mercoledì 25 giugno 2014

Se il vescovo consegna un prete alla pubblica gogna

Fare il parroco non è mai stato facile, tanto più di questi tempi in Italia dove i cattolici da maggioranza assoluta si sono trasformati in una minoranza che, oltretutto, è affetta in gran parte da analfabetismo religioso. Però se a questo si aggiunge che oggi un parroco – colpevole solo di spiegare il catechismo – può anche aspettarsi che il vescovo, per mantenere buoni rapporti con i “nuovi pagani”, lo esponga al pubblico ludibrio, bè, allora la faccenda si fa davvero difficile.
L’ultimo caso è di questi giorni e riguarda un anziano parroco del paesino di Cameri, nella diocesi di Novara. Anche lui deve fare i conti con tante situazioni familiari irregolari: un bel problema quando ci sono battesimi, comunioni e cresime e bisogna spiegare agli aspiranti padrini e madrine che certe situazioni sono incompatibili con l’impegno che dovrebbero assumersi. Alcuni parroci non ci provano neanche, ammettono tutto e tutti e chi s’è visto s’è visto. Altri, che hanno a cuore il bene dei ragazzi e delle persone che hanno di fronte, provano a spiegare: magari è un’occasione perché qualcuno almeno intuisca che il cristianesimo è una cosa seria, qualcosa che riguarda ciò che conta nella vita. Don Tarcisio Vicario, di stanza a Cameri, è uno di questi. Addirittura è così preoccupato di spiegare bene come la pensa Dio – così lontano dal modo in cui pensano gli uomini – che lo scrive anche nel bollettino parrocchiale, con una Lettera alle Famiglie. Non inventa nulla, è il catechismo della Chiesa, solo che prova a spiegarlo anche con degli esempi perché si capisca meglio. E invece è qui che scoppia il pandemonio.
Don Tarcisio spiega infatti che il matrimonio è un sacramento e quindi chi convive senza sposarsi in chiesa continua a peccare senza neanche porsi il problema. Si può anche fare un peccato molto più grave, ma se è occasionale, se ci si pente e si cambia vita, si è perdonati. Succede anche di commettere lo stesso peccato tante volte, quasi per abitudine, ma se c’è reale pentimento e desiderio di conversione questo non è un ostacolo. Lo dice anche il Papa: Dio non si stanca di perdonare. Il problema è quando nel peccato ci si sguazza come un pesce nell’acqua, lo si giustifica e si pretende che sia una cosa giusta. Allora questa è corruzione – ci ha spiegato tante volte papa Francesco – e questo non si può accettare.
Ed ecco le parole usate da don Tarcisio: «Per la Chiesa, che agisce in nome del Figlio di Dio, il matrimonio tra battezzati è solo e sempre un sacramento. Il matrimonio civile e la convivenza non sono un sacramento. Pertanto chi si pone al di fuori del sacramento contraendo il matrimonio civile, vive una infedeltà continuativa. Non si tratta di un peccato occasionale (per esempio un omicidio), di una infedeltà per leggerezza o per abitudine che la coscienza richiama comunque al dovere di emendarsi attraverso un pentimento sincero e il proposito vero e fermo di allontanarsi dal peccato e dalle occasioni che conducono ad esso».
