mercoledì 30 dicembre 2009

Marco Damilano: quando scrivere a vanvera è professionalmente pregiudizievole

Cronista politico de "L'espresso" nonché parlamentare, è l’autore di un lunghissimo articolo carico di stupidi pregiudizi contro il Papa e la Chiesa (puoi leggerlo cliccando qui), originato sicuramente da livide imbeccature da parte di qualche demotivata gola profonda vaticana.
Non posso mancare di riportare qualche annotazione in merito.
Si tratta di un pezzo che non mostra alcun rispetto per il Santo Padre. Si utilizza l'incidente della Messa di Natale per dimostrare la fragilità del Pontificato, argomento di per sé assurdo. Sarebbe come dire che l'attentato del 1981 ha pregiudicato il resto del Regno di Papa Wojtyla. Sappiamo che non è stato così...anzi!
Caro Damilano e cari signori del gruppo Espresso, non attacca! Il 2009 è stato l'anno più importante e significativo che la Chiesa abbia visto da decenni a questa parte. E' questo che da' fastidio? Ci dispiace tanto...
E' ovvio che un articolo del genere non può che farci imbestialire ma in fondo, proprio in fondo, può anche essere istruttivo.
Non dice cose nuove in realtà, ma conferma ciò che molti di noi pensano.
Non possiamo non concordare con Damilano quando scrive che il Santo Padre si disinteressa di giochetti politici e di cordate.
E' vero! Il Papa vola talmente alto da non sfiorare nemmeno le misere beghe interne ai Sacri Palazzi (ammesso che la "fonte" sia attendibile e che esistano davvero).
Il Papa scrive? E che cosa deve fare un Pontefice? Fare scrivere ad altri discorsi ed omelie?
Caro Damilano, noi Cattolici abbiamo bisogno di tornare all'ABC! Abbiamo bisogno del Papa che ci spieghi i fondamenti della nostra fede che abbiamo perso per strada o che nessuno ci ha mai fatto capire: senza distinzione tra clero e laici.
La lettera del Papa ai vescovi è stato infatti il documento più illuminante che un fedele abbia mai avuto la fortuna di leggere, paragonabile alle Lettere di San Paolo.
Li' c'è tutto Joseph Ratzinger.
Il Papa è solo? No! Milioni di fedeli sono con lui, pregano per lui, gioiscono e si preoccupano con lui e per lui. Il resto è fantapolitica condita di livore personale e di tanta saccenteria.
Preti, monsignori, vescovi e cardinali "oppositori" non contano proprio nulla, ma saranno giudicati (non da noi ovviamente!) nella misura in cui saranno stati capaci di stare in comunione con il Papa e non con i media.
Leggendo bene l'articolo si deduce che il vero obiettivo non è tanto Benedetto XVI (verso il quale comunque non si lesinano offese e cattiverie), ma il cardinale Bertone.
Al di là della simpatia o antipatia che la sua personalità possa infondere, le rane dalla bocca larga - che tanto amabilmente hanno parlato con Damilano, probabilmente chiedendo di rimanere anonimi - dovrebbero comunque guardarsi allo specchio e...finite voi la frase.
In tutta onestà non può che farmi piacere sapere che il Papa se ne infischia delle cordate, dei giochetti e dei ventilati intrallazzi. Per il resto, sciorinare i panni al vento quando c'è uragano, rimane pur sempre indice di grande stupidità.
Tutto ciò mi conferma che non ho sbagliato nel dedicare al Papa questo blog ed a riservargli un affetto filiale che nessuno potrà mai scuotere.
E voi, pattumiere ambulanti, raccoglitori dei miasmi gastrici di bocche spalancate, rigurgitanti il veleno di maldigerite situazioni personali, collettori voraci di cloache maleodoranti, andate pure avanti così, continuate con i vostri "retroscena" e le vostre cattiverie.

Personalmente volo più in alto, insieme al Papa e a tutti coloro che la pensano come lui e gli vogliono bene.

(Administrator da fonte Paparatzingerblog3, 30 dicembre 2009

lunedì 28 dicembre 2009

Attenzione, i matti non sono tutti uguali

Evagrio Pontico - uno dei padri del deserto che nel V secolo d.C., nel deserto della Tebaide, anticipava molti dei pensieri di Freud sul ruolo dell’inconscio - fornisce chiavi interpretative sui cosiddetti «psicolabili», sempre più importanti nella cronaca politica, assai più di tanti criminologi e sociologi moderni.
Per Evagrio i grandi vizi capitali dell’uomo, come l’ira, la superbia, l’orgoglio e l’accidia, sono fondamentalmente dei loghismoi, cioè in greco pensieri, che l’energia dell’uomo fatto a immagine di Dio trasforma in veri e propri demoni, capaci di prendere forma e vita propria. È la ragione per cui, soprattutto di questi tempi, le parole possono diventare pesanti come pietre o come certe dure resine sintetiche di cui sono fatti mediocri souvenir, fabbricati magari ad Hong Kong, in forma di cattedrali gotiche. Ma che nelle mani di un matto possono diventare armi assassine.
La categoria della follia ha intercettato spesso quella della politica violenta, senza peraltro mitigare gli effetti storici di gesti che hanno cambiato la storia. Dall’attentato al Granduca d’Austria a Sarajevo, scintilla scatenante della Prima guerra mondiale, fino agli omicidi di Abraham Lincoln, Umberto I o John Fitzgerald Kennedy, passando attraverso gli attentatori di Napoleone III o di Giovanni Paolo II. In tutti costoro le categorie della psicopatologia sono state mobilitate, più forse per far perdere le tracce di un disegno complessivo, che per spiegare davvero l’accaduto. Non tutti i gesti irresponsabili sono uguali, né possono essere troppo facilmente assimilati. Per esempio, il travolgente abbraccio della psicopatica italo-svizzera a Papa Benedetto non ha prodotto danni fisici, anche perché appare soprattutto un abbraccio disperato per quanto irresponsabile. Il Papa non si è fatto male anche perché quasi caduto addosso alla sua «attentatrice». Pure una giovane adolescente argentina, in un memorabile giubileo dei giovani, scavalcò tutti i Servizi di Sicurezza, per arrivare a stringere calorosamente un Giovanni Paolo II, fragilissimo per il Parkinson e commosso fino alle lacrime. Non tutti i matti quindi sono uguali. Anzi, oserei dire che, sfidando con l’esemplificazione la psicopatologia, ci sono matti buoni e matti cattivi. I primi di solito agiscono in preda a pensieri e fantasmi interiori roventi, ma confusi ed isolati. La loro, di solito, è una esplosiva e disperata richiesta d’aiuto e la ricerca infantile di attenzione. Come il vagito di un bambino, più fastidioso che pericoloso, ma che non può suscitare almeno un po’ di tenerezza. Quelli cattivi, invece, spesso non sono altro che l’ultimo anello terminale di una catena di lucidi e feroci ragionamenti che proviene da lontano e che si va progressivamente solidificando e strutturando, passaggio dopo passaggio, concetto dopo concetto. Negli anni del terrorismo, i cosiddetti cattivi maestri sedevano su autorevoli cattedre universitarie, magari di antiche sedi accademiche, come Padova o Bologna. I professori non sparavano e in verità neanche tutti gli allievi e i seguaci. Anche se inni, quasi liturgici, invocavano la lotta armata per la rivoluzione, che i più, sulle terrazze e nei salotti, si guardavano bene dal praticare al di là delle chiacchiere. Ma altre menti più fragili e suggestionabili, attraversate dai demoni loghismoi, credevano invece che davvero fosse giunto il momento di imbracciare il fucile per la grande palingenesi rivoluzionaria, che avrebbe per sempre purificato il mondo, scacciato il male dalla storia e affermato un universo di giustizia del paradiso in terra, certificato dal Politbureau degli ideologi.
Oggi per fortuna di soviet planetari non se ne vedono molti in giro. Anche perché la dura pragmatica e il realismo della storia li ha cancellati, fallimento dopo fallimento. Dopo che peraltro i vari Pol Pot avevano innalzato cataste di ossa e di teschi alte come silos, con coloro che non volevano adeguarsi alla società perfetta, disegnata da un professorino indocinese, brillante diplomato nel ’68 della Sorbona. Quando i cattivi maestri vogliono fare la storia per davvero, effettivamente sono dolori. Da almeno un ventennio in Italia, nel nome della pulizia, dell’onestà e della metafisica della legalità, si sparano parole come palle di piombo. È il modo più facile per ottenere applausi scontati con ciò che Popper chiamerebbe le «verità non falsificabili»: perché nessuno con un po’ di sale in zucca potrebbe legittimamente sostenere il contrario. Chi non può essere d’accordo con l’affermazione che un politico non deve rubare, che un amministratore deve essere onesto o che una società deve essere basata sul bene comune? Declamarlo come una verità rivelata è il modo più facile per costruirsi una congrega di entusiastici e talvolta fanatici sostenitori. Fatta questa premessa non è difficile identificare i nemici del popolo: corrotti, ladri, mafiosi, immorali e corruttori di minorenni. L’equazione successiva è semplicissima: chi mi critica è sicuramente ladro, mafioso o corruttore. Questo meccanismo tra il delirio di onnipotenza e quello persecutorio si chiama in psichiatria «paranoia». È stata caratteristica di molti ideologi della violenza in epoche diverse e solitamente foriera di grandi lutti. Da Fra’ Dolcino al terrore giacobino, fino ai populisti russi dei grandi attentati dinamitardi, si basa sul fatto che c’è una verità di cui il maestro è depositario, e che deve eccitare e provocare reazioni adeguate nel popolo a cui la Grande Rivelazione viene fatta. Basta aprire i siti internet di certi «grilli» farneticanti o di certi «travagli» nel senso letterale del termine, per capire, anche dal punto di vista della semiologia e della comunicazione, che cosa intendo dire. Il diritto alla propaganda dell’odio viene contrabbandato come difesa della libertà di espressione, anzi di irrinunciabile rivelazione della verità. La paranoia purtroppo è un virus contagioso e nelle menti più fragili non diventa soltanto la condivisione di un’idea, ma, come ben si è visto in passato, la giustificazione ad imbracciare un’arma propria o impropria.
Dopo l’attentato al presidente del Consiglio e dopo l’abbraccio irresponsabile al Papa, si sono moltiplicati i siti di fan degli psicolabili, che evidentemente si riconoscono e si richiamano immediatamente tra di loro. Ma ciò che colpisce è che in entrambe le prontissime reazioni sul web, i concetti che si rincorrono richiamano tutti all’odio e alla paranoia. Nel primo caso coerenti, perché il gesto di Tartaglia non era sicuramente mosso da simpatia. Nel secondo caso c’è molto più odio che nelle possibili intenzioni della folle abbracciatrice. Non importa, perché i cattivi maestri hanno seminato efficacemente. Comunque il gesto viene immediatamente interpretato come frutto della rabbia e della ribellione. Mentre chissà, a San Pietro avrebbe potuto essersi alzato un grido come quello della Cananea che voleva abbracciare per essere curata da Gesù. Per l’uno e l’altro caso, preghiamo che il canto degli angeli agli uomini di buona volontà e che si lasciano amare da un Dio della pace, venga ascoltato prima che i germi di un odio mascherato da verità abbiano disseminato la paranoia. Una malattia grave e contagiosa, capace peraltro di contaminarsi nei suoi untori con il dolo e la malafede di tante doppiezze. La palude mefitica per un’epidemia di massa, l’acqua opaca in cui nuotano le amebe e i pesci velenosi di tutti i terrorismi della Storia.

(Fonte: Alessandro Merluzzi, Il Giornale, 27 dicembre 2009)

martedì 22 dicembre 2009

Virtù eroiche di Papa Pacelli: proteste e polemiche, un vano tentativo di ingerenza!

