giovedì 29 novembre 2007

Falce e carrello. il potere delle coop rosse


«La Coop sei tu, chi può darti di più?». Chiunque, ma non la Coop. Nelle regioni rosse fare la spesa in un qualsiasi supermercato della catena controllata da Legacoop, il gigante economico agli ordini di Pci–Pds-Ds, costa fino al 15% in più, la qualità delle merci è peggiore e anche l’assortimento dei prodotti biologici – uno dei cavalli di battaglia del marchio Coop - è di gran lunga inferiore a quello di altre catene. E’ l’effetto del quasi monopolio che la Coop conquista ovunque può contare sulla complicità di amministratori locali e sindacalisti della Cgil proni agli ordini di scuderia ma anche causa della insipienza di un management che si è formato nelle sezioni del partito anziché alla scuola del mercato e della produzione.
Per chi vive in Emilia Romagna, Liguria, Toscana o Umbria senza prosciutto sugli occhi non è una novità. In queste regioni, dove vige da più di mezzo secolo un regime socialista, “non cade foglia che Pci (e successive varianti) non voglia”.
Gli altri, gli scampati, farebbero bene a leggere il libro di Bernardo Caprotti, Falce e carrello. Le mani sulla spesa degli italiani , pubblicato da Marsilio.
Chi è Caprotti? È il fondatore e il timoniere di Esselunga, l’imprenditore che per primo ha portato in Italia il supermarket facendo della sua azienda un caso di eccellenza nella grande distribuzione. Dopo anni di strenue battaglie, prima contro un sindacalismo arrabbiato, cinghia di trasmissione dell’ideologia del Pci nella società italiana, poi contro il gigante “rosso” della vendita al dettaglio ha deciso di portare i panni sporchi della Coop in piazza.
Siamo dunque di fronte alla rivalsa polemica e stizzita di uno sconfitto? Niente affatto. Falce e carrello è piuttosto la testimonianza, resa inoppugnabile da una inedita documentazione, di un imprenditore lombardo che chiedeva soltanto di fare il suo mestiere e si è invece scontrato con un concorrente sleale che per affermare ed estendere la propria supremazia sul mercato non esita a usare le Giunte di sinistra per lasciare scadere licenze, che poi prontamente si fa girare, pagare terreni sei volte il valore di mercato, usare il ritrovamento di reperti archeologici come grimaldello grazie alla complicità di assessori e soprintendenti. Terreni agricoli acquistati per due lire diventano in un batter d'occhio edificabili, fino a giungere – è cronaca dell'ultimo anno - alle pressioni di Romano Prodi su Caprotti perché l’azienda resti «in mani italiane». “Voci” pretestuosamente messe in giro da una stampa “amica” (Espresso, Corriere della Sera, l'Unità) avevano infatti dato per imminente la cessione di Esselunga. Naturalmente queste «mani» dovevano essere quelle della Coop.
Insomma un libro «di grande coraggio personale e civile», come si dice in certi ambienti “democratici” quando qualcuno denuncia pubblicamente la Mafia. In questo caso il potere è quello di Legacoop e Pds-Ds, che per consolidare ed estendere il proprio sistema di affari usa ovunque è possibile gli apparati di Regioni, Province e Comuni. Dopo le ultime elezioni – gli italiani provano un gusto tutto particolare nel darsi zappate sui piedi - ci sta provando anche con quelli dello Stato. Il caso Unipol e le “liberalizzazioni” di Bersani, sono solo un prologo.
Lettura assai istruttiva e interessante è anche la ricca appendice di Falce e carrello, dalla quale si apprende quale sia la reale entità dell’impero “rosso”, immenso serbatoio di capitali, clientele e voti. Un impero che Tangentopoli, guarda il caso, non ha neppure scalfito e che il terremoto del 1997 in Umbria ha consolidato.
Terminata la lettura viene alla mente l’ultima pagina de La fattoria degli animali, di Orwell, quando cavalli, mucche, oche si affacciano alla finestra della casa dove viveva l’antico, odiato, padrone: l’uomo. I maiali, artefici e ispiratori della gloriosa rivoluzione che doveva cancellare per sempre la schiavitù e lo sfruttamento, stavano trattando la pace con i proprietari delle fattorie vicine e l’avvio di vantaggiosi commerci, ma le povere creature, fuori la finestra, guardano ora gli uomini, ora i maiali ma per loro è diventato ormai impossibile distinguere chi sono gli uni e chi sono gli altri. (Pietro Licciardi, Rassegna Stampa, 26 novembre 2007)

giovedì 22 novembre 2007

Persone consacrate e laici insieme nella grande avventura dell’educazione cristiana.