Cosa ha detto di sbagliato don Tarcisio? Nulla. Ma quel riferimento all’omicidio ha subito provocato reazioni scomposte: «Ha detto che convivere è peggio dell’omicidio», è cominciata a girare la voce, e ovviamente le sue parole sono state subito strumentalizzate e sono diventate titoli choc di giornale.
Il caso diventa subito nazionale. E il vescovo, monsignor Franco Giulio Brambilla, cosa fa? Essendo il pastore della diocesi, il padre dei suoi preti, ci si aspetta che protegga il suo sacerdote, che denunci l’evidente strumentalizzazione e – se proprio non è d’accordo con le modalità con cui don Tarcisio si è espresso – che lo chiami e magari gli dia una lavata di capo a quattr’occhi. Così farebbe un padre.
E invece monsignor Brambilla decide di unirsi al coro della vergogna e consegna un suo prete alla pubblica gogna. «Il clamore suscitato» dalla lettera alle famiglie di don Tarcisio – scrive monsignor Brambilla in una lunga nota – «richiede una netta presa di distanza sia dai toni che dai contenuti del testo per una inaccettabile equiparazione, pur introdotta come esempio, tra convivenze/situazioni irregolari e omicidio. L’esemplificazione, anche se scritta tra parentesi, risulta inopportuna e fuorviante e quindi errata».
«Inaccettabile equiparazione tra convivenze e omicidio», dice il vescovo di Novara, ma don Tarcisio non ha fatto alcuna equiparazione, solo una differenza tra peccato grave ma occasionale (seguito da pentimento) e peccato magari meno grave ma continuato nel tempo e senza pentimento.
E poi prosegue monsignor Brambilla: la lettera di don Tarcisio è «inopportuna e errata nei contenuti, perché dalle parole di quello scritto, non emerge il volto di una Chiesa che è madre, anche quando vuole essere maestra di vita». Ma ci si chiede, visto che si condanna l’eventuale equiparazione: la Chiesa è madre solo per chi vive situazioni familiari irregolari o anche per gli altri peccatori? Forse che l’omicida non ha diritto alla misericordia come il concubino?
Certo, si può capire che l’improvvisa pressione dei media abbia magari condizionato il vescovo, qualcuno dice che si è messo paura del can can sollevato dalla stampa; possibile, anche se ricordiamo che in passato a monsignor Brambilla non è mancato il coraggio; ad esempio quando nel 1989, giovane teologo ambrosiano in carriera, fu tra i 63 firmatari del documento dei teologi italiani che contestavano il Magistero di Giovanni Paolo II e chiamavano i cattolici italiani alla riscossa. Coraggio che fu ben ripagato, perché non solo la sua carriera di teologo non ne ha risentito, ma è stato addirittura nominato vescovo. In privato, con qualche suo collaboratore pare che abbia espresso il suo rincrescimento per quanto accaduto e per le parole che ha dovuto dire contro un suo prete, ma con tutto quel clamore «ero obbligato a dire qualcosa». D’accordo, però oltre a dire qualcosa sarebbe meglio dirla anche giusta.
Ma aldilà dei contenuti, a lasciare male è proprio questo spettacolo di pastori che non ci pensano un attimo a mollare i propri preti, se questo aiuta nell’immagine pubblica. E purtroppo non è la prima volta che accade.
 