È evidente che questo non è, non può essere, un articolo obiettivo.
Per la semplice ragione che nella questione del processo di canonizzazione di Eugenio Pacelli, papa Pio XII, nulla vi può essere di obiettivo.
La faccenda riguarda esclusivamente la Chiesa e il mondo cattolico.
La canonizzazione è l'atto formale conclusivo, di natura canonica e liturgica, con il quale la Chiesa cattolica, dopo un'attenta escussione delle fonti e delle prove cui chiunque può liberamente accedere come testimone - una vera e propria inchiesta istruttoria - dichiara che qualcuno è con certezza nella Gloria di Dio, e come tale degno di venerazione in quanto, appunto, "santo": nel dichiarare un santo, secondo il dogma cattolico, la Chiesa è assistita da una speciale grazia dello Spirito Santo ed è pertanto infallibile.
L'infallibilità è prerogativa eccezionale che la Chiesa rivendica a se stessa in pochissimi casi: quando il papa parla ex cathedra, quando il Sacro Collegio proclama un dogma, quando viene appunto canonizzato un santo e in genere - come si esprime il Concilio Vaticano II - "il collegio episcopale quando, in comunione con il vescovo di Roma, converge su una decisione definitiva in materia di fede e di morale". Chi si professa cattolico, non può porre in dubbio l'infallibilità del papa e del collegio episcopale nei pochissimi casi in cui il dogma lo prescrive: e il dogma, al pari di un postulato matematico, è indimostrabile, indiscutibile e irrefutabile. Su ciò, bisogna essere molto chiari.
I cattolici sono tenuti a rispettare il dogma: chi non lo fa, non può più dirsi cattolico; chi cattolico non è, non viene minimamente toccato dalla questione dogmatica, poiché egli legittimamente nel dogma non crede ed esso non lo riguarda.
La Chiesa italiana viene spesso accusata di "ingerenza" nelle questioni della società civile: e non si capisce perché, dal momento che sono i prelati, i sacerdoti e i fedeli appunto italiani, e in quanto cittadini, a discutere di cose italiane, come hanno il pieno diritto e il dovere civico di fare.
Al contrario, non si capisce proprio con quale diritto dei non-cattolici - siano essi dei cittadini "laici", come si usa dire, o degli aderenti ad altre confessioni cristiane o ad altre fedi religiose - possano sentirsi in diritto d'interloquire sulla scelta dei santi cattolici, processo riguardante esclusivamente la Chiesa e che si svolge secondo princìpi e metodi che le sono propri ed esclusivi.
Nel 1963 lo scrittore tedesco Rolf Hochhut mise in scena un dramma, Il vicario, nel quale - riprendendo accuse già formulate da Camus e da Mauriac - egli accusava duramente Pio XII di non essere intervenuto con sufficiente energia per impedire, o almeno per denunziare, il genocidio compiuto dai nazisti nei confronti degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Al riguardo, le polemiche non sono mai cessate. Allora, essi furono sostenute in Italia da ambienti che non avevano mai digerito la ferma condanna, da parte di papa Pacelli, dell'ateismo comunista (che era coerente con la linea dell'enciclica Divini Redemptoris del suo predecessore Pio XI).
Oggi, significativamente, il dramma di Hochhut e le vecchie polemiche contro il Pastor angelicus vengono riprese.
Il Teatro Filodrammatico di Milano ha rimesso in scena Il vicario, e Hochhut si è fatto sentire per dichiarare che, se dovesse riscriverlo oggi, calcherebbe ancora di più la mano in quanto persuaso dell'"antisemitismo" del pontefice. La Chiesa, gli studiosi cattolici, l'opinione pubblica hanno parlato abbastanza di tutto questo. Non c'è più da dar ascolto a polemiche interessate, a voci in malafede, a dichiarazioni strumentali.
Ma la parola spetta solo agli organismi ecclesiali preposti all'esame dei fatti e delle prove: se essi riterranno infondato il parere di chi sostiene ancora che Pio XII non s'impegnò abbastanza in favore dei perseguitati, o che peggio ancora fu complice obiettivo della persecuzione, e riterranno quindi che anche in quel caso Pio XII esercitò "in grado eroico" le virtù cristiane, lo eleveranno alla Gloria degli Altari. Tale la prerogativa esclusiva e insindacabile della Chiesa.
A quel punto, le proteste saranno solo un vano tentativo d'intimidazione e d'ingerenza; e chi protesterà sarà fuori dalla Chiesa. Non c'è altro da aggiungere.

(Franco Cardini, © Copyright Il Tempo, 20 dicembre 2009)

Tra Ballarò e Andrea Bocelli

L’altra sera in Tv c’erano in contemporanea due trasmissioni. Su Raidue, la rete del servizio pubblico, Ballarò, dedicata ovviamente all’aggressione a Berlusconi. Su Italia Uno, una delle tivù commerciali che fanno capo a Berlusconi (quindi, per definizione, luogo della diseducazione, del cattivo gusto, dei modelli negativi), il concerto natalizio di Andrea Bocelli, My Christmas, tenutosi al Kodak Theatre di Los Angeles. Ho scelto senza rammarico alcuno il secondo, godendo come un matto.
Penso che scegliere Ballarò al posto del concerto di Bocelli sia come (passatemi la bassa metafora calcistica) preferire una squallida trasmissione di provinciali, litigiosi e tristi giornalisti sportivi che dibattono su Mourinho, alle immagini di una punizione da 40 metri tirata da Mario Balotelli che s’insacca sotto la traversa.
Fosse per me, eliminerei dalla tivù tutto questo squallido spettacolo di risse verbali che non approdano assolutamente a niente. Mi comincia a venire in odio questo sfruttare il basso ventre per tenere incollata la gente al teleschermo e accrescere i dati di ascolto. Quei politici che recitano la parte e litigano, e si accapigliano, e si interrompono continuamente, supportati dalle rispettive tifoserie. E poi, terminato il programma, se ne escono a braccetto e vanno insieme amabilmente a cena. Cominciano seriamente a disgustarmi quei conduttori che fanno finta d’interessarsi ai problemi reali del Paese, quando stanno solo sfruttando i dolori e le difficoltà della gente per il successo della loro trasmissione.
Sono programmi di approfondimento politico che funzionano con le stesse regole dell’Isola dei famosi, del Grande Fratello, delle trasmissioni della De Filippi. Vivono di liti, di contrapposizioni, del peggio che l’essere umano può mostrare.
Nel suo ultimo discorso per la festa dell’Immacolata, Benedetto XVI ha messo in guardia tutti da questi mass media che “ci avvelenano col male”, che ci abituano “alle cose più orribili, facendoci diventare insensibili e, in qualche maniera, intossicandoci”. Il prodotto di certa televisione è la superficialità con cui si parla dei problemi, delle persone, delle grandi questioni. L’uomo non nasce “superficiale”: viene educato ad esserlo. Intorno a me c’è troppa gente che ragiona per slogan; che gioca e che scherza sulle cose serie; che si batte con la foga del tifoso, con la violenza del tifoso.
Non mi piace. Mentre mi è piaciuto molto Bocelli. A parte lo spettacolo, è stato molto bello e confortante vedere l’America che rivolge il suo tributo ad un grande artista italiano. E’ stato commovente sentire Bocelli che intona “Tu scendi dalle stelle”, il canto di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, scritto per il Natale, cioè per la nascita di Gesù. Sentivo la riscossa di una tradizione buona e grande, che, forse non solo per una sera, s’impone sulla invadente e strapotente cultura americana, con le sue slitte, i suoi Babbo Natale, le sue renne, il suo consumismo esasperato. E Bocelli si è spinto addirittura oltre, fino a proporre niente meno che un successo dello Zecchino d’oro, quel Caro Gesù Bambino che tutti abbiamo canticchiato da ragazzini.
Ecco, uno ascolta il concerto natalizio di Bocelli, poi spegne la tivù e va a dormire felice e un po’ più riconciliato con la televisione e con la vita intera. Il cuore è in pace, l’anima è ricolma. Ti torna perfino a piacere il tuo Paese, per il quale, evidentemente, c’è ancora una speranza.
Intanto a Ballarò si continua a sbraitare anche dopo i gravissimi fatti di Milano. Questa è la televisione, ragazzi! Basta saper scegliere.

(Fonte: Gianluca Zappa, La Cittadella, 17 dicembre 2009)

domenica 20 dicembre 2009

La Costituzione è stata violata. Ma Napolitano e Fini tacciono

Esimio Presidente della Repubblica, Egregio Presidente della Camera, Illustre Presidente della Corte Costituzionale, mi rivolgo a voi, massimi custodi della Costituzione, delle Leggi e del Parlamento, per esortarvi a esercitare il vostro ruolo. Sono un cittadino della Repubblica italiana, ovvero un concittadino di base, un sovrano come tanti. Vi rivolgo un deferente e accorato appello sapendovi così solleciti a difendere la Legalità, le Regole e la Costituzione.
Avrete appreso che la Corte dei conti ha certificato l'abnorme crescita del finanziamento pubblico dei partiti in Italia; finanziamento che un referendum cancellò con largo consenso popolare e che invece non solo fu ripristinato sotto altra forma, ma è addirittura cresciuto del 270% nell'arco di appena cinque anni. I partiti che alle ultime elezioni hanno documentato spese per 136 milioni, riceveranno un rimborso con i soldi nostri di 503 milioni di euro. Quattro volte le spese documentate. Questo sfregio non è materia di preoccupazione per le Signorie Vostre che presiedete i massimi organi dello Stato e vegliate sull'osservanza estrema delle Leggi, della Costituzione e del Parlamento?
Si è appreso inoltre che sarà protratto con il fattivo intervento del Presidente della Camera, il finanziamento pubblico ai quotidiani di partito, anche fittizi, che costituisce una duplice violazione sia del finanziamento pubblico dei partiti bocciato dagli italiani, che delle elementari regole del mercato, della libertà di stampa e della parità dei diritti nell'informazione.
Sapete poi che nella nostra Costituzione è previsto il diritto elementare del popolo sovrano di scegliersi i propri rappresentanti. Non ritenete che la legge in vigore che cancella ogni designazione del candidato, mediante la preferenza o il collegio uninominale, sia una palese violazione di un diritto costituzionale fondamentale? Perché non sollevate il problema in veste di Custodi della Costituzione o di massimi rappresentanti del Parlamento per ripristinare la legalità e la democrazia del nostro sistema elettorale?
Non pensate che la designazione dalla cupola dei partiti del Parlamento intero mortifichi il Parlamento stesso molto più dei decreti legge governativi o del ricorso al voto di fiducia? Non rischiate di avallare, voi Capo dello Stato e Presidenti delle Camere, la riduzione del Parlamento ad aula sorda e grigia o a succursale periferica di un'oligarchia? Non è incostituzionale ridurre i rappresentanti del popolo sovrano a dipendenti nominati o revocati dai Sette Satrapi di Partito?
E ancora. Non pensate che sia vostra competenza sollevare la necessità di regolare la Rete, di stanare le sacche di illegalità, le violazioni e le incitazioni alla violenza che si celano in siti, blog e Facebook, sollecitando una severa regolamentazione che impedisca l'imbarbarimento tecnologico della nostra società? E poi non vi preoccupa, voi patrioti della Costituzione, la violazione continua della Costituzione in tema di tutela della famiglia, riconosciuta dalla Carta come il fondamento della nostra società, o del diritto alla vita, così calpestato?
Non suscita la vostra autorevole preoccupazione lo sconfinamento sistematico ed eclatante del potere giudiziario negli ambiti che attengono al potere esecutivo e al potere legislativo? Non vi crea alcun problema di legalità la deviazione dai compiti istituzionali come ad esempio la trasformazione dell'organo di autocontrollo della Magistratura, il Csm, in organo di autodifesa della medesima, come si può palesemente dedurre dall'assenza di interventi censori verso i magistrati e dall'abbondanza di interventi censori verso chi critica gli abusi della Magistratura?
Non preoccupa la vostra sete di legalità che la Cassazione dichiari reato fare la linguaccia a chiunque e assolva invece chi insulta come buffone il presidente del Consiglio, rilevando anzi la sua utilità sociale? O che l'osceno, il blasfemo e la bestemmia siano ammessi, mentre alcune opinioni politicamente scorrette siano reati?
Non merita una denuncia dei Massimi Garanti delle Leggi il tasso esagerato di reati impuniti e di processi inconclusi, il ritardo abnorme della giustizia, l'immunità dei medesimi magistrati che da ministri della legge sono diventati legibus soluti? Quanti diritti riconosciuti dalla Costituzione, e quanti doveri sanciti dalla medesima, quante leggi decise dal Parlamento o volute da referendum popolari, sono violati in modo sistematico e palese senza suscitare il vostro sdegnato intervento in veste di garanti delle Leggi, di custodi della Costituzione o di massimi rappresentanti della sovranità popolare e del potere legislativo? Non limitatevi a chiedere di abbassare i toni, alzate invece voi il tono della democrazia, dei diritti e della legalità.
Approfittando della convalescenza del presidente del Consiglio che di solito occupa la scena, oscura tutti e attacca molti, approfittando del doloroso souvenir che gli hanno stampato in faccia e che frena le sue debordanti esternazioni, favoriti infine dal clima natalizio che induce alla buone azioni, perché non destinate i vostri prossimi discorsi pubblici, i vostri messaggi di fine o inizio anno alla Nazione, le vostre prossime dichiarazioni a ripristinare la Costituzione, il rispetto delle leggi calpestate in ambiti così decisivi per la democrazia e per la vita del Paese? Possibile che il vostro unico problema istituzionale sia quello di contenere l'esuberanza del presidente del Consiglio, bacchettarlo o denunciare i suoi veri o presunti abusi alle regole, al Parlamento e alla Costituzione, quando ce ne sono di così palesi che passano col vostro autorevole silenzio-assenso? Possibile che l'unica minaccia alla legalità e alla costituzione provenga dal governo, quando viviamo immersi in questa diffusa illegalità di vertice, nel cuore delle istituzioni?
Nel caso perduri il vostro silenzio su queste vistose violazioni del dettato costituzionale e delle leggi, saremo autorizzati a ritenere che i vostri appelli e i vostri pronunciamenti non siano frutto del ruolo di Arbitri, Garanti e Custodi della Costituzione, del Parlamento e della Legalità; ma di lotta politica, di un conflitto tra poteri, di un disegno di parte per delegittimare e poi esautorare il governo eletto liberamente e democraticamente dagli italiani. Nutro fiducia natalizia che vi dimostrerete custodi dell'Italia e non del Palazzo.