Presentato il nuovo documento della Congregazione per l’Educazione Cattolica

Lo scopo del documento “Educare insieme nella scuola cattolica. Missione condivisa di persone consacrate e fedeli laici”, a cura della Congregazione per l’Educazione Cattolica, è “di offrire degli spunti di riflessione sulla missione educativa condivisa da persone consacrate e da fedeli laici nella scuola cattolica. Il documento parte da quanto già si fa nel campo della missione educativa condivisa, vuole avere carattere propositivo ed incoraggiare la formazione e la progettualità dei fedeli laici e delle persone consacrate nel campo educativo e scolastico cattolico”. Con queste parole il Card. Zenon Grocholewski, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica (dei Seminari e degli Istituti di Studi), ha presentato il documento il 20 novembre, nella Sala Stampa della Santa Sede. Più di un miliardo di ragazzi sono in età scolare, 58 milioni sono gli insegnanti a cui va aggiunto il personale non docente, ha ricordato il Cardinale. Le istituzioni scolastiche della Chiesa contano oltre 250.000 scuole con circa 42 milioni di allievi. Migliaia sono poi gli insegnanti cattolici, tra cui moltissime persone consacrate, che svolgono la loro missione educativa in numerose scuole dello Stato. “Accanto all’ampiezza del ‘bacino d’utenza’ della scuola è da segnalare anche l’accresciuto interesse ai temi dell’educazione da parte dell’opinione pubblica e della comunità internazionale” ha sottolineato il Card. Grocholewski, evidenziando gli elementi comuni del panorama educativo contemporaneo: il fenomeno della globalizzazione, non solo economica ma anche culturale, politica ed educativa; l’applicazione delle nuove tecnologie, l’informatizzazione diffusa, la rapidità delle comunicazioni; le problematiche legate all’ambiente e le questioni della bioetica. Non mancano tuttavia segnali preoccupanti: il contesto odierno della scuola è infatti segnato da un profondo disagio. Oltre ad una “diffusa fatica da parte degli insegnanti, che si sentono demotivati e vedono frustrato il loro compito educativo”, il Cardinale ha segnalato l’aumento della violenza a scuola e tra gli adolescenti e la difficoltà delle famiglie ad essere parte attiva della comunità educativa scolastica. “Si assiste, inoltre, ad una perdita di senso dell’educazione strettamente legata allo smarrimento dei valori, soprattutto di quelli che sostengono le scelte di vita: la famiglia, il lavoro, le scelte morali. Così l’educazione soffre anch’essa dei mali che affliggono le nostre società: il diffuso soggettivismo, il relativismo morale ed il nichilismo. La tradizione pedagogica cattolica ribadisce con forza la centralità della persona umana nel percorso educativo”. “La corretta educazione dei bambini e dei giovani è questione di estrema importanza per il bene della Chiesa e dell’umanità, per formare un mondo migliore” ha sottolineato ancora il Card. Grocholewski, esortando i religiosi e i laici a collaborare, in una armonica integrazione, nella cura dell’educazione delle nuove generazioni. Mons. Angelo Vincenzo Zani, Sotto-Segretario della medesima Congregazione, ha ricordato nel suo intervento che “la scuola cattolica opera in tutte le aree geografiche, anche in quelle dove non c’è la libertà religiosa, o che sono socialmente ed economicamente più svantaggiate, con una stupefacente capacità di rispondere alle emergenze e ai bisogni formativi, nonostante talvolta vi siano grandi difficoltà”. A questo proposito ha citato una serie di esempi di tale presenza. In Libano, il programma della scuola cattolica ha come obiettivo principale di portare i giovani al dialogo e alla collaborazione tra musulmani e cristiani. In alcune aree del paese i non cattolici sono il 99% degli allievi delle scuole cattoliche. Nel Nepal, dove la maggioranza della popolazione è induista, nel 2004 il re ha assegnato un premio di benemerenza a due missionari per il loro impegno nel campo dell’istruzione, per i contributi dati alla vita sociale, economica, culturale e al progresso della popolazione nepalese. A Dakar, nel Sénégal, nel 1949 i Padri Maristi fondarono la scuola "Sainte Marie de Hann", che nel 1977 è stata assimilata ai Licei francesi fuori del territorio della Repubblica francese. La frequentano 3.500 allievi con 170 professori, ed è aperta a ragazzi e ragazze provenienti da tutta l’Africa Occidentale francofona, di tutte le confessioni religiose e di tutte le categorie socio-economiche. Dopo che i Maristi si sono ritirati, è subentrata la diocesi la quale, con l’aiuto dei laici, ne conserva lo stile e lo spirito. La scuola, che ha ricevuto il premio UNESCO, si ispira ad un progetto educativo teso ad educare alla pace e a realizzare un ‘foyer’, con l’obiettivo di far dialogare le diverse culture per costruire un mondo fondato sulla fraternità. Un accenno particolare è stato poi fatto da Mons. Zani sulla presenza della scuola cattolica nell’Europa centrale e orientale: “Il crollo del comunismo ha sbloccato una situazione che si protraeva da anni, facendo riscoprire il valore della persona e della libertà anche nei processi formativi. In molti di questi paesi si sono avviate revisioni profonde delle legislazioni scolastiche, nelle quali sono ora previsti anche riconoscimenti e sostegni economici alle scuole cattoliche”. Infine Mons. Zani ha presentato una serie di statistiche sui docenti delle scuole cattoliche: oggi dei 3.500.000 di insegnanti nelle scuole cattoliche la maggioranza è formata da laici, con una percentuale assai diversificata nelle varie parti del mondo. Nell’arco degli ultimi anni si è registrato un forte calo di religiosi e religiose e un considerevole aumento di personale docente laico. Tuttavia, si nota che questa trasformazione, lungi dall’essere un impoverimento, costituisce una grande potenzialità per la scuola cattolica” ha evidenziato il Sottosegretario. Il Prof. Roberto Zappalà, Preside dei Licei dell’Istituto Gonzaga di Milano, ha infine esposto la struttura del documento, che vuole offrire un contributo di riflessione su tre aspetti fondamentali che riguardano la collaborazione tra fedeli laici e consacrati nella scuola cattolica. A questi tre aspetti sono dedicate le tre sezioni in cui si articola il documento: La comunione nella missione educativa; Un cammino di formazione per educare insieme; La comunione per aprirsi agli altri. (Agenzia Fides 21 novembre 2007)

