mercoledì 24 giugno 2020

Il Concilio Vaticano II e le origini del deragliamento


Il recente intervento di monsignor Carlo Maria Viganò dedicato ai legami tra il Concilio Vaticano II e le “deviazioni dottrinali, morali, liturgiche e disciplinari sorte e progressivamente sviluppatesi fino a oggi” punta su una questione che, per quanto sia fonte di sofferenza per molti di noi che siamo cresciuti nella Chiesa postconciliare, non è eludibile.
Monsignor Viganò, prendendo spunto da un contributo del vescovo Athanasius Schneider, parla apertamente di un “monstrum generato nei circoli dei modernisti” e che ora si mostra per ciò che è, “nella sua indole eversiva e ribelle”.
Inutile girarci attorno: se oggi abbiamo una Chiesa che in molte occasioni prende vie ereticali di matrice gnostica e si ispira a quel vago umanitarismo che tanto piace al mondo e che, non a caso, le procura l’applauso di chi è sempre stato nemico della Chiesa stessa, è perché il Concilio Vaticano II, a differenza di tutti quelli che lo precedettero, pretese, in fin dei conti, di fondare una Chiesa nuova. È vero che ciò non venne mai proclamato e che anzi si parlò della necessità del rinnovamento senza intaccare il depositum fidei, ma i circoli modernisti di fatto utilizzarono il Concilio per introdurre una discontinuità. E lo strumento retorico a cui si fece ricorso fu l’espressione, del tutto inedita, “spirito del Concilio”, concetto che permise di fatto di introdurre sconvolgimenti, ben al di là di quanto era scritto nei testi.
C’è un passaggio, nell’intervento di monsignor Viganò, che mi ha colpito in modo particolare, perché è molto personale e penso che più di un lettore vi si possa riconoscere: “Giunge un momento nella nostra vita in cui, per disposizione della Provvidenza, ci è posta dinanzi una scelta determinante per il futuro della Chiesa e per la nostra salvezza eterna. Parlo della scelta tra il comprendere l’errore in cui siamo caduti praticamente tutti, e quasi sempre senza cattive intenzioni, e il voler continuare a volgere altrove lo sguardo o giustificarci”.
Ecco, credo che questa affermazione metta in rilievo il dramma di chi, cresciuto nella Chiesa del dopo Concilio, a distanza di decenni non può non aprire gli occhi e rendersi conto dell’inganno.
In campo ecumenico come in quello liturgico, scrive Viganò, a lungo “abbiamo pensato che certi eccessi fossero solo un’esagerazione di chi si era lasciato prendere dall’entusiasmo della novità”, ma ci siamo sbagliati. Riferendosi all’orrenda pachmama, monsignor Viganò lo dice chiaramente: “Se il simulacro di una divinità infernale è potuto entrare in San Pietro, ciò fa parte di un crescendo che lo spartito prevedeva sin dall’inizio”. Allo stesso modo, se “numerosissimi cattolici praticanti, e forse anche gran parte degli stessi chierici, sono oggi convinti che la fede cattolica non sia più necessaria per la salvezza eterna” e se molti sono ormai intimamente convinti che “il Dio Uno e Trino rivelatosi ai nostri padri sia lo stesso dio di Maometto”, è perché il seme dell’errore e dell’eresia è stato piantato più di mezzo secolo fa e poi coltivato nel corso dei decenni.
“I progressisti e i modernisti – scrive Viganò – hanno saputo astutamente nascondere nei testi conciliari quelle espressioni di equivocità che all’epoca parevano innocue ai più ma che oggi si manifestano nella loro valenza eversiva”.
Io non sono uno storico della Chiesa né tanto meno del Concilio Vaticano II, ma sento di poter aderire a quanto spiega monsignor Viganò quando sostiene che c’è stato un inganno e che molti sono caduti nella trappola. Quando l’arcivescovo parla di una “corsa verso l’abisso” e si dice stupito del fatto che “ancora ci si ostini a non voler indagare le cause prime della crisi presente, limitandosi a deplorare gli eccessi di oggi quasi non fossero la logica e inevitabile conseguenza di un piano orchestrato decenni orsono”, credo che ci metta di fronte a un compito non aggirabile.
