mercoledì 31 ottobre 2007

Non basta? Ancora su preti pedofili, gay, dissoluti...


Ci risiamo: ormai dobbiamo sorbirci tutto il filone, fino all'ultima goccia! Ogni emittente deve esibire il suo “special”, il suo capolavoro giornalistico, la sua "perla", la sua tavola rotonda di idiozie.
Ultima in ordine di tempo (ma purtroppo non in senso assoluto, poiché c’è ancora Matrix e via dicendo…) è andata in onda a puntate la trasmissione Exit di Ilaria d’Amico, forse più abituata a trattare di pallone che di Chiesa.
Risultato? Una trasmissione squallida...
Partiamo dall'incompetenza della conduttrice, che pretende di tenere le fila del discorso senza appunto conoscere nulla della Chiesa, documentandosi solo con candid camere (di cui ci fidiamo essere anche veritiere) e le testimonianze in studio.
Si accusa la Chiesa di non essere stata presente alla trasmissione: non vi chiedete il motivo ? Quando si ricerca la Verità, la Chiesa è in prima linea; lo dimostra ad esempio la partecipazione di Mons. Rino Fisichella, rettore della Lateranense e vescovo ausiliare di Roma, alla discussa trasmizzione AnnoZero di Santoro di qualche mese fa... Lì la Chiesa c'era perché sicuramente c'erano dei veri giornalisti, e in qualcuno forse c'era anche il desiderio di ricercare la Verità (anche se il tizio irlandese ha perso più volte le staffe...).
Ieri invece sembrava di essere ad un processo calcistico del lunedì, in cui non si cercava neppure di inquadrare le singole situazioni e soprattutto senza mai neppure sforzarsi di capire il pensiero della Chiesa su tali questioni. Si è parlato di "presunti" preti e alte cariche ecclesiastiche (??), dando dei numeri per niente documentati e cercando di far passare il concetto che la Chiesa è tutta marcia. La verità è che la Chiesa, fin dalle sue origini, è sempre stata scomoda e per questo attaccata, perseguitata e screditata...
In effetti questi argomenti scottanti fanno audience e forse la redazione di La7 ne ha bisogno... Con questo non voglio negare l'esistenza di "episodi" che, se reali, andrebbero denunciati alle autorità ecclesiastiche competenti; questo farebbe solo bene alla Chiesa!
Del resto non mi ha sorpreso più di tanto l'atteggiamento gongolante della conduttrice che, magari anti-cattolica convinta, fa la sua campagna di disinformazione: mi ha invece sorpreso l'immaturità del "don" presente in studio: parlava di dialogo che la Chiesa dovrebbe avere. Dialogo? Vorrei ricordargli che la Chiesa NON è una democrazia e le sue "leggi" non vengono votate mediante referendum! Inoltre, quando uno decide di diventare prete, promette "filiale obbedienza" al Vescovo e al Papa.
Effettivamente la Chiesa dovrebbe "selezionare" e curare meglio la formazione dei giovani che si preparano ad un servizio così alto, nel celibato. Poi non dimentichiamoci (e scusate se è poco!) che chi crede nella Chiesa Cattolica crede fermamente nel fatto che la sua vera guida è Dio, il quale illumina i pastori con la potenza del suo Spirito. Ritengo pertanto realmente presuntuoso che i cristiani si alzino un mattino e dicano "secondo me le cose non stanno così"...
Il cristiano crede nei suoi pastori e li sostiene, perché è convinto che tutte le norme, le leggi, gli sono utili per arrivare alla vera felicità. La Chiesa è in continuo cammino verso la Santità perfetta, alcune cose certamente possono migliorare. Ma la denuncia che è stata fatta ieri mette solo sfiducia in tutto e in tutti, esattamente come quello che sta accadendo nella politica di questi giorni.
Ma a chi giova tutto ciò? Credo a nessuno... Ieri è passato il concetto che l'unico interesse della Chiesa sia quello di adescare i deboli, per i propri porci comodi...
Mi sembra veramente squallido. L'interesse della Chiesa rimarrà sempre il bene dell'uomo, come creatura a immagine dell'unico Dio.
Perché una volta tanto non si raccontano le virtù, le cose belle che la Chiesa fa? Perché non si raccontano le virtù che la maggior parte dei preti incarnano? Fa sempre più rumore l'albero secco che cade e non ci si accorge della bellezza di una rigogliosa foresta che cresce.
E pensare che la ns. società ha così bisogno di "pensare positivo", invece di gettare fango sempre su tutto e tutti. Mi auguro che ciascuno faccia le sue riflessioni e ricerchi sempre e onestamente la Verità che rende liberi.
Vedi Ilaria: il problema non è pizzicare o dimostrare al mondo intero la verità o l’indecenza della depravazione in cui possono cadere persone schiave e ingannate come lo possono essere anche dei presbiteri in crisi. (così come lo possono essere padri di famiglia in flagrante adulterio).
Ma attenzione: tu che con notevole zelo hai condotto questa piccola crociata contro una verità che nessuno si sogna di negare (perché anche i preti sbagliano!) hai preso un grosso abbaglio.
Hai voluto parlare della Chiesa e pretendere di saperla lunga su molte cose che la riguardano: e ti sei scaldata così tanto proprio perché della Chiesa conosci poco e niente.
Mi spiego: non dovevi per esempio confondere in alcun modo il peccato delle singole persone (dei preti, per esempio, che devono convertirsi come si deve convertire la totalità del popolo di Dio, te compresa) con la santità della Chiesa, che nulla e nessuno può offuscare!
Sono due aspetti che viaggiano su binari ben distinti. Ti consiglio di informati!

