giovedì 29 novembre 2012

Riconosciuto ai genitori incestuosi un diritto ignobile

«Signor Presidente, onorevoli colleghi, un vecchio adagio popolare dice che la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni e io non nego la buona intenzione. Anzi la lodevole intenzione di eliminare una serie di presunte – spiegherò perché presunte – discriminazioni a carico dei figli di una unione incestuosa». Sono le parole di Alfredo Mantovano, deputato pidiellino, ex sottosegretario all’Interno, firmatario degli emendamenti bocciati e contrari al riconoscimento dei figli dell’incesto previsto dalla norma varata ieri dal Parlamento con 366 favorevoli, 31 contrari e 58 astenuti.
Lo scopo della legge era quello di riconoscere i diritti di tutti i figli naturali, nati anche al di fuori del matrimonio, ma il sapore della norma è più di una legittimazione dei diritti degli adulti, al di là di ogni responsabilità civile contratta attraverso il matrimonio. «Se davvero si volevano tutelare i figli, perché si è votato per dare ai responsabili di un incesto il diritto di riconoscere quel figlio, contro il suo vero interesse e contrastando con l’articolo 564 del Codice penale che prevede il carcere per chi pratica l’incesto? Il contrasto tra la nuova legislazione civile e il Codice penale porterà a una sua depenalizzazione. Vedere la gente esultare in aula per l’approvazione di questa legge è stato uno spettacolo grottesco».
D. Chi ha voluto questa norma ha parlato, come Rosy Bindi, di una civiltà liberata dal fardello del bigottismo che non tutela i figli nati fuori dal matrimonio, anche quelli dell’incesto che si dice non avessero diritti. È così?
R. In aula c’era chi citava santi e sacre scritture a favore di questa norma; io mi sono limitato laicamente a citare il diritto positivo e a svolgere considerazioni esclusivamente laiche. In primo luogo, oggi il divieto di riconoscimento – come tutti sanno, ma è il caso di ricordarlo – non è assoluto. Il riconoscimento è possibile in una serie di ipotesi: quando si ignorava al momento del concepimento l’esistenza di un vincolo parentale; quando, in epoca successiva al concepimento, è venuto meno per l’annullamento di un matrimonio il vincolo di affinità. Non solo, la giurisprudenza ha applicato la categoria della buona fede anche alla vittima di violenza, quindi la donna che subiva la violenza dell’incesto poteva già operare il riconoscimento. Il figlio, poi, come recita l’articolo 580 del Codice civile, non otteneva l’eredità ma solo da un punto di vista formale, perché – di fatto – aveva diritto ad un assegno vitalizio che corrispondeva all’eredità che gli sarebbe spettata. Il figlio naturale, senza essere costretto ad apparire figlio di un rapporto incestuoso, poteva quindi ottenere il mantenimento, l’istruzione e l’educazione e, se maggiorenne ed in stato di bisogno, ottenere anche gli alimenti, come prevede l’articolo 279 del Codice civile. È nell’interesse di un figlio, che si trovi in tale drammatica situazione, avere questo marchio, che non dipende dalla sua volontà, ma può dipendere anche dalla volontà di chi è stato autore di una violenza? Perché qui non è più il figlio che, maggiorenne – come dice l’attuale normativa -, decide sul riconoscimento o meno, ma è l’esatto contrario, è il padre o la madre, comunque chi ha commesso una violenza, che d’ora in poi potrà decidere autonomamente se riconoscerlo o meno. Si può arrivare a delle vere e propria assurdità: L’articolo 564 del Codice penale, che nessuno ancora ha abolito, punisce come un delitto con pena severa l’atto di incesto, che accadrà ora?
D. Perché sono stati respinti gli emendamenti alla legge, anche se contrari solo a questo passaggio?
R. Per un insieme di ragioni gravi. Da una parte la sinistra ormai non si presenta più come un alternativa sul piano economico e politico, ma ha spostato la sua attenzione, come tutti i partiti europei, verso temi antropologici di matrice libertaria e radicale. Questo purtroppo accade perché ormai le politiche economiche, strutturali e di sviluppo sono stabilite dall’Europa. C’è poi una ragione politica: si sta rinforzando il patto con Sel a cui si dà carta bianca su tutte le proposte più ideologiche. Non meno grave il fatto che, dall’altra parte, il Pdl sia assente. Siamo pochi ad avere le idee chiare sull’importanza di queste tematiche per la società futura. Perciò è mancata, anche in questo caso, la volontà di agire con decisione. Peggio: il partito non è stato capace di fare una battaglia e un terzo di noi ha votato a favore della norma. e così hanno agito anche ad alcuni parlamentari della Lega, ma anche dell’Udc. Vedremo se questi stessi saranno quelli che sentiremo riempirsi la bocca di slogan sulla famiglia durante la prossima campagna elettorale. Perciò dico che bisogna leggere bene le analisi del sangue di chi parlerà: si può già fare guardando chi ha votato la norma sull’incesto. Perché, come diceva Jean-Paul Sartre, «quanto alla famiglia, scomparirà soltanto quando avremo cominciato a sbarazzarci del tabù dell’incesto; la libertà deve essere pagata a questo prezzo».
D. Hanno votato la legge sull’incesto. Qualcuno si è spinto fino a teorizzare che sia lecito?
R. Chi teorizza che i figli si possono fare in qualsiasi caso e che i genitori non devono essere discriminati rispetto a quelli sposati sono molti, con Paola Concia in testa. Solo che la cosa è subdola perché la lesione dei diritti dei bambini non è esplicita, ma passa con il vessillo della difesa dei diritti degli adulti: bisogna avere diritti senza responsabilità delle proprie azioni. Questa è l’idea di libertà teorizzata dai più radicali. Poi, di fatto, pagano i bambini, ma intanto le norme passano anche con lo sponsor di certi cattolici che sempre più ingrossano le cifre dei voti radicali.
D. Sui temi antropologici le differenze fra i partiti vanno sempre più assottigliandosi. Cosa accadrà alle prossime elezioni?
R. Nella prossima legislazione la maggioranza sarà ancora più libertaria. Date le forze in campo, mi pare evidente che stiamo andando verso un’estremizzazione dei temi etici. Si proporrà il riconoscimento della famiglia omosessuale, la legalizzazione dell’eutanasia, la legge sull’omofobia. E tutto avverrà anche grazie al silenzio imbarazzato di molti, come ormai accade da tempo. Forse ci si accorgerà di quello che sta accadendo quando dovranno chiudere i seminari o le scuole paritarie, come sta succedendo Oltreoceano, ma sarà tardi.
D. Le spinte libertarie e l’assenza di un’alternativa e un’azione forte ci stanno portando a quello che Pier Paolo Pasolini dichiarò negli anni Settanta, quando profetizzo la svolta del Pci, favorevole ad aborto e divorzio, verso un grande partito radicale di massa?
R. Ci stiamo tutti omologando. Ma a quanti hanno citato il Vangelo e i santi a sproposito per giustificare la norma a favore dell’incesto vorrei ricordare le cronache di Sodoma e Gomorra e la fine dell’impero romano imploso nella sua immoralità. Mentre a chi tace dico che, come Sodoma e Gomorra, forse meritiamo la distruzione dei partiti e della politica già in atto.