Viganò è molto netto quando mette in collegamento diretto la pachamama con Dignitatis humanae, la liturgia protestantizzata con le tesi di monsignor Annibale Bugnini, il documento di Abu Dhabi con Nostra aetate, e so bene che tante persone, anche tra coloro che fanno parte dello schieramento opposto a quello modernista, di fronte alle affermazioni dell’arcivescovo fanno un balzo sulla sedia, sostenendo che i mali e gli abusi non sono nati con il Concilio ma a causa di un tradimento del Concilio. Non è questa la sede per entrare nella disputa. Per parte mia, sento di poter aderire all’analisi di monsignor Viganò quando scrive che “il Concilio è stato utilizzato per legittimare, nel silenzio dell’autorità, le deviazioni dottrinali più aberranti, le innovazioni liturgiche più ardite e gli abusi più spregiudicati. Questo Concilio è stato talmente esaltato da essere indicato come l’unico riferimento legittimo per i cattolici, chierici e vescovi, oscurando e connotando con un senso di spregio la dottrina che la Chiesa aveva sempre autorevolmente insegnato, e proibendo la perenne liturgia che per millenni aveva alimentato la fede di un’ininterrotta generazione di fedeli, martiri e santi”. E sento di poter aderire anche là dove Viganò scrive: “Lo confesso con serenità e senza polemica: sono stato uno dei tanti che, pur con molte perplessità e timori, che oggi si rivelano assolutamente legittimi, hanno dato fiducia all’autorità della gerarchia con un’obbedienza incondizionata. In realtà penso che molti, ed io tra questi, non abbiamo inizialmente considerato la possibilità di un conflitto tra l’obbedienza a un ordine della gerarchia e la fedeltà alla Chiesa stessa. A rendere tangibile la separazione innaturale, anzi, direi perversa, tra gerarchia e Chiesa, tra obbedienza e fedeltà è stato certamente quest’ultimo pontificato”.
Insomma, “nonostante tutti i tentativi di ermeneutica della continuità miseramente naufragati al primo confronto con la realtà della crisi presente, è innegabile che dal Vaticano II in poi si sia costituita una chiesa parallela, sovrapposta e contrapposta alla vera Chiesa di Cristo. Essa ha progressivamente oscurato la divina istituzione fondata da Nostro Signore per sostituirla con un’entità spuria, corrispondente all’auspicata religione universale di cui fu prima teorizzatrice la massoneria. Espressioni come nuovo umanesimo, fratellanza universale, dignità dell’uomo sono parole d’ordine dell’umanitarismo filantropico negatore del vero Dio, del solidarismo orizzontale di vaga ispirazione spiritualista e dell’irenismo ecumenico che la Chiesa condanna senza appello”.
Arrivare a queste conclusioni provoca, lo ripeto, sofferenza, eppure, come scrive Viganò, occorre guardare in faccia la realtà. “Questa operazione di onestà intellettuale richiede una grande umiltà, anzitutto nel riconoscere di essere stati tratti in errore per decenni, in buona fede, da persone che, costituite in autorità, non hanno saputo vigilare e custodire il gregge di Cristo: chi per quieto vivere, chi per i troppi impegni, chi per convenienza, chi infine per malafede o addirittura per dolo. Questi ultimi, che hanno tradito la Chiesa, devono essere identificati, ripresi, invitati a emendarsi e, se non si ravvedono, cacciati dal sacro recinto. Così agisce un vero pastore che ha a cuore la salute delle pecore e che dà la vita per loro; di mercenari ne abbiamo avuti e ne abbiamo tuttora fin troppi, per i quali il consenso dei nemici di Cristo è più importante della fedeltà alla sua Sposa”.
La trappola è scattata, in tanti ci siamo cascati, ma ciò non giustifica il perseverare nell’errore. “E se fino a Benedetto XVI – osserva Viganò – potevamo ancora immaginare che il colpo di stato del Vaticano II (che il cardinale Suenens definì il 1789 della Chiesa) avesse conosciuto un rallentamento, in questi ultimi anni anche i più ingenui tra noi hanno compreso che il silenzio, per timore di suscitare uno scisma, il tentativo di aggiustare i documenti papali in senso cattolico per rimediare alla loro voluta equivocità, gli appelli e i dubia a Francesco rimasti eloquentemente senza risposta, sono una conferma della situazione di gravissima apostasia cui sono esposti i vertici della gerarchia, mentre il popolo cristiano e il clero si sentono irrimediabilmente allontanati e considerati quasi con fastidio dall’episcopato”.
Spesso guardare in faccia le origini della malattia provoca sofferenza e pena; può nascere anche un insidioso senso di fallimento. Non di meno, occorre farlo se si vuole trovare la via della guarigione.
  