Don Di Noto indagato? Sì, per il reato di iperbole


Meno male, ora possiamo dirci tutti più tranquilli: don Fortunato Di Noto da sabato è iscritto nel registro degli indagati. La Sicilia, terra di sventure secolari e ancestrali problemi, vede finalmente aperto un procedimento della procura di Catania contro il pericoloso prete siracusano che da anni stana e denuncia i pedofili. Chiaro il reato secondo le parole dell’accusa: pubblicazione di notizie esagerate. In pratica, come ha spiegato ai giornalisti il procuratore aggiunto di Catania, Enzo Serpotta, don Di Noto aveva definito «raid vandalico» ciò che assomigliava di più a un semplice furto con scasso: lo ha fatto con un comunicato stampa diffuso il 6 novembre scorso, dopo che una delle sedi della sua associazione era stata visitata da ignoti che avevano divelto la porta, messo a soqquadro la stanza e rubato il poco denaro che era in cassa, 126 euro. Insomma, sempre per usare le parole dell’accusa, l’incauto sacerdote avrebbe «turbato l’ordine pubblico», e proprio questo non si può fare: la nostra imperturbabile società è turbata anche troppo – delitti di mafia, studentesse violentate e sgozzate, rapine in villa – senza che ci si metta pure don Di Noto a diffondere il panico. Tra l’altro con un fine ben preciso: «Il suo obiettivo era attirare solidarietà per la sua associazione», la quale – ricordiamolo – non è a delinquere, ma collabora da anni con le polizie postali e le magistrature di mezzo mondo (compresa quella siciliana) per fermare gli “orchi” della pedopornografia. Ammesso e non concesso che don Fortunato, uomo di passione, si sia lasciato un po’ trascinare e abbia trasfuso in quel comunicato tutta la sua amarezza, sconcerta la sproporzione tra il fatidico “reato” e la pronta reazione del pm: undici agenti della Guardia di Finanza inviati con tanto di mandato di perquisizione in quattro luoghi diversi (la parrocchia di Avola, l’abitazione del sacerdote, la sede dell’associazione Meter di Aci Castello teatro del furto, e la sede centrale di Avola) alla ricerca di quello che viene chiamato “il corpo del reato”. Che cosa cercavano gli undici agenti? È sempre il pm Serpotta a spiegare alla stampa: «Confermo che abbiamo proceduto sulla base di quel volantino in cui si parlava di “atto vandalico”, mentre in realtà si trattava di un piccolo furto». Tutto qui? Tutto qui. Undici agenti sulle tracce di un comunicato che, proprio perché rivolto alla stampa, era consultabile su tutti i giornali del 7 novembre. E che comunque è bastato chiedere alla volontaria di Meter presente in quel momento in sede... Di morali dalla storia se ne traggono parecchie.
Prima: d’ora in poi se, tornati a casa, troveremo la porta divelta, le nostre cose a soqquadro e quel poco di spiccioli portati via, facciamo attenzione a parlare di «gesto vandalico», potremmo macchiarci di iperbole e finire sul registro degli indagati alla pari dei criminali. Seconda: non è vero che in Italia le forze dell’ordine sono insufficienti e mancano gli agenti, anzi, ne abbiamo così tanti che possiamo permetterci azioni massicce e tempestive anche per questioni di tale rilievo. Terza: può anche essere che don Di Noto sia «alla ricerca di attestati di solidarietà», ma non sarebbe male se ogni tanto gliene arrivassero, visto che in questi anni ha fatto arrestare centinaia di pedofili e oscurare migliaia di siti pedopornografici, ha subìto minacce di morte e per questo vive sotto protezione. Infine, quella solidarietà che non sempre ha avuto in passato la sta ricevendo in queste ore, proprio grazie all’inchiesta che lo vede indagato: politici di destra e di sinistra, uomini di cultura, semplici cittadini, sono uniti per una volta dalla stessa incredulità. Seriamente “turbati”, è vero, dall’iperbole, e non certo da quella del prete. (Lucia Bellaspiga, Avvenire, 20 novembre 2007)