Neonato gay. Ma non dite che è uno choc


L’immagine che vedete - un neonato con al polso un braccialettino che ne indica, anziché il nome, la congenita inclinazione all’omosessualità - è stata scelta dalla Regione Toscana e dal ministero per le Pari opportunità come icona di una campagna contro le discriminazioni di carattere sessuale. Da oggi sarà affissa, in bella evidenza, sui muri delle città toscane, e riprodotta da alcuni quotidiani nazionali. Non sappiamo se otterrà il giusto scopo di combattere le discriminazioni, oppure se l’utilizzo di un bimbo - evidentemente non in grado di dare il proprio assenso - sortirà l’effetto non voluto di irritare. Di sicuro è una campagna che risponde pienamente ai canoni del «politicamente corretto», il quale impone la presenza di una o più coppie gay in ogni film, fiction tv, mostra d’arte, romanzo e persino gara sportiva. Il terreno è scivoloso, e criticare certe iniziative espone sempre al rischio di vedersi contestare l’immancabile accusa di omofobia. Tuttavia sarà ancora consentito, almeno, di sorridere di fronte alle mirabolanti definizioni con cui queste campagne vengono presentate. «Campagna choc», è scritto più volte nel comunicato diffuso dai promotori. «Choc», cioè che scuote, stupisce, sorprende, rompe gli schemi. Ma quali schemi? Quelli della coppia eterosessuale e magari monogamica? Quelli del matrimonio indissolubile? Quelli del processo a Oscar Wilde? Non prendiamoci in giro. Ogni epoca ha il proprio conformismo, e certo non era bello quello che marchiava gli omosessuali come «froci» o «invertiti» o peggio ancora: ma quei tempi sono finiti da un pezzo, morti e sepolti. Lo sa bene chiunque lavori in un giornale ma anche chiunque stia un paio d’ore davanti alla tv. Per chi sarebbe uno «choc» la campagna della Regione Toscana? Per i politici? Chiedere informazioni a chi ha perso una poltrona da commissario europeo, per aver dato l’impressione di non essere abbastanza choccante. Proprio di questi giorni è la notizia dell’ultima trovata di Joanne Kathleen Rowling, la creatrice della saga di Harry Potter. Scritto l’ultimo romanzo, finito il battage pubblicitario per l’uscita del libro, che cosa si è inventata la signora per rilanciare il prodotto? Che Albus Silente, uno dei suoi eroi di carta, è un gay. Ma guarda: se dire una cosa del genere fosse ancora così anticonformista, non avrebbe avuto paura, la Rowling, di perdere lettori? Invece ha messo a segno ancora una volta un colpo da genio del marketing, perché la parolina magica, «gay», non poteva che fare il giro del mondo circondata da cori di approvazione, di perbacco che coraggio, di ma guarda com’è illuminata. E infatti non è passato neppure un giorno che Daniel Radcliffe, l’attore che ha impersonato Harry Potter al cinema, ha annunciato: «Nel prossimo film mi piacerebbe interpretare un ruolo gay». Un kamikaze o un furbone? «I pittori del Rinascimento, Michelangelo in testa, riempivano i loro quadri, anche religiosi, con i ritratti nascosti dei loro amori e dei loro amanti: ma quello sì che era un gesto eversivo, rischioso», ha detto Pietrangelo Buttafuoco proprio ieri sul Foglio. Adesso invece il testimonial gay viene usato come la gallina dalle uova d’oro, come chiave sicura per aprire le porte dell’applauso facile: e non solo quello degli intellettuali progressisti, ma anche di tutto il cosiddetto media-system. Giova, agli omosessuali, tanto ipocrita conformismo? Non credo. Come non credo giovi loro neppure lo slogan che la Regione Toscana ha inserito nel manifesto con il neonato gay: «L’orientamento sessuale non è una scelta». È uno slogan ideato - come ha detto l’assessore regionale Agostino Fragai - per «sottolineare come l’omosessualità non possa essere considerata un vizio». Forse Fragai non si rende conto che in questo modo priva gli omosessuali del loro libero arbitrio, e li condanna a una condizione di dipendenza genetica che qualcuno, Dio non voglia, potrebbe chiamare malattia. Ben vengano, insomma, tutte le iniziative tese a spazzar via ogni residuo di discriminazione, di ghettizzazione, di offesa. Ma gli omosessuali avrebbero diritto a sponsor più credibili di chi, per usare ancora le parole di Buttafuoco, vuol «presentare gli uomini e le donne come “individui” de-generalizzati, né maschi né femmine, né adulti né bambini. Senza genere. De-generi». Sono gli autogol prodotti dallo zelo eccessivo del nuovo conformismo. Che ha la pretesa di presentarsi come anticonformista, è questo che fa un po’ ridere. (Michele Brambilla, Il Giornale n. 251 del 24 ottobre 2007)

