parole minacciose citate dall’evangelista Luca: “E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re conduceteli qui e uccideteli davanti a me“.
In obbedienza alla legge storicista, che esige la manipolazione e la conformazione di Gesù Cristo alla figura trionfante in una data epoca, ad esempio il filosofo hegeliano, il militante socialista, il contestatore giovanile, Augias-Pesce proiettano sul Vangelo l’infame e ributtante ombra del nuovo ed universale feticcio: la sodomia.
In un altro testo (scritto in collaborazione con Remo Cacitti) si rompono e abbattono gli argini che trattengono le fandonie: “Gesù non ha mai detto di voler fondare una religione, una Chiesa, che portassero il suo nome, mai ha detto di dover morire per sanare con il suo sangue il peccato di Adamo ed Eva, per ristabilire cioè l’alleanza tra Dio e gli uomini…”
Probabilmente la radice dell’ateismo professato dall’impavido Augias è il culto della propria venerata personalità. Un culto pulsante nella notizia (da lui propalata ma non provata) secondo cui nei piani alti del Vaticano  sarebbe conservato un minaccioso dossier  su “Augias persona pericolosa“.
Pericolosa a chi? L’esistenza di prelati atterriti dal ruggito di un topo non si può escludere, dopo l’alluvione buonista scatenata dalla nuova teologia.
Tuttavia non è seriamente pensabile che la Chiesa, una società che ha resistito imperterrita  alle persecuzioni organizzate dalla superstizione regnante nell’impero romano, alle invasioni dei barbari e dei maomettani, alle guerre scatenate dal delirio di Lutero e dei principi tedeschi e ultimamente al furore di Stalin e di Hitler, tremi davanti alle sgangherate pagine del trio Augias-Pesce-Cacitti.
Non convince tuttavia la scelta di Frasca, che alla fine del suo convincente excursus ricorre alle divagazioni kantiane di Vito Mancuso per sferrare un colpo di grazia al pensiero di Augias. 
Secondo Mancuso, infatti, la prova della verità cattolica si troverebbe in una pagina (implicita) della  “Critica della ragion pura”: “crederò inevitabilmente nell’esistenza di Dio e in una vita futura, e sarò sicuro che nulla può far vacillare questa fede, poiché altrimenti risulterebbero rovesciati i miei stessi principi morali”.
La fragilità di una tale tesi, infatti, si manifesta nella paradossale conclusione che ne trae Mancuso: “l’emancipazione ambita in genere da illuminismo e idealismo tedeschi non è dalla religione e dal sacro ma da forme immature della religione e del sacro”.
La strenua e argomentata difesa delle verità di fede è sciupata dalla fuga dalle verità di ragione. Nel cedimento del credente Frasca al disordine filosofico regnante negli scritti avventurosi di Vito Mancuso, è riflesso la malattia della Chiesa post-conciliare, ossia l’incapacità e in alcuni casi l’ostinato rifiuto di conservare la tradizionale consonanza di fede e ragione.

(Piero Vassallo, Riscossa Cristiana, 9 febbraio 2014)