giovedì 15 novembre 2007

Tifoso ucciso, e la Chiesa?


Da domenica scorsa, dall’uccisione di Gabriele Sandri nella stazione di servizio di Badia al Pino in poi, abbiamo assistito a una serie di eventi che ci hanno lasciati sgomenti. Su tante cose meriterebbe riflettere: su questo Paese – e non solo il calcio - ormai ostaggio di una minoranza violenta e cieca oltre che impunita; su uno Stato che assiste inerme a un atto di guerra (come giudicare altrimenti l’assalto a una caserma) e ad atti che abbiamo visto soltanto in tentativi di golpe; sui costi esorbitanti di distruzioni che ancora una volta saranno ripagati con le tasse di cittadini che, in cambio, non possono neanche più godere del diritto di assistere a una partita di calcio. Su tante altre cose si potrebbe riflettere, ma quello che vorremmo oggi porre all’attenzione – visto che nessuno se ne è accorto - è la profanazione persino della Chiesa, con la complicità degli stessi cattolici che sembrano aver smarrito qualsiasi criterio di giudizio.

E’ difficile infatti sottrarsi alla sensazione di disgusto nel rivedere le immagini dei funerali e dei commenti tv ad esse legate. La chiesa era chiaramente percepita come il prolungamento della curva: zona vietata agli agenti di polizia e cori da stadio all’esterno. Ma anche all’interno della chiesa la situazione non sembrava migliore. La liturgia si è aperta sulle note di una canzone di Gianna Nannini - “Meravigliosa creatura” –, la preferita dal ragazzo ucciso: si capisce la buona intenzione dell’omaggio a un ragazzo scomparso in circostanze tragiche, ma la chiesa non è un semplice luogo di ritrovo in cui far scorrere immagini nostalgiche, è il luogo dove siamo richiamati alla domanda sul senso della nostra vita, è il luogo dell’incontro con la misericordia di Cristo. Anche i canti liturgici servono a questo: non a ripiegarsi su se stessi e sul proprio dolore, ma ad aprirsi all’unico che ci può salvare dal male. Quello che si è visto è né più né meno il riproporsi di antiche usanze pagane, quando i morti venivano sepolti con i loro oggetti perché sarebbero serviti loro nell’altra vita.Non entriamo nel merito dell’omelia, perché siamo certi che – come solito - i giornalisti hanno scelto solo brevi passaggi più facilmente “vendibili” all’opinione pubblica. Eppure quel chiedere giustizia umana – più che legittimo – forse andava spiegato esplicitamente visto che la folla che partecipava, in gran parte associa al termine giustizia l’idea della vendetta, come si è visto all’uscita del feretro. Sì, è vero, il parroco ha anche detto che la giustizia non deve essere vendetta, ma in fondo non sono le stesse cose che aveva già detto il presidente Napolitano? Siamo sicuri che alla voce “giustizia” noi cattolici non abbiamo nulla di originale da suggerire? Che senso ha il sacrificio in croce di Gesù se è soltanto per ripetere ciò che un laicissimo presidente della Repubblica ha già detto? E che enorme fastidio quegli applausi durante l’omelia: cinque volte, ci dicono i cronisti. L’omelia come un comizio, un discorso pubblico qualsiasi.E se il parroco avesse detto qualcosa di sgradito, sarebbero stati legittimi anche i fischi, visto che la platea – data la situazione è giusto chiamarla così – ha diritto ad esprimere la sua opinione? E qui chiediamo ai nostri vescovi: visto che fedeli e parroci sembrano incapaci di capire la differenza tra la spiegazione della Parola di Dio e una qualsiasi conferenza, non sarà il caso di imporre la proibizione degli applausi durante le cerimonie liturgiche, inclusi battesimi e matrimoni? Almeno forse qualcuno si porrebbe qualche domanda e sarebbe aiutato a comprendere meglio il senso dell’evento che si sta celebrando. Si potrebbe andare avanti, ma una cosa è importante cogliere: in questo sfacelo evidente della nostra società, in cui anche le massime istituzioni hanno alzato bandiera bianca e la gente è disorientata e avvilita, soltanto la Chiesa può indicare la strada e ricostruire un popolo. E’ deprimente lo spettacolo di cattolici – ordinati o meno - che si piegano alla cultura dominante, alla legge del più forte, magari gratificati da qualche applauso. Dobbiamo prendere coscienza del tesoro che ci è stato donato e dobbiamo fare in modo che fruttifichi, per amore di Gesù e della gente che egli ci ha messo intorno. Soltanto la ripresa di questa coscienza potrà evitare lutti peggiori a questo popolo. (Il Timone, 15 novembre 2007)