(Fonte: Benedetta Frigerio, Tempi, 28 novembre 2012)


Rosy Bindi e la parolaccia in diretta al TG3

Si sono tenute le primarie del PD, il primo turno per la precisione, e come è ovvio il TG3 ha dato molto spazio all’avvenimento. La zarina rossa, alias Bianca Berlinguer, direttrice e conduttrice, si è scatenata sull’onda dell’emozione combinandone di tutti i colori. Soprattutto ha tolto la parola ad una lanciatissima Rosy Bindi in diretta perché il buon Vendola era alle porte. La Bindi, che stava esprimendo un suo pensiero, si è vista togliere la parola in un batter di ciglia, così come usa fare la zarina quando, presa dalla frenesia della trasmissione, tronca il malcapitato ospite sul più bello. Esasperata, la “tanto gentile” parlamentare è esplosa in un plateale e ben udibile “vaffan...” nei confronti della Bianca (rossa) Berlinguer. Alla faccia della gentilezza e del bon ton!
Comprensibile lo scatto d’ira, un po’ meno la poca educazione ed il reciproco rispetto di entrambe le due donne, poco consapevoli di essere davanti ad un pubblico che in questi frangenti vede come ha speso malamente i soldi del canone tv.
Ma ormai si sa: l’educazione in tv è un optional. Se ne sentono di tutti i colori (vedi lo scontro verbale fra Busi e la Parietti) anche da parte di chi dovrebbe dare di sé una fotografia adeguata candidandosi alla guida di un paese allo sbando. Come meravigliarsi poi se nasce in Italia un nuovo partito, “Alba Dorata”, che fa il verso a quello di estrema sinistra greco?
Cari politici, di destra e di sinistra non vedete che state perdendo credibilità agli occhi degli elettori? Attenti che le elezioni sono alle porte! Non lamentatevi se poi in molti volteranno lo sguardo verso altri lidi, verso coloro che vi additano come nullafacenti attaccati solo alle vostre belle poltroncine. Accomodatevi e continuate così: presto potreste essere (finalmente) scalzati.

(Fonte: Silvio Foini, La Perfetta Letizia, 29 novembre 2012)