(Fonte: Marcello Veneziani, Il Giornale, 20 dicembre 2009)

Così il giustizialismo è diventato un business

I professionisti del complotto sono la nuova casta dei giornalisti. Quotidiani, libri e tv: il processo mediatico è un’industria culturale.
È un mestiere che tira. È la maschera di questa lunga stagione. Quando lo fa solo per soldi è una sorta di mastro Titta, se invece ci mette il livore ideologico, l’orazione, il sorriso beffardo e sopracciglio malfidato allora è roba raffinata, da tribuno, da avvocato giacobino, da vecchio domenicano. In ogni caso è un affare. L’importante è che si senta il tintinnar di manette. Non è solo una questione politica. È un carattere, un trauma infantile, un modo di guardare il mondo. C’è gente che vede nella giustizia una religione e la professa con il retrogusto di accendere falò. Sono i cultori della caccia alle streghe e hanno capito che, di questi tempi, indossare il saio di Savonarola è un modo per campare bene. Non c’entrano destra e sinistra. È una vocazione. Il guaio è che il giustizialismo è diventato un’industria culturale.
Se ne lamenta The Front Page, il web quotidiano politico di Rondolino e Velardi. La pseudonimo è quello di Retico e scrive: «Da 15 anni il tema che ci intriga e ci appassiona è il tintinnio delle manette e l’attesa (per fortuna, perennemente insoddisfatta) del grande “processo”, del lavacro che inchioderà il potente mafioso e lo ridurrà in catene. Il “processo” giudiziario domina la satira ed è diventato l’ossessione dei palinsesti e dei conduttori di talk show: c’è chi riproduce in tv “giornate in pretura” e processi veri; c’è chi ne inscena di finti nei propri studi agli imputati che vorrebbe alla sbarra».
Il giustizialismo è qualcosa di più di una piattaforma di partito. Non è solo Di Pietro e i suoi valori. È un’identità, un biglietto fortunato, una patente da intellettuale. È una galassia di libri, giornali e film che - come scrive Retico - «non si accontentano di un’anglossassone funzione di critica del potere, impongono una lettura della storia italiana degli ultimi vent’anni ridotta alla sola cifra del “complotto”, ad un’unica trama tessuta dagli stessi onnipotenti e onnipresenti burattinai: la P2, la mafia, Berlusconi e il Vaticano».
Il popolo giustizialista ama i teorici della controverità, che sempre più spesso straborda nella teoria del complotto, e venera scrittori o registi come Michael Moore, Oliver Stone e Dan Brown. Sono loro che stanno ispirando un filone editoriale italiano, quello che giura di dirti tutta la verità sull’Opus Dei o sui monatti della crisi economica. Il punto di partenza è la ricerca della verità, quello di arrivo qualche teorema fantapolitico. Il loro guru è Marco Travaglio. Il loro quotidiano (da mostrare nei cortei con orgoglio a mani alzate) il Fatto. E la loro casa editrice di riferimento Chiarelettere.
Sono loro i nuovi catoni, quelli che cianciano di un mos maiorum reinventato, i sacerdoti della Costituzione, gli evangelisti della trama eversiva, quelli che sono alla ricerca di un male assoluto che spieghi le miserie umane. Questi qui non scrivono, ma riportano, con astio, mostrando l’indice, dividendo il mondo in buoni e cattivi. Sono riusciti perfino a imporre un linguaggio, uno stile, che assomiglia molto ai «mattinali» della questura. Questo comporta anche una ridefinizione dei ruoli nella «casta» dei giornalisti. Un tempo c’era l’inviato speciale. Ora il «principe» è cronista di giudiziaria. È lui che dopo Tangentopoli detta i tempi della notizia e della politica.
Il giustizialismo si abbevera di complotti. È una filosofia che considera la natura umana corrotta. Non ci si può fidare. È un mondo marcio e solo pochi illuminati sono al di sopra di ogni sospetto. Sono strani i «tintinnatori di manette». Tirano spesso in ballo la democrazia, ma non si fidano degli elettori. La democrazia è un valore sempre, tranne quando si vota. Lì diventa una truffa. Il cittadino è nel migliore dei casi un incosciente, uno da perdonare perché non sa quello che fa, uno che si è fatto rimbambire dalle tv del Cavaliere. L’Italia, insomma, è un covo di lobotomizzati. I tintinnatori di manette hanno ribaltato l’onere della prova e come Jean Gabin teorizza che «nous sommes tous des assassins». Tocca a noi dimostrare che non è vero. È un clima da ordalia. Tu sei colpevole, vediamo se Dio ti assolve. Tutto il resto si muove nell’ombra. L’uomo sulla luna? Una cospirazione di Hollywood. Gli alieni? Sequestrati dalla Cia. Le Twin Towers? Una macchinazione americana. E via così. L’importante è vendere.
Trame bianche, nere e rosse. Il giustizialismo gioca sulla sfiducia, sul sospetto, sulla buona fede dei malfidati, di chi pensa sempre che dietro ogni storia ci sia una controstoria, losca, segreta, criminale. Tutto questo avvelena, deturpa e ti lascia in balìa di qualcosa da cui non ti puoi difendere. Parla, parla, qualcosa resterà. I «tintinnatori di manette» si sono affidati alla dea fama, pagando tributi al suo volto più cinico: la diffamazione.

(Fonte: Vittorio Macioce, Il Giornale, 19 dicembre 2009)

giovedì 17 dicembre 2009

Una scelta di cattivo gusto: in chiesa la Vergine nuda col pancione


Molto rumore ha causato l’iniziativa dei padri Stimmatini di Sezano (Verona). Nella cappella del loro “monastero” (così chiamato perché si tratta di un antico monastero già abitato dai monaci Olivetani e rilevato recentemente dalla Congregazione) hanno pensato bene di esporre alla pubblica venerazione, in questo periodo di Avvento, una statua della Vergine completamente nuda e col pancione, opera dello sculture M. Danielon. Le invettive lanciate sul Web (decisamente non a torto!) da quanti hanno visto in ciò un’azione sacrilega, sono chiare e dirette, senza eufemismi, tanto da costringere l’amministratore del sito a togliere le foto e ad inserire un avviso che dice: «Ai visitatori del sito: informiamo che stiamo ricevendo messaggi con parole di violenza, volgari e di minaccia in riferimento alla scultura di M. Danielon, collocata nella nostra aula liturgica come segno dell’Avvento. Il messaggio spirituale che proviene dall’opera e che molti hanno avuto modo di accogliere e interiorizzare, nulla ha a che vedere con questi toni polemici dai quali prendiamo le distanze. Nel percorrere il cammino di Avvento con l’opera di Danielon ci sentiamo confortati nel messaggio di annuncio e di compimento che la persona di Maria la Madre di Dio porta con sé. (12.12.2009)».
Certamente non siamo così introdotti nella spiritualità del “Monastero del Bene Comune”, ma da sprovveduti quali siamo, pur con qualche cognizione teologica, non riusciamo sinceramente a cogliere nessun messaggio spirituale proveniente da una siffatta opera (se esponevano la “Maya desnuda” di Francisco Goya, siamo certi che avrebbero ottenuto un risultato analogo!). Pensiamo comunque che se non avessero voluto eccedere in originalità a tutti i costi, il monastero ne avrebbe guadagnato in decoro e in buon nome.
C’è comunque da dire che la comunità stimmatina è molto legata a quell’ambiente di avanzato progressismo liturgico (non a caso il sito linka Adista, Arcoiris, Centro Balducci, Estnord Cantieri sociali, nomi di siti in cui lo zoccolo duro dei dissidenti dal magistero della Chiesa si danno regolare appuntamento) molto apprezzato dagli estimatori di iniziative ecumeniche e liturgiche molto “open”, talvolta al limite del consentito: basti vedere la documentazione fotografica del luogo adibito alla celebrazione eucaristica (vedi foto): all’aperto, su un prato, delimitato da due file di sedie poste in posizione ovale rispetto al centro su cui sono posti due supporti ricoperti da un drappo, su uno dei quali poggia un Messale aperto, e sull’altro, in posizione più arretrata, un libro della Parola (ambone?). Non possono sfuggire poi un basso tavolino con un boccale per il vino e un piatto con grosse fette tondeggianti di pane (azzimo?), una menorah (candelabro a sette luci) ebraica sul fondo, e due grandi teli stesi al suolo, (forse per consentire ai presenti di sdraiarsi per la “mensa”?). Tutte cose suggestive, indubbiamente, mosse sicuramente da ottime intenzioni, per carità, ma che lasciano in ogni caso trapelare un clima, se permettete, quantomeno discutibile, molto più vicino all’esaltazione psichica che all’Ordo Missae.