La morale delle belle anime porche


C'è una ragione per cui i romanzi moderni annoiano, mentre le vecchie novelle delle fate durano sempre. La ragione ce la spiega il mio vecchio amico G. K. Chesterton: "Le vecchie novelle hanno per protagonista un ragazzo qualunque. Sono le sue avventure che lo rendono interessante; e lo rendono interessante appunto perché è un ragazzo qualunque. Nel moderno romanzo psicologico, il protagonista è un anormale: il centro è fuori centro. Onde le avventure più straordinarie non hanno in lui una ripercussione adeguata, e il libro riesce monotono".
Chissà che ne avrebbe pensato il buon Chesterton di "Belle anime porche", il romanzo di tale Francesca Ferrando. Stando alle esaltate dichiarazioni dell'autrice, la protagonista della vicenda è un personaggio "del tutto nuovo" nella storia della letteratura italiana. Una ragazza che è stata violentata dal padre e che, solo più tardi, evadendo dalla realtà familiare ed entrando nel giro di un gruppo di amici, riesce a godersi il fiore della vita, in un'esperienza di sesso felice, liberante, e violento. "Il sesso deve essere gioia - dice la Ferrando - e anche l'orgia, se uno la fa consenziente, da adulto, va bene".
Le novelle della fate - diceva ancora Chesterton - hanno per oggetto un uomo normale in un mondo anormale. Il solito romanzo realistico di oggigiorno ci presenta le gesta di un lunatico essenziale in un mondo idiota". Ma il romanzo della Ferrando, in effetti, sembra nuovo: parla di una ragazza anormale, in un mondo anormale e idiota, che però l'autrice dimostra di apprezzare. La novità è tutta qui.
Questa esaltazione dell'orgia tra consenzienti mi lascia un tantino inquieto. E' evidente che per certa gente il limite tra ciò che è buono e ciò che è cattivo, tra il bene e il male, si è da tempo volatilizzato.
Vuoi farlo? Just do it! Tranquillo: è una filosofia "liberante", che ti porta alla felicità.
Le cronache degli ultimi giorni parlano di una realtà ben diversa, che con la felicità e la realizzazione di sé ha molto poco a che vedere. Il mondo delle "belle anime porche", dell'inebriante libertà sessuale respirata lontano dalla famiglia, durante uno stage Erasmus, più che attraente e felice ci appare mostruoso. L'omicidio di Meredith, ragazza americana in vacanza Erasmus a Perugia, impressiona per la sua violenza, causata proprio da quell'istinto di godimento sessuale che invece dovrebbe essere l'origine di ogni bene. La realtà è molto più complessa di quella che si descrive su certi libri.
Leggevo l'altro giorno una pagina di un grande. Antoine di Saint Exupéry scrive "Il piccolo principe" non per degli adulti maturi, che non capiscono niente, ma per dei bambini, che capiscono tutto, anche la complicata profondità delle novelle delle fate. E, parlando dei baobab, dice che bisogna estirparli quando sono ancora piccoli, perché poi, se diventano grandi, si trasformano in tremendi giganti che soffocano un piccolo pianeta e lo trapassano da parte a parte. Certo, bisogna saper distinguere i semi buoni da quelli cattivi, che apparentemente si assomigliano molto. Poi, quando uno ha imparato a distinguere, deve costringersi ad un lavoro di disciplina, facendo con cura la pulizia del proprio pianeta, ogni giorno.
Meredith questa pulizia non l'ha saputa fare. E neppure Amanda. Forse avevano la testa troppo imbottita di false promesse. Nessuno gli aveva forse spiegato che esiste il concreto pericolo di perdersi, di diventare schiavi. Forse nessuno le aveva spinte a riflettere su uno dei miti fondanti dell'Occidente, quello di Ulisse, nell'episodio di Circe e dei porci. Il loro sogno di un'esperienza universitaria felice e divertente, ricca di esperienze e di sapori piccanti, si è trasformato in un incubo. E il baobab è cresciuto, ed ha trapassato il pianeta da parte a parte.
Nelle antiche novelle delle fate, l'eroe doveva stare attento a distinguere il male dal bene, e doveva guardarsi dal male, e imparare a scegliere il bene. Nei moderni romanzi alla Durando, non si capisce più che cosa sia oggettivamente il bene e cosa sia il male. Nelle antiche novelle della fate si insegna ad affrontare la fatica, a maturare, a diventare grandi. Nei romanzi alla Durando, a ricercare il piacere nell'orgia. Là "scoprire la vita" significava scoprire le insidie e i valori. Qui, invece, semplicemente abbandonarsi ai piaceri della vita, succhiare il nettare.
Fa specie sentirsi dire queste cose mentre per terra, in un appartamento, fuma ancora il sangue caldo di una giovane vittima sacrificale.
Quello che Chesterton, ai primi del Novecento, non poteva prevedere era che la letteratura sarebbe diventata una felice, esaltata, giocosa e irresponsabile istigazione al vizio. (Gianluca Zappa, La Cittadella)