10 Febbraio “Giorno del Ricordo”: “Magazzino 18” arriva in Rai

Il 10 febbraio ricorre il “Giorno del Ricordo”: ricordo della pulizia etnica praticata dal regime comunista di Tito in quelle terre che già furono Italia: Venezia Giulia, Istria, Dalmazia, Fiume, e dell’esodo da esse, che secondo alcune fonti, fu di 350mila italiani.
Nell’ambito delle iniziative legate a questa giornata, questo lunedì 10 febbraio, alle ore 23.45 Rai Uno trasmetterà “Magazzino 18”, lo spettacolo interpretato e scritto da Simone Cristicchi e messo in scena per la regia di Antonio Calenda.
“Magazzino 18”, nome anonimo, incolore, dove è venuta a fissarsi la memoria del popolo dell’esodo giuliano-dalmata: trecentocinquantamila persone  costrette a lasciare, con il trattato di pace del 1947, le proprie case, le loro memorie secolari, monumenti e cimiteri, per non cadere vittime della dittatura jugoslava.
Al Porto Vecchio di Trieste c’è un “luogo della memoria” particolarmente toccante. Racconta di una pagina dolorosissima della storia d’Italia, di una vicenda complessa e mai abbastanza conosciuta del nostro Novecento. Ed è ancora più straziante perché affida questa “memoria” non a un imponente monumento o a un archivio , ma a tante piccole, umili testimonianze che appartengono alla quotidianità.
Una sedia, accatastata assieme a molte altre, porta un nome, una sigla, un numero e la scritta “Servizio Esodo”. Simile la catalogazione per un armadio, e poi materassi, letti, stoviglie, fotografie, poveri giocattoli, altri oggetti, altri numeri, altri nomi… Oggetti comuni che accompagnano lo scorrere di tante vite: uno scorrere improvvisamente interrotto dalla Storia, dall’esodo.
È il “Magazzino 18”, nome anonimo, incolore, dove è venuta a fissarsi la memoria del popolo dell’esodo giuliano-dalmata: trecentocinquantamila persone  costrette a lasciare, con il trattato di pace del 1947, le proprie case, le loro memorie secolari, monumenti e cimiteri, per non cadere vittime della dittatura jugoslava.
Colpito dai silenzi che intorno all’esodo dei giuliano-dalmati è calato per decenni, Simone Cristicchi ha deciso di ripercorrere la loro Storia in un testo che prende il titolo proprio da quel luogo nel Porto Vecchio di Trieste, dove gli esuli – senza casa e spesso prossimi ad affrontare lunghi periodi in campo profughi o estenuanti viaggi verso lontane mete nel mondo – lasciavano le loro masserizie, in attesa di poterne in futuro rientrare in possesso: il Magazzino 18.
Coadiuvato nella scrittura da Jan Bernas e diretto da Antonio Calenda, Cristicchi parte proprio da quegli oggetti privati, ancora conservati al Porto di Trieste, per riportare alla luce ogni vita che vi si nasconde, narrandola schiettamente attraverso diversi  registri vocali, costumi, atmosfere musicali, in una koiné di linguaggi che trasfigura il reportage storico in una forma nuova di comunicazione.
Un bell’esempio di “Musical-Civile”, che ora finalmente la Rai ha deciso di inserire nella propria programmazione , seppure in seconda serata,  rendendo giustizia ad una memoria collettiva  e all’impegno di un artista  come Cristicchi, il quale, con questo spettacolo (ora diventato anche libro) ha sfidato la violenza e la grettezza di chi non vuole ricordare, negando ad un popolo la propria dolorosa memoria.

(Fonte: Mario Bozzi Sentieri, Riscossa Cristiana, 10 febbraio 2014)

