venerdì 29 aprile 2022

Lo scisma nella Chiesa c’è ma non si può più riconoscere


Con le tesi del Sinodo tedesco si torna a parlare di scisma nella Chiesa, ma in questi anni, Magistero e teologia hanno fatto sì che sia venuto meno il confine tra ciò che è vero e immutabile e ciò che non è accettabile. L’accordo Vaticano-Cina, il cambiamento del Catechismo sulla pena di morte, l’abolizione del “male intrinseco” in Amoris Laetitia, sono tre passaggi decisivi che minano le verità su cui è fondata la Chiesa.

 Da quando è cominciato il Cammino sinodale tedesco, la parola “scisma”, come uno spettro ibseniano, continua ad aleggiare nella Chiesa. I vescovi polacchi hanno segnalato il pericolo ai loro confratelli tedeschi. Settanta vescovi dalle varie parti del mondo hanno scritto loro una lettera aperta, mettendoli in guardia. Diversi cardinali, anche moderati come Koch, hanno segnalato il precipizio verso il quale ci si sta dirigendo. Ma né il cardinale Marx né il presidente dei vescovi della Germania Bätzing danno segni di voler accogliere gli inviti alla prudenza. Il primo ha affermato che il Catechismo non è scritto sulla pietra, il secondo ha accusato i vescovi preoccupati di voler nascondere gli abusi che invece il sinodo germanico vorrebbe affrontare e risolvere (a suo modo).

Di fronte a questo quadro di disgregazione, ci si può chiedere se lo scisma possa essere evitato o meno. La domanda principale, a questo proposito, sembra la seguente: la Chiesa ufficiale di oggi possiede ancora le nozioni teologiche che permettano di affrontare il dirompente nodo, oppure ha perduto le categorie capaci di inquadrare il problema e mostrare la soluzione? Più di preciso: il pericolo dello scisma è ancora percepito dalla teologia della Chiesa ufficiale di oggi come un gravissimo pericolo? Su cosa sia uno scisma c’è condivisione? Sul perché bisogna evitarlo, su chi dovrebbe intervenire quando il pericolo fosse alle porte e come, c’è oggi una comunanza di visione?

A preoccupare molti non è tanto il pericolo scisma, quanto la percezione che il quadro teologico ed ecclesiale per affrontare il problema sia sfilacciato e abbia ormai dei contorni molto imprecisi. Il che prelude alla immobilità e a lasciare che gli eventi procedano per conto loro.

Quando il cardinale Marx sostiene, a proposito della pratica omosessuale, che il Catechismo non è scritto sulla pietra e lo si può criticare e riscrivere, altro non fa che esprimere in linguaggio giornalistico quanto i teologi ormai dicono da decenni. Ossia che il deposito della fede (e della morale) è soggetto ad un processo storico, perché la situazione da cui lo si interpreta entra a far parte a pieno diritto della sua conoscenza e formulazione. Usando questo criterio, che possiamo definire in senso lato “ermeneutico”, e secondo il quale la trasmissione dei contenuti della fede e della morale non supera mai lo stato di una “interpretazione”, la categoria teologica di scisma perde di consistenza, fino a scomparire. Ciò che oggi consideriamo scisma (e anche eresia), domani può diventare dottrina.

Sul piano della Chiesa universale ci sono stati di recente tre fatti molto interessanti da questo punto di vista. Il primo è stato l’accordo tra il Vaticano e la Cina comunista. L’accordo è segreto, tuttavia si può dire che in questo caso è stata assunta nella Chiesa cattolica e romana una chiesa scismatica. Il confine tra scisma e non scisma è diventato più impreciso dopo l’accordo con Pechino.

Il secondo è stato il cambiamento della lettera del Catechismo a proposito della pena di morte. Questo cambiamento ha diffuso l’idea che il Catechismo non fosse scritto sulla pietra, proprio come dice il cardinale di Monaco. La motivazione principale per giustificare il cambiamento è stata la presa d’atto che la sensibilità pubblica su questo punto morale era cambiata. La sensibilità pubblica, però, è solo un dato di fatto che non dice niente sul piano assiologico o dei valori. Ora, su questi presupposti come negare che anche nella Chiesa tedesca possa essere maturata una nuova sensibilità sui temi dell’omosessualità e del sacerdozio femminile?  Come chiamare tutto questo “scisma”, se si tratta invece dello stesso fenomeno approvato altrove?