giovedì 8 novembre 2007

TV deludente: programmi fotocopia

A poco meno di due mesi dall'inizio della nuova stagione televisiva, è già tempo di primi bilanci. Se la tv cosiddetta generalista perde circa 350 mila spettatori (ben poca cosa rispetto al milione di defezioni degli ultimi tempi), ciò che dovrebbe allarmare è l'assoluta assuefazione del pubblico al mezzo televisivo.In mancanza di reazioni, come ad esempio un sostanziale calo degli ascolti, produttori e autori propongono la solita minestra riscaldata, con programmi fotocopiati (ad esempio Domenica In, La Domenica Sportiva, Il treno dei desideri e Porta a Porta sulla Rai contro Buona Domenica, Controcampo, C'è posta per te e Matrix sulle reti Mediaset) e personaggi molto simili (Mentana e Vespa, Clerici e Maria De Filippi, Gerry Scotti e Carlo Conti, Paola Perego e Simona Ventura).Così le risse tra gli ospiti nei talk show sono identiche su Canale 5 e su Raiuno, come dimostrano i politici chiamati in causa, questa volta da Beppe Grillo, per rispondere alla disaffezione degli elettori/spettatori.Insomma, non c'è niente di nuovo nei palinsesti di Rai e Mediaset, comprese le banali fiction sulle forze dell'ordine (carabinieri, marinai e finanzieri) o sulle biografie dei santi volutamente falsificate (si veda quella di Giuseppe Moscati o di Francesco e Chiara). Anche per quanto riguarda lo sport, con il Campionato di calcio, la Nazionale e la Champion League che la fanno da padroni, si assiste al solito teatrino messo in scena da scialbi telecronisti, mentre altri spettacoli (ad esempio i tornei internazionali di basket, pallavolo e rugby) avrebbero meritato ben altra attenzione.Così le ultime stagioni televisive sono tutte uguali, ed anche i critici rischiano di ripetere le cose scritte anni addietro. Ma ciò che risulta davvero sconfortante è il fatto che il pubblico non si ribella, non pretende qualcosa di nuovo, mentre preferisce seguire gli stessi personaggi, gli stessi programmi, gli stessi format. E’ come se fosse rassicurato dalle vecchie e stantie idee, e perciò non fosse curioso, appassionato, desideroso di vedere programmi diversi e di qualità.Ed è un vero peccato, perché così la televisione non può migliorare, anzi può solo peggiorare, come dimostrano quei talk show che nel tempo hanno commentato i delitti da prima pagina con particolari sempre più efferati (ad esempio quelli di Novi Ligure, Cogne, Erba e in ultimo Garlasco).Non c'è quindi da stupirsi se le poche cose nuove e interessanti vengano trasmesse in tarda serata, proprio perché sono rivolte ad un pubblico ristretto che ancora crede ad una televisione educativa, intelligente e stimolante. Ma non era questa la missione della tv?