venerdì 7 febbraio 2014

Si comincia: indagato il neo-cardinale Sebastiàn

Ci siamo. Per la prima volta, in Spagna, un vescovo - appena nominato cardinale da Papa Francesco, di cui è amico personale - è stato incriminato, il 6 febbraio, per omofobia. Si tratta dell'arcivescovo emerito di Pamplona, mons. Fernando Sebastián Aguilar, 84 anni, dell'ordine dei Figli del Cuore Immacolato di Maria, un teologo di cui il Papa si dichiara «alunno» e che, tra l'altro, non è mai stato in fama di conservatore. Non importa: non lo proteggono né meriti passati né l'età.
Gli attivisti LGBT lo vogliono in galera, e la procura di Malaga ha prontamente «obbedito» alle richieste della lobby gay, peraltro spalleggiata da un voto unanime del consiglio comunale di Malaga, in cui contro il vecchio arcivescovo si sono schierati anche i democristiani del Partito Popolare. Il neo-cardinale si ritrova così nel registro degli indagati, e rischia la prigione per violazione della legge spagnola contro l'omofobia.
Che cosa aveva detto di così terribile mons, Sebastián? In un'intervista al «Diario Sur» (clicca qui), il quotidiano di Malaga, dello scorso 20 gennaio, il presule, richiesto di commentare le dichiarazioni di Papa Francesco che invitano a non giudicare gli omosessuali, aveva spiegato: «Il Papa accentua i gesti di rispetto e di stima a tutte le persone, ma non tradisce né modifica il Magistero tradizionale della Chiesa. Una cosa è manifestare accoglienza e affetto a una persona omosessuale, un’altra è giustificare moralmente l’esercizio dell’omosessualità. A una persona posso dire che ha una deficienza, ma ciò non giustifica che io rinunci a stimarla e aiutarla. Credo che sia questa la posizione del Papa».
A questo punto l'intervistatore chiede se ha usato la parola «deficienza» «dal punto di vista morale». Il cardinale neo-eletto risponde: «Sì. Molti si lamentano e non lo tollerano, ma con tutto il rispetto dico che l’omosessualità è una maniera deficiente di manifestare la sessualità, perché questa ha una struttura e un fine, che è quello della procreazione. L'omosessualità, in quanto non può raggiungere questo fine, sbaglia. Questo non è per niente un oltraggio. Nel nostro corpo abbiamo molte deficienze. Io ho l’ipertensione. Mi devo arrabbiare perché me lo dicono? È una deficienza che cerco di correggere come posso. Il segnalare a un omosessuale una deficienza non è un’offesa, è un aiuto perché molti casi di omosessualità si possono ricuperare e normalizzare con un trattamento adeguato. Non è offesa, è stima. Quando una persona ha un difetto, il vero amico è colui che glielo dice».
Naturalmente, gli attivisti LGBT hanno subito affermato che il nuovo cardinale ha sostenuto che l'omosessualità è «una malattia», espressione che la giurisprudenza spagnola punisce in base alle leggi sull'omofobia. L'arcivescovo, però, è anziano ma non è sprovveduto, ed è stato bene attento a non usare la parola «malattia», come non ha usato «guarigione» ma «recupero».
Lo ricorda una nota dell'Arcidiocesi di Malaga, che richiama giustamente al «Catechismo della Chiesa Cattolica», anche se forse avrebbe potuto aggiungere che non è evidente che chi esprime opinioni diverse da quelle maggioritarie sul complesso e difficile tema della genesi dell'omosessualità debba andare in prigione, anche ove per avventura gli scappasse il termine «guarigione», che ha peraltro una pluralità di significati.
Comunque sia, la prudenza terminologica non è bastata. In Spagna non c'è più il mangiapreti Zapatero. È al governo la Democrazia Cristiana. Ma se qualcuno pensava che, almeno dove governano i cattolici, «tanto contro i vescovi e i cardinali le leggi sull'omofobia non le useranno mai» - dunque si possono lasciar passare tranquillamente - ecco che la procura di Malaga prontamente lo smentisce. Vescovo avvisato, mezzo salvato. Vale anche in Italia, dove ciascuno potrebbe dire al suo vescovo: non sarà meglio, Eccellenza, fare qualcosa per fermare le leggi sull'omofobia prima che siano votate?

(Fonte: Massimo Introvigne, Nuova Bussola quotidiana, 7 febbraio 2014)

giovedì 6 febbraio 2014

La Santa Sede non ci sta: «Pressioni di ong pro gay»