Il terzo esempio è l’abolizione della dottrina morale della Chiesa sugli “intrinsece mala” contenuta di fatto nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia. Risulta molto difficile, dopo questo documento, tener fermo l’insegnamento precedente circa l’esistenza di azioni intrinsecamente cattive che non si devono mai fare. Ma venendo meno questa nozione sarà ancora possibile confermare il tradizionale insegnamento della Scrittura e della Chiesa sulla pratica omosessuale?

Sembra che la Chiesa faccia fatica a tenere per ferme alcune sue verità. Del resto, se il Catechismo non è scritto sulla pietra, allora anche la definizione di “scisma” in esso contenuta, può essere rivista e quello che ieri era considerabile come scisma ora potrebbe non esserlo più. Addirittura di scisma potrebbero essere accusati coloro che tengono ferme le verità del Catechismo come se fossero scritte sulla pietra. Negare che il Catechismo non sia scritto sulla pietra potrebbe essere considerato un pronunciamento scismatico. Nella perdita dei confini tutti i paradossi diventano possibili. Quanto detto può essere esteso anche all’eresia e all’apostasia, concetti anche questi dai dubbi confini oggi. Si pensi solo ad un fatto: il “dubbio ostinato” può essere considerato apostasia secondo il n. 2089 del Catechismo, eppure oggi si insegna ai fedeli il dubbio sistematico, invitandoli a non irrigidirsi nella dottrina.

 

(Fonte: Stefano Fontana, LNBQ, 29 aprile 2022)

https://lanuovabq.it/it/lo-scisma-nella-chiesa-ce-ma-non-si-puo-piu-riconoscere

 

giovedì 21 aprile 2022

Trans e sacramenti, "Avvenire" & Co guidano la rivoluzione


Il quotidiano della Cei pubblica ampi stralci di un’intervista a padre Maurizio Faggioni contenuta in un libro - edito dalla San Paolo e a firma di Luciano Moia - che va verso la normalizzazione della transessualità nella Chiesa. Nell’intervista manca un giudizio chiaro sulla transessualità e si affrontano temi legati al battesimo, alla vita matrimoniale, all’educazione dei figli in una prospettiva contraria alla morale naturale e al Codice di diritto canonico.

 

Luciano Moia è la firma arcobaleno d’eccellenza di Avvenire, nel senso che spesso si occupa di tematiche Lgbt. Moia ha recentemente dato alle stampe, per i tipi della San Paolo, un libro dal titolo “Figli di un dio minore. Le persone transgender e la loro dignità” in cui raccoglie storie e interviste sul tema della transessualità, tra cui quella rilasciata da padre Maurizio Faggioni, docente ordinario di bioetica presso l’Accademia Alfonsiana di Roma, endocrinologo, consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede, della Congregazione delle Cause dei Santi e membro della Pontificia Accademia per la Vita.

Ampi stralci di questa intervista sono stati pubblicati su Avvenire. Faggioni non esprime un giudizio chiaro sulla transessualità, limitandosi a riportare che il dibattito in seno ai moralisti cattolici è molto vivo. Per il docente dell’Alfonsiana si tratterebbe di “una questione che, in effetti, non permette di tracciare confini netti di liceità e illiceità”. Come abbiamo già avuto modo di spiegare da queste colonne tempo fa, accennando anche a fonti della Sacra Scrittura e del Magistero, il transessualismo è condizione disordinata e tutte quelle scelte che assecondano questa condizione, dai trattamenti ormonali all’operazione chirurgica per la riassegnazione sessuale, sono contrarie alla morale naturale. Ciò perché il sesso è condizione identitaria della persona e dunque la sua psiche deve riconoscere e adeguarsi al dato della realtà biologica cromosomica. Perciò non ci può essere scissione tra il sesso genetico e il sesso psicologico, ossia la percezione di sé come appartenente al mondo maschile o femminile, altrimenti si crea una spaccatura tra identità sessuale e identità psicologica sessuale. I cromosomi XY o XX non possono essere sbagliati, può invece errare la nostra mente che non vuole accettare la realtà sessuata.