mercoledì 21 novembre 2012

La denigrazione del cattolicesimo

All’interno della Chiesa cattolica sta avanzando un fenomeno sconcertante dalle dimensioni mai finora esistite in tutta la storia della Chiesa, in quanto utilizza forze ufficiali della Chiesa stessa: la denigrazione dello stesso cattolicesimo fatta con vari metodi e modalità che adesso cercherò di descrivere, accennando poi brevemente a come ci si potrà liberare da questa “sporcizia” che sta sfigurando orribilmente il volto della Sposa di Cristo.
Tutto è partito, come ormai si sa, dal gravissimo fraintendimento degli insegnamenti conciliari ad opera di un rinato modernismo mascherato da “progressismo” e non sufficientemente represso sin dagli inizi, anzi a volte elogiato, dallo stesso episcopato, esclusa comprensibilmente Roma, la quale però si è trovata isolata ed inefficace nei suoi numerosissimi interventi magisteriali per la mancanza dell’appoggio dello stesso episcopato.
Un generale senza l’esercito può combinare ben poco. Questa è la tragedia della Chiesa di oggi. Finché i vescovi non si decidono a fare il loro dovere obbedendo al Papa e al Magistero con coraggio e sapienza, la situazione peggiorerà sempre di più e i modernisti aumenteranno la loro arroganza e la loro prepotenza, nonché il loro prestigio presso una massa enorme di cattolici ormai completamente frastornati ed ingannati dalle loro imposture.
I modernisti fanno di tutto per presentare i veri cattolici sotto un aspetto odioso, isolandoli, diffamandoli e screditandoli, anche se si tratta del Papa, di cardinali o di vescovi o di sacerdoti o di religiosi o di teologi o di fedeli degnissimi. Finora i modernisti hanno usato soprattutto una intimidazione meramente psicologica. Ma, dato che essi hanno aumentato il potere in molti posti, intervengono apertamente con veri e propri mezzi coercitivi e vessatori, per impedire ai cattolici di farsi sentire e di denunciare le eresie del modernismo, proprio quei cattolici che illuminano e confortano i fedeli e avvertono e correggono quelli che si sono lasciati irretire dall’errore.
Presento in pochi punti la via seguita dai modernisti.
Innanzitutto - e questo è un argomento che ho già avuto modo di trattare su questo sito - guastando la retta definizione di “cattolicesimo” data dall’unico organo deputato a ciò, ossia dal Magistero della Chiesa Cattolica. Tale definizione si ricava soprattutto da quell’autorevolissimo documento ufficiale che è il Catechismo della Chiesa Cattolica, il quale continua e nello stesso tempo sviluppa altri importantissimi documenti del genere dei secoli passati, come il famoso Catechismo del Concilio di Trento o il Catechismo di S. Pio X o, per citare un documento più recente, il “Credo di Paolo VI” pubblicato nel 1968.
I modernisti si sforzano in tutti i modi di rendere il termine “cattolico” quanto più sincretistico, confuso e contradditorio possibile, inserendo in esso gli attributi più arbitrari e contrari al vero cattolicesimo, così da togliere ai fedeli un criterio chiaro, oggettivo e sicuro di valutazione e discernimento che consenta di distinguere ciò che è cattolico da ciò che non lo è.
Certi modernisti, cioè i più spinti, non hanno la sfacciataggine di dirsi “cattolici”, ma si presentano come semplicemente “cristiani”, considerando peraltro il cattolicesimo come denominazione settaria o “confessionale”, mentre per loro esser “cristiani” è segno di una maggiore apertura mentale e disponibilità al dialogo. Altri invece, come Vito Mancuso, affermano di “restare per sempre nella Chiesa cattolica”, nonostante abbia scritto un libro di enorme successo nel quale dice di rifiutare almeno quattro dogmi della Chiesa cattolica. Così pure è da molti considerato “cattolico”, Karl Rahner nel cui pensiero sono state individuate molte eresie.
In secondo luogo, i modernisti hanno creato due figure di “cattolico” in opposizione tra di loro non secondo il criterio più ovvio del cattolico buono e di quello cattivo, criterio che loro irridono come infantile, “manicheo” ed astratto, ma secondo due categorie artificiose - queste sì astratte e manichee - da loro inventate o desunte dalla politica, come: “cattolico di sinistra” (corrispondente a quello buono) e “cattolico di destra” (cioè quello cattivo), oppure desunte dall’ideologia illuminista-massonica sette-ottocentesca: “progressista”, “avanzato” o “maturo” o “adulto” (il buono) e conservatore, superato, reazionario o tradizionalista (il cattivo), senza contare tutta un’ulteriore variopinta serie di altri aggettivi, ben noti e che non sto qui ad elencare. Si tratta di attributi senza alcun fondamento morale, evangelico ed ecclesiale, ma raccattati qua e là da altre correnti o ideologie, come il marxismo, il liberalismo, l’islamismo, il protestantesimo, la politica da strapazzo e via discorrendo.
Naturalmente i modernisti, mancando, per la natura stessa della loro ideologia, di autentici riferimenti fondamenti teoretici seri ed oggettivi, dato che loro stessi predicano il relativismo e l’evoluzionismo concettuale, e fondano la loro “teologia” su di un modo di pensare che non è vero pensiero ma emotività irrazionale fatta di slogan, frasi fatte e luoghi comuni, non hanno alcun serio argomento per squalificare i veri cattolici e per sostenere la loro posizione.
Non osano quindi far ricorso alle categorie normali del vero e del falso, dell’ortodosso e dell’eretico, semmai all’opposizione tra “ciò che va oggi” (“vero”) e “ciò che andava ieri” (“falso”), oppure: “preconcilio” (“falso”) e “postconcilio” (“vero”) e sciocchezze del genere, cercando piuttosto di suscitare con quegli slogan rozze emozioni che siano tali da provocare simpatia e ammirazione per il modernista, nonché antipatia, ripugnanza e disprezzo per il retrogrado “tradizionalista lefevriano”.
Per i modernisti quei cattolici che denunciano la drammaticità della situazione attuale della Chiesa, sono quegli uggiosi e brontoloni “profeti di sventura”, dai quali prese le distanze Papa Giovanni, e la Madonna, che a Medjugorje ci avverte del rischio del castigo divino, è semplicemente una seccatrice, che farebbe bene a stare in cielo senza venire sulla terra a rompere le uova nel paniere.
Al contrario, secondo il card. Martini, “mai la Chiesa è andata bene come oggi”, salvo poi a dichiarare pochi mesi dopo, prima di presentarsi al giudizio divino, che “la Chiesa è rimasta indietro di 200 anni”. Allora quale Chiesa? Quella di Benedetto XVI, naturalmente, mentre la sua è perfettamente all’altezza dei tempi e guida dell’umanità verso le “magnifiche sorti e progressive”, per dirla con le famose parole della Ginestra di Giacomo Leopardi.
Per i modernisti i veri cattolici “non sono evolutivi”, sono delle persone rigide, chiuse in aride formule, ferme alle idee del pre-concilio, non capiscono cosa sia il progresso. E certo i veri cattolici non accettano il falso progresso di marca illuministica ed hegeliana dai modernisti sbandierata contro il vero progresso, che è quello dello Spirito di Cristo che conduce la sua Chiesa alla pienezza della verità.
Per i modernisti i veri cattolici sono “troppo polemici”, semplicemente perchè denunciano le loro eresie. I modernisti, sì, invece sono persone miti, aperte, comprensive, dialoganti, flessibili e duttili, senza spirito inquisitoriale, senza esclusivismi e presunzione di “possedere la verità”. Se però qualche buon cattolico osa contestare questa loro ipocrisia, viene trattato, come si dice a Bologna, “a pesce in faccia”.
Col recente aumento del loro potere, per il quale hanno raggiunto molte cariche nella Chiesa, i modernisti non si limitano più a lasciare fare ai loro “compagni di partito”, permettendo le critiche da parte dei veri cattolici. Cominciano invece a perseguitare quei pochi cattolici, che sono fedeli a Roma, con vari pretesti, accompagnati da una campagna denigratoria. Un pretesto che attualmente si sta affermando, tale da rendere il malcapitato oggetto del pubblico disprezzo, è quello della “disobbedienza”.
Infatti, costui viene punito solo perché egli preferisce obbedire a Dio o alla Chiesa piuttosto che al “legittimo superiore”, proprio questo superiore sessantottino, che fin dagli anni del seminario si è vantato di appartenere ai “cattolici del dissenso”, ribelli al Magistero della Chiesa e al Papa, e adesso da superiore, credendosi dio in terra, continua il “suo dissenso”, con questa differenza: che chi osa disobbedire a lui, mal glie ne incoglie. Al Papa si può disobbedire come si vuole, senza che succeda nulla, anzi si ricevono applausi dal mondo. Ma chi disobbedisce al superiore modernista, sono affari suoi. E’ nata, come dicevo in un recente articolo, una nuova inquisizione: mentre quella di prima puniva l’eresia, quella di oggi punisce l’ortodossia.
Che fare? Bisogna che i vescovi si sveglino. Occorre che Roma li esorti all’obbedienza, alla collaborazione e al coraggioso e tempestivo compimento del loro dovere. Occorre liberare i seminari e gli studentati religiosi dai maestri e dai diffusori di eresie. Capita spesso che vi siano giovani di buona volontà con una buona base cattolica, che vogliono farsi preti o religiosi, ma che una volta entrati in seminario o nello studentato sono costretti con sottili minacce psicologiche, e magari con grave crisi di coscienza, ad adeguarsi all’andazzo modernista, se vogliono avanzare negli studi ed esser graditi ai superiori, a volte allo stesso vescovo. Questo scandalo gravissimo dura ormai da decenni, sicché adesso abbiamo un’intera generazione di vescovi modernisti formati alla scuola di Rahner, Schillebeeckx e compagnia bella.
Tutti i vescovi però sono sempre i vescovi, tu es sacerdos in aeternum secundum ordinem Melchisedek. Per questo, nonostante tutto, se vogliamo essere cattolici, dobbiamo continuare ad avere una fiducia assoluta nei nostri vescovi, certo non tanto nel singolo vescovo o nel gruppo di vescovi, ma in quanto in unione col Papa, fosse anche un singolo vescovo isolato tra gli altri.
Inoltre bisogna che i vescovi vigilino di più sulla formazione dei loro seminaristi e intervengano per tempo, perché è notorio che se questi soggetti diventano preti o addirittura teologi famosi con delle idee storte, dopo non c’è niente da fare. Se poi questi qui diventano dei vescovi o superiori, la disgrazia è ancora peggiore. Più salgono nella gerarchia più la sciagura aumenta per tutto il popolo di Dio.
Nostro Signore Gesù Cristo certamente porta pazienza; tuttavia, in quanto Fondatore e custode della Chiesa Cattolica, alla quale ha garantito fino alla fine del mondo l’assistenza infallibile dello Spirito Santo che guida il Successore di Pietro insieme con l’Episcopato unito a lui, non potrà tollerare il tentativo dei modernisti di falsificare e deformare la struttura essenziale della Chiesa, la quale, come vivo organismo, certamente progredisce nella storia, ma conservando inalterata la propria identità.
 