Il Vaticano non nasconde la sua sorpresa per la durezza del rapporto del Comitato Onu, del quale era venuto a conoscenza due giorni fa. Ma al di là dell’accenno all’«interferenza», riferito alle richieste di modificare le posizioni della Chiesa su aborto, complementarietà uomo-donna e identità di genere, la reazione è stata asciutta e diplomatica. La delusione è grande, ma nessuno Oltretevere ha voglia di elevare il livello dello scontro.
«Sembra quasi che il rapporto sia stato preparato prima» dell’audizione della delegazione vaticana, avvenuta a metà gennaio, ha detto l’osservatore permanente del Vaticano nella sede Onu di Ginevra, monsignor Silvano Tomasi. Intervistato dalla «Radio Vaticana», il prelato ha fatto notare come non sia tenuto conto delle «risposte precise su vari punti» da parte della Santa Sede, che «non sembrano essere state prese in seria considerazione».
Molti degli esempi e delle circostanze citate nel rapporto si riferiscono a situazioni del passato - remoto o più recente - ma comunque anteriore all’inasprimento delle norme contro la pedofilia clericale, e ai passi compiuti in particolare durante il pontificato di Benedetto XVI. Papa Ratzinger oltre a cambiare le leggi per renderle più efficaci, ha cercato di cambiare la mentalità nella Chiesa, incontrando più volte le vittime degli abusi (la prima durante il suo viaggio negli Usa nell’aprile 2008).
Il documento, secondo monsignor Tomasi, appare «non aggiornato, tenendo conto di quello che in questi ultimi anni è stato fatto a livello di Santa Sede, con le misure prese direttamente dall’autorità dello Stato della Città del Vaticano e poi nei vari Paesi dalle singole conferenze episcopali». Alcune affermazioni del rapporto sono definite «molto scorrette»: «La Santa Sede risponderà, perché è un membro, uno Stato parte della Convenzione: l’ha ratificata e intende osservarla nello spirito e nella lettera, senza aggiunte ideologiche o imposizioni che esulano dalla Convenzione stessa».
A provocare le reazioni più forti, Oltretevere, sono quelle parti del documento nelle quali si chiede alla Santa Sede di rivedere le proprie convinzioni in materia di aborto e famiglia. «La Convenzione sulla protezione dei bambini nel suo preambolo parla della difesa della vita e della protezione dei bambini prima e dopo la nascita; mentre la raccomandazione che viene fatta alla Santa Sede è quella di cambiare la sua posizione sulla questione dell’aborto!».
Il Comitato, secondo il diplomatico vaticano, «non ha fatto un buon servizio alle Nazioni Unite, cercando di richiedere alla Santa Sede di cambiare il suo insegnamento non negoziabile». Tomasi ha ipotizzato che delle Ong con «interessi sull’omosessualità, sul matrimonio gay e su altre questioni» possano aver influenzato il rapporto e «rafforzato una linea ideologica».
«Criticare la Santa Sede perché parla di “complementarietà” del ruolo maschile e femminile, il che implica che i due ruoli siano diversi, o perché tutela il segreto di confessione - sottolinea un altro esperto della Santa Sede, deluso dal documento di Ginevra - equivale a chiedere a un Paese islamico di abolire il Ramadan perché non si possono lasciare i giovani senza mangiare durante il giorno».
Le richieste del Comitato Onu di rivedere il Codice canonico sull’aborto e gli insegnamenti sulla contraccezione, continua il prelato, «invece che aiutare quanti nella Chiesa lavorano per combattere gli abusi, finiscono per dar ragione a coloro che dietro gli organismi internazionali vedono il tentativo di imporre un pensiero unico per scardinare ciò che la Chiesa insegna su vita e famiglia. Un altro elemento problematico - conclude - è rappresentato dal fatto che nel rapporto la Santa Sede viene ritenuta responsabile delle azioni dei singoli sacerdoti nei vari Paesi».
Di certo il rapporto Onu identifica problemi aperti: le norme non bastano a combattere il fenomeno se non cambia davvero una mentalità sedimentata da lungo tempo e non tutti gli episcopati sono stati solleciti nel preparare linee guida antipedofilia.

(Fonte: Andrea Tornielli, Vatican Insider, 6 febbraio 2014)