(Administrator, 17 dicembre 2009)

«Nella Chiesa e per la Chiesa» di Vito Mancuso: quando un teologo resta solo

Quali sono i requisiti che deve possedere un teologo? La fede, innanzi tutto. L’intelligenza, certamente. L’onestà intellettuale: anche questo va da sé. Basta così? No, non basta. Vito Mancuso e altri prima di lui (così come, purtroppo, altri dopo di lui) sono indubbiamente uomini di fede, onesti intellettualmente e di grande intelligenza. Ma fanno teologia senza utilizzare, anzi rinunciando consapevolmente all’uso di una bussola essenziale: la dottrina della Chiesa. Mancuso è arrivato a scrivere ("Repubblica" del 10 dicembre) che bisogna fare teologia persino «contro la Chiesa» e senza timore di dare scandalo ai fedeli, perché il vero scandalo è il tradimento della verità.
Affermazione, quest’ultima, assolutamente condivisibile, ma che andrebbe integrata (cosa che Mancuso non sa o non vuole fare) con un’ulteriore affermazione, altrettanto essenziale: nelle cose di fede, e in particolare per il pensiero che muove dalla fede e attraverso la fede osa parlare di Dio o addirittura dialogare con lui, non possiamo e non dobbiamo mai porci in cammino da soli, come coloro che, narcisisticamente innamorati di se stessi, rinunciano a ogni altra compagnia, che non sia quella del loro ipertrofico Ego. Dio si è rivelato come nostro Padre e ci ha dato il coraggio di rivolgerci a lui come a un Padre: non però come se la sua identità paterna fosse un privilegio di cui l’uomo possa godere individualmente. Se Dio è mio Padre (e lo è!), lo è in quanto è Padre di tutti gli altri uomini, che proprio per questo ho il dovere di considerare come miei fratelli. È per questo che nella preghiera che il Signore ha insegnato agli Apostoli e per loro tramite a noi tutti, non siamo legittimati a rivolgerci a Dio con l’espressione "Padre mio", ma con l’espressione Padre nostro". Non è possibile elaborare un’adeguata immagine di Dio, da parte dei cristiani, se non si parte da questo assunto, le cui ricadute teologico ecclesiali sono immense: la teologia, così come la preghiera, non può che esercitarsi nella Chiesa e per la Chiesa. Mancuso da a questo principio («nella Chiesa e per la Chiesa») una valenza odiosa, quella di una legittimazione del «controllo» della Chiesa sui teologi, un controllo che produrrebbe quel «disagio dell’intelligenza» di cui parlava (ma ad altri fini) Simone Weil. E per argomentare ulteriormente la sua tesi, Mancuso elenca i «principali teologi cattolici del Novecento», che avrebbero tutti avuto «seri problemi col Magistero», mettendo in un unico calderone personalità diverse e a volte conflittuali tra loro, come Kűng e Rahner, Chenu e de Lubac (che peraltro fu innalzato al cardinalato), Teilhard de Chardin e Carlo Molari; ma non si riserva nemmeno una menzione ai nomi di teologi di pari, altissimo calibro, come Hans Urs von Balthasar, Joseph Pieper e (perché qualcuno se ne dimentica sempre?) Joseph Ratzinger, il cui dialogo fraterno col Magistero è sempre stato intenso e costante. La verità è che, proprio perché la teologia è impegno nella Chiesa e per la Chiesa, essa non può che essere impegno per la verità e per la libertà: verità e libertà, però, non si identificano con le ultima grida dei teologi contestatori e progressisti, ma con un’umile, faticosa, paziente e serena ricerca di orizzonti teologici, che tutta la Chiesa sia chiamata a condividere, nei tempi e secondo le modalità che si offrono in ogni fase della sua storia. Non so se Mancuso abbia ragione (ma ho i miei forti dubbi al riguardo) nel ritenere che vadano buttati a mare dogmi come quello del peccato originale, dell’origine dell’anima o della risurrezione della carne: quello che so è che - da cristiano intellettualmente onesto (qualifica che Mancuso sembra porre in dubbio, quando fa riferimento a coloro che non la pensano come lui) - voglio che su questi temi cruciali sia la Chiesa tutta a riflettere, a partire dai suoi pastori, che hanno ricevuto (nella fede di chi sia cattolico) il mandato da Cristo a tenere insieme il suo gregge. Le fughe in avanti in questioni di fede violano la carità, perché creano lacerazioni crudeli e non servono nemmeno ad aiutare chi crede a credere con maggiore consapevolezza; sono funzionali solo a dare ai "fuggitivi" il dubbio compiacimento che può provare un’avanguardia, quando, voltandosi, vede con soddisfazione che si è allontanata a tal punto dal resto dell’esercito che questo non è più a portata di sguardo.

(Fonte: Francesco D’Agostino, Avvenire 12 Dicembre 2009

Se questo è il vento che tira, aspettiamoci il “No-BenedettoXVI day”

Se qualcuno nutrisse ancora dubbi circa le attitudini dei detentori della verità in tasca, sappia che risulta a Paolo Flores D’Arcais e a Micromega – grandi player nel giro che va da Santoro a Padellaro – che «Benedetto XVI ha lanciato una vera e propria crociata contro la modernità, contro l’eredità illuminista e contro l’autonomia dell’uomo, senza la quale viene meno la possibilità stessa della democrazia, che è sovranità dei cittadini.
Rovesciando completamente le scelte del “Papa buono” e del Concilio, «il “Pastore tedesco” pretende che le leggi degli Stati si uniformino alle opinioni morali e ai dogmi di una religione, aprendo la stagione di un nuovo clericalismo costantiniano e di un nuovo “Sillabo”».
Eccolo lì il cane lupo Benedetto XVI, che analogamente al porco-stragista Silvio Berlusconi, minaccia «la possibilità stessa della democrazia». Walter Benjamin, in fuga dalla Germania nazista e morto suicida poche ore prima di imbarcarsi per la libera America diceva che «il carattere distruttivo conosce una sola attività: fare pulizia». In effetti, le camicie brune inseguivano gli sporchi e corrotti ebrei. E Mussolini ripudiò il socialismo umanitario per marciare contro un parlamento di corrotti. Anche Di Pietro e i suoi cari oggi lottano per la pulizia contro i corrotti, testimoniano un bel trend antiparlamentarista e, soprattutto, si erigono a baluardi della libertà di informazione. Peccato che quasi il 50 per cento delle querele fatte dai politici ai mezzi di informazione siano state fatte da politici dell’Idv.

(Fonte: Tempi, 14 dicembre 2009)

Un servizio di orientamento sessuale: “Amico segreto”

Il fronte del conformismo omosessualista sta scricchiolando. Alcuni slogan riferiti all’omosessualità, ad esempio “Si nasce così”, o “Non si può cambiare” stanno perdendo sempre più mordente nei confronti dell’opinione pubblica.
Il merito di questo cedimento del fronte omosessualista va attribuito a piccoli gruppi come Chaire (http://www.obiettivo-chaire.it/home.asp) o LOT (http://www.obiettivo-chaire.it/home.asp). Si tratta di gruppi di accompagnamento spirituale fedeli al magistero della Chiesa cattolica e che fanno riferimento, in particolare, alla Lettera sulla Cura Pastorale delle Persone Omosessuali (http://www.academiavita.org/ template.jspsez=DocumentiMagistero&pag=congregazioni/omosess/omosess), e che hanno il loro riferimento scientifico nel lavoro del NARTH (National Association for Research and Therapy of Homosexuality, http://www.narth.com/).
Gli effetti sono importanti e, a volte, clamorosi. Quasi un anno fa Povia è arrivato secondo al Festival di Sanremo con la canzone intitolata “Luca era gay”; e adesso nasce “Amico segreto”, numero verde (800587012), un servizio per giovani di orientamento sessuale incerto e ai loro genitori che non vogliono rassegnarsi ai dogmi dell’ideologia gay.
“Amico segreto” nasce dall’iniziativa di AGAPO (Associazione Genitori e Amici di Persone Omosessuali, www.agapo.net) e del Consultorio Familiare Genitori Oggi (www.genitorioggi.it) ed è attivo dal lunedì al venerdì dalle 15,00 alle 19,00.
Lo scopo di “Amico segreto” è quello di fornire ascolto a persone che vivono con disagio pulsioni omosessuali e ai loro familiari, aiutandoli a sdrammatizzare la questione dell’orientamento sessuale e alleggerire la pressione interiore che provano rispetto alla propria sessualità. Se richiesto, il servizio fornisce indicazioni circa percorsi spirituali o terapeutici finalizzati al pieno sviluppo della persona.
La nostra speranza è che iniziative simili si diffondano sempre più, magari anche grazie ai lettori del Timone, che sappiamo sensibili all’argomento.

(Fonte: Roberto Marchesini, © il Timone, 14 dicembre 2009)

I cattolici in politica? Non si distinguono. Bindi come Di Pietro

Rosy Bindi esprime solidarietà al premier Silvio Berlusconi "piena e senza ombre", ma invita anche il Presidente del Consiglio a “fare la sua parte per mettere fine a un clima di scontro politico e istituzionale di cui anche lui ha non poca responsabilità”.
“Questi gesti - dice Bindi prima in una intervista alla Stampa e poi a Sky Tg 24 - non possono mai essere giustificabili, anche se possono essere spiegabile. E va espressa sempre condanna della violenza, sia pure ad opera di uno squilibrato, con la massima fermezza. Berlusconi però non è soltanto una vittima. Del clima di scontro politico e istituzionale avvelenato è anche lui responsabile, con gli attacchi violenti e ripetuti che sta portando contro le massime Istituzioni di garanzia, contro la Magistratura, contro chi non la pensa come lui”.
Berlusconi, ha sottolineato, "è vittima del un gesto isolato di una persona psicologicamente fragile che - è del tutto evidente - non ha mandanti né morali né costituzionali. Se si vuole fare una onesta riflessione sul clima politico tutti devono sentirsi responsabili. Anche il presidente del Consiglio e la sua maggioranza che da mesi cercano di dividere il Paese con pesanti attacchi al presidente della Repubblica, alla Corte Costituzionale, alla magistratura e a Parlamento". Ora, ha aggiunto, "auguro al presidente del Consiglio una pronta guarigione e spero che ciascuno faccia la propria parte per ristabilire le condizioni di un confronto democratico, senza demonizzazioni reciproche, per affrontare i gravi problemi economici e sociali del Paese".
Ammesso e non concesso che le considerazioni della Bindi abbiano un fondo di verità, era proprio il caso di sbatterle in prima pagina? Un po’ di buon senso ( e di carità cristiana!) non consigliava forse di smorzare i toni, di essere più cauti e signorili, senza voler ad ogni costo puntualizzare, rintuzzare, chiamare a corresponsabili, (ma la gente ha occhi e orecchie, signora Bindi!) tutti, sempre e comunque, con quel tono indisponente da prima della classe, pensando e cercando con questo un’auto-assoluzione? Perché quando parla di certi argomenti e di certe persone il suo sguardo è così carico di odio? Eppure il suo passato di cattolica impegnata dovrebbe averle insegnato qualcosa! O faceva manfrina anche allora? Certi ruoli da prima donna, certe sceneggiate ridicole e insulse, sono prerogativa di un Di Pietro, che ormai è considerato da tutti un “minus habens”, un giullare di corte: le lasci a lui! Dimostri, quando tocca a lei, quel pizzico in più di fair play che lei stessa giustamente pretende dagli altri nei suoi confronti. Non crede che tutto ciò la renderebbe più “donna” e più “cristiana”?
Ovviamente, di fronte alle sue esternazioni sottese di un malcelato odio, le reazioni sono state dure ed immediate.
“Le dichiarazioni di Rosy Bindi lasciano esterrefatti, perché sono ancora peggiori di quelle di Di Pietro”, dichiara Daniele Capezzone, portavoce del Pdl. “Che la Vicepresidente della Camera - prosegue - oltre che la Presidente del Pd, pronunci parole di questo tipo fa pensare che nella politica ci siano irresponsabili desiderosi di gettare benzina sul fuoco. Spero che Pierluigi Bersani voglia dissociarsi. Se non lo farà, sarà una pagina bruttissima per il Pd e per la sinistra italiana. Che altro deve succedere perché tra i dirigenti della sinistra si faccia strada un comportamento minimamente responsabile?”.
"Resto allibito di fronte alle parole di Rosy Bindi’’ dichiara il Ministro per le Politiche Europee, Andrea Ronchi. "’Definire il presidente Berlusconi artefice del clima d’odio e’ semplicemente una follia. Le prese di posizione del presidente del Partito Democratico sono la prova di quanto sia diventata barbara la politica e conferma da quale parte provenga il clima d’odio che si respira nel Paese’’.
"Sono sconvolta dalle dichiarazioni dell’on. Rosy Bindi, che sulla stampa oggi invita il premier Berlusconi a non fare la ‘vittima' in quanto artefice di un clima di odio. Sono parole gravissime che non solo disconoscono la tragicità dell’aggressione subita dal presidente del Consiglio ma ne danno addirittura una giustificazione politica e culturale". Lo dichiara la deputata Barbara Saltamartini, responsabile delle Pari opportunità del PdL. "Esternazioni di questo tipo - aggiunge - a mio avviso, pongono chi le fa al di fuori di ogni sistema democratico. Pensare, poi, che provengano dalla presidente del Pd, per di più una donna e di fede cattolica, non fa che aumentare lo sconcerto e la preoccupazione. Mi auguro - conclude - che l’on. Bindi rettifichi al più presto la sua scioccante intervista"

(Administrator da fonte: Quotidiano.net, 14 dicembre 2009)

Quei posseduti dal mostro dell’odio. Travaglio: “Si può volere la morte di un politico!”