Poi Faggioni affronta il tema del matrimonio canonico delle persone transessuali. Ora, se una donna volesse sposare un’altra donna che si sente uomo, o un uomo volesse sposare un altro uomo che si sente donna, il matrimonio ovviamente sarebbe nullo, ossia inesistente, perché la differenza di sesso tra i nubendi è criterio dirimente per la validità del sacramento. Sarebbe nei fatti un “matrimonio” omosessuale (così la Congregazione per la Dottrina della Fede in una lettera del maggio del 1991 richiamata anche dallo stesso Faggioni). Qualora invece una donna volesse sposare un uomo che si sente donna o un uomo volesse sposare una donna che si sente uomo, anche senza sottoporsi ad operazione chirurgica, il matrimonio sarebbe ugualmente nullo perché, come recita il canone 1095 del Codice di diritto canonico: “Sono incapaci di contrarre matrimonio […] coloro che per cause di natura psichica, non possono assumere gli obblighi essenziali del matrimonio” (se il disturbo non fosse conosciuto dall’altro nubendo ciò potrebbe configurare una scriminante del consenso che inciderebbe sulla validità matrimoniale). Il matrimonio esige la complementarità tra uomo e donna, non solo sul piano fisico, ma anche psicologico. La donna ha bisogno che l’uomo si doni a lei come maschio e viceversa. Ciò comporta la piena consapevolezza e accettazione della propria mascolinità/femminilità.

Inoltre l’amore sponsale è donazione/accettazione totale vicendevole, ma per donarsi occorre prima possedersi. Scrive il moralista Lino Ciccone: “Il patto matrimoniale è essenzialmente un patto d’amore, tale da implicare il vicendevole dono totale di sé. Ma di un simile amore il transessuale è incapace: in conflitto con sé stesso, lacerato dal rifiuto di tutto quello che costituisce in lui la sessualità maschile, o femminile, gli è sbarrata la via per un pieno possesso di sé, e ciò che non si possiede pienamente non si può nemmeno pienamente donare” (Etica sessuale, Ares, p. 222). Se poi, prima della celebrazione del matrimonio, la donna o l’uomo si sottoponessero ad operazione chirurgica, oltre alle motivazioni di nullità appena accennate se ne sommerebbe un’altra: l’impotentia coeundi, ossia l’impossibilità di avere un’autentica copula.

Qualora infine il matrimonio fosse stato validamente celebrato, ma successivamente, ad esempio, il marito volesse “cambiare” sesso, il matrimonio naturalmente rimarrebbe valido (ciò detto, se il disturbo legato alla cosiddetta identità di genere fosse comparso prima della celebrazione del matrimonio ci potrebbero essere gli estremi per la dichiarazione di nullità per i motivi sopra esposti). Questo anche il parere di Faggioni, il quale però aggiunge: “I vincoli di affetto, la condivisione della vita, la comunione spirituale nella fede possono certamente continuare anche dopo l’emergere della disforia e dopo gli interventi di adeguamento del sesso corporeo alla identità di genere”. Non siamo proprio d’accordo. In merito ai primi due aspetti, i vincoli di affetto e la condivisione (serena) di vita esigono, come accennato prima, la capacità di donarsi in modo autentico e un equilibrio psichico che difficilmente la persona transessuale, anche senza sua colpa, potrà possedere. Il disturbo che riguarda l’identità psicologica sessuale, sfociato addirittura nella volontà di sottoporsi ad intervento chirurgico, è così profondo e radicato nella persona e investe in modo così totalizzante la sua essenza che non può non ripercuotersi negativamente sulla sfera affettiva e relazionale.