(Fonte: P. Giovanni Cavalcoli, Riscossa cristiana, 20 novembre 2012)

sabato 17 novembre 2012

Medjugorje: sacro e profano, verità e menzogna

Nel mio girovagare per l’Italia, mi capita spesso che le persone che incontro, amici e anche perfetti sconosciuti, una volta saputo che vivo a Roma, mi facciano delle domande, in genere quasi sempre le stesse: perché ci stanno tanti scandali in Vaticano, chi è il cardinale più papabile dopo Benedetto XVI, che ne penso dei lefebvriani, ma soprattutto che opinione ho di Medjugorje.
Forse mi vedono dotato, stante la vicinanza col Papa, di facoltà medianiche e profetiche. Ovviamente cerco di esimermi da tale compito, ma sul fenomeno Medjugorje mi hanno tirato proprio per i capelli. Ho amiche carissime, tornate anche di recente dal luogo “mariano”, che giustamente, conoscendo la mia poca propensione all'entusiasmo contagioso, mi hanno consigliato di soprassedere da qualunque analisi, quantomeno prima di aver vissuto in loco un’esperienza diretta. Saggio suggerimento, per cui mi riprometto di tornare su queste note, allorquando ciò si sarà potuto realizzare. In ogni caso, dopo essermi ampiamente documentato, nella solitudine del mio “pensatoio”, ho deciso comunque di dire umilmente la mia.
Non intendo ovviamente scrivere un trattato, e non mi ritengo dispensatore di verità assolute: le mie sono delle semplici, brevi osservazioni, senza pretese letterarie.
Debbo dirvi, e chiedo venia di ciò, che in genere sono abbastanza scettico sugli innumerevoli casi di visioni, apparizioni, lacrimazioni ecc. sparsi per il mondo; in particolare sui personaggi coinvolti in questi fatti “straordinari”, che aprioristicamente e quasi a furor di popolo, vengono ipso facto decretati santi e ispirati da Dio. Sono convinto che non sempre la vox populi sia vox Dei. Non lo faccio per una forma di snobismo, sia chiaro: non sono uno snob, soprattutto non in questi casi. So anzi che queste esperienze per tanti sono importantissime, ne hanno bisogno: è l’unico ponte per ritornare alla fede, magari alla vita. Ma tant’è, non tutti siamo uguali. Io sono più per una fede convintamente vissuta e seriamente coltivata nella propria intimità, per un rapporto col divino più intimo e riservato; non sono molto tagliato per le estasi mediatiche, per i bagni di folla vociante. La mia è una visione del colloquio con Dio decisamente monastica.

Prima di sbilanciarmi, comunque, sarei stato più tranquillo se il magistero della Chiesa avesse già espresso il suo parere su tutta la faccenda; ora, la notizia che circola è che entro il corrente anno la commissione che si occupa di Medjugorje, incaricata dal Papa, darà il suo parere conclusivo su questi avvenimenti“mariani”, i più famosi degli ultimi anni. Credo in ogni caso che l’esito del verdetto di Roma non potrà che essere uno solo, un “sì”. “Andateci -dirà - ma con discernimento”. Che altro potrebbe dire? Giunti a questo punto, penso che sarebbe controproducente se la Santa Sede si esprimesse in maniera contraria: non potrebbe fermare nulla e nessuno; sarebbe semmai un disastro pastorale di proporzioni immani, come non se ne vedono da secoli.
Al più Roma, in caso contrario, potrebbe non rilasciare alcun riconoscimento ufficiale, e lasciare le cose così come stanno; in poche parole assecondare il fenomeno, rivelatosi così fertile di grazia. Penso che non potrebbe fare altro. Del resto quel luogo è sotto osservazione ormai già da lungo tempo, e il Vaticano ha mantenuto sempre un riserbo totale in proposito. I Papi stessi, hanno evitato accuratamente di andarci, pur passando ripetutamente dalla ex Jugoslavia. Un comportamento prudente e condivisibile.

Ma, per quanto mi riguarda, veniamo al dunque: cosa penso di questa Medjugorje, a cui la gente dà più retta che non ai propri pastori?
Anzitutto una premessa. Dubito che tutti i fedeli abbiano conoscenza diretta del profluvio di messaggi “presunti” della Madonna: troppi perché chiunque possa seguirli. Troppi e, permettetemi, spesso fumosi, verbosi, ripetitivi; in ogni caso di scarsa utilità, visto che non dicono nulla di nuovo rispetto a ciò che ogni buon cristiano già conosce attraverso le catechesi del Papa e il magistero della Chiesa. La gente, infatti, anche i medjugoriani più convinti, su loro stessa ammissione, vanno a Medjugorje perché è un luogo potente, particolare, suggestivo, unico, non per approfondire i “messaggi” presunti della presunta Madonna. Un po’come facevano le folle oceaniche che seguivano Giovanni Paolo II quando era in vita: non andavano per sentirlo, ma per vederlo, per vedere i suoi famosi“gesti” che esprimevano e dicevano esattamente ciò che ciascuno voleva sentirsi dire, anche cose che Wojtyla mai si sarebbe sognato di dire. Nessuno poi ricordava cosa avesse detto realmente.
Del resto molte cose lì sono strane, altre ammirevoli: calate un po’ in una schizofrenia che a volte destabilizza, confonde le idee. Molte cose, evidentemente, non tornano neppure al Papa.
Anche perché in quella zona povera della ex Jugoslavia, Medjugorje è l’unica (immensa) ricchezza economica: e si sa che i soldi, pur benedetti,sono sempre sterco del diavolo e richiamo di interessi locali, di speculazione nel migliore dei casi, di criminalità vera nel peggiore, a prescindere dalla volontà e dalla correttezza dei “presunti” veggenti.
Medjugorje infatti è anche questo: interessi sospetti. Inevitabili. Come sono stati inevitabili anche a San Giovanni Rotondo, uno dei luoghi più “profani” della terra, gestito anch’esso da frati: lì peraltro i frati si son messi a maneggiare direttamente i miliardi, a spingersi in speculazioni disastrose, in conflitto permanente con i vescovi del luogo. I preti, purtroppo si sa, quando mettono le mani sui soldi sono un disastro: vedi la disavventura della donazione miliardaria a favore dei salesiani, con a capo il card. Segretario di Stato, sfociata in una contesa giudiziaria, giunta all’ultimo grado di sentenza; vedi lo IOR a cosa era diventato quando era gestito completamente dal clero, e così via.
Dunque penso che le preoccupazioni peggiori per Roma, come al solito, vengano dai religiosi del luogo, che pare siano molto creativi economicamente, moralmente e dottrinalmente disinvolti, e, mi dicono, anche liturgicamente intraprendenti. Col pericolo spesso generalizzato, come è successo a Loreto, Assisi, San Giovanni Rotondo, di trasformarsi in mercanti nel tempio.