Marco Travaglio abbassa i toni come li abbassò Hitler alla notizia che Berlino era ormai accerchiata. «Chi l’ha detto che non posso odiare un politico? Chi l’ha detto che non posso augurarmi che se ne vada al più presto? E che il Creatore se lo porti via al più presto?».
Il giorno dopo che un pugno di suoi fedeli lettori, bava alla bocca e il suo Fatto Quotidiano in mano, hanno cercato di zittire il Cavaliere al comizio di Milano al grido di «mafioso-mafioso», il Torquemada della tv di Stato rincara la dose: «Perché non si può odiare un politico? Non esiste il reato di odio». Tutto ridotto al codice, per il reporter delle Procure. Ventiquattro ore dopo che Massimo Tartaglia ha letteralmente spaccato la faccia al premier, Travaglio scarica tonnellate di astio nei confronti del presidente del Consiglio e, nel suo pistolotto settimanale sul sito di Beppe Grillo, sputa veleno a più non posso. «Berlusconi? Sta distruggendo la democrazia, ha avuto rapporti con la mafia, è un corruttore, ne ha combinate di tutti i colori. È lui che insulta tutti quelli che non sono suoi: magistratura, stampa libera, poteri di controllo».
Non Tartaglia, Travaglio: va via liscio come olio bollente sul sentiero dell’invettiva e chissenefrega se poi qualcuno cerca di spaccare la testa del premier. Se le parole a volte sono pietre, le sue sono macigni: il giorno in cui scoppia la bufera su Rosi Bindi e Antonio Di Pietro per aver accusato Berlusconi di istigare la violenza, Travaglio li incita, li sprona: «Cosa hanno detto di così strano i due? La verità è che Berlusconi se le va a cercare, è un noto provocatore e anche lui lo sa». Alla fine ben gli sta, insomma. «Berlusconi ha seminato violenza in questi anni, è l’uomo più violento che ci sia nella storia repubblicana».
Il suo tradizionalmente gommoso eloquio non riesce a celare il risentimento per l’attentatore, definito «Squilibrato, pazzo, psicolabile, non sano di mente». Ha i nervi a fior di pelle, Travaglio, perché qualcuno ha osato dipingerlo come uno dei principali istigatori d’odio. E per dimostrare che non è così picchia che è una meraviglia: «Che stupidaggini scrive Battista sul Corriere della Sera sul clima d’odio...»; e ancora: «Maroni? Sproloquia e delira dicendo di voler chiudere Facebook...»; e ancora: «Chiunque ha avuto lo stomaco di vedere quella merda di trasmissione che è Speciale Tg1 ha potuto assistere al linciaggio in contumacia prima di Scalfari e di Annozero da parte del piduista Cicchitto e poi al linciaggio personale di Santoro e del sottoscritto, additati come mandanti morali a opera del vicedirettore di Libero (in realtà condirettore del Giornale, Alessandro Sallusti ndr.)», definito più avanti «servo e killer prezzolato». A Travaglio non va giù che «chi subisce violenza ci guadagna» e quindi che ci possa guadagnare un Berlusconi sfigurato (?); ecco perché «Il matto è doppiamente matto». Travaglio Berlusconi lo vuole vivo e in ottima salute soltanto perché «Quando se ne andrà da Palazzo Chigi, e se ne andrà maledetto, ci serve in ottima salute perché si possa rendere conto fino in fondo del male che ha fatto alla gente». Odio? Macché: soltanto civile e sana divergenza d’opinione.

(Fonte: Il Giornale, 15 dicembre 2009)

In crescita le ragazzine inglesi che abortiscono anche più volte in un anno

L’anno scorso cinquemila ragazze inglesi al di sotto dei 20 anni hanno abortito, e per tutte quante era almeno la seconda volta. Sempre in Gran Bretagna fra le donne di età compresa tra i 20 e i 24 anni le cosiddette “recidive”, come si chiamano in gergo statistico, sono state più di 15 mila. Queste sono alcune delle cifre snocciolate questa settimana dal dipartimento della Sanità in risposta a un’interrogazione parlamentare del ministro ombra della Salute, la conservatrice Anne Milton. La quale, dopo aver letto a novembre che la Gran Bretagna è al primo posto in Europa per aborti, soprattutto fra le più giovani, ha chiesto al governo di entrare nel dettaglio.
Sono più di 62 mila le donne che nel 2008 hanno interrotto una gravidanza almeno per la seconda volta nella loro vita, ben un terzo del numero totale degli aborti. La maggior parte di loro (oltre 46 mila) erano single di tutte le età e altre 9.500 erano sposate, cui si aggiungono le oltre 6.000 di cui non si conosce lo stato civile.
Stando alle statistiche del sistema sanitario nazionale, in 3.800 lo avevano già fatto almeno altre quattro volte. “E’ ampiamente dimostrato che abortire danneggia la salute mentale della donna – ha commentato Milton – Come è possibile che non siamo in grado di ridurre il numero delle ragazze giovani che non soltanto mettono fine a una gravidanza indesiderata, ma che oltretutto tornano e lo fanno di nuovo?”. Nonostante le campagne martellanti sulla contraccezione, le ragazzine inglesi continuano a restare incinte e ad abortire. “Questi numeri dimostrano che i tentativi di dare ai giovani più contraccettivi per cercare di ridurre le gravidanze indesiderate porta soltanto ad avere sempre più aborti – ha detto il direttore del gruppo British Right to Life, Phyllis Bowman – Le ragazzine sono più pronte a far sesso perché sanno che possono sempre abortire”. Oggi in Gran Bretagna finisce così metà delle gravidanze delle teenager.
A giugno il ministero della Sanità ha reso noto che, fra il 2005 e il 2008, hanno abortito 450 bambine con meno di 14 anni e 23 non avevano ancora compiuto dodici anni. Stando ai dati dell’Eurostat, nel 2007 l’Inghilterra non soltanto si è piazzata prima in Europa per numero di aborti e sesta nel mondo (dopo Cina, Russia, Stati Uniti e Giappone), ma ha guadagnato il primato assoluto anche negli aborti fra adolescenti. Non convinto che queste cifre siano già sufficienti a decretare il fallimento di un programma nazionale che puntava a dimezzare le gravidanze fra adolescenti entro l’anno prossimo, costato già più di 300 milioni di sterline, il governo britannico va avanti con il suo piano di battaglia, quella “Teenage Pregnancy Strategy” (che i pro life locali hanno ribattezzato “Teenage Abortion Strategy”). Dopo spot cruenti per scoraggiare le gravidanze al liceo e quintali di pillole e preservativi distribuiti, ha riposto ogni speranza nel programma di indottrinamento sessuale scolastico al quale dal 2011 tutti i bambini dovranno essere sottoposti a partire dai cinque anni.
Il ministro per l’Infanzia, Dawn Primarolo, fino a ieri si è detta convinta che i dati per il 2008, non appena disponibili, dimostreranno che il numero degli aborti fra le adolescenti è in calo. Intanto Londra si è trasformata nella patria dell’aborto seriale: una londinese su 106 è almeno alla sua seconda interruzione di gravidanza, la proporzione più alta di tutto il paese. E a Londra volano ad abortire anche dalla vicina Irlanda, dove c’è una legge che tutela “il diritto alla vita dei non nati”, secondo la quale si può interrompere una gravidanza unicamente per seri pericoli di salute della madre. Proprio sull’Irlanda si pronuncerà questa settimana la Corte europea per i Diritti dell’uomo, la stessa che ha detto la sua sul crocifisso nelle aule italiane. Il Tribunale ieri ha ascoltato le testimonianze di tre donne – che sono già le eroine dei blog pro choice – che nel 2005 avevano denunciato la normativa dell’Irlanda in materia, dichiarando di essere state costrette a prendere un aereo e a spendere molti soldi per andare ad abortire a Londra.

(Fonte: Valentina Fizzotti, Il Foglio 10 dicembre 2009)