giovedì 11 ottobre 2007

Un tumulto mediatico aberrante!


“Padova, 8 ottobre 2007 - E' stato rimosso da parroco di Monterosso don Sante Sguotti, il prete che aveva destato scalpore per le sue dichiarazioni d'amore per una donna. La decisione è stata presa dal vescovo di Padova mons. Antonio Mattiazzo. Il provvedimento di rimozione è stato consegnato al sacerdote dal notaio di Curia. Il decreto ha effetto immediato e, pertanto, don Sante Sguotti ha l'obbligo di lasciare quanto prima (non oltre il 13 ottobre) la parrocchia e non può più esercitare le funzioni di parroco. Al sacerdote è stata inoltre revocata la facoltà di udire le confessioni e pertanto non può impartire validamente l'assoluzione sacramentale. Amministratore parrocchiale della parrocchia di San Bartolomeo di Monterosso è stato nominato don Giovanni Brusegan, delegato vescovile per l'ecumenismo e la cultura.”

Fin qui la notizia apparsa in tutte le salse su giornali e tv.
Sembra un esempio ad hoc comprovante lo stato di obnubilamento totale in cui versa una grossa fetta di moderni preti, nati negli anni delle rivolte sessantottine, che probabilmente non hanno capito nulla della dignità della vocazione cui hanno aderito.
Ma quello che più ha colpito i media è il rifiuto del prete di sottomettersi all’autorità del suo Vescovo, accettando con umiltà le conseguenze (ben conosciute e inevitabili) della sua “disinvoltura”.
Per questo ha inscenato una conferenza stampa indegna! Una scelta peggiore del male.

Ho letto il blog di Andrea Tornielli che riportava la notizia, e mi sono inoltrato nella selva degli interventi: accanto a tante provocazioni idiote, mi sono imbattuto anche in alcune risposte (presumo di giovani) che secondo me hanno offerto al caso una obiettiva chiosatura.

Eccone un saggio:

“L’atteggiamento di don Sante mi ha rammentato un passo del “Paradiso Perduto”, laddove Milton indicava quale peggiore peccato di Lucifero la sua pretesa di proclamare il “male” come “bene” (atto supremo di quell’“orgoglio” che rettamente la dottrina ha qualificato come “peccato contro lo Spirito Santo”).
In questo senso, a mio sommesso avviso, il punto principale della vicenda non tanto è costituito dall’eventuale debolezza spirituale di quel sacerdote (spiritualmente deboli e peccatori, in fondo, lo siamo tutti), quanto piuttosto dalla sua rivendicazione della sostanziale liceità morale del grave peccato da lui commesso; questo sì costituisce un atto veramente scandaloso ed inescusabile! Così come ancora più inescusabile e scandaloso mi è parso il suo patetico tentativo (apertamente favorito dal ceto dei “mass media” anticattolici) di cercare una validazione morale del suo operato, mendicando il consenso di una pubblica opinione laicizzata e, quindi, inconsciamente lontana anni luce dai principi del cattolicesimo.
Sicuramente doveroso, d’altro canto, il provvedimento della Curia di Padova; anche se, assai probabilmente, a fronte del pubblico scandalo offerto dalle gravissime dichiarazioni di quell’indegno (nel senso che sopra ho chiarito) sacerdote, si sarebbe dovuta muovere assai prima." (Imerio)