L'Onu dichiara guerra alla Chiesa

Il 5 febbraio 2014 il Comitato per i Diritti del Fanciullo delle Nazioni Unite ha diffuso un rapporto di sedici pagine sulla conformità dei comportamenti dello Stato della Città del Vaticano alla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia, cui la Santa Sede ha aderito «con riserva».
L’adesione con riserva – che peraltro la Santa Sede aveva affermato di poter superare in futuro – è dovuta al timore che la Convenzione autorizzi un’eccessiva ingerenza di organi delle Nazioni Unite negli affari interni degli Stati sottoscrittori. Per questa stessa ragione il Parlamento degli Stati Uniti non ha mai ratificato la Convenzione, che pure il governo americano aveva firmato nel 1995, così che negli USA non è mai entrata in vigore.
Prima di esaminare il documento – la cui superficialità e faziosità ideologica lasciano davvero perplessi, e giustificano ampiamente le riserve quanto ai rischi d’ingerenza e violazione dei diritti sovrani degli Stati – occorre precisare che cos’è il Comitato per i Diritti del Fanciullo.
Si tratta di un corpo di diciotto esperti eletti dagli Stati che hanno aderito alla Convenzione, le cui raccomandazioni non sono giuridicamente vincolanti. Si tratta dunque di una delle innumerevoli commissioni di esperti delle Nazioni Unite, per di più nominata con il «manuale Cencelli» dell’ONU, che tende a dare qualche posticino in qualche commissione a tutti gli Stati.
Tanto per dare un’idea, uno dei diciotto membri è stato designato dal governo della Siria e un altro da quello dell’Arabia Saudita, noti esempi di tutela dei diritti umani in genere e di quelli dei bambini – e delle bambine – in specie. La personalità più in vista, influente e nota del Comitato è la peruviana Susana Villarán, sindaco di Lima e cattolica «adulta» in perenne polemica con i vescovi del suo Paese, in particolare con il cardinale arcivescovo di Lima mons. Juan Luis Cipriani, per il suo sfrenato attivismo a favore del «matrimonio» omosessuale, dell’ideologia di genere e dell’aborto. Nota marciatrice dei gay pride, la Villarán si è distinta per i suoi attacchi alla Chiesa in materia di aborto e di omosessualità e ha simbolicamente «sposato» – il «matrimonio» omosessuale in Perù per ora non c’è – coppie di persone dello stesso sesso, fra cui la sua compagna di partito e stretta collaboratrice Susel Paredes e la sua «fidanzata» Carolina. Provocatoriamente, le cerimonie si sono svolte nel Parco dell’Amore di Lima, dove tradizionalmente gli sposi peruviani si fanno fotografare sotto la celebre statua «Il bacio» dello scultore Victor Delfín.
Chiarito dunque con chi la Santa Sede si è trovata ad avere a che fare, leggiamo insieme il bizzarro documento. Il Comitato nota una serie di settori dove la Santa Sede non rispetterebbe la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, e raccomanda al Vaticano le opportune riforme.
Esaminiamo i settori principali. Primo: omosessualità – che non c’entra molto con i diritti dell’infanzia, ma viene fatta rientrare affermando che il Comitato si preoccupa di tutelare «gli adolescenti e i bambini gay, lesbiche, bisessuali e transgender». Per difendere questi bambini precoci il Comitato invita la Chiesa a seguire «la dichiarazione progressista rilasciata da Papa Francesco nel luglio 2013» – il famoso «chi sono io per giudicare?», che però si riferiva alle persone, che certo non vanno mai giudicate in quanto tali, e non ai comportamenti o alle leggi – e a ripudiare «i precedenti documenti e dichiarazioni sull’omosessualità». Come questa entrata a gamba tesa nel campo della dottrina morale cattolica rientri nelle competenze di un Comitato per i Diritti del Fanciullo non è veramente spiegato.
Secondo: uguaglianza fra uomini e donne. La Santa Sede è criticata perché non usa sempre un linguaggio «gender inclusive» e perché parla di «complementarietà» del ruolo maschile e femminile, il che implica che i due ruoli siano diversi, il che è contrario all’ideologia che il Comitato vuole imporre.
Terzo: punizioni corporali. Dopo un excursus sulle Case Magdalene irlandesi, che mostra come i membri del Comitato passino troppo tempo al cinema e abbiano visto il pessimo film di Peter Mullan – a parte le imprecisioni, il tema non sembra di bruciante attualità posto che l’ultima di queste case è stata chiusa nel 1996 –, il rapporto si schiera contro qualunque forma di punizione corporale, con considerazioni non solo pedagogiche, che potrebbero essere in parte condivisibili, ma anche teologiche. Si chiede che la Santa Sede «si assicuri che un’interpretazione della Scrittura tale da non giustificare le punizioni corporali si rifletta nell’insegnamento della Chiesa e […] sia incorporata nell’insegnamento e nell’educazione teologica». A prescindere dal merito, è interessante notare come il Comitato pretenda addirittura di dettare alla Chiesa come vada interpretata la Sacra Scrittura.