(Fonte: Aldo Maria Valli, Duc in altum, 14 giugno 2020)




sabato 13 giugno 2020

Legge anti-omofobia: cortocircuito tra Avvenire e CEI


Clamoroso dietrofront sul tema delle proposte di legge anti-omofobia: dopo la Nota della CEI molto critica sui progetti, Avvenire - giornale di proprietà della CEI - dedica una ampia intervista riparatrice al relatore di quei progetti, l'on. Alessandro Zan, per fargli spiegare la ragionevolezza delle proposte e fugare ogni timore. Una situazione paradossale che cancella qualsiasi speranza di vedere i vescovi combattere contro questo tentativo di imporre l'ideologia omosessualista cancellando la libertà d'espressione. E intanto l'agenda catto-gay avanza con il riconoscimento esplicito di atti omosessuali e unioni civili.

Qualcuno ricorda forse che al tempo del governo gialloverde, quando Avvenire contestava duramente il decreto legge su sicurezza e immigrazione, sul giornale dei vescovi sia comparsa una intervista al ministro Matteo Salvini, artefice di quel decreto, perché potesse spiegare le sue ragioni? No? Infatti, non c’è mai stata. È una più che legittima scelta editoriale: una volta maturato un giudizio chiaro e presa una linea si cerca anzitutto di darle forza con altri interventi che vanno nella stessa direzione. Benissimo, nulla da dire, è ciò che fanno tutti i giornali.
È per questo che ha molto sorpreso che ieri Avvenire riportasse in grande evidenza una intervista al deputato del Pd Alessandro Zan, relatore dei progetti di legge sull’omofobia, appena il giorno dopo aver pubblicato la Nota della Conferenza Episcopale (CEI) che criticava duramente quei progetti di legge. Peraltro, bisogna aggiungere che si tratta di una intervista fatta apposta per fare risaltare la ragionevolezza delle posizioni di chi vuole la legge e per rassicurare chi la teme. Dati i tempi, il tono e i contenuti potremmo ben definirla una intervista riparatrice. Tanto che alla fine della lettura viene da chiedersi: se stanno davvero così le cose, come è saltato in mente alla CEI di pubblicare una Nota così infondatamente critica?
Il problema è che le critiche contenute nella nota CEI non solo sono fondate, ma addirittura gravemente insufficienti, come abbiamo già scritto (clicca qui). Quindi, a che gioco stanno giocando al vertice della Conferenza Episcopale? Un giorno si pubblica un giudizio critico, il giorno dopo lo si sconfessa. Cosa c’è dietro?
In effetti, chi segue le vicende della Chiesa italiana si è piuttosto stupito della presa di posizione netta nei confronti dei progetti di legge sull’omofobia, tanto è evidente il potere che ha conquistato la lobby gay ai vertici della Chiesa stessa. Solo due settimane prima Avvenire aveva dedicato una intera pagina alla promozione del libro pro-Lgbt curato dal redattore “esperto” di Avvenire, Luciano Moia, con la prefazione del cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna che gode di grande favore a Santa Marta, e con l’introduzione dello stesso direttore di Avvenire, Marco Tarquinio (clicca qui). E Avvenire è praticamente l’unico giornale a non aver neanche citato la lettera pastorale del vescovo di Sanremo-Ventimiglia, Antonio Suetta, che già qualche giorno prima aveva lanciato l’allarme sulla legge anti-omofobia in termini ben più esaustivi rispetto a quelli della CEI.
Inoltre la Nota riguardo ai progetti di legge sull’omofobia è firmata dalla presidenza della CEI, ma il presidente, il cardinale Gualtiero Bassetti, non ha mai detto una parola – anche questo un fatto inusuale – né prima né dopo il comunicato, tanto meno su Avvenire.
Di certo possiamo dire che una presa di posizione su un tema così delicato non sarebbe stata possibile senza l’approvazione della Segreteria di Stato vaticana. Possibile che dalla Segreteria di Stato sia stata anche suggerita, nel qual caso per motivi politici: già nel caso del prolungarsi della sospensione delle messe con popolo, CEI e Segreteria di Stato erano state concordi nel protestare contro il governo, prima di essere riportati all’ordine dal Papa in persona che, in una omelia alle 7 del mattino a Santa Marta, aveva rimesso le cose a posto (per Conte).