(Riccardo Cascioli, La Nuova Bussola Quotidiana, 24 giugno 2014)

mercoledì 18 giugno 2014

Appunti fuori dal coro sul Convegno Pastorale Diocesano di Roma 2014.

1. “Buona la prima”.
La prima serata - al di là del sole cocente all’entrata, durante la snervante attesa in fila (due ore prima dell’apertura dei varchi), e il diluvio universale scatenatosi impietosamente all’uscita - va considerata a mio avviso come il momento “clou”, quello più “positivo” di questa assise. Grazie soprattutto alla presenza di Papa Francesco, che ha calamitato completamente l’attenzione generale del numerosissimo pubblico.
E su questo fatto, mi sia concessa una prima nota critica diretta agli organizzatori.
Doveva essere un “Convegno Diocesano”? Un incontro del Vescovo della Diocesi di Roma con i “suoi” operatori pastorali? Allora non capisco perché il 40% dei presenti fossero persone provenienti dai paesi più lontani e disparati, in particolare dall’America latina, totalmente digiune della più elementare conoscenza dell’italiano, apertamente disinteressate agli scopi del Convegno, e quindi richiamate esclusivamente dalla possibilità di “vedere” il papa da vicino.
Si parla in totale di circa 12.000 partecipanti "iscritti": io penso di meno, visto che la Sala Paolo VI (che tanti ne contiene) non era completamente occupata. Comunque, obiettivamente, “troppi” per un gruppo di lavoro.
Ora mi chiedo: con quale criterio sono stati dispensati i “passi”? perché trasformare un “colloquio” privato, tra il “Padre della Diocesi” e i suoi figli, in una “udienza” generale del mercoledì? Non sarebbe stato meglio offrire agli operatori pastorali diocesani (quelli veri!) la possibilità di stringersi attorno al loro Vescovo, magari spogliando l’occasione dai tanti inutili orpelli esibizionistici? Ma si sa. Per alcuni una folla urlante e schiamazzante fa molto “chiesa”: e che c’è di meglio da presentare al Papa di uno stuolo immane di “fedeli”, non importa chi siano e da dove vengano, purché documentino la vivacità della fede nella diocesi romana? Mah!
Poi, l’intervento di Papa Francesco: un intervento che io definisco diretto, paterno, cordiale, fatto quasi interamente a braccio, a cuore aperto. Come al solito parole chiare, allusioni dirette, intercalate da silenzi improvvisi, sospensioni magistrali del discorso, occhiate penetranti all’assemblea: i suggerimenti, gli avvisi, le raccomandazioni, sono arrivate dritte al cuore e alla testa di chi voleva capirlo (intelligenti pauca!). Per altri, per quelli cioè che abitualmente ostentano “superiorità”, sentendosi “a posto”, tetragoni ad ogni assalto critico (e se ne vedevano molti in giro, soprattutto preti), sarà stato un intervento normale, condito dai soliti pittoreschi ricordi di sue datate esperienze pastorali. Una cosa è comunque emersa in maniera tragica: la sua reale e accorata preoccupazione per la deriva verso cui da tante parti viene spinta la Chiesa di Cristo.
Invece «la gente che viene sa, per l’unzione dello Spirito Santo, che la Chiesa custodisce il tesoro dello sguardo di Gesù e noi dobbiamo offrirlo a tutti: quando arrivano in parrocchia quale atteggiamento dobbiamo avere? Dobbiamo sempre accogliere tutti con cuore grande. Come in famiglia. Chiedendo al Signore di farci capaci di partecipare alle difficoltà e ai problemi che spesso i ragazzi e i giovani incontrano nella loro vita. Dobbiamo avere il cuore di Gesù il quale, “vedendo le folle ne sentì compassione perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore”». C'è di che meditare!