Alla curia di Milano c’è un prof che lavora per una “ibridazione” con l’islam

Nel solo mese di novembre, l’arcidiocesi di Milano ha organizzato quattro conferenze sull’islam, fra cui una intitolata così: “Apprezzamento di alcuni valori religiosi nell’islam”. A gennaio se ne terrà un’altra: “Attuali fronti del dialogo con l’islam”. Le lezioni sono tenute dall’accademico Paolo Branca e fanno parte del ciclo “Dio ha molti nomi”, promosso dal cardinale Dionigi Tettamanzi. Per capire la logica della diocesi nei rapporti con l’islam è decisiva la figura di Branca, l’islamologo di riferimento di Tettamanzi.
Paolo Branca, intellettuale di establishment, cattedratico all’Università Cattolica di Milano nonché editorialista del Sole 24 Ore. Martiniano con origini nei popolari del Pd, Branca è il teorico della “contaminazione delle culture”, in nome dell’integrazione, e il punto di riferimento sull’islam del cattolicesimo democratico. Branca è fautore del cosiddetto modello “interculturale” che domina a Milano da anni (“lavoriamo perché il nostro mondo diventi un grande laboratorio interculturale”).
L’ibridazione teorizzata da Branca è una delle due inclinazioni della chiesa sull’islam, e contrasta con lo sguardo critico di studiosi come Samir K. Samir. Branca è stato promotore dell’equivoca “Giornata del dialogo CristianoIslamico” assieme a Don Zega e al portavoce dell’Ucoii, Hamza Piccardo. E proprio l’Ucoii, attraverso l’Associazione giovani musulmani d’Italia, fece il nome di Branca, oltre a quello dello sponsor dell’islamista Tariq Ramadan Stefano Allievi, come candidato alla Consulta per l’islam lanciata dall’allora ministro dell’Interno Pisanu.
Dopo gli attentati di Sharm el Sheikh, Paolo Branca disse che “sta a noi prendere l’iniziativa, andare nel Centro islamico più vicino, varcare la soglia delle loro case per esprimere la nostra solidarietà e partecipazione”. Su Repubblica Branca avrebbe poi paragonato il trattamento dei musulmani milanesi a quello degli ebrei sotto le leggi di Norimberga”.
Presenza fissa sul settimanale della diocesi milanese Incrocinews, su Famiglia Cristiana e sulla rivista della cooperazione sociale Vita, Paolo Branca parla di “moschee inquiete” senza aver mai riconosciuto che quelle stesse moschee sono state trasformate in mercati dell’odio da cui partono “martiri” per il medio oriente.
Ma, cosa più rilevante, è stato lo sponsor della celeberrima scuola di via Quaranta a Milano, la pseudomadrassa dove si studiavano arabo e sure coraniche per trasformare gli studenti in pupilli dell’islamismo, e che per quattordici anni ha sottratto all’obbligo scolastico centinaia di bambini egiziani. Branca ne fu il garante davanti alle istituzioni fino allo scoppio del caso. Sempre di Branca è l’anima dell’inserto islamico del settimanale Vita, “Yalla Italia”, che offre un’immagine edulcorata delle comunità musulmane in Italia, senza far parola sul fatto che il nostro paese è stato il terzo nel fornire carne da macello per gli attentati kamikaze in Iraq.
Fallito il modello di via Quaranta, Branca ha lanciato in Cattolica il “Laboratorio interculturale”. Sempre sua l’idea di insegnare l’arabo nelle scuole elementari e medie di Milano e dell’hinterland.
Suo anche il dvd “Conosciamo l’islam”, realizzato per le scuole lombarde dalla Cattolica e dall’Ufficio scolastico della regione. Vi compare anche Sara Orabi, che andò a Porta a Porta a giustificare la lapidazione delle adultere e che su Repubblica ribadì: “Io, studentessa col velo, dico sì alla lapidazione”.
Commentando le invocazioni ad Allah per distruggere Israele fatte dall’imam Moussa nella moschea di Roma, Branca non le condannò in quanto inviti espliciti al terrorismo, ma erano, più semplicemente, “un allarme culturale, più di natura religiosa che politica”.
Branca diverrà protagonista di un celeberrimo appello apparso sulla rivista Reset contro l’allora vicedirettore del Corriere della sera, Magdi Allam. I prodromi del pronunciamento avevano avuto come teatro proprio l’Università Cattolica di Milano. L’attacco ad personam al giornalista egiziano che vive sotto scorta da quando a Repubblica svelò la guerra contro gli “infedeli” promossa nella moschea di Roma, fu molti controfirmato da intellettuali, storici e scrittori.
Si andava da Agostino Giovagnoli, storico alla Cattolica di Milano, ad Alfredo Canavero, collaboratore di Avvenire; da Guido Formigoni, studioso di cattolicesimo italiano, al priore di Bose Enzo Bianchi, fino a intellettuale ebrei come David Bidussa e storici azionisti come Angelo D’Orsi. C’erano anche Massimo Jevolella, autore del libro “Le radici islamiche dell’Europa”; lo studioso del Concilio Alberto Melloni, il medievologo Franco Cardini, la poetessa Patrizia Valduga, il biblista Piero Stefani e il filosofo della Cattolica Franco Riva, che scrive per le edizioni cattoliche Città Aperta.
Alla conferenza “Quale islam in Europa?”, organizzata dalla diocesi di Milano e presieduta proprio da Paolo Branca, tra i relatori c’era il presidente dell’Ucoii, la propaggine italiana dei Fratelli musulmani, quel Mohammed Nour Dachan che ha preso parte alla Consulta per l’islam istituita dall’allora ministro dell’Interno, Giuliano Amato. Dachan è passato alle cronache per aver pubblicato a pagamento su alcuni giornali nazionali una pagina dove si leggeva: “Ieri stragi naziste, oggi stragi israeliane”. E ancora: “Marzabotto uguale Gaza uguale Fosse Ardeatine uguale Libano”.
Nonostante questo manifesto dell’odio, il dottor Dachan è il benvenuto nella curia di Milano. Intanto sul sito della diocesi di Milano campeggia ancora un “ringraziamento particolare” a Sara Orabi, la ragazza che sul primo canale della Rai è andata a dire che “non solo è giusto lapidare le adultere, ma se i cristiani fossero veri credenti le lapiderebbero anche loro”.
Ma forse è una svista.

(Fonte: Giulio Meotti, Il Foglio, 10 dicembre 2009)

Pedofilia: parole durissime del Papa. “Rabbia e vergogna”

"Rabbia, tradimento e vergogna": sono questi i sentimenti di papa Benedetto XVI per gli abusi dei preti pedofili a danno dei minori in Irlanda. Il pontefice ha presieduto questa mattina una riunione di emergenza in Vaticano in seguito alla pubblicazione del "Rapporto Murphy" che ha documentato l'ampiezza, la gravità e la sistematicità degli abusi nei confronti dei minori nell'arcidiocesi di Dublino.
Alla riunione hanno partecipato il presidente della Conferenza episcopale irlandese, card. Sean Brady, l'arcivescovo di Dublino, mons. Diarmuid Martin, il nunzio vaticano in Irlanda, mons. Giuseppe Leanza, e il segretario di Stato vaticano card. Tarcisio Bertone, insieme a vari capi dicastero della Curia romana.
Il Papa è "sconvolto e angosciato" dal contenuto del rapporto sugli abusi su minori compiuti da preti cattolici in Irlanda e la Chiesa continuerà a seguire questa "grave questione" con la "massima attenzione" per capire come siano potuti accadere questi "vergognosi eventi".
"La Santa Sede prende molto sul serio le questioni sollevate dal Rapporto Ryan, incluse quelle che concernono i pastori delle Chiese locali che hanno in ultima istanza la responsabilità della cura pastorale dei bambini". Lo afferma un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, emesso, ha detto il portavoce padre Federico Lombardi, al termine dell'incontro di oggi tra Benedetto XVI e i capi della Conferenza Episcopale dell'Irlanda da lui convocati. Un testo, ha precisato Lombardi, che "il Pontefice ha letto e approvato e nel quale potete vedere il suo stile".

(Fonte: Avvenire, 11 dicembre 2009)

venerdì 11 dicembre 2009

Quando l’ideologia sfocia nel ridicolo: se la prof è suora il velo non piace più

Vogliono mandare al confino le suore, estrometterle dalla vita pubblica, chiuderle in monastero. Sta accadendo a Roma in questi giorni, scuola elementare Jean Piaget, via Suvereto. Un gruppo di zelanti genitrici, guidate da una «cassintegrata dell'Alitalia» ha chiesto la testa di una maestra colpevole di essere suora. Costei è un tipo minuto. Non ha fatto propaganda di Gesù, quando mai. Insegna italiano, ha il curriculum giusto, i titoli di studio, sta in graduatoria. Ma per il fatto di essere suora, secondo la cassintegrata dell'Alitalia (un nome, un programma), non può essere una dipendente dello Stato laico. Deve sparire.
Scrive Fabrizio Caccia sul Corriere della Sera: «Un gruppo di mamme ieri mattina ha incontrato la preside, Maria Matilde Filippini. Il motivo? La nuova maestra d'italiano della II C, da venerdì scorso, è una suora. Suor Annalisa Falasco, padovana, 61 anni, della congregazione di Maria Consolatrice, è stata mandata dal provveditorato di Roma a sostituire l'insegnante di ruolo, che ha appena vinto una borsa di studio e se ne è andata altrove. Dice ora Patrizia Angari, trentasei anni, cassintegrata Alitalia, a nome pure delle altre mamme: «La nostra è una scuola pubblica, una scuola statale, perciò se serve faremo ricorso al Tar. Qui non è in discussione la persona, la suora sarà pure bravissima ma io contesto l'istituzione che rappresenta. Cioè la Chiesa. Voglio vedere cosa dirà la maestra a mio figlio quando Valerio le chiederà come è nato l'universo. Sono atea e credo che la scuola pubblica debba essere quantomeno laica. O no?».
Che Paese stiamo diventando? Dov'è che si era vista una scena così? La madre lavoratrice che organizza un comitato di mamme democratiche e smaschera il traditore che corrompe i fanciulli? Va be’, c'è stato il caso di Socrate, ma non esageriamo. Più vicino a noi: Unione Sovietica, ventesimo secolo. Arcipelago Gulag di Solgenitsin racconta vicende di questo genere. Sbugiardare il finto compagno, rivelare che è un prete, consegnarlo alla vergogna popolare. Sulla Pravda apparivano le lettere delle mungitrici di renne, da noi le più rappresentative sono le hostess Alitalia, ad alcune delle quali i privilegi devono aver dato alla testa. Anche da cassintegrate è più alto il loro mensile di quello complessivo di un esercito di suorine che puliscono il sedere a bambini e a vecchi.
C'è bisogno di spiegare perché tutto questo è razzismo, convinto per di più di essere progressista? I razzisti sono quelli che dividono gli esseri umani in due categorie: le persone degne di godere dei diritti umani, e quelle meno, molto meno. Qui si nega a una persona il diritto di meritarsi un posto di lavoro sulla base dell'appartenenza a una religione. Se ci fosse una magistratura seria interverrebbe aprendo un fascicolo sulla vicenda intestandolo alla Legge Mancino, là dove si punisce «... con la reclusione sino a tre anni chi (...) incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi» (art. 1).
Una bella idea di laicità esprime la mamma citata. È in linea di navigazione con una deriva tutta occidentale. L'Europa si vuole annullare, si odia. Detesta le sue origini. In nome dell'illuminismo giacobino fa fuori l'illuminismo ragionevole, e con esso si uccide, lasciando spazio a una tranquilla invasione islamica.
Il principio di uguaglianza è per la cultura dominante come una pialla: implica omogeneizzarsi alla religione di Stato, che a quanto pare esige la riduzione della fede a fatto privato, con una ridicola confusione tra laicità e miscredenza violenta.
La cosa più incredibile non è che ci sia in giro qualcuno con le idee strane, ma che raduni intorno a sé gente normale pronta a darle ragione. E in Italia siamo ancora fortunati, perché questi casi appaiono isolati. Ma ci sono inchieste condotte specie nel Nord Europa dove si rivela che essere cristiani è un vero handicap sociale. Si chiama cristianofobia questa malattia europea, si è espressa nella sentenza contro i crocifissi sulle pareti delle scuole, e in Italia ha questi epigoni. Il risultato? È molto più difficile trovare comprensione se sei una suora che se sei un imam. O un propagandista dello yoga . Fare il presepio è intolleranza, invece introdurre, ad esempio, il buddismo è ritenuto molto laico, in perfetta armonia con la laicità della scuola. La preside Filippini, che è donna di buon senso, dichiara: «L'insegnante che c'era prima della suora impartiva ai bambini dei corsi di benessere yoga: li faceva sdraiare in cerchio, disegnava dei mandala e recitavano insieme dei mantra... ». Om, Om, Om. Quello andava benissimo alla signora dell'Alitalia. Invece nominare Gesù a Natale è un delitto.
Noi suggeriremmo alla suora, se non è troppo tardi, di dichiararsi sì suora, ma anche lesbica, o almeno suora incinta, e farsi fare un anatema dal vescovo, come nei film alla moda di Almodóvar. Diventerebbe un'eroina. Forse le perdonerebbero persino se facesse dire le preghiere ai bambini.