"Neanche a me interessano le debolezze o le inclinazioni personali di don Sante Sguotti: ognuno di noi ha le proprie e ci mancherebbe anche mettersi a fare del moralismo a buon mercato approfittando dell’anonimato che un blog garantisce.Non ritengo nemmeno tutti i sacerdoti siano in grado di valutare ex ante le proprie inclinazioni sessuali (spesso possono proporsi e affacciarsi anni e anni dopo la loro scelta).
Quello che non mi piace è che l’uomo abbia montato un ambaradan mediatico di non poco peso volto a mettere fin da subito il suo vescovo nella posizione di mostro insensibile e perfido, mettendo persino in mezzo un bambino che - tuttora - non si capisce di chi sia figlio.
Io credo che prima che come sacerdoti ci si debba comportare da uomini…: cioè - mi si passi il francesismo - avere le palle. Troppo comodo coprirsi con la tonaca solo quando può far comodo, chiedendo alla Chiesa casa, stipendio, moglie e figli e pensione.Vada a lavorare come tutti i padri di famiglia e non pretenda che lo mantenga il suo vescovo che lui stesso considera retrivo: vedrà con quale delicatezza e sensibilità lo tratteranno altri datori di lavoro!" (Alberto di Udine)

"Il nodo della questione ruota intorno alla vocazione e ai suoi motivi in senso stretto.Perché ci si fa preti oggi? Per mediare fra il cielo e la terra? Per unirsi misticamente con Dio attraverso la preghiera e la liturgia? Niente affatto, non più. La religione si è fatta filantropia con tutto quanto ne deriva. Così troviamo i preti che si fanno dare del “tu”, che non si proteggono più con la tonaca, che badano più all’oratorio che alla chiesa. E’ ovvio che poi in questa confusione sia più facile tradire, anche involontariamente, la propria vocazione e i propri voti – se religiosi -, perché nulla fa più da scudo e da barriera, al mondo, alle sue lusinghe e al peccato. Tutto semplice, tutto facile. Così si arriva a commettere il male senza malizia, rivendicando spesso addirittura un diritto. Non succede solo nella Chiesa, è lo spirito del mondo che si è impossessato della ragione e della fede.Perdonatemi il tono omiletico, ma è davvero necessario uno sforzo per cercare di rimettere ordine. Anche se un sacerdote lascia, la Chiesa prosegue nel suo cammino fino alla fine dei secoli, ma questo cammino non deve essere lastricato di buone intenzioni e proponimenti, di parole ed omissioni, ma necessariamente costellato di esempi di santità e di amore a Cristo, che non si trovano ruzzolandosi per terra, ma solo guardando il cielo." (Mauro W. Fuolega)

"Attenzione non facciamo i moralisti per l’amor del cielo…lo scandalo di cui anch’io parlavo non sta affatto nella consumazione si o no del sacerdote…errare è umano e la stessa dispensa che la Chiesa concede mette in regola il sacerdote, ergo, non scandalizziamoci di questo, il vero scandalo dato da questo sacerdote è la sua propaganda sovversiva è il suo atteggiamento superbo contro il vescovo….è l’aver coinvolto la sua comunità la quale gli è stata affidata da quel vescovo….
Come uomo di fede, e sacerdote e amico di quella comunità avrebbe dovuto imporre loro di non agitarsi contro il vescovo….invece li sta usando,e loro si stanno lasciando usare in un gioco più grande di loro…E prima che arriveranno a comprendere il male che stanno facendo a se stessi e agli altri (ecco lo scandalo) avranno seminato maggiormente i veleni che corrodono le virtù alle quali siamo tutti chiamati, prima fra tutte la virtù dell’obbedienza, della pazienza, dell’umiltà….
Ripeto così il mio appello a don Sante Sguotti: se ne vada!ma non perchè la sua scelta è di scandalo, quanto la sua attuale posizione di atto di forza contro il suo vescovo è si uno scandalo!Se ne vada, in pace…..chieda la dispensa e se ne vada a crearsi una famiglia o a fare ciò che preferisce ma non pretenda la parrocchia, questa non le appartiene…lo dica ai suoi parrocchiani, faccia un ultimo sforzo coerente all’abito che indossa….la parrocchia appartiene al suo vescovo che le piaccia o no….e si rilegga san Paolo! Fraternamente." (Caterina LD)

Che ve ne pare? Fa piacere sentire che tra i giovani ci sia ancora qualcuno che ha le idee chiare!

martedì 9 ottobre 2007

L’immoralità del clero, un dato di fatto. Che fare?