Quarto: pedofilia. Con una completa assenza di note e riferimenti precisi, si parla di «decine di migliaia» di bambini vittime dei preti pedofili. Sarebbe interessante sapere da dove vengono queste statistiche, mentre si sa da dove vengono certe informazioni contenute nel rapporto su un presunto intervento del 1997 del nunzio in Irlanda monsignor Luciano Storero (1926-2000) perché i vescovi irlandesi nascondessero i preti pedofili alle autorità civili. Vengono da un attacco del 2011 del governo irlandese alla Santa Sede, pieno di inesattezze, cui la Santa Sede – come abbiamo a suo tempo documentato su queste colonne – ha risposto in modo dettagliato.
Intendiamoci: questo giornale ha sempre premesso a ogni discorso sui preti pedofili che purtroppo, come ci hanno insegnato Benedetto XVI e Papa Francesco, la pedofilia nel clero è un dramma reale, non inventato, che non va nascosto e di cui vanno indagate le cause, che derivano anzitutto dal diffondersi di una morale «lassista» e «progressista» nei seminari e tra i sacerdoti. Tuttavia il rapporto riprende statistiche folkloriche e accuse indiscriminate. Loda alcune misure introdotte dalla Santa Sede nel 2013, ma dimentica tutte quelle precedenti, in un maldestro tentativo di contrapporre il Vaticano di Papa Francesco a quello di Benedetto XVI. Soprattutto, si dimentica di dire che queste misure hanno funzionato, e possono costituire anzi un modello per altre istituzioni che hanno gli stessi problemi di pedofilia e che sono assai meno vigorose della Santa Sede nel contrastarli. Mi scuso per lo spot pubblicitario, ma devo rimandare al libro appena uscito che ho scritto con lo psicologo Roberto Marchesini «Pedofilia. Una battaglia che la Chiesa sta vincendo» (Sugarco, Milano 2014), dove si troveranno dati e cifre precise.
Quinto: aborto. Dopo avere evocato il consueto caso pietoso della bambina brasiliana di nove anni che aveva abortito nel 2009, il Comitato «richiede con urgenza alla Santa Sede di rivedere la sua posizione sull’aborto e di modificare il canone 1398 del Codice di diritto canonico relativo all’aborto, allo scopo di precisare le circostanze in cui l’aborto è permesso». A questa «urgenza» ha già risposto Papa Francesco nell’esortazione apostolica «Evangelii gaudium»: s’illude chi si aspetta «che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione. Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a “modernizzazioni”. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana».
Sesto: contraccezione. La Santa Sede è invitata a «garantire agli e alle adolescenti l’accesso alla contraccezione», che peraltro non è un’alternativa all’aborto, visto che contemporaneamente va loro garantita la «salute riproduttiva» il che, come si è visto, implica modificare la dottrina cattolica sull’aborto.
La Chiesa – lo abbiamo detto – ha più volte riconosciuto le responsabilità di un certo numero di preti e vescovi nel vergognoso dramma della pedofilia, e ha preso misure drastiche che si stanno rivelando efficaci. Questo documento tuttavia è la prova di come la tragedia dei preti pedofili sia usata come pretesto e come clava per aggredire la Chiesa Cattolica e ingiungerle «con urgenza» di cambiare la sua dottrina in materia di omosessualità, aborto e contraccezione, affidando a commissioni di esperti «politicamente corretti» perfino l’interpretazione della Sacra Scrittura.
Il 18 novembre 2013, citando il romanzo Il padrone del mondo di Robert Hugh Benson (1871-1914) Papa Francesco ha denunciato il tentativo totalitario d’imporre alla Chiesa la «globalità egemonica» del «pensiero unico». I poteri forti – fra cui rientrano certamente certi comitati di certe organizzazioni internazionali – ci dicono, ha detto il Papa, che «dobbiamo essere come tutti, dobbiamo essere più normali, come fanno tutti, con questo progressismo adolescente». Poi purtroppo «segue la storia»: per chi non si adegua al pensiero unico arrivano, come ai tempi degli antichi pagani, «le condanne a morte, i sacrifici umani». Sbaglia chi pensa che siano cose di un passato remoto, «Ma voi – ha chiesto il Papa – pensate che oggi non si facciano, i sacrifici umani? Se ne fanno tanti, tanti! E ci sono delle leggi che li proteggono». È perché la Chiesa si oppone a queste leggi che, usando la tragedia – reale – della pedofilia tra il clero come punto di partenza e come pretesto, la si colpisce con aggressioni che stanno ormai diventando intollerabili.

(Fonte: Massimo Introvigne, La Nuova Bussola Quotidiana, 5 febbraio 2014)