Qualunque sia l’origine e l’iter che ha portato alla Nota della CEI, un fatto comunque è certo: la lobby catto-gay ha ripreso immediatamente il controllo della situazione e ha prodotto l’intervista riparatrice all’onorevole Zan. Chi, lietamente sorpreso dal comunicato dei vescovi, aveva gioito confidando sulla loro volontà di combattere una battaglia di libertà, temiamo resterà molto deluso. A meno di un sussulto di orgoglio da parte della presidenza CEI, avverrà quel che già è successo per le messe: la Nota critica resterà un episodio isolato, un “infortunio” senza seguito. E per salvare la faccia e l’unità della Chiesa, il cardinale Bassetti continuerà a tacere (gli viene abbastanza facile), mentre Avvenire continuerà a perorare la causa dell’onorevole Zan e del governo giallo-rosso: formalmente sarà un dialogo tra posizioni diverse, in realtà spianerà la strada alla legge sull’omofobia.
Del resto, tutti concentrati sul giudizio relativo a tali progetti di legge, c’è un aspetto che è passato inosservato e che pure è di grande importanza. Ovvero, mentre nel riportare e commentare il comunicato della CEI si argomenta contro i progetti di legge, si buttano dentro titoli e frasi che danno per assodati alcuni concetti dell’agenda Lgbt in salsa cattolica. Due su tutti: omofobia e unioni omosessuali.
Titolava in prima pagina Avvenire giovedì 11 giugno, sintetizzando la posizione della CEI: «Contro l’omofobia le norme già ci sono». E il concetto viene ripetuto tale e quale ancora due volte nei titoli di pagina 4 e 5. Ovvero, si dà per scontato e si afferma che esiste un fenomeno malvagio e ben definito che si chiama omofobia. Ma è proprio questo il punto: omofobia è un artificio linguistico, una invenzione finalizzata a imporre l’ideologia omosessualista, per chiudere la bocca a chiunque consideri gli atti omosessuali – non le persone con tendenze omosessuali, ma gli atti omosessuali – contro natura. Accettare che esista una specie di malattia sociale chiamata omofobia - peraltro mai definita oggettivamente - è già una resa alla menzogna, è già aver posto le basi per la promozione dei reati di opinione.
Seconda questione: sia nella spiegazione della Nota dei vescovi, pubblicata dal sito di Avvenire, sia nelle domande all’onorevole Zan, si capisce che la preoccupazione principale riguardo alla libertà di espressione si riferisce soprattutto alla possibilità di poter dire “l’unione civile (omosessuale) va bene ma non possiamo chiamarla famiglia”. Si chiede infatti Luciano Moia, autore di entrambi gli articoli: «Sostenere, per esempio, che le unioni omosessuali sono scelta ontologicamente e biologicamente diversa rispetto al matrimonio fondato sul matrimonio tra uomo e donna, potrebbe diventare opinione sanzionabile?». E il giorno dopo domanda all’onorevole Zan: «Affermare la verità del matrimonio fondato sull’amore tra uomo e donna, senza attribuire identica valenza alle unioni omosessuali, diventerà un reato?». Ma per poter fare una domanda del genere si dà per scontato che le unioni omosessuali siano un bene (peraltro una tesi già sostenuta da Avvenire ai tempi della legge Cirinnà). Non una vera e propria famiglia ma comunque una cosa buona. È una vera e propria promozione degli atti omosessuali, contraria al Catechismo, alle Scritture e a tutta la Tradizione. Ma buttata lì, dal giornale dei vescovi italiani, con noncuranza, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Così avanza l’agenda Lgbt nella Chiesa: un passo alla volta, dando l’impressione di opporsi alla deriva, ma spingendo il limite sempre un pochino più in là. Fino a quando, senza neanche sapere come e quando è successo, i fedeli si troveranno un matrimonio omosessuale in chiesa.  