In merito poi alla “comunione spirituale nella fede”, se la scelta di “cambiare” sesso comporta peccato mortale la persona transessuale non può vivere la virtù della fede. Qualora invece avesse commesso solo peccato veniale (la materia grave rimarrebbe, ma potrebbe non esserci la piena avvertenza e/o il deliberato consenso), l’esercizio della virtù della fede sarebbe assai compromesso dalla scelta di “cambiare” sesso o di pensare e comportarsi in dissonanza con il proprio sesso genetico. Infatti la fede, al pari delle altre virtù teologali, presuppone l’esercizio adeguato anche delle virtù cardinali - tra cui qui spiccano la temperanza e la fortezza - e di altre virtù umane, le quali virtù, a loro volta, presuppongono uno stato psichico equilibrato, sereno, solido, non scisso, fragile e conflittuale. Il santo si poggia sull’uomo. In altri termini: come potrebbe essere praticata la virtù della fede in una persona che patisce fortissimi squilibri interiori?

In sintesi, l’esercizio della fede sarebbe impedito in modo proporzionale al grado di disturbo. Non è un giudizio discriminatorio, bensì una semplice constatazione, così come non discriminerebbe chi criticasse un ingegnere che volesse costruire un grattacielo sulla sabbia. Qualora infine la persona che sperimentasse in sé questa scissione tra mente e corpo tentasse di superarla, ciò sarebbe fonte di merito perché sarebbe una croce che potrebbe santificare la persona stessa e dunque il cammino di fede non sarebbe compromesso, ma, in ipotesi, persino agevolato.

Poi Faggioni tocca anche il tema dell’educazione dei figli di coppie dove un genitore è transessuale. Il teologo dichiara: “Una coppia ‘a geometria variata’ […] può continuare a svolgere i suoi doveri educativi verso i figli, purché questo sia il bene autentico dei figli e non l’imposizione di una scelta dei loro genitori”. L’ultima frase è oscura. Faggioni ci sta dicendo che presentare il transessualismo ai figli è un bene eccetto nel caso in cui si voglia imporre loro il punto di vista dei genitori oppure che, in senso più generale, un’educazione è efficace quando conduce i figli ad accettare in modo libero alcuni valori, e tra questi non certo il transessualismo? (A margine: il bene autentico dei figli a volte può essere imposto).

Comunque, al di là dell’ambiguità della dichiarazione, ci pare assai criticabile la frase “una coppia ‘a geometria variata’ […] può continuare a svolgere i suoi doveri educativi verso i figli” per i motivi prima accennati: la scelta di essere transessuale avalla e agevola un disordine psichico che di certo ridonda sull’educazione dei figli. La stessa scelta è di cattivo esempio, anche solo per il fatto che i figli hanno bisogno della figura paterna/maschile e materna/femminile. Ogni ambiguità in questo campo è foriera di gravi danni per l’educazione dei figli.

Infine Moia sollecita padre Faggioni ad esprimersi sull’ipotesi che un transessuale possa essere il padrino di battesimo di un bambino. “In linea di principio - replica Faggioni - se un credente o una credente hanno una bella vita cristiana possono fare il padrino o la madrina”. In linea di principio dunque il moralista Faggioni è possibilista, ma poi, data la “singolarità della situazione, ci si potrebbe chiedere se non sarebbe meglio scegliere un altro padrino o un’altra madrina per evitare incomprensioni o turbamento nella comunità cristiana”. Dunque, per Faggioni un transessuale potrebbe lecitamente ricoprire questo ruolo, ma sarebbe meglio evitarlo per meri motivi di opportunità.