Forse i cosiddetti "laici" - quelli che un tempo si chiamavano meno prosaicamente "senza Dio" o "mangiapreti" - sono così alieni al mondo cattolico da aver subodorato solo oggi il ghiotto boccone dell'immoralità dei chierici. Forse i cattolici praticanti, per quell'innato senso di protezione che in epoche meno corrotte assicurava comprensione verso i Ministri sacri, non vogliono o non osano vedere la realtà. Ma il reverendo Clero - dal coadiutore della più remota pieve al porporato della Curia Romana - non ignora assolutamente né la gravità, né l'estensione del fenomeno, che fa strame della morale al pari di quanto l'esasperato progressismo degli ultimi quarant'anni ha fatto scempio dell'ortodossia cattolica. Quello che è francamente incomprensibile e disarmante è il progressivo abbassamento della guardia, proporzionale all'incancrenirsi della piaga.

In altre epoche - bollate come viete e "post-tridentine" da sedicenti teologi e intellettuali di oggi - la fermezza della Chiesa tanto verso l'immoralità quanto verso la deviazione dottrinale consentiva di evitare al massimo il fenomeno, tenendo lontani dal santuario i chierici indegni.
Una ferrea selezione nei Seminari - ripetiamo: tanto in questioni "de fide" quanto "de moribus" - portava agli Ordini Sacri candidati di solida formazione e di buona spiritualità. Il Vescovo, prima di conferire gli Ordini, chiedeva all'Arciprete se gli ordinandi fossero degni di riceverli, ed egli rispondeva: «Quantum humana fragilitas nosse sinit, et scio et testificor illos dignos esse» («Per quanto l'umana fragilità permette di sapere, so e testimonio che sono degni»).

Dal postconcilio i Seminari hanno rinunciato alla disciplina, così come nei Conventi si è abdicato allo spirito di mortificazione e di sacrificio, per trasformare il Clero secolare e regolare in una sorta di categoria sindacale amorfa, proiettata verso un solidarismo orizzontale e filantropico, ed avversa ad ogni vestigio di vita ecclesiastica, primo tra tutti l'abito talare. Poca preghiera, scarsissima vita interiore, nessuna penitenza: cose medievali - dicevano - finalmente spazzate via dallo spirito dei tempi e dalla nuova primavera conciliare. E, come contraltare, il cellulare con fotocamera, il televisore sempre acceso, il computer, internet, gli abiti firmati, gli occhiali da sole, le uscite a qualsiasi ora, le vacanze in luoghi lontani dal controllo del Vescovo. E il venerdì, in aperta opposizione al magro preconciliare, carne e salumi.

Nell'assenza della disciplina (dal latino "discere", che significa "imparare") e del rigore - indispensabile presidio del raccoglimento interiore e dello spirito di mortificazione richiesto a chi vuole rinnegare se stesso per seguire Cristo - è inevitabile che si radichino e crescano rigogliosi i vizi e i difetti che dilagano nella società profana. Senza dire che tutto questo voler considerare il sacerdote come "uno di noi", senza alcun rispetto reverenziale per il suo ruolo, ha allentato sensibilmente quella barriera psicologica che se non altro aiutava il chierico nella vita quotidiana a contatto con i fedeli.

Rattrista e scandalizza che oggi i pochi seminaristi che vorrebbero vivere con serietà gli studi e la formazione al Sacerdozio nella fedeltà al Magistero, magari addirittura vestendo la talare o pregando in latino, siano additati come squilibrati, vengano derisi dai loro confratelli e dai Superiori e siano infine costretti ad abbandonare la vocazione. Contro costoro l'ira dei Presuli è implacabile; ma per quanti nei corridoi del Seminario o del Monastero si apostrofano con nomignoli femminili l'indulgenza è viceversa garantita, nonostante le direttive della Suprema Autorità. Non ci si stupisca allora se le vocazioni sono in calo impressionante: se profanità dev'essere, che sia almeno vissuta senza i fastidiosi impegni dello stato clericale. La televisione e internet ci sono anche a casa propria, così come non serve entrare in Seminario per vestirsi di Dolce & Gabbana e Prada. Indicativamente, gli Istituti e le Comunità religiose di stretta osservanza traboccano di giovani desiderosi di vivere con slancio e con totalità la loro consacrazione a Dio. E si capisce: in quest'epoca senza nerbo, i ragazzi di trovano una motivazione ed uno sprone alla sequela di Cristo nelle grandi prove, nelle sfide impegnative, nel raccoglimento.