Se poi è il pubblico a giudicare…
Al contrario è sempre più stretto il legame tra i mezzi di comunicazione e le aule giudiziarie. Da tempo si permette alle telecamere di varcare la soglia dei Palazzi di Giustizia per documentare in presa diretta lo svolgimento di un dibattimento giudiziario, oppure vengono riprodotte in studio le situazioni processuali, con casi reali e giudici veri, con tanto di sentenza finale.E gode di buona salute anche il genere, che usa la metafora giudiziaria per analizzare alcuni eventi, generalmente di carattere sportivo.Oggi, accanto a questi esempi ormai tradizionali, sono sempre più numerosi i programmi televisivi che portano in scena le vicende giudiziarie in corso. La telenovela che coinvolge i giudici Forleo e De Magistris e il ministro Mastella è soltanto l'esempio più recente.Il fenomeno è ormai radicato e non si vede alcun segnale di inversione di rotta; basti pensare a tutte le volte in cui i presunti colpevoli vanno a difendersi in televisione, di solito (ma non esclusivamente) sulle poltroncine bianche di Porta a porta, dove Bruno Vespa è riuscito a ospitare persone che la giustizia ha dichiarato colpevoli di omicidio (per esempio Scattone e Ferraro, accusati di aver ucciso Marta Russo, o Annamaria Franzoni, condannata per l'infanticidio del figlio Samuele).Non appena i media mettono nel mirino un processo in corso, puntualmente le vicende giudiziarie si spostano sul teleschermo; i giornali e gli altri organi di informazione fanno la cronaca non più di ciò che avviene (o dovrebbe avvenire) nelle aule giudiziarie, ma di ciò che si vede nel piccolo schermo. D'altronde, se la tv italiana pullula di processi televisivi, questo significa che il genere incontra il favore del pubblico.E’ pericoloso demandare al giudizio degli spettatori, invece che a quello degli organi competenti, tutti i più scottanti casi di attualità. Si rischia di confondere ancora una volta la realtà con la fiction o con il reality show. Evidentemente, c'è chi ha interesse a trasferire sotto i riflettori delle telecamere i dibattimenti giudiziari, a partire dagli avvocati più o meno spregiudicati che, facendo leva sui sentimenti popolari, sperano di creare un movimento di opinione innocentista tale addirittura da condizionare le decisioni della magistratura giudicante.
I presunti colpevoli, dal canto loro, stanno al gioco mediatico perché, secondo la distorta strategia di cui sopra, hanno soltanto da guadagnarne. E gli autori delle trasmissioni televisive sacrificano volentieri la deontologia alle leggi dell'audience, che impongono di tenere incollati al video milioni di telespettatori a tutti i costi.Auguriamoci che il verdetto finale di molti processi in corso non sia affidato al televoto della "giuria popolare" composta dal pubblico televisivo, ma agli organi effettivamente competenti. (Fonte: Incrocinews, novembre 2007)

sabato 3 novembre 2007

È morto don Benzi: una vita per gli ultimi.