Il Codice di diritto canonico però la vede in modo diverso. Infatti al canone 872 spiega che i padrini devono “cooperare affinché il battezzato conduca una vita cristiana conforme al battesimo e adempia fedelmente gli obblighi ad esso inerenti”. Ora, chi compie una scelta come quella di voler essere transessuale assume una condizione e relative condotte contrarie gravemente alla morale naturale. E dunque come potrebbe essere una guida sicura per il battezzato nella vita cristiana? Infatti il Codice, al canone 874, indica, tra gli altri, anche il seguente requisito affinché una persona possa assumersi l’incarico di padrino: che “conduca una vita conforme alla fede e all’incarico che assume”. Come può il transessualismo essere conforme alla fede? Come si potrebbe affermare che chi sceglie di “cambiare” sesso conduca “una bella vita cristiana”? Solo qualora la cosiddetta disforia di genere fosse osteggiata dalla persona stessa si potrebbe ipotizzare una sua candidatura, sebbene altre candidature sarebbero da preferirsi.


(Fonte: Tommaso Scandroglio, LNBQ, 21 aprile 2022)

https://lanuovabq.it/it/trans-e-sacramenti-avvenire-co-guidano-la-rivoluzione

  

mercoledì 6 aprile 2022

LGBTQ, il cardinale Marx guida l'ultimo assalto al Catechismo


Attacco coordinato per cambiare il Catechismo sull'omosessualità, e il teatro scelto per la battaglia è il Sinodo sulla sinodalità. In una lunga intervista il cardinale Marx sostiene apertamente la necessità di rivedere la dottrina per legittimare gli atti omosessuali, mentre domani, 3 aprile, suor Nathalie Becquart, sottosegretario al Sinodo, si rivolgerà direttamente a un gruppo LGBTQ statunitense per legittimarlo. 

 

“Love is love”, l’amore è amore, dichiarò l’allora presidente americano Barack Obama nel giugno 2015 dopo che la Corte Suprema diede il via libera al riconoscimento del matrimonio  omosessuale. E “love is love” ripete ora il cardinale tedesco Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, per far avanzare l’agenda LGBTQ nella Chiesa. Sulla spinta delle rivendicazioni già emerse chiaramente dal cammino sinodale tedesco, anche il cardinale Marx ha deciso di rompere gli indugi e chiedere a gran voce il cambiamento del Catechismo in materia di omosessualità.

Lo ha fatto in una intervista pubblicata dal settimanale liberal Stern il 30 marzo, in cui afferma che il Catechismo «non è scolpito nella pietra» e che «è lecito avere dubbi sui suoi contenuti». Marx parla di «etica inclusiva», basata sul «rispetto per l’altro», mentre «il valore dell’amore si dimostra nel rapporto: nel non ridurre a oggetto l’altra persona, nel non usare o umiliare l’altra persona, nell’essere fedele e dipendente l’uno dall’altro». Marx, ovviamente incalzato dalle domande del giornalista, va avanti affermando che «l’omosessualità non è peccato. Ed è un comportamento cristiano quando due persone, a prescindere dal genere, si difendono a vicenda, nella gioia e nel dolore».

Insomma, quello che il cardinale Marx intende affermare è «il primato dell’amore, specialmente negli incontri sessuali». E sembra avere fretta l’arcivescovo di Monaco: «Negli ultimi anni mi sento sempre più libero di dire quello che penso, e voglio che l’insegnamento della Chiesa progredisca. Anche la Chiesa sta cambiando, insieme al mondo: le persone LGBTQ sono parte della Creazione e amate da Dio e noi siamo sfidati a combattere la discriminazione». Alla fine il cardinale Marx ha anche confessato di avere benedetto in passato una coppia omosessuale: «Alcuni anni fa a Los Angeles, dopo una celebrazione in cui avevo predicato su unità e diversità, due persone sono venute da me chiedendomi la benedizione. E io l’ho data. In fin dei conti non si trattava di un matrimonio».

L’intervista a Stern non giunge come un fulmine a ciel sereno. Non solo è stata preceduta dalle analoghe tesi del cammino sinodale tedesco e dalle dichiarazioni del presidente della Conferenza episcopale tedesca, monsignor Georg Bätzing, che chiede che “sesso libero” sia riconosciuto dal Catechismo, ma lo stesso Marx aveva già lanciato il guanto di sfida celebrando una messa all’inizio di marzo per festeggiare i 20 anni di pastorale Queer a Monaco. Ovviamente con bandiera arcobaleno davanti all’altare e con omelia inneggiante a una «Chiesa inclusiva». Il valore di quel gesto non era però stato adeguatamente e universalmente rilanciato, così Marx ci riprova con una intervista che è impossibile far passare sotto silenzio.