Lo stato morale del nostro Clero è specchio di un diverso modo di concepire il sacerdozio. Se il prete è "alter Christus" e come tale vive e si mostra al mondo, con quella veste nera che simbolizza l'assoluta estraneità al secolo; se egli è colui che offre con devozione e rispetto il divin Sacrificio e che Dio ha voluto come dispensatore della Sua grazia attraverso i Sacramenti; se l'unzione ch'egli ha ricevuto gli ricorda che non è più lui a vivere, ma Cristo stesso che vive in lui; se il mondo vede il sacerdote come una persona sacra, anche le occasioni di peccato sono in qualche modo limitate. E non dimentichiamo che le tentazioni ci sono sempre e per tutti, ma che le occasioni prossime siamo quasi sempre noi che ce le andiamo a cercare. Ed anche la sua predicazione sarà più incisiva, perché da lui ci si aspetta di ricevere quegli insegnamenti che il Signore ha affidato alla Chiesa perché li trasmettesse fedelmente. E da quella predicazione scaturiscono anche comportamenti e stili di vita conseguenti: più amore per Cristo, più preghiera, più grazia, più moralità, più presenza di Dio nella società.

Se viceversa il sacerdote è considerato come un semplice rappresentante della comunità, nella quale ogni fedele - secondo la vulgata postconciliare - è sacerdote, re e profeta in virtù del Battesimo; se nella Messa egli si limita a presiedere stancamente un'assemblea annoiata; se si comporta e si veste come un laico - ammesso che i laici sappiano vestirsi con la trasandatezza di alcuni preti - ed il suo ruolo sacro di pastore e guida viene meno; se amministra i Sacramenti senza alcun rispetto e confessa i fedeli facendoli sedere accanto come per una simpatica chiacchierata, anziché far loro comprendere che nel Sacramento della Confessione il sacerdote è giudice che assolve ed imparte la penitenza in nome di Dio, e che al cospetto di Dio ci si inginocchia; se qualsiasi colpa gli si confessi egli la sminuisce ed attenua nel fedele il senso della responsabilità morale delle proprie azioni; se non lo si vede mai in chiesa a pregare davanti al tabernacolo ma si è certi di trovarlo a far fotocopie della «Lumen gentium» nell'ufficio parrocchiale, allora è inevitabile che lo si tratti come un laico qualsiasi, senza rispetto, ed anzi con quella pericolosa confidenza e famigliarità che tanto facilmente conduce alle colpe "de sexto". E la sua predicazione - anzi, le sue "omelie", come va di moda oggi - si limiterà a riportare quei miserrimi discorsi di circostanza, senz'anima e senza convinzione, che ha leggiucchiato su qualche testo progressista: non più verità eterne, non più semplici e chiari principi di morale e di fede da seguire nella vita quotidiana, ma banalità. Ed essendosi esautorato da sé, quel sacerdote non potrà pretendere dai suoi fedeli - dai quali tanto tiene a farsi dare del tu - che lo ascoltino e mettano in pratica quel che dice. Anzi: essendo egli per primo un esempio di mediocrità, non ispirerà certo slanci eroici nel suo gregge, che compatirà le sue miserie per legittimare le proprie. E da quella predicazione scaturiscono anche comportamenti e stili di vita conseguenti: meno amore per Cristo, che pare non interessare nemmeno quel sacerdote; meno preghiera, meno grazia, meno moralità, minor presenza di Dio nella società.