(Fonte: Riccardo Cascioli, LNBQ, 13 giugno 2020)
https://lanuovabq.it/it/legge-anti-omofobia-cortocircuito-tra-avvenire-e-cei




venerdì 12 giugno 2020

Bianchi e Bose: il vero scandalo è non averlo fermato prima


Non è ancora chiaro quali siano stati i reali problemi a portare la Santa Sede a disporre l’allontanamento di Enzo Bianchi, insieme a Goffredo Boselli e Antonella Casiraghi, dalla Comunità di Bose.
Ufficialmente si parla di tensioni con l’attuale priore, Luciano Manicardi, e con il resto della comunità, cosa che ben difficilmente giustifica una sanzione tanto pesante.
Ma è curioso che a destare tanta attenzione sia l’intervento attuale della Santa Sede, quando ci si dovrebbe piuttosto interrogare sul perché la Santa Sede non sia intervenuta ben prima riguardo alla “predicazione” di Bianchi, e le sue tesi eterodosse che hanno trovato grande accoglienza tra molti vescovi.

In realtà, qualcuno a Roma si mosse, tanto che esiste un dossier Bianchi presso la Congregazione per la Dottrina della Fede che risale al 2004.
Ma qualche importante prelato, amico del fondatore di Bose, provvide a fermare la pratica e insabbiare tutto.
In ogni caso non ci sono particolari segreti, vista l’ampia produzione letteraria di Enzo Bianchi, più volte oggetto di dura critica anche da parte de la Nuova Bussola Quotidiana. I punti da affrontare sarebbero molti, ne esaminiamo alcuni.
C’è infatti un grave problema di sostanza nelle tesi di Bianchi, soprattutto di natura ecclesiologica. «Fratello, sorella, tu provieni da una chiesa cristiana. […] tu appartieni a Cristo attraverso la chiesa che ti ha generato a lui con il battesimo. Riconoscerai perciò i loro pastori, riconoscerai i loro ministeri nella loro diversità, e cercherai sempre di essere segno di unità».
È questo il tenore della Regola di Bose, scritta appunto dal fondatore Enzo Bianchi, il cui significato, già intuibile, si svela con più chiarezza alla luce dell’affermazione presente nel libro La comunità monastica di Bose: «Solo la chiesa universale nella sua completezza storica può esprimere la totalità degli appelli contenuti in esso [Vangelo, n.d.a.]».

La non meglio specificata “chiesa universale” pare essere l’orizzonte verso cui tendere, e che, in qualche modo, la Comunità di Bose si appresta già a realizzare: una chiesa più ampia di quella cattolica, nella quale ognuno resta “fedele” alla propria chiesa o comunità da cui proviene e della quale riconosce i ministeri e i pastori.
Tant’è vero che, sempre nella regola di Bose, si raccomanda che «all’interno della comunità è bene che ci siano anche fratelli pastori o preti: non solo perché assicurano il ministero sacramentale alla comunità, ma anche perché sono il tramite tra la comunità e le chiese».
Queste indicazioni si pongono in palese contrasto con quanto la fede cattolica insegna, come appare chiaramente nella dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede Mysterium ecclesiae (1973), n. 1, ripresa dalla Dominus Iesus (2000), al n. 16: «Non possono, quindi, i fedeli immaginarsi la Chiesa di Cristo come la somma differenziata ed in qualche modo unitaria insieme – delle Chiese e Comunità ecclesiali; né hanno facoltà di pensare che la Chiesa di Cristo oggi non esista più in alcun luogo e che, perciò, debba esser soltanto oggetto di ricerca da parte di tutte le Chiese e comunità».
Da parte sua invece, nel libro Ricominciare nell’anima, nella chiesa, nel mondo, del 1999, Bianchi sostiene proprio il contrario: «Si ignora che ogni tradizione è limitata e parziale e che solo tutti insieme è possibile giungere alla piena verità».
Ci troviamo di fronte, quindi, ad un problema fondamentale relativo all’unicità e unità della Chiesa di Cristo, elementi che sono strettamente «in connessione con l’unicità e l’universalità della mediazione salvifica di Gesù Cristo» (DI, 16); perciò «deve essere fermamente creduta come verità di fede cattolica l’unicità della Chiesa da lui fondata» e che «questa Chiesa, costituita e organizzata in questo mondo come società, sussiste [subsistit in] nella Chiesa Cattolica, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui» (Ibi).
Gli elementi di verità e santificazione presenti nella chiese e comunità cristiane spingono, per loro natura, verso questa unità: verità, questa, che si può verificare, per esempio, nella storia delle molti conversioni dal protestantesimo e dall’anglicanesimo.
Se questi elementi indirizzano ed attraggono verso l’unica Chiesa di Cristo, che è quella cattolica, Enzo Bianchi frena e vanifica questa spinta, da un lato raccomandando di restare fedeli alla propria chiesa e dall’altro rinviando ad una chiesa universale più ampia della Chiesa cattolica, che nella sua “predicazione” sui giornaloni, l’ex-priore non manca mai di criticare con particolare zelo.