2. “Inutile la seconda”.
Sono convinto che in tanti condivideranno questo mio giudizio sulla seconda serata del Convegno, ma non si esprimono per paura di sembrare “out”.
Avevo già avuto la stessa impressione in occasione di un precedente esperimento, sempre a livello diocesano, volto a raccogliere suggerimenti ed iniziative da parte della base. Anche ieri sera – perlomeno nella mia sezione, ma per sentito dire anche in tante altre – c’è stata la solita passerella di personaggi autoreferenziali, che hanno sciorinato le loro “esperienze”, quasi tutte uguali, spesso di una prolissità noiosa e di una banalità disarmante.
Non critico tanto gli autori degli interventi: hanno cercato in buona fede di proporre al meglio le loro esperienze: ma forse gli esperti organizzatori avrebbero dovuto già immaginare a priori che sarebbe stata una carrellata di “dejà vu”, di esperienze stranote, che poco sarebbero servite per offrire nuovi input ad una catechesi che oggi deve essere “d’urto”, al passo con i tempi.
A ragione il card. Vallini, salutando il gruppo all’inizio dei lavori, raccomandava di non indulgere in “amarcord” personali o in riproposizioni di situazioni di scarso rilievo ai fini innovativi di una catechesi veramente “missionaria”.
Il nostro lavoro di operatori pastorali in una Chiesa in cammino, in una Chiesa che è “mamma” (come ha spiegato il papa) e cerca di riportare a casa i suoi figli, non può prescindere dalla realtà sociale dei nostri giorni. Oggi viviamo in un clima a dir poco indifferente, se non decisamente contrario alla dottrina e alla morale cristiana.
I bambini, cui è diretto il lavoro di catechesi di iniziazione cristiana, oggi non sono i bambini di trenta o venti anni fa: oggi provengono in larga maggioranza da famiglie “open”, plurigenitoriali, da famiglie sfasciate; provengono da situazioni e da ambienti totalmente inadatti a fornire loro i primi rudimenti della fede. Nell’era della comunicazione esasperata, della pubblicità battente, dell’offerta mediata e subdola di ideologie edoniste e materialiste a tutti i livelli, i bambini vengono parcheggiati davanti alla televisione, l’elemento che oggi si è arrogato ad ogni effetto il ruolo di primo “educatore”. Ovviamente conosciamo tutti a quale livello si attesti tale educazione.
Quindi trovo assolutamente anacronistico condizionare la nostra catechesi di iniziazione cristiana dei bambini, alla presunta, ma troppo spesso inesistente, collaborazione della famiglia.
La famiglia purtroppo è in via di estinzione: da troppe parti si cerca di distruggerla, anteponendola o parificandola ad unioni omosessuali con diritto di “avere” figli ad ogni costo. L’Unione Europea, succube delle potenti lobby economiche facenti capo ai vari movimenti Lgbt, sta già forzando in tempi stretti l’allineamento in tal senso degli stati membri, Italia compresa.
È chiaro che presupporre da parte di siffatti “genitori” un qualunque supporto nella educazione cattolico cristiana dei figli, è pura utopia.
Per questo la Chiesa deve accogliere questi bambini come una “mamma” e come tale deve offrire loro tutto l’affetto e la cura di cui abbisognano,cercando di offrire loro quel primo, sano ambiente famigliare di cui non hanno alcuna esperienza.
L’incontro con Cristo, nel loro caso, avverrà attraverso la conoscenza e la stima dei loro “catechisti”, che – soprattutto con l’esempio, con la coerenza della loro vita con quanto insegnano – li introdurranno gradualmente nella conoscenza del “mistero”: dell’esistenza di un Padre che è sempre presente, che li ama, a cui devono affidare i loro pensieri, i loro problemi, ricambiando il suo amore; un Padre che possono incontrare personalmente nella preghiera, in qualunque momento, davanti al SS.mo, o comunitariamente, partecipando gradualmente alla preghiera liturgica della Chiesa, ecc…
I bimbi di oggi non hanno bisogno di “formulette” o di storielle: intuiscono il nocciolo della questione con una rapidità sorprendente. Hanno solo bisogno di "sapere", di venire “traghettati” nel mondo della fede, nella conoscenza dell’esistenza del Dio Amore, cui siamo legati fin dalla nascita da un cordone ombelicale irrecidibile ; e noi dobbiamo assecondarli con tatto, con preparazione personale, con estrema sincerità e concretezza.
Avrei preferito una discussione metodologica fatta in questa prospettiva futura - problematica e forse dissacrante ma a mio avviso molto più produttiva per nuove soluzioni - piuttosto che la consueta rassegna di singole e personali esperienze didattiche di un passato pur se recente.

(Ma.La.)