Qual è il rimedio? Il ritorno a Cristo, e a Cristo crocifisso. Disciplina, rispetto dell'autorità e rigore nella formazione del Clero e dei Religiosi, sapendo anteporre la qualità delle vocazioni al loro numero. Preghiera, e preghiera vera: non piagnistei, ma recita assidua del Breviario, ritorno all'adorazione silenziosa del Santissimo Sacramento, meditazione mattutina prima di ogni altra incombenza. Ritorno al latino, che è lingua sacra e che fa assaporare in modo ineffabile i tesori della più alta spiritualità, senza gli equivoci e i travisamenti che la lingua volgare induce. Ritorno alla disciplina anche nella liturgia e nel canto: si ripristini il gregoriano e si aboliscano d'autorità quegli odiosi miagolii che vanno di moda oggi. Si renda obbligatoria la veste talare per i chierici, e l'abito religioso per i frati, i monaci e le suore. Si ripristini, almeno per i chierici, il sacro digiuno nei venerdì di Quaresima e l'astinenza dalle carni nei venerdì dell'anno. Si favorisca la vita interiore e il raccoglimento vietando la frequentazione di locali e di spettacoli pubblici; si proibisca l'uso del computer, di internet e della webcam nell'abitazione dei chierici, limitando l'uso di questi strumenti alle sale di studio, con moderazione e sotto il vigile controllo dei Superiori; si spenga definitivamente quel maledetto tabernacolo di Satana che è il televisore.

Ancor più disciplina - ferrea e implacabile, in questo caso - si dovrebbe adottare verso i sacerdoti che esercitano il proprio Ministero: chi non è degno dell'unzione che ha ricevuto dev'essere cacciato senza esitazione, perché un ministro che vive nello stato di peccato mortale abituale e nel sacrilegio permanente è una maledizione non solo per sé, ma anche per il popolo che gli è affidato, per la Chiesa ed anche per chi cattolico non è e - a causa di quel prete - potrebbe non diventare mai. E diciamo cacciato, non trasferito: qui legit intelligat. Sono troppi i casi di scandali messi a tacere non punendo il colpevole, ma trasferendolo ad altro e talvolta anche più prestigioso incarico. L'assurdo adagio Promoveatur ut amoveatur dovrebbe essere bandito definitivamente dalla Chiesa, perché se si è inadatti a ricoprire un ruolo di responsabilità, ancor meno lo si potrà essere se la responsabilità aumenta. Tanto più che da un livello più alto il danno che si arreca è certamente maggiore. Desta stupore che l'antichissimo rito pontificale della Degradazione dagli Ordini - cerimonia pubblica in cui si degradava il chierico colpevole di gravi colpe - sia stato soppresso proprio quando il ricorso ad esso si sarebbe rivelato più opportuno.

I Vescovi tornino finalmente alla Sacra Visita Pastorale secondo le norme antiche: controllino che nella propria Diocesi tutti gli ecclesiastici seguano le prescrizioni canoniche, che le chiese siano tenute convenientemente, che i riti siano celebrati degnamente, che la predicazione e il catechismo siano efficaci. E si chieda collaborazione ai fedeli perché denuncino senza esitazione qualsiasi situazione anomala, con la fiducia che i Pastori sapranno temperare equamente la Giustizia e la Misericordia. D'altra parte, «Nonne et ethnici hoc faciunt?» (Mt. V, 48), non lo fanno anche i pagani? Chi non licenzierebbe un medico che diffonde il contagio tra i suoi pazienti o un insegnante che insegna cose sbagliate ai suoi allievi? Non lo si dovrà fare con chi attenta al bene supremo, che è la salvezza eterna?

E non si invochi la comprensione dei Pastori su chi trascina nel fango la Sposa di Cristo: in un mondo secolarizzato e anticattolico, offrire ai nemici di Dio, su un vassoio d'argento, gli scandali più abominevoli è doppiamente colpevole. E in questo la Chiesa non può - e non deve - esser tollerante, perché si presterebbe al gioco di chi la vuole colpire a morte. Per la tolleranza, specialmente per certi squallidi personaggi, ci sono delle case apposite. (elaborato da “Su un piatto d’argento”, Pietro Siffi, Cadl,sabato 06 ottobre 2007)

Il grillo "urlante"