(Fonte: Il Giornale, 11 dicembre 2009)

giovedì 10 dicembre 2009

Le massime del guru Volo, pillole di vita “imperdibili”

Lassù, sulla vetta della classifica, c’è un bresciano che ha venduto centomila copie nella prima settimana di vendita. Il romanzo Il tempo che vorrei (Mondadori, pagg. 294, euro 18) di Fabio Volo ha spodestato e lasciato al palo l’americano Dan Brown. Ruspante, poliedrico e simpatico il primo. Indecifrabile, come il suo Simbolo perduto (Mondadori, pagg. 604, euro 24), il secondo (vedi articolo qui a fianco). Ex panettiere il primo. Laureato in storia dell’arte il secondo. Entrambi però perfettamente immersi nel mondo multimediale. Volo è anche deejay, attore e conduttore televisivo. Brown, ex musicista, domina il botteghino con i film tratti dai suoi libri. Entrambi sono da tempo abbonati all’elenco dei bestseller a presa immediata.
Il luogo comune spiega il successo di Volo con la sua indubbia capacità di farsi capire da tutti (scrive come parla e parla come mangia). E certo è vero. Il romanzo, una storia d’amore (fallita) intrecciata alle traversie di una famiglia che ha conosciuto la povertà, funziona e si fa leggere: è un prodotto editoriale di buon livello. Per intenderci, al confronto delle storie sgangherate e per soli adolescenti di Federico Moccia, Volo qui fa la figura di Philip Roth. Ma può darsi che il lettore, specie quello più giovane, sia attirato da un altro aspetto, spesso involontariamente comico, della prosa di Volo. Cioè la tendenza a farcire la narrazione di aforismi, frasi fatte, sentenze sui grandi quesiti della vita. Non c’è aspetto dell’esistenza che lo lasci senza parole o lo colga impreparato. Fabio ha la risposta, anzi: ha le risposte. Tutte quante.
Nell’amore, Volo non teme rivali, fa mangiare la polvere a Moccia e si pone come alter ego di Francesco Alberoni. La qualità di una storia d’amore «non può essere misurata dalla durata. Non conta il quanto, ma il come». A volte succede che «amiamo una persona più per il bene che le abbiamo fatto che per quello che ha fatto a noi». La psicologia ha la sua importanza: «Ci sono donne alle quali è meglio non chiedere nulla perché ti direbbero comunque di no. Perché dicono sì solo a chi non chiede», cioè all’uomo che non deve chiedere mai. Non mancano affondi filosofici: «L’amore è come la morte: non si sa quando ci colpirà» o «L’odio non si può fingere, l’amore sì».
Abbondano anche scene hard e consigli pratici, si va da: «il grande segreto è: tocca come una donna e bacia come un uomo» a «come molte donne, non amava sentire che ero ossessionato dal suo orgasmo». E se qualcuno avesse dubbi su come condurre le operazioni amatorie note come preliminari, ecco un punto di partenza da tenere a mente: «Il cazzo si vede, la patata no».
I romanzi spesso si interrogano sul mistero della condizione umana, e così accade anche nel Tempo che vorrei. «Il senso della vita non lo capivo» sembra ammettere l’autore. Strano infatti Volo recupera alla riga successiva: «Però avevo capito che la vita stessa era l’unica occasione che avevo per scoprirlo». In fondo, «la nostra forza è l’autenticità», e forti di questa convinzione scopriamo che «vivere è l’arte di diventare quello che si è già» (ma non l’aveva già detto Pindaro?). Dobbiamo però ricordare che «bisogna rispettare la dignità altrui e capire che ognuno è abituato alla propria misura». Meglio non curarsi troppo di ciò che dicono di noi perché «chi critica spesso ha paura» e badare piuttosto a non fare agli altri ciò che non vogliamo sia fatto a noi perché «se critichi continuamente gli altri, finisce che crei una grande aspettativa su di te, ti costruisci da solo la tua trappola». Anche i personaggi del libro parlano per aforismi, come Nietzsche, solo che guardano al quotidiano. Ad esempio, la ragazza «molla» il protagonista Lorenzo con questo discorsetto introduttivo: «La vita non è in garanzia. Non è una lavatrice che se si rompe qualcuno te la ripara. Se si rompe, si rompe. Puoi stare fuori dalla vita, costruendoti un mondo di certezze, ma è solo un’illusione». Il capo ufficio invece galvanizza Lorenzo e gli altri dipendenti con motti e consigli (non sempre farina del suo sacco). Cito: «Non sempre premia mostrare le proprie virtù. A volte è meglio nasconderle»; «Spesso i simpatici sono insopportabili»; «L’insoddisfazione crea lavoro»; «Ogni muro è una porta»; «Qualcuno di noi discende dalle scimmie, altre ci si avvicinano crescendo» e così via.
Ma ovviamente c’è molto altro, Volo affronta l’intero scibile. La vera ribellione? «Non c’è niente di più rivoluzionario che fare bene e con qualità quello che si sta facendo». L’individualismo? «Tutti criticano l’ego, ma sono pronti ad applaudire chi si è distinto grazie a quello». La lettura? «Leggere è un’apertura dei sensi verso il mondo, è un vedere e riconoscere cose che ti appartengono e che rischiano di essere non viste. Leggere ci fa riscoprire l’anima delle cose». La famiglia? «Essere figli è più facile. In quanto figli non si può scegliere nulla: non si sceglie il padre, la madre, i fratelli, le sorelle. Mentre in un genitore il fatto di poter scegliere spesso crea ansia, per paura di fare la scelta sbagliata». La società? «Il consumo è il motore della società poiché ne determina i rapporti di forza, i modelli di comportamento, le categorie sociali, ossia lo status sociale». Il conformismo vecchio e soprattutto nuovo? «L’omologazione non è mai stata realizzata nemmeno dalle dittature più feroci, mentre la società dei consumi, senza dichiararlo, ci si è avvicinata molto di più».
Così parlò Fabio Zarathustra.

(Fonte: Alessandro Gnocchi, Il Giornale, 9 dicembre 2009)

Lesbica eletta vescovo di chiesa episcopale

Una lesbica è stata eletta vescovo ausiliario dalla diocesi episcopale di Los Angeles. La decisione, che deve essere ratificata dalle altre 108 diocesi americane, rischia di scatenare nuove polemiche nella comunità anglicana sulla questione esplosiva del clero omosessuale. Mary Glasspool, 55 anni, di Baltimora, ha una relazione ufficiale con un’altra donna dal 1988. È il primo gay dichiarato a diventare vescovo episcopale dal 2003, quando la nomina di Gene Robinson del New Hampshire spaccò gli episcopali e favorì lo scisma di alcune congregazioni e 100mila fedeli confluiti in una nuova chiesa nordamericana.
La Glasspool è stata eletta con 153 voti dal clero e 203 dai laici insieme a un altro vescovo ausiliario, Diane Jardin Bruce: si tratta delle prime nomine di vescovi donne nella diocesi di Los Angeles. Un altro candidato gay, il reverendo John Kirkley di San Francisco, si era ritirato dalla corsa.
La Chiesa episcopale, che conta due milioni di fedeli, è legata alla teologia anglicana ma si considera a metà tra cattolicesimo e protestantesimo. A luglio aveva revocato la moratoria sulla nomina di vescovi gay, con un gesto conciliatorio verso l’ala progressista. «Sono molto eccitata per il futuro di tutta la Chiesa episcopale e vedo per la diocesi di Los Angeles un ruolo guida verso il futuro», ha dichiarato la Glasspool. Figlia di un prete episcopale, indossa l’abito talare da 27 anni.
La notizia dell'elezione della Glasspool è stata commentata con allarme dal primate della Comunione anglicana, l'arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, il quale si è detto preoccupato per l'elezione a vescovo di una donna apertamente omosessuale. "L'elezione apre questioni molto serie, non solo per la Chiesa episcopale e il suo posto nella Comunione anglicana, ma per l'intera Comunione", ha spiegato l'arcivescovo in un intervento pubblicato sul sito in rete. Il processo di selezione del vescovo episcopaliano di Los Angeles è stato completato solo in parte, ha però ricordato Williams: "L'elezione deve essere confermata, o potrebbe essere rigettata, dai vescovi diocesani e dalle commissioni diocesane in carica". In ogni caso, ha spiegato il primate anglicano, tale decisione "avrà implicazioni molto importanti. I vescovi della Comunione hanno collettivamente riconosciuto che un periodo di cortese restrizione, riguardo alle azioni che possono essere contrarie al sentire della Comunione stessa, è necessario, se si vogliono mantenere i nostri legami di mutuo affetto".
La nomina di Los Angeles arriva dopo che gli episcopaliani - circa due milioni di fedeli negli Stati Uniti - nel luglio dello scorso anno hanno tolto il bando alla consacrazione di vescovi omosessuali, posto quattro anni fa. Divergenze su questo tipo di scelta si erano verificate già nel 2003, con la nomina del primo vescovo omosessuale, Gene Robinson del New Hampshire.

(Fonti: Quotidiano.net e Osservatore Romano, 6 - 8 dicembre 2009)

Feltri s’inchina a Boffo. E accusa chi gli passò carte false

A più di tre mesi dall’attacco a Dino Boffo e ad “Avvenire”, il direttore del “Giornale” Vittorio Feltri è tornato sulla vicenda per dire – già nel titolo – che per lui “il caso è chiuso”.
Chiuso con l’accertamento della falsità delle accuse portate contro lo sventurato.
Feltri afferma di “aver avuto modo di vedere” gli atti processuali riguardanti l’ex direttore di “Avvenire”. E ha scoperto che “da quelle carte Dino Boffo non risulta implicato in vicende omosessuali”, né si parla di lui come di “omosessuale”.
Di conseguenza, Feltri tributa a Boffo l’onore delle armi, sia come giornalista “prestigioso e apprezzato”, sia per il suo atteggiamento “sobrio e dignitoso”. Egli, conclude, “non può che suscitare ammirazione”.
Ma c’è di più, nella nota del direttore del “Giornale”.
In sostanza, Feltri fa sapere di aver investigato sulla fondatezza o no delle accuse a Boffo non prima della pubblicazione delle stesse, ma solo dopo, molto dopo.
E se così ha fatto – pubblicando e avvalorando a scatola chiusa le carte poi da lui riscontrate come false – è stato solo perché quelle carte gli erano state “consegnate da un informatore attendibile, direi insospettabile”.
Feltri non specifica altro. Ma si sa che le carte a lui passate sono le stesse che prima dell’estate erano state recapitate per posta, anonimamente, a circa duecento vescovi e personalità cattoliche di spicco.
Dal campo cattolico sono venute e in campo cattolico hanno alla fine colpito, grazie alla chiamata in azione di Feltri.
Ma a conti fatti, il mandante “insospettabile” dell’operazione non può certo cantare vittoria.
Ad “Avvenire” come nuovo direttore c’è Marco Tarquinio, cioè quanto di meglio i veri amici di Boffo potevano aspettarsi.
E al “Giornale” c’è sempre Feltri, che però ora ha il dente avvelenato contro chi l’ha tratto in inganno.

(Fonte: Settimo cielo, 4 dicembre 2009)

giovedì 3 dicembre 2009

Perché non mi piace la nuova Bibbia Cei!