Anzi, secondo lui, l’autentica evangelizzazione «richiede vigilanza contro ogni tentazione di ispessire (per far apparire) la mediazione ecclesiale […] Solo così eviterà di destare sospetti quasi tendesse all’aggregazione ecclesiastica più che all’incontro dell’uomo con Dio nella conversione e nella fede».
Enzo Bianchi parla della Chiesa cattolica come di un’associazione un po’ ingombrante che vuol fare proseliti tutti per sé, dimenticando che la mediazione ecclesiale non solo è voluta esplicitamente dal Signore, ma è l’espressione reale della stessa mediazione di Cristo, il prolungamento della sua Incarnazione, come spiega con estrema chiarezza DI, 16: «Il Signore Gesù, unico Salvatore, non stabilì una semplice comunità di discepoli, ma costituì la Chiesa come mistero salvifico: Egli stesso è nella Chiesa e la Chiesa è in Lui; perciò, la pienezza del mistero salvifico di Cristo appartiene anche alla Chiesa, inseparabilmente unita al suo Signore. Gesù Cristo, infatti, continua la sua presenza e la sua opera di salvezza nella Chiesa ed attraverso la Chiesa, che è suo Corpo. E così come il capo e le membra di un corpo vivo pur non identificandosi sono inseparabili, Cristo e la Chiesa non possono essere confusi ma neanche separati, e costituiscono un unico “Cristo totale”».
Sempre di natura ecclesiologica è anche la divaricazione, che di fatto diviene un dualismo, tra Chiesa cattolica e Regno di Dio.
Nel già citato libro Ricominciare, Bianchi scriveva che «la chiesa non è il Regno» e via tutta una lista di come fratel Enzo vorrebbe la “sua” chiesa.
Invece Lumen gentium, n. 5, insegna che la Chiesa militante costituisce su questa terra il «germe e l’inizio del Regno», che si esprime pienamente nella Chiesa trionfante.
Non sono due chiese, ma la stessa Chiesa che è il Regno di Dio, sebbene solo incipiente su questa terra e compiuto nell’eternità. DI, al n. 18, riprende il Concilio, insegnando che la Chiesa cattolica «è dunque “il regno di Cristo già presente in mistero”, costituendone perciò il germe e l’inizio. Il Regno di Dio ha infatti una dimensione escatologica: è una realtà presente nel tempo, ma la sua piena realizzazione arriverà soltanto col finire o compimento della storia».

Va da sé che con questo impianto ecclesiologico, l’ecumenismo di Enzo Bianchi non può che risultare coerentemente inaccettabile. In Monachesimo ed ecumenismo, egli ritiene che è proprio del monachesimo “alla Bose” affrettare la “vera unità”, ma non attraverso la testimonianza di una tradizione vissuta, pregata, comunicata, bensì mediante il superamento delle specificità confessionali, inclusa ovviamente quella cattolica: «spogliarsi delle ricchezze confessionali non essenziali alla sequela di Cristo» è la via da seguire per tornare ad un Vangelo sine glossa capace di condurre all’auspicata chiesa universale.
E’ questo l’ovvio corollario dell’impossibilità di rintracciare la vera Chiesa di Cristo su questa terra.
Sarebbe dunque auspicabile che l’allontanamento di Bianchi dalla Comunità di Bose sia solo il primo passo verso un’opera di bonifica dalle paludi insalubri che egli ha contribuito a creare nel mondo cristiano.
Che si possa andare a Cristo a prescindere dalla Chiesa cattolica; che quest’ultima sia un’espressione parziale e da superare della Chiesa voluta da Cristo; che il Regno di Dio sia qualcosa semplicemente da attendere o da costruire con i nostri sforzi; tutte queste idee sono ormai “patrimonio” del sentire comune all’interno delle nostre parrocchie ed associazioni.
Che anche queste idee vengano allontanate al più presto dalla comunità ecclesiale, come l’ex-priore dalla comunità di Bose.


(Fonte: Luisella Scrosati, LNBQ, 3 giugno 2020)
https://lanuovabq.it/it/bianchi-e-bose-il-vero-scandalo-e-non-averlo-fermato-prima