L’uscita del cardinale Marx non ha a che fare semplicemente con la rivendicazione della Chiesa tedesca, e non solo perché Marx è membro del ristretto Consiglio dei cardinali che coadiuva papa Francesco nel governo della Chiesa. Già questo infatti dovrebbe suggerire che la sua posizione pubblica sull’omosessualità ha un rilevanza universale. Ma non basta: la scelta dei tempi suggerisce che siamo di fronte a una offensiva coordinata per imprimere una direzione ben precisa pro-LGBTQ al Sinodo sulla Sinodalità a cui papa Francesco tiene tanto. In febbraio, ad esempio, era stato il cardinale lussemburghese Jean-Claude Hollerich, presidente dei vescovi europei, a chiedere un cambiamento della dottrina favorevole all’omosessualità senza che la sua nomina a relatore generale del Sinodo sulla Sinodalità venisse messa in discussione.

Ma soprattutto domani, 3 aprile, ci sarà un evento senza precedenti: il sottosegretario del Sinodo dei Vescovi, suor Nathalie Becquart (nella foto), pronuncerà una lectio magistralis davanti alla platea di New Ways Ministry, l’organizzazione LGBTQ statunitense il cui obiettivo è cambiare l’insegnamento della Chiesa in materia di omosessualità. Di New Ways Ministry, organizzazione sconfessata dai vescovi americani e condannata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede già 23 anni fa, avevamo già parlato in dicembre per una polemica nata intorno alla presenza di loro materiale pro-LGBTQ sul sito del Sinodo. Ma da allora le cose hanno camminato velocemente per loro. Passaggio fondamentale è stata la riabilitazione della suora co-fondatrice di New Ways Ministry, Jeannine Gramick, ad opera addirittura di papa Francesco che le ha scritto una lettera di grande apprezzamento per il suo lavoro con le persone LGBTQ ritenuto «nello stile di Dio». Da lì un coinvolgimento sempre più attivo dell’organizzazione LGBTQ nella preparazione del Sinodo, fino all’evento di domani, un vero e proprio riconoscimento ufficiale del movimento LGBTQ. 

Si tratta della annuale Lettura intitolata a padre Robert Nugent, l’altro co-fondatore di New Ways Ministry, e il tema sarà la “Sinodalità come cammino di riconciliazione”. E non c’è dubbio, date le premesse, che dovrà essere la Chiesa a riconciliarsi con i suoi fedeli LGBTQ. La segreteria di New Ways Ministry ha tutte le ragioni nel sostenere che si tratta di «un evento storico». Ormai possiamo parlare tranquillamente di un trionfo della lobby LGBTQ nella Chiesa, e non possiamo non constatare che la guida della Chiesa non solo non offre resistenza ma addirittura è parte attiva del processo. Non a caso nessun provvedimento è stato preso - né mai lo sarà - nei confronti del cardinale Marx per le sue esternazioni, né verrà diminuito nel suo ruolo di consigliere del Papa.

Al contrario, a distanza di nove anni possiamo ben dire che i Sinodi sono serviti a promuovere e realizzare la rivoluzione sessuale nella Chiesa: i due sinodi sulla famiglia hanno oggettivamente aperto la strada al divorzio e al secondo matrimonio, e ora la sinodalità serve a legittimare l’omosessualità e qualsiasi tipo di relazione sessuale. E se nel 2014 il pretesto era pastorale, facendo finta di non intaccare la dottrina, ora la maschera è stata definitivamente tolta e si passa direttamente al cambiamento della dottrina. Come temeva l’allora cardinale Ratzinger già nel 1986.

 

(Fonte: Riccardo Cascioli, LNBQ, 02 aprile 2022

https://lanuovabq.it/it/lgbtq-il-cardinale-marx-guida-lultimo-assalto-al-catechismo