mercoledì 11 giugno 2014

Unisex. La creazione dell’uomo senza identità

Il saggio del duo Marletta-Perucchietti (cf. G. Marletta – E. Perucchietti, UNISEX. La creazione dell’uomo senza identità, Arianna Editrice, Bologna 2014, pp. 120, € 9,80) dal titolo emblematico, mostra al meglio un aspetto generalmente sottaciuto della problematica omosessualista, e cioè il rapporto tra le lobby di potere, i tecnocrati che da dietro le quinte dirigono (almeno…) mezzo mondo e «la costituzione di un’ideologia mondialista gender» (p. 7).
Secondo i due Autori, è bene partire dalla constatazione di un fatto indiscutibile: ci troviamo di fronte ad una «grande rivoluzione culturale, che i Poteri Forti stanno oggi promuovendo in tutto il mondo – e specialmente in Occidente – (e che) ha un nome: ideologia di genere”» (p. 23).
Il fatto è così evidente che gli Autori, quasi ad ogni pagina, citano elementi più che probanti, a partire dai finanziamenti che negli Stati Uniti ricevono le organizzazioni gay, a suon di milioni di dollari, da aziende e potentati economici come la Apple, la Amazon, la fondazione Rockfeller, la IBM, la Nike, Georges Soros, Bill Gates, e molti altri esponenti della globalizzazione e del secolarismo (cf. p. 27). Ma perché i potentati di cui sopra desiderano sostenere se non imporre le teorie innaturali e malsane del gender e dell’omosessualismo? Secondo gli studiosi lo scopo ultimo che si vuole raggiungere sarebbe la creazione di un uomo nuovo, «un uomo resettato e omologabile, stereotipato e apolide: un perfetto mattone da utilizzare nella costruzione del Nuovo Mondo» (p. 33).
Nel saggio viene mostrato molto bene che questo piano per «convertire le masse all’ideologia gender» (titolo del cap. 4) tende ad impossessarsi della scuola (usandola come palestra di indottrinamento), della cultura in tutti i suoi ambiti (dalla musica all’estetica), dell’economia, del linguaggio (si parla di «neolingua gender»), fino alla medicina e alla legislazione che si mettono ogni giorno di più al servizio di questa nuova ideologia, diretta verso «il transumanesimo» (p. 101). Sta a noi, dopo le analisi di cui sopra, passare al contrattacco e denunciare la grande affabulazione che si nasconde dietro la più mortifera ideologia di tutti i tempi.

(Fonte: Fabrizio Cannone, Corrispondenza Romana, 11 giugno 2014)
http://www.corrispondenzaromana.it/unisex-la-creazione-delluomo-senza-identita/

 