Cavalcare l’onda della “disperazione” di milioni di cittadini è cosa facile: ripetere sgangheratamente quello che la folla desidera finalmente sentirsi dire, apertamente, con un “colorito” linguaggio da trivio, è un compito tutto in discesa, che il guitto genovese ha preso al volo, auto-proclamandosi difensore civico dei diritti universali.
L’ovvietà dei suoi ragionamenti, se non fosse per le continue e becere offese al buon gusto, sempre più spesso vicine all’area di competenza del codice civile e penale, indubbiamente hanno radici di verità e di una gestione del sociale arrivata al capolinea.
Su questo “nulla quaestio”: nel senso che effettivamente i mali esistono. Ma ciò che dovrebbe far riflettere è se sia opportuno e meno sobillare il popolo in tal maniera, portare all’esasperazione persone che cominciano a vedere in lui il tribuno che riuscirà finalmente a portare “Roma” a più miti consigli.
Cosa succederà a seguito di tale fenomeno, non è compito mio indagare. Ma compito mio è esprimere tutto il mio dissenso di fronte ad una situazione che ogni giorno, come un fiume in rotta, travolge tutto e tutti in uno scalmanato urlare “all’untore”, coinvolgendo in queste sue esternazioni e invettive, urlate e impreziosite da oscenità, anche a chi non ha nulla a che vedere con l’attuale nostra situazione economico politica in cui caoticamente siamo costretti a vivere. Mi riferisco al Papa, a Benedetto XVI, umile e mansueto rappresentante di Cristo.
Se il comico, in ambienti cabarettistici, ha gradualmente perso il senso della misura e del decoro, esprimendosi con irripetibili volgarità contro Dio, la religione, il Papa, vescovi e preti, per strappare facili risate e consensi, altrimenti impossibili con dei testi totalmente vacui e di una stupidità disarmante, in pubblico, di fronte a migliaia di persone, lui erettosi a paladino dei diritti umani, lui espressione assoluta della nobiltà d’intenti, dovrebbe quantomeno adottare i canoni del più elementare buon senso e rispettare i sentimenti di altrettanti milioni di persone. Dio e mammona sono su due fronti che nulla hanno da spartire, senza per questo minimizzare, lo ripeto, la tragica realtà sociale italiana.
Ma insultare il papa, come ha fatto lui sul palco di Jesolo, dov’era in tournée, è proprio troppo: lo ha definito «un amministratore delegato tedesco che gestisce due milioni di lavoratori in nero», cioè preti e suore (i quali tra l’altro - lo sa Grillo? - sono regolarmente stipendiati dalla Chiesa e pagano le tasse).
Ma non c’era bisogno di Jesolo per sapere che cosa pensa Grillo del cattolicesimo. Il 12 maggio scorso, in occasione del Family Day tanto sponsorizzato dalla stampa cattolica, il comico genovese in controtendenza mandò in onda su Internet, in anteprima assoluta, il famigerato video della Bbc secondo il quale i preti sono tutti, o quasi tutti, pedofili, e Ratzinger il loro protettore. Senza accennare poi ad un suo video intitolato «Vaffanculo a Benedetto XVI», presente in rete su Youtube.
Una cosa veramente sconcertante: una follia, questa superficialità di Grillo, che non si rende conto di giocare furbescamente col fuoco, per scopi personali facilmente intuibili: rinsavisca il Grillo urlante, perché prima o poi qualcuno dei tanti che hanno creduto in lui, gli presenterà il conto, gli chiederà le sue credenziali. Oggi non si tratta più di farsi firmare deleghe di rappresentanza dai piccoli azionisti in difficoltà e sul punto di perdere tutto, come è successo per l’affare Telecom: assemblea alla quale si è presentato di sfuggita, soltanto alla prima udienza, non spendendo neppure una parola in favore dei suoi mandatari, per poi sparire e non fare più nulla… Ci sarà pure qualcuno che, aprendo gli occhi, gli chiederà come intende giustificare e coniugare la sua attuale sottesa irreprensibilità, con un passato forse non altrettanto trasparente, vista la condanna penale per omicidio colposo, l’auto di lusso come la Ferrari (che dice di aver venduto), lo yacht (che dice di aver venduto) e le ville di proprietà a Genova e in Toscana (“case” che dice di non aver venduto): che il suo improvviso perbenismo non miri a colmare una sua altrettanto improvvisa difficoltà economica? anche se afferma lui stesso di essere tra i primi trenta contribuenti italiani? (se è così… vuol dire che il suo patrimonio è anni luce diverso rispetto a quello dei poveracci che lo vanno ad applaudire nelle piazze! Se è così… non sarebbe molto diverso da quei politicanti rapaci e ingordi, che tanto sagacemente addita al ludibrio generale. Dice anche di non voler fare politica… questa politica da nababbi, ma intanto si prepara con le liste civiche e il tripudio delle folle… Ma tutti questi sono affari suoi. Non ci interessano le sue mire. Noi vogliamo semplicemente che la smetta di fare il giullare buffone (purtroppo un premio nobel insegna!), lanciando strali avvelenati su idee, cose e persone che, intimamente legate alla sensibilità religiosa degli italiani, trascendono le sue possibilità conoscitive. Con buona pace di “Famiglia cristiana” che entusiasticamente ne osanna l’operato! Ma, caro Grillo, non tutti sono grulli!