“Un infaticabile apostolo della carità”. Così l’ha definito papa Benedetto XVI nel messaggio di cordoglio inviato per la morte di Don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Giovanni XXIII.
Nato il 7 settembre 1925 a San Clemente in provincia di Forlì, don Benzi è entrato in seminario nel 1937 ed è stato ordinato sacerdote nel 1949. A lungo impegnato con i giovani, cui propone "un incontro simpatico con Cristo", nel 1972 ha guidato l'apertura della prima Casa Famiglia dell'Associazione Papa Giovanni XXIII a Coriano (Forlì).Nell'ottobre 1950, come spiega il sito della sua Comunità, don Benzi viene chiamato in seminario a Rimini quale insegnante e quindi è nominato vice assistente della Gioventù Cattolica di Rimini (ne sarà poi Assistente nel 1952). E' in questo periodo che matura in lui la convinzione dell'importanza di essere presenti ai giovani adolescenti nei quali si formano i metri di misura definitivi dei valori di vita.Riteneva fondamentale, infatti, realizzare una serie di attività che favorissero un "incontro simpatico con Cristo" per coinvolgere la maggior parte di teenager che venivano ad avere incontri decisivi per la loro formazione con tutti ad eccezione di Cristo. In questo progetto rientra anche la costruzione di una casa alpina ad Alba di Canazei (TN) per soggiorni di adolescenti, realizzata dal 1958 al 1961.Mantenendo l'impegno fra gli adolescenti, nel 1953 don Benzi è nominato direttore spirituale nel seminario di Rimini per i giovani tra i 12 e i 17 anni. Attraverso tale compito (protrattosi fino al 1969) ha potuto approfondire più intensamente la conoscenza dell'animo giovanile. Nel frattempo, dal 1953, oltre al seminario, insegnava religione alla scuola Agraria "S. Giovanni Bosco" di Rimini, frequentata dagli adolescenti nei primi tre anni dopo le elementari. Nel 1959, continuando l'ufficio di padre spirituale in seminario e la presenza fra gli adolescenti in Diocesi, viene trasferito al Liceo Classico "Giulio Cesare" di Rimini, poi nel 1963 al Liceo Scientifico "Serpieri" di Rimini, ed infine nel 1969 al Liceo Scientifico "Volta" di Riccione. Tale esperienza, spiegano dalla Comunità, gli ha permesso di portare numerose attuazioni sul piano educativo tendenti a migliorare l'insegnamento di religione nella scuola, con il coinvolgimento dei giovani nella propria vita e nella presenza ai più poveri.Nel 1968, con questo gruppetto di giovani e con alcuni altri sacerdoti dà vita all'Associazione Papa Giovanni XXIII. Dall'incontro con persone che nella vita non riuscirebbero a cavarsela da sole e grazie alla disponibilità a tempo pieno di alcuni giovani, Don Oreste Benzi guida l'apertura della prima Casa Famiglia dell'Associazione Papa Giovanni XXIII a Coriano (FO) il 3 luglio 1972. Nel 1983 l'associazione di don Benzi ottiene il riconoscimento di "aggregazione ecclesiale" da parte del vescovo della Diocesi di Rimini Mons. Giovanni Locatelli. Il 7 ottobre 1998 l'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII è riconosciuta come "Associazione Internazionale Privata di Fedeli di Diritto Pontificio" riconosciuta dal Pontificio Dicastero dei Laici.Da oltre trent'anni la Comunità Papa Giovanni XXIII opera nel mondo dell'emarginazione in Italia e all'estero . E' presente in: Albania, Australia, Bangladesh, Bolivia, Brasile, Cile, Cina, Croazia, India, Italia, Kenya, Romania, Russia, Tanzania, Venezuela e Zambia. La vocazione specifica della Comunità è riassunta così: "Mossi dallo Spirito a seguire Gesù povero e servo, i membri della Comunità Papa Giovanni XXIII, per vocazione specifica, si impegnano a condividere direttamente la vita degli ultimi mettendo la propria vita con la loro vita, facendosi carico della loro situazione, mettendo la propria spalla sotto la loro croce, accettando di farsi liberare dal signore attraverso loro. L'amore ai fratelli poveri di cui si condivide la vita deve spingersi fino a cercare di togliere le cause che provocano il bisogno e quindi porta la Comunità ad impegnarsi seriamente nel sociale, con un'azione non violenta, per un mondo più giusto ed essere voce di chi non ha voce".
Don Benzi lo abbiamo più volte visto in tv nei suoi interventi per liberare le prostitute – soprattutto africane ed est europee – dalla schiavitù. Ma è stato molto di più. Proprio la sera del 31 ottobre aveva organizzato in una discoteca di Rimini una contro-festa di Halloween insieme al vescovo di San Marino, monsignor Luigi Negri, per incontrare i giovani e sfidarli sul senso della loro esistenza.Molte sono state le testimonianze sincere e commoventi, ma un pensiero vorremmo rivolgere a tutti quei politici – di destra e di sinistra – che fin dalle prime ore dopo la morte hanno fatto a gara per esprimere il loro cordoglio. Giusto, doveroso e degno di rispetto l’omaggio a quest’uomo da qualunque parte esso provenga, ma perché parlare a sproposito e coprire con parole piene di miele la propria ostilità a ciò che don Benzi era e rappresentava? Abbiamo letto di “una lezione alla politica”, “testimonianza su cui riflettere”, “un insegnamento da non dimenticare”. E allora forse è il caso di ricordare quell’insegnamento citando alcuni pensieri espressi da don Benzi:
- Sul caso Welby e l'eutanasia: "Interessava troppo ai politici. Avrei voluto dire alla moglie che non era troncando la vita, ma dando spazio alla vita che si poteva superare la sofferenza. Questo sarebbe stato il bello e una svolta nella storia. Ma non è potuto accadere, interessava troppo ai politici". "Ho mandato un messaggio a Piergiorgio in cui gli ho detto : 'vedrai quanto è bella la vita. Chiunque soffre dà la possibilità all'uomo di ritrovare se stesso, di non ignorare l'altro, di ricomporre un'unità profonda. Non è la malattia che fa star male ma è l'abbandono che vien fatto della persona malata che lo fa soffrire".
- La nostra società e la vita: "E’ una società vecchia, cioè una società di vecchi capaci solo di spegnere le realtà più belle create da Dio: il matrimonio, la famiglia, la dignità della donna, la libertà dello spirito, l'amore di Dio e del prossimo". La difesa della vita dal concepimento alla morte naturale era per don Benzi "il primo dei grandi appuntamenti che Cristo sta dando a tutti i cristiani e soprattutto alle comunità e movimenti riconosciuti dalla Chiesa: la lotta per difendere la donna a non abortire, la lotta per garantire un'assistenza dignitosa ai malati terminali, la lotta per il riconoscimento della vera famiglia, la lotta per vincere la droga, l'impegno per accogliere veramente gli immigrati a partire dai fratelli nella fede, l'impegno per accogliere gli zingari a partire dai fratelli nella fede, l'impegno per accogliere i carcerati e per superare le carceri, l'impegno per non essere impiegati della carità ma innamorati di Cristo, l'impegno per essere popolo, la lotta per la liberazione dalla schiavitù della prostituzione".
- Al Family Day: “Non esiste scientificamente l’omosessualità, è una devianza”.
- Sulla prostituzione: “Se non ci fosse la domanda, non ci sarebbe l’offerta. Se gli italiani non chiedessero prestazioni sessuali a pagamento, non ci sarebbe la tratta delle donne che vengono schiavizzate e forzate, da criminali singoli o associati, a dare le prestazioni sessuali richieste. Questa ingente quantità di persone colpite dalla schiavitù, dalla disoccupazione, dalla fame, dalla guerra, sono le vittime di una società disumana, di una società in cui l'uomo è una "cosa" accanto alle altre”. (Liberamente tratto da Il Timone).