Per quel che possa valere il mio pensiero, di una cosa sono convinto: Dio scrive dritto entro righe storte, e si serve di lampadine fulminate. La mia visione delle cose, soprattutto di quelle ecclesiali, è basata radicalmente sulla Provvidenza divina: per questo, simili fenomeni di autodistruzione, pur addolorandomi, non mi danno eccessive preoccupazioni: lo permette la Provvidenza, secondo un suo disegno oscuro, che Lei sola conosce.
Sono però convinto che i veggenti sono buone persone e ottimi cattolici. Li ho visti parlare in televisione: hanno faccia pulita, occhi sinceri, eloquio saldamente cattolico-romano: persone normali, magari con qualche lieve caduta di stile, più per esigenze loro imposte dai media e dal loro ruolo, che per una colpa personale.
Una cosa comunque è certa e chiara a Medjugorje: la Vergine c’è veramente: che appaia davvero o no, Ella in ogni caso c’è; o almeno, lì, spira certamente lo Spirito di Dio.
E questo è dimostrato dal comportamento dei fedeli: dovendo fare una valutazione pratica per stabilire la sacralità di quel luogo, le apparizioni in sé sono ormai un fatto irrilevante. La prospettiva va spostata. Quel che succede a Medjugorje va giudicato con realismo cattolico, ossia a partire dai fatti. Dai “frutti” dell’albero, avrebbe detto Gesù. E san Paolo avrebbe aggiunto “senza disprezzare la profezia, discernere, tenere ciò che è buono, abbandonare il resto”. Ora questi fatti, questo albero, questo discernimento, ci dicono tutti la stessa cosa: Medjugorje è un luogo di conversione. E lo è per una categoria particolare di persone: quelli che prima facevano vita tutt’altro che cristiana, che erano del tutto indifferenti al fatto religioso, analfabeti dal punto di vista cattolico e morale; i lontani, gli atei, i corrotti, i secolarizzati totali. E ci dicono anche un’altra cosa. Questi“analfabeti” religiosi, tutta questa gente è andata a Medjugorje e da lì è tornata completamente cambiata: non sapevano neppure il Pater Noster, e all’improvviso si sono ritrovati quotidianamente con un rosario in mano; sono diventati degli appassionati della liturgia e dell’eucarestia; dei maratoneti della vita sacramentale del cristiano. E la loro condotta di vita si è adeguata a tutto questo, senza schizofrenie e scissioni: come diceva il primo grande convertito, il Saulo dalla lingua come spada di fuoco, “non sono più io che vivo, sei tu, Signore, che vivi in me”.
Inoltre, altra costatazione, è che si tratta di un luogo potente di conversione soprattutto per gente semplice, minuta: popolo. Questo porta con sé anche dei pericoli, come sempre l’eccesso di zelo: da una parte, gli equivoci e le superficialità inevitabili di chi, dall’estremo opposto, è piombato d’improvviso nel mondo complesso della fede cattolica; dall’altra, che si scada, come spesso i neoconvertiti, nel fanatismo, nel bigottismo, nell’esaltazione; che si ceda alle ossessioni monomaniache, all’alienazione o all’autocompiacimento; a quegli eccessi spiritualistici che enfatizzando la fuga mundi totale e radicale, approdano in una religione, la cattolica, che invece è incarnata tenacemente nel mondo, nell’uomo, nella storia; insomma che ci si nevrotizzi in quegli eccessi pseudo ascetici che la Chiesa ha sempre guardato con scetticismo, sospetto e severità.
Sembra comunque che la Provvidenza abbia deciso di iniziare da lì la sua partita finale e terribile di riconquista dell’Occidente secolarizzato, di un cristianesimo europeo in stato agonico, quando addirittura non già decomposto e dissolto in una situazione clericale ed ecclesiale di grave sbandamento e di crisi terribile d’identità.
In questa situazione di progressivo dissolvimento del cristianesimo europeo, Medjugorje sembra dunque il luogo dell’irruzione del divino sulla terra: se non dell’apparizione di Maria, certamente del soffio dello Spirito. A Medjugorie il vertice celeste, con o senza apparizioni, ha deciso la nuova evangelizzazione di tanti uomini di buona volontà: scelti fra i lontani, i grandi peccatori, i semplici, gli ignoranti, i sofferenti. Sono essi i nuovi santi.
Ma attenzione: dove abbonda la Grazia sovrabbondano anche gli attacchi più sanguinosi e furibondi del maligno. Che andranno a insidiare proprio coloro che nel nome di Medjugorie conducono guerre “sante”, cercano di distinguersi e di emergere ad ogni costo, ne diventano i portavoce mediatici universali, più attenti a gloriarsi dei propri cambiamenti che di dare umile e convinta testimonianza della propria conversione. Le armi terribili e irresistibili che il maligno utilizza nei loro confronti sono due: la vanità (che porta con sé tutti gli altri vizi capitali, e la ribellione finale a Dio) e il denaro (per corrompere e fuorviare, per vendere ancora una volta Cristo per 30 denari). Il demonio a Medjugorie è stato schiacciato da Maria, ma non è stato completamente e definitivamente ucciso. Ancora una volta. E contro di lui, a Medjugorje, non servono esorcismi spettacolari, pubblicazione di libri e manuali sulla demonologia e sull’arte dello scacciare i demoni, ma discernimento, umiltà, distacco dalle cose del mondo, penitenza e preghiera, tanta preghiera; queste sono le uniche medicine per difendersi. E sempre obbedienza al Papa. Specie quando non si è del tutto d’accordo con lui: è così che si esercitano tutte le migliori virtù cristiane, obbedendo pur non condividendo; è così che il demone viene ucciso; è questa la prova maggiore che Medjugorje non è opera dell’uomo ma opera di Dio.
E concludo: fatti bene i conti, bisogna convenire che i frutti buoni maturati a Medjugorje ed esportati in tutto il mondo, superano di gran lunga i frutti bacati. Il bilancio non è quindi né in passivo né in pareggio: è senz’altro in attivo. In tutto questo c’è sicuramente l’ombra del Manto Celeste di Maria. Che fa impallidire le inevitabili macchie luciferine, inevitabilmente sempre presenti in fenomeni di questo genere. Se a Medjugorje trama in qualche modo Lucifero, a Medjugorje soffia sicuramente lo Spirito. E a Medjugorje è presente (non importa la forma) Maria. Da lì parte la nuova evangelizzazione. Che prima di tutto è conversione del cuore.

Se poi è apparsa la Madonna, o se non è mai apparsa, o se è apparsa solo dopo, o se mai apparirà, il risultato non cambia: Medjugorje sembra effettivamente cosa buona e giusta.
 
(Ma.La. tratto da: Antonio Margheriti, Papalepapale, 23 marzo 2012)
 