Mi capita spesso di chiedermi: la nuova traduzione della Bibbia curata dalla CEI è la “summa” di una elevata conoscenza ermeneutica, di una plateale incompetenza o di una maliziosa imperfezione?
Oppure, più prosaicamente, si colloca in un mega progetto (comprendente anche i nuovi Lezionari!) riconducibile ad una allettante ed ambita operazione finanziario-editoriale?
Absit iniuria verbis, ma a volte la nuova traduzione presta quasi puerilmente il fianco a inevitabili critiche.
Prendiamo per esempio Luca 1,38: il testo latino suona così "Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum". Nella nuova versione CEI è tradotto in questo modo: "Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola".
Avvenga "per me"? Cosa significa, che cosa implica questa traduzione? Implica una trasformazione evidente del dogma dell'Incarnazione. L'Incarnazione avviene grazie all'obbedienza supina di Maria al Signore, alla sua accettazione di quanto l'Arcangelo Gabriele le aveva detto. Trasformare l'accettazione "avvenga di me, mi accada" in una dimensione di semplice “strumentalità” di Maria (avvenga per mio mezzo, grazie a me, tramite me), significa privare la Vergine della sua compartecipazione – voluta e accettata fiduciosamente – al piano salvifico del Figlio. Maria è Corredentrice attiva, non strumento passivo della redenzione!.
Partiamo dal testo greco originario. Qui le parole di Maria Santissima sono: "ιδού η δούλη Κυρίου, γένοιτό μοι κατά το ρήμά σου" cioè "ecco la serva del Signore, avvenga di me secondo il tuo verbo." Verbo non nel senso di "logos", quindi inteso come "concetto, pensiero esprimibile con segni verbali", ma nel senso di "parlato", "detto", conseguenza dell'azione verbale. Quindi "mi succeda quello che tu hai detto", oppure: "avvenga di me secondo quanto hai affermato".
D'altra parte i traduttori dovrebbero ricordare che in Gen. 44,17 Giuseppe afferma: "μή μοι γένοιτο ποιῆσαι τὸ ρῆμα τοῦτο", ovvero letteralmente "che non mi avvenga di fare una simile azione". Il contesto di Genesi 44,17 gioca attorno alle medesime parole e ai medesimi concetti... "il servo del Signore" è presente anche lì come espressione tipica. I settanta usavano la stessa espressione " γένοιτό μοι " legata a " ρήμά σου ".
Non basta, però! Andando un po' a ritroso, si può anche notare che Gabriele direbbe a Maria "Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio." Questa traduzione è erronea, quella autentica è "e perciò il santo nascituro sarà chiamato Figlio di Dio." La santità e l'identità con il Figlio di Dio sono elementi connaturati e non accezioni separate, ma soprattutto il nascituro è già santo, non lo diverra!!!
Evidentemente gli “esperti” traduttori hanno accostato il futuro di "nascerà" al concetto della santità. Invece è vero che il Signore nascerà ma la Sua essenza è già santa "quod sanctum", prima ancora di nascere!
Un piccolo assaggio, un esempio elementare degli “stiracchiamenti” cui il testo è stato a volte sottoposto.
Ma ciò che mi rende “antipatico” il volume, scusate ma non è poco, è la sua copertina.
Già quell'immagine sul frontespizio mi aveva fatto sospettare a prima vista che ci fosse un richiamo (voluto o casuale?) di un “qualcosa” fuori posto, un qualcosa che nulla ha da spartire con la Cei (o no?) e men che meno con la Bibbia: una immagine il cui simbolismo, approfondito poi con calma mediante una più attenta analisi iconografica, ha lasciato trapelare dei significati sconcertanti.
In breve: cosa rappresenta l’immagine incriminata? Un ramoscello che emerge dalla terra, mentre sottoterra (il suolo è marcato con un tratto orizzontale) fa bella mostra una stella ad otto punte; il tutto poi, visto nel suo insieme, assume la forma di una croce rovesciata... Molto interessante e suggestivo!
Ma mi chiedo: cosa c'entra questa simbologia col Cristianesimo? Anche chi è totalmente digiuno di simbologia esoterica, può comunque riconoscere agevolmente in quel ramoscello l’inconfondibile ramo dell'acacia massonica e nella stella ad otto punte la rappresentazione simbolica del pianeta Venere, nella sua accezione di Lucifero (apportatore di luce). Del resto quel ramoscello del tutto identico a quello riprodotto nei gadgets a spilla, diffusissimi fra i Massoni, non lascia spazio a dubbi.
Una volta sulle Bibbie si stampava una grossa croce; oggi invece si preferisce apporre simboli massonici su un vistoso campo blu (il colore della copertina), che nelle scuole gnostiche antiche era il colore “pneumatico” dei figli del Dio misterioso.... Segni dei tempi? Mah!

(Administrator, 2 dicembre 2009)

Mara Carfagna e le campagne ideologiche di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (glbt)

Perché il ministro Mara Carfagna si è innamorata dell’agenda glbt e insiste nel volere ripresentare una legge contro l’omofobia? Le aggressioni contro gli omosessuali e i transessuali, le ingiurie o il disprezzo per questa condizione di diversità, c’entrano veramente poco. Sono atti criminali da perseguire penalmente perché offensivi dei diritti di una persona, da tutelare come tutte le altre, indipendentemente dal fatto di essere omo o tran-
sessuale. Invece l’obiettivo della legge è un altro. Si tratta di ripetere quello che avviene nella grande maggioranza dei paesi europei, dove gay, lesbiche, bi e transessuali beneficiano di una giurisdizione speciale che li tutela non come persone ma appunto come categorie a parte. In Italia, una legge siffatta è già stata dichiarata incostituzionale dalla Camera dei deputati. Forse non tutti i protagonisti di questa vicenda si sono resi conto della portata del gesto, che ha visto un Parlamento in controtendenza annunciare «la verità sull’uomo». Ma se ne sono accorte le associazioni glbt che hanno cercato di correre ai ripari, trovando la sponda del dipartimento delle Pari opportunità.
Così è nata la campagna del ministro Carfagna, esplicitamente orientata a ripresentare in Parlamento una nuova legge contro l’omofobia che contenga lo stesso principio di quella dichiarata anticostituzionale, entro sei mesi. Inoltre, il progetto prevede un filmato, volantini e manifesti che verranno distribuiti e affissi in tutte le città e nelle scuole.
Chi ha visto la conferenza stampa di presentazione del progetto ha ricavato motivi di profondo stupore. Sembrava di assistere alla festa di conclusione di un progetto concordato.
Così, proprio nei giorni in cui il Parlamento approva una Finanziaria senza alcuna facilitazione per le famiglie, soprattutto quelle con figli, il ministero delle Pari opportunità spende 2 milioni dei soldi degli italiani per una campagna ideologica sostenuta dalle associazioni glbt.

(Fonte: Marco Invernizzi, Tempi, 1 dicembre 2009)

Creazionismo sotto processo laicista: risposta all’inquisizione evoluzionista

Non mi sembra che l’anno darwiniano si stia concludendo nel clima di trionfalismo che certi superevoluzionisti avevano auspicato. In questi giorni i principali quotidiani italiani danno atto, infatti, dell’esistenza, all’interno della comunità scientifica, di un forte dibattito che va ben al di là delle mura del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Tutto ha preso inizio da un Workshop internazionale sull’evoluzionismo da me promosso lo scorso 23 febbraio presso l’ente di cui sono attualmente vicepresidente. Mi sia permesso di ricordare i nomi dei partecipanti a quell’incontro, tutti studiosi di diverse nazioni e discipline: Guy Berthault, membro dell’associazione Internazionale dei sedimentologi; Jean de Pontcharra, ricercatore in nano-elettronica all’Università di Grenoble; Maciej Giertych, membro dell’Accademia polacca delle scienze; Josef Holzschuh, ricercatore di Geofisica alla University of Western Australia; Hugh Miller, chimico, dottore alla Ohio State University; Hugh Owen, presidente del Kolbe Center negli Stati Uniti; Pierre Rabischong, professore emerito dell’Università di Montpellier; Josef Seifert, rettore dell’International Academy for Philosophy del Liechtenstein; Thomas Seiler, dottore in fisico-chimica all’Università di Monaco; Dominique Tassot, Direttore del Centre d’Etudes et de Prospectives sur la Science; Alma von Stockhausen, presidente della Gustav-Siewerth-Akademie.
Gli atti di quel convegno sono stati pubblicati a novembre dall’Editore Cantagalli, con il titolo “Evoluzionismo. Il tramonto di un’ipotesi” (pp. 192, euro 17,00). Quanto è bastato per suscitare le ire di Marco Cattaneo, direttore della rivista “Le Scienze”, di Marco Ferraguti, presidente della Società dei biologi evoluzionisti, e del filosofo della scienza Telmo Pievani.
Quest’ultimo, ha dedicato ben nove pagine sulla rivista “MicroMega”, per irridere e insolentire un libro che, per sua ammissione, non aveva letto. Nel suo articolo Pievani si è spinto a chiedere la mia rimozione dal CNR affermando che “chi nega una realtà comprovata non dovrebbe ricoprire cariche che implicano un’influenza sull’opinione pubblica o sulla gestione di enti pubblici” (p. 115). Ma qual è la “realtà comprovata”? Forse è quella che dà il titolo al più recente pamphlet dello stesso Pievani: “Creazione senza Dio”? Un libro in cui egli auspica che al reato di “vilipendio della religione” si sostituisca quello di “diffamazione della scienza” (p. 102)? Pievani accusa il “creazionismo” di spacciare per scienza un contenuto di fede. Ma cosa fa lui, se non spacciare per scienza, la sua negazione non della fede, ma dei principi evidenti della ragione. E’ più “evidente” per l’intelletto umano affermare che Dio esiste, piuttosto che ritenere che l’uomo discenda dalla scimmia, come si ripete acriticamente da Darwin in poi. Però la prima affermazione è declassata a opinione “fideistica”, la seconda elevata a verità assoluta. L’attacco di Pievani si inserisce non a caso in un virulento numero monografico contro Benedetto XVI, “Il Papa inquisitore”, come lo definisce il direttore della rivista Paolo Flores d’Arcais nel titolo del suo articolo di apertura (pp. 5-22). In quest’articolo si critica la “volontà di anatema” (p. 6) e l’“intransigenza dogmatica di questo inquisitore postmoderno” (p. 18) che “vuole imporre al mondo la verità della sua Chiesa, cattolica apostolica romana, nell’intero orizzonte etico-politico” (p. 13).
Dal fascicolo di “MicroMega” emerge però l’esistenza di un’altra chiesa, quella evoluzionista, ben più censoria e inquisitoria di quella di cui oggi è capo Papa Ratzinger. Benedetto XVI dialoga infatti con gli evoluzionisti, tollerando perfino che ricoprano alte cariche nei dicasteri pontifici, mentre i fanatici dell’evoluzionismo, non riservano che sprezzo e irrisione a chi non condivide il loro “Verbo”. Non è questo l’atteggiamento tipico di chi ha paura di misurarsi sul terreno delle idee, perché è consapevole della inconsistenza delle proprie ragioni? Gli anni passano, le prove non arrivano e l’evoluzionismo appare sempre di più, non una teoria scientifica, ma una mera opzione filosofica anticreazionista.
La teoria dell’evoluzione rappresenta infatti la radicale negazione di ogni verità metafisica, a cominciare dall’esistenza di un Dio creatore dell’universo, in nome di una scienza che rinuncia ad esercitare il metodo scientifico per farsi filosofia. C’è la cristofobia di chi vuole svellere le radici cristiane d’Europa e cancellare ogni traccia di identità cristiana dei luoghi pubblici, ma c’è anche la teofobia di chi vuole sradicare, se mai fosse possibile, ogni traccia del divino dalla natura e dalla vita dell’uomo. Era una caratteristica dell’evoluzionismo marxista, lo è oggi dell’evoluzionismo “post moderno”.
Gli evoluzionisti credono di essere “anticreazionisti”, ma di fatto, essi trasferiscono l’azione creatrice da Dio alle creature, senza uscire dal vituperato “creazionismo”. Cos’è infatti la cosiddetta trasformazione delle specie se non un’“auto trasformazione” che implica la capacità della materia di “auto-crearsi”? Il materialismo evoluzionista attribuisce di fatto un potere creatore alle creature, espropriate del loro primo principio e del loro ultimo fine.
Chi ha la capacità di auto-trasformarsi ha una capacità creatrice: le proprietà che vengono negate a Dio vengono attribuite alla materia, eterna, infinita, “pensante” e assolutamente “libera”, perché non determinata da altri che da se stessa: in una parola divina. In realtà nessun esperimento né argomento razionale è in grado di provare che una creatura possa autodeterminare la propria natura. Né una molecola di materia inerte, né una cellula vivente è in grado di “pensarsi”, di “crearsi” e di “superarsi”. La creazione, che è produzione di una realtà secondo tutta la sua sostanza, senza alcun presupposto, creato da altri, o increato che sia, si impone a chi voglia esercitare la ragione, come una “realtà scientifica”, o, se si preferisce, come una verità razionale radicalmente incompatibile con la fantasia evoluzionista.
P. S. Un’ultima considerazione. L’articolista del Corriere della Sera tenta di isolarmi all’interno del CNR. Ma il presidente dell’Ente, prof. Luciano Maiani, che è uno scienziato serio, che crede nella libertà della ricerca, lo ha ripreso in questi termini: “Il carattere aperto della ricerca intellettuale” e la “personale contrarietà a ogni forma di censura delle idee” per me e per il Consiglio nazionale delle ricerche non sono un “contentino”, come afferma l’articolo (del Corriere della Sera), ma valori fondanti, coerenti con la civiltà del nostro Paese. Con l’occasione intendo ribadire con forza – al di là delle diverse posizioni culturali – i rapporti di stima, amicizia e proficua collaborazione che mi legano al Vice Presidente, Prof. Roberto de Mattei” (Dichiarazione del 1 dicembre 2009).

(Fonte: Roberto de Mattei, Il Foglio, 2 dicembre 2009)