Otto validi motivi contro la legge sull’omofobia

Il professore emerito di Diritto Penale all’Università Firenze, Ferrando Mantovani, è intervenuto nel dibattito sul ddl Scalfarotto contro l’omofobia, che prevede la reclusione per chi «istiga a commettere o commette atti di discriminazione» fondati sull’omofobia o sulla transfobia. Il prof. Mantovani ha bocciato la legge anti-omofobia per 8 motivi, ben ponderati ed esposti con chiarezza.
A) NON NECESSARIA: ha inizialmente osservato che «la proposta di legge è ritenuta da più parti, e non a torto, non strettamente necessaria, essendo sufficiente a tutelare ogni persona contro i deprecabili atti di violenza, di offesa, di discriminazione per ragioni di orientamento sessuale, il ricco armamentario penale dei delitti di percosse, di lesioni, di omicidio, di minacce, di violenza privata, di atti persecutori, di maltrattamenti, di ingiuria, di diffamazione, di discriminazione, in particolare in materia di occupazione e di condizioni di lavoro; tutte aggravate dalla circostanza dei motivi “abietti”, di cui all’art. 61 n.1 c.p.».
B) SI BASA SU ELEMENTI EMOZIONALI: Inoltre, «tale proposta di legge presenta un’inquietante intrinseca pericolosità, quale vulnus ad irrinunciabili principi di civiltà giuridica, in quanto incentrata non su elementi costitutivi di tipo descrittivo o naturalistico, facenti riferimento a realtà individuabili con sufficiente sicurezza. Bensì su elementi costitutivi di natura emozionale, quali l’”omofobia” e la “transfobia”, come tali del tutto vaghi, indeterminati e indeterminabili nella loro portata applicativa; nonché sulla indeterminatezza del concetto di “discriminazione”».
C) TROPPA DISCREZIONALITA’ DEL GIUDICE: è anche a lui evidente che «la suddetta proposta di legge apre, conseguentemente, spazi estremamente ampi alla discrezionalità del giudice e ai suoi possibili soggettivismi (personologici, ideologici, caratteriali), e a possibili decisioni giurisprudenziali opposte: in violazione dei principi, costituzionalizzati, di legalità-tassatività e di eguaglianza del cittadino di fronte alla legge. E particolari inquietudini hanno già sollevato le applicazioni dell’art. 3/1a della l. n. 654/1975 da parte della stessa Corte di cassazione nelle due sentenze della Sez. I, n. 47984 del 22/11/201, e della Sez. IV, n. 41819, del 10/7/2009 (1)».
D) INTRODUCE IL REATO D’OPINIONE: Ci sono inoltre rischi che «il prevedibile esito della proposta di legge (se approvata), stante la sua indeterminatezza, sia quello di perseguire penalmente, in quanto atti di discriminazione fondati sulla omofobia, anche il sostenere l’inammissibilità del matrimonio omosessuale, l’esigenza dei bambini di avere un padre e una madre, il divieto di adozione di bambini da parte delle coppie omosessuali, il formulare giudizi di disvalore degli atti omosessuali sulla base delle Sacre Scritture, della Tradizione della Chiesa cattolica e del pensiero di altre religioni; il semplice citare pubblicamente passi evangelici sulla sodomia; il dibattere se l’orientamento sessuale sia modificabile o immodificabile e se la modificazione sia un’affermazione scientificamente fallace o meno; l’applicare a persone omosessuali, che liberamente lo richiedano, le c.d. terapie riparative per correggere l’orientamento sessuale o considerare meritevole di aiuto il disagio esistenziale di cui soffrono certi omosessuali. Con la conseguente violazione dei diritti, costituzionalizzati, della libertà di manifestazione del pensiero, della libertà religiosa e della libertà di educazione dei genitori verso i figli, comprendente anche l’educazione sessuale».
E) INCENTIVA LA STESSA OMOFOBIA: l’omofobia, ha anche osservato l’emerito giurista, «viene non contrastata, ma incentivata, e nel modo peggiore, con gli atteggiamenti di vituperio, di intimidazione, di arrogante intolleranza, di minacce o di attivazione di azioni penali verso i pensieri divergenti, di cui si ha un crescente sentore; anziché favorito attraverso un confronto ed una discussione, senza forzature, e la proposizione di modelli educativi ispirati al rispetto di ogni persona come tale, a prescindere dagli orientamenti sessuali».
F) HA UNA FUNZIONE MORALIZZANTE: esiste anche uno scopo ideologico: «non ci troviamo di fronte ad un “diritto penale conservativo”, di tutela di specifici beni giuridici, ma ad un “diritto penale propulsivo”, usato cioè come strumento per l’imposizione da una diversa visione sociale, per creare nuova sensibilità, con una funzione c.d. di moralizzazione; finalità che sono state sempre stigmatizzate dalla dottrina penalistica liberaldemocratica e laica».
G) E’ CONTROPRODUTTIVA: inoltre viene osservata la sua inutilità e controproduttività, «perché è quanto mai dubbia l’effettività generalpreventiva di una tale legge, come attestano i periodici ed infruttuosi inasprimenti sanzionatori in materia di violenze sessuali, di pedoprostituzione, di pedopornografia, di atti persecutori, di omicidi e di lesioni personali, causati da gelosia o da utenti della strada sotto l’effetto di sostanze stupefacenti od alcoliche, e più in generale la ininterrotta ed infruttuosa produzione legislativa penale», in quanto «esiste un rapporto di proporzione inversa tra condotta antisociale e validi controlli sociali, nel senso che il numero di coloro che pervengono al delitto cresce col decrescere di tali sistemi normativi di controllo».
Di fronte a comportamenti anti-sociali come l’omofobia, qualora esista veramente, la vera alternativa è «ripristinare il primario sistema dei controlli socio-culturali, sostituendo all’attuale sistema di disvalori criminogeni un sistema di valore anticrimine, incentrato non più sulla degenerazione della “cultura dei diritti” nella “caricatura dei diritti propri”, tendenzialmente illimitati, ma sulla conversione della cultura dei diritti anche nella “cultura dei doveri”, volta a fare emergere nell’uomo la parte migliore e non la peggiore. Operazione che richiede una profonda inversione culturale, assai improbabile finché persiste la diffusa e