lunedì 12 novembre 2012

Le dieci incongruenze del processo Vatileaks

Lo dico subito: non penso che quello sulla fuga di documenti riservati della Santa Sede sia stato un “processo farsa”. Un dibattimento è stato celebrato, la stampa ha potuto assistere e raccontare liberamente la vicenda giudiziaria, l’opinione pubblica è stata informata. Cose impensabili per il Vaticano solo pochi anni fa. Il caso Estermann – l’omicidio-suicidio avvenuto nel 1998 in cui persero la vita il comandante della Guardia svizzera Alois Estermann, sua moglie Gladys Meza Romero e la giovane guardia Cedric Tornay – si concluse con una corposa quanto fumosa perizia che spiegava poco o nulla. Sulla scomparsa di Emanuela Orlandi non si sa praticamente niente a distanza di quasi un trentennio. Tradimenti e vicende di spionaggio hanno attraversato da sempre lo Stato pontificio – il Vaticano di Wojtyla pullulava notoriamente di agenti dei due blocchi contrapposti nella Guerra fredda – ma sono state raccontate solo decenni dopo da cronisti arguti e ricostruzioni giornalistiche ex post. Questa volta qualcosa è cambiato. Lo squarcio aperto dal bestseller di Gianluigi Nuzzi Sua Santità non si è richiuso. Per una super-potenza che propaga urbi et orbi il proprio messaggio, è già un passo avanti sulla strada di quella che gli anglosassoni chiamano accountability. Un passo impresso da un Pontefice, Benedetto XVI, che anche su altre vicende – la pedofilia dei preti, le finanze vaticane, le indagini sugli immobili di Propaganda fide – ha voluto introdurre in Vaticano una cultura di maggiore trasparenza.
Ciò premesso, il processo Vatileaks si è concluso – con l’incarcerazione del maggiordomo del Papa Paolo Gabriele, condannato a 18 anni per furto delle carte riservate, e la condanna a quattro mesi, scontata a due e sospesa per le attenuanti generiche, di Claudio Sciarpelletti, tecnico informatico della segreteria di Stato reo di favoreggiamento, ossia di avere intralciato le indagini degli inquirenti vaticani – tra molte incongruenze, questioni aperte, zone opache. Che ora, a bocce ferme e proprio in nome della trasparenza, è il momento di provare ad elencare.
Primo. Paolo Gabriele e, secondariamente, Claudio Sciarpelletti sarebbero gli unici colpevoli. “Le varie congetture circa l'esistenza di complotti o il coinvolgimento di più persone si sono rivelate, alla luce della sentenza, infondate”, sostiene la segreteria di Stato. Perché, allora, lo stesso Gabriele aveva parlato, in un’intervista a volto coperto concessa a Nuzzi per la trasmissione Gli intoccabili di “una ventina” di persone impegnate a fare uscire i documenti? Come faceva, ad esempio, il maggiordomo del Papa, da solo e senza parlare le lingue straniere, a capire l’importanza di un appunto in tedesco del segretario personale di Benedetto XVI, mons. Georg Gaenswein – uno dei documenti più rilevanti contenuti nel libro di Nuzzi – su un colloquio top secret avuto con Rafaele Moreno, assistente personale del fondatore dei Legionari di Cristo, quel Marcial Maciel pedofilo e tossicomane su cui Ratzinger ha deciso di indagare nonostante le resistenze di Curia? Ancora: il dispositivo della sentenza spiega che Paolo Gabriele è stato condannato “per aver egli operato, con abuso della fiducia derivante dalle relazioni di ufficio connesse alla sua prestazione d’opera, la sottrazione di cose che in ragione di tali relazioni erano lasciate od esposte alla fede dello stesso”. Furto, insomma. Eppure a fine maggio la stessa Santa Sede annunciava l’intenzione di perseguire “gli attori (al plurale, ndr.) del furto, della ricettazione e della divulgazione di notizie segrete, nonché dell’uso anche commerciale di documenti privati, illegittimamente appresi e detenuti, rispondano dei loro atti davanti alla giustizia”. Chi è il responsabile della “ricettazione”, della “divulgazione” e “dell’uso commerciale” delle notizie segrete?
Secondo. Nel corso del processo sono stati fatti altri nomi: quelli dei cardinali Sardi, Comastri, Cottier e Dias, quello del vescovo di Carpi Cavina e – nel processo-stralcio a Sciarpelletti – quello dell’ex vice-direttore della sala stampa vaticana, mons. Piero Pennacchini. “E’ inammissibile che venga fatto il suo nome”, ha protestato in aula il legale di Sciarpelletti, l’avvocato Claudio Benedetti, “io mi impegno a scrivere memorie difensive per non far venire fuori i nomi, e voi fate questo nome?”. La domanda getta un’ombra sul processo. Per quale scopo sono stati fatti questi nomi? Character assasination? E perché sono stati fatti solo alcuni nomi e non tutti quelli coperti da omissis nella requisitoria dell’accusa e nella sentenza di rinvio a giudizio? E, soprattutto, che ruolo hanno avuto le persone menzionate, dato che il dibattimento non lo ha approfondito? I cardinali citati avrebbero “suggestionato” Paolo Gabriele, ma in che modo? E perché? Perché, infine, è stato escluso dalle prove dibattimentali – nonostante la richiesta dell’accusa – un bene informato articolo del quotidiano tedesco Die Welt che indicava nella cerchia di Joseph Ratzinger all’epoca in cui era cardinale alcuni dei suggeritori occulti di Paolo Gabriele?
Terzo. L’intero dibattimento è ruotato attorno al libro di Gianluigi Nuzzi Sua Santità. Lo stesso Paolo Gabriele ha ammesso di aver contattato il giornalista personalmente e senza intermediari. Eppure tra i primi leaks ci sono le lettere riservate con le quali l’allora segretario del Governatorato vaticano, mons. Carlo Maria Viganò, denunciava la “corruzione” relativa agli appalti in Vaticano e contestava la decisione del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone di trasferirlo come nunzio apostolico negli Stati Uniti; gli appunti che mostravano una divergenza tra il cardinale Attilio Nicora ed Ettore Gotti Tedeschi sulla trasparenza finanziaria dello Ior; nonché una delirante ricostruzione di un viaggio in Cina durante il quale il cardinale di Palermo Paolo Romeo prospettava il rischio di un attentato al Papa. Tutti documenti pubblicati da Marco Lillo sul Fatto quotidiano. Chi glieli ha dati? Perché il processo non ha affrontato la questione?
Quarto. Nel corso del processo l’ex assistente di Camera di Benedetto XVI ha confessato di aver fatto fotocopie dei documenti consegnati a Nuzzi e di averle date al suo “padre spirituale”, don Giovanni Luzi. Il sacerdote, ascoltato dagli inquirenti, ha dichiarato di averli conservati per qualche giorno per poi bruciarli in quanto, soprattutto, “sapevo che… erano il frutto di una attività non legittima e non onesta e temevo che se ne potesse fare uso altrettanto non legittimo e onesto”. Perché questo sacerdote non è stato incriminato di favoreggiamento, o quantomeno non è stato ascoltato come teste al processo?
Quinto. La sentenza di rinvio a giudizio spiega che a casa di Paolo Gabriele sono stati rinvenuti, oltre alle carte incriminate, un assegno di 100mila euro intestato al Papa, una “pepita presunta d’oro” indirizzata a Benedetto XVI e una cinquecentina dell’Eneide destinata al Papa, traduzione di Annibal Caro stampata a Venezia nel 1581. Sembrava la prova che il maggiordomo agisse per profitto, era la riprova del furto. Poi, dopo le contraddittorie testimonianze dei gendarmi che avevano svolto la perquisizione, i giudici, nella motivazione della sentenza, hanno espunto queste prove di reato perché “rimangono non del tutto chiare le circostanze del loro rinvenimento”. Perché non chiarirlo? E perché, ancora, il materiale informatico rinvenuto a casa di Paolo Gabriele che – lo avevano stabilito i giudici vaticani – sarebbe dovuto essere analizzato nel corso del processo-stralcio a Claudio Sciarpelletti, non è stato invece neppure menzionato?
Sesto. Se il maggiordomo del Papa è stato condannato per “furto”, perché, successivamente, la segreteria di Stato ha precisato che, con il suo operato, “è stata recata un’offesa personale al Santo Padre; si è violato il diritto alla riservatezza di molte persone che a Lui si erano rivolte in ragione del proprio ufficio; si è creato pregiudizio alla Santa Sede e a diverse sue istituzioni; si è posto ostacolo alle comunicazioni tra i Vescovi del mondo e la Santa Sede e causato scandalo alla comunità dei fedeli”? Qual è, insomma, il reato realmente contestato? Il “semplice” furto, o anche la diffamazione e la rivelazione di segreti di Stato?
Settimo. Paolo Gabriele – lo ha scritto nella perizia psichiatrica ammessa a dibattimento il professor Roberto Tatarelli – “si caratterizza per un’intelligenza semplice in una personalità fragile con derive paranoide a copertura di una profonda insicurezza personale e di un bisogno irrisolto di godere della considerazione e dell’affetto degli altri. Accanto ad elementi di sospettosità interpersonale sono presenti condotte ossessive del pensiero e dell’azione (meticolosità, perseverazione), sentimento di colpa e senso di grandiosità, connessi ad un desiderio di agire a favore di un personale ideale di giustizia. La necessità di ricevere affetto può esporre il soggetto a manipolazioni da parte degli altri ritenuti suoi amici ed alleati”. Perché una personalità del genere è stata lasciata accanto al sommo Pontefice per sei anni? Non se n’era accorto nessuno che c’erano dei rischi? E, inoltre, nessuno si era allarmato del fatto che faceva continue fotocopie nel suo ufficio, condiviso con i due segretari personali del Papa, dato che – lo ha raccontato lo stesso Paolo Gabriele – lo faceva “in presenza di altri”? Come era riuscito a godere della fiducia del Papa e della sua cerchia più ristretta? E perché il tribunale vaticano non ha voluto approfondire un'altra dichiarazione inquietante resa dal maggiordomo in aula, che, cioè, parlando con il Papa aveva ricavato l’impressione che egli non fosse sufficientemente informato su alcune questioni sulle quali avrebbe dovuto esserlo, tanto da sembrare – sono sempre parole di Paolo Gabriele – “manipolabile”?
Ottavo. Nel corso del processo-bis a carico di Claudio Sciarpelletti sono emersi dettagli rilevanti sull’atmosfera che si respira in Vaticano ma non sono stati approfonditi. Nel suo studio è stata rinvenuta una busta nella quale si trovava, tra l’altro, un documento che attaccava la gendarmeria – intitolato Napoleone in Vaticano – e costituisce uno dei capitoli del libro di Gianluigi Nuzzi. La perquisizione sarebbe nata dalla soffiata di una “informativa anonima” originata – lo ha rivelato l’avvocato Claudio Benedetti – in segreteria di Stato, un documento che metteva in relazione Paolo Gabriele e Claudio Sciarpelletti. In segreteria di Stato circolano informative anonime? Il superiore del tecnico informatico, mons. Carlo Maria Polvani, inoltre, ha raccontato che mentre in passato “Claudio” aveva nei suoi confronti un comportamento cordiale, da “giugno-luglio” (ossia dopo l’arresto di una notte avvenuto il 25 maggio) egli era divenuto cupo e scostante. Quando Polvani andò a parlargli, Sciarpelletti gli disse, senza altro spiegare: “Tu mi dovrai perdonare, lo faccio per i miei figli e per la mia famiglia”. “Lì per lì non capii che intendeva – ha detto Polvani – lo capii dopo il 13 agosto”. Solo quel giorno il Vaticano ha pubblicato la sentenza di rinvio a giudizio di Sciarpelletti, rivelando che l’informatico era stato arrestato a maggio e, dopo aver detto che la busta gli era stata data da Paolo Gabriele, si era smentito affermando che la busta gli era stata invece data proprio da Polvani. Sciarpelletti, dunque, accusa Polvani alle sue spalle. Polvani che – va ricordato – è nipote di quel mons. Carlo Maria Viganò all’origine del caso Vatileaks; e che un pamphlet uscito in Francia sulla rivista Homme Nouveau (Y a-t-il une opposizione romaine au Pape?) indica, assieme a suo zio, tra i promotori di una fronda contraria a Ratzinger e Bertone. Ma perché Sciarpelletti lo ha fatto “per i suoi figli e per la sua famiglia”? Qualcuno lo ha minacciato – e di cosa? E perché un ufficiale di rango della segreteria di Stato vaticana non sapeva apparentemente nulla del fatto che un suo sottoposto era stato arrestato mesi prima in Vaticano?
Nono. Paolo Gabriele – lo facevano pensare tanto gli insistenti rumors vaticani quanto alcune dichiarazioni ufficiali – doveva essere graziato in tempi brevi dal Papa. Se mai fosse stato incarcerato, lo sarebbe stato in un penitenziario italiano. E comunque non avrebbe perso il lavoro, tanto che il promotore di giustizia (pm) Nicola Picardi ha ipotizzato per lui una interdizione dai pubblici uffici perpetua ma parziale, in modo da consentirgli, cioè, un impiego in Vaticano lontano, però, dalle stanze dei bottoni. Così a inizio ottobre. Poi cambia tutto. La grazia non arriva, il maggiordomo viene incarcerato non già in Italia ma in una cella della gendarmeria e il Vaticano avvia la pratica per il licenziamento da ogni impiego di Curia. Cosa è cambiato nell’ultimo miglio della sua vicenda giudiziaria?
Decimo. Perché, se Vatileaks è solo la storia di un maggiordomo picchiatello e fedifrago, il Papa, dopo il suo arresto, ha voluto incontrare diversi big del collegio cardinalizio, che – lo ha spiegato il 23 giugno il Vaticano – “possono utilmente scambiare con lui considerazioni e suggerimenti per contribuire a ristabilire il desiderato clima di serenità e di fiducia nei confronti del servizio della Curia romana”? Non c’è forse, oltre ad un reato materiale di furto, anche un sottostante problema di governance della Curia romana? E' stato affrontato – e come? Quanto alle indagini, oltre a quelle svolte da gendarmeria e magistratura vaticana, il Papa ha incaricato una commissione cardinalizia ad hoc, composta dai cardinali Julian Herranz, Josef Tomko e Salvatore De Giorgi, di svolgere una parallela inchiesta, senza limiti di mandato né di giurisdizione, capace di interrogare, discretamente, dall’ultimo usciere al più potente cardinale di Curia. I risultati sono stati consegnati al Papa e – nonostante la richiesta della difesa – non sono stati incorporati nel processo. Perché? Esiste su Vatileaks una verità diversa da quella giudiziaria?

(Fonte: Iacopo Scaramuzzi, Linkiesta, 11 novembre 2012)
 

giovedì 8 novembre 2012

Dio salvi gli Americani: «Il meglio deve ancora venire!»

Obama è stato riconfermato Presidente degli Stati Uniti. Un “trionfo della democrazia”, è il giudizio unanime. Ma per l’America, per la Chiesa cattolica, sotto il profilo delle problematiche morali, degli imprescindibili “valori non negoziabili”, si profilano tempi molto duri. Perché? Cerchiamo di vederci un po’ chiaro.
a) Aborto e questioni sulla cultura della vita.
Obama e i democratici lo vedono come un diritto assoluto qualunque sia il mese di gravidanza. Sono quindi a favore della totale libertà della donna di abortire o chirurgicamente (modo tradizionale) o chimicamente (RU486 e tutti gli altri abortivi chimici e non chirurgici). Sono a favore dei cosi detti “Partial Birth Abortion”, in cui il bambino da abortire viene costretto ad uscire (comincia cioè a nascere come in un normale parto) e poi una volta che la testa è fuori, viene sfondata, e quindi ucciso barbaramente. Obama stesso si era dichiarato contrario ad una legge per salvare i bambini nati in seguito ad un aborto, dicendo che sarebbe stata un ostacolo alla libertà della donna di abortire: quindi per lui era meglio lasciarli morire nella sala operatoria.
Ovviamente i democratici appoggiano i contraccettivi e le pillole del giorno dopo in ogni situazione, anche gratis, nelle scuole medie. In particolare, come parte della riforma sanitaria “Obamacare”, vuole costringere tutte le imprese private (ad es. le ditte con proprietari cattolici) e le attività gestite dalla Chiesa (associazioni, università, ospedali, scuole, ONLUS) a sottoscrivere per i propri dipendenti assicurazioni che prevedono tra l’altro la contraccezione e l'aborto. Sono inoltre contrari alla obiezione di coscienza (una grave violazione alla libertà di credo e religione), come pure al diritto dei genitori di conoscere in anticipo la volontà di abortire da parte della loro figlia minorenne.
b) Matrimonio omosessuale
Obama ed i democratici ne sono favorevoli e vogliono legalizzarlo in tutto il paese tramite o leggi proprie di ciascuno Stato, oppure attraverso una decisione ufficiale della Corte Suprema. In più non è prevista alcuna garanzia a favore delle chiese o degli individui che in coscienza combattono per difendere la forma tradizionale del matrimonio tra maschio e femmina, per cui esiste per loro un reale pericolo di persecuzione; viene inoltre promosso un vero e proprio indottrinamento “pro-gay” già nelle scuole elementari.
c) Eutanasia
Obama ed i democratici sono a favore di una massiccia liberalizzazione dell’eutanasia e del “diritto al suicidio”.
d) Libertà di coscienza e di religione
Come accennato sopra, Obama vuole costringere università, scuole, ospedali, ONLUS, cliniche ed altre imprese sociali cattoliche (e imprese private gestite da cattolici praticanti) a pagare per i loro dipendenti una copertura sanitaria che assicura tra l'altro la fornitura di anticoncezionali, le pratiche abortive, le sterilizzazioni, ecc. La multa per chi decide di non adeguarsi a questa imposizione dello Stato ammonta a centinaia di dollari al giorno per ogni dipendente. Per i cattolici contrari a tale imposizione ciò significa la bancarotta e la loro eliminazione dal mondo dell’imprenditoria.
e) Istruzione dei bambini
Obama ed i democratici sono contrari all’idea di ‘School Choice’, cioè all’idea di offrire la possibilità ai genitori di scegliere per i propri figli scuole cattoliche o private: non essendo queste beneficiarie di alcun contributo pubblico, il gravissimo onere per la scelta di una scuola cattolica (in America sono tra le migliori e più preparate) ricadrebbe esclusivamente sui genitori. Per Obama finanziare un simile progetto sarebbe una violazione alla cosiddetta “separazione tra Stato e Chiesa”.
Ovviamente ci sono tante altre questioni nelle quali Obama ed i democratici sono contrari alla posizione della Chiesa o alle persone di fede cristiana. Ed è altrettanto ovvio che tali scelte politiche sono imposte dalle potenti lobby internazionali. Quelle riportate sono soltanto delle “pillole” della politica "restauratrice" di Obama.
Più positiva è invece la situazione per quanto riguarda la politica internazionale. Il presidente americano è certamente più vicino alla Santa Sede di quanto non lo sarebbe stato il suo sfidante Mitt Romney. Dialogo con il mondo islamico, lotta alla povertà, lotta al traffico di esseri umani, ricerca di soluzioni negoziali per le crisi in Medio Oriente, immigrazione: tutti temi che vedono il Vaticano e la Chiesa cattolica in maggiore sintonia con l’attuale inquilino della Casa Bianca.
 

(Ma.La. da: Riscossa cristiana, 7 novembre 2012)

 

martedì 6 novembre 2012

“Caso” Galilei: il quotidiano tedesco “Die Welt” dà ragione alla Chiesa

Il cosiddetto “caso Galilei” torna a far parlare di sé dopo l’articolo del giornalista Paul Badde pubblicato sul quotidiano tedesco “Welt” e ripreso lo scorso 3 novembre dall’agenzia “Kreuz.net”. Articolo, che capovolge e stravolge la “vulgata” sull’argomento, sostenendo come dar torto alla Chiesa sia oggettivamente impossibile. Per due motivi: «Innanzi tutto - scrive Badde - perché Galilei è divenuto a lungo un mito, senza che ve ne fosse un motivo reale. In secondo luogo, perché in questo processo fu l’Inquisizione ad aver ragione e non il contrario».
Il giornalista fa notare come oggi in questa faccenda siano paradossalmente gli stessi intellettuali atei e “mangiapreti” a dar man forte alla Chiesa, dal filosofo marxista Ernst Bloch fino allo scettico agnostico Paul Feyerabend, che nel 1976 scrisse nel suo saggio Contro il metodo obbligato (traduzione più fedele al titolo originale tedesco rispetto alla resa italiana, più semplicistica, “Contro il metodo”- NdA): «La Chiesa nel caso Galilei si attenne alla ragione molto più di quanto fece Galilei stesso, poiché tenne in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali derivanti dagli insegnamenti dello scienziato. Il verdetto fu razionale e giusto e la sua revisione fu dettata soltanto da logiche di opportunismo politico». È, questo, un passo poco noto e di raro citato testualmente, benché risulti paradigmatico. E che fa il paio con quello scritto da Rino Cammilleri nella sua rubrica “L’antidoto” il 15 gennaio 2008, allorché fece notare come non fosse stata «la Chiesa a metter bocca nella scienza, ma Galileo a voler fare il teologo».
Senza addentrarsi nello specifico, poiché materia già trattata – e con rigore scientifico – in altra sede, val la pena solo ricordare come la “condanna” fosse consistita, in realtà, soltanto nella recita dei sette salmi penitenziali ogni settimana per tre anni, compito oltre tutto che l’imputato – col consenso della Chiesa – delegò volentieri alla figlia monaca, Suor Maria Celeste. Niente carcere, dunque, niente torture, niente isolamento, niente censure, tanto che l’opera ritenuta il suo capolavoro scientifico, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, uscì cinque anni dopo la sentenza.
La verità sta nelle parole del medievista francese, Leo Moulin, che nel suo libro L’Inquisizione sotto inquisizione dichiarò: «Date retta a me, vecchio incredulo che se ne intende: il capolavoro della propaganda anti-cristiana è l’essere riusciti a creare nei cristiani, nei cattolici soprattutto, una cattiva coscienza. A furia di insistere, dalla Riforma ad oggi, ce l’hanno fatta a convincervi di essere i responsabili di tutti o quasi i mali del mondo. Vi hanno paralizzato nell’autocritica masochista. E voi, così spesso ignoranti del vostro passato, avete finito per crederci. Invece io, agnostico ma storico che cerca di essere oggettivo, vi dico che dovete reagire, in nome della Verità. Spesso, infatti, non è vero. E se qualcosa di vero vi fosse, è anche vero che, in un bilancio di venti secoli di Cristianesimo, le luci prevalgono di gran lunga sulle ombre». Che debbano essere i laicisti ed i non credenti a convincere i Cattolici, è il colmo…

(Fonte: Mauro Faverzani, Corrispondenza Romana, 6 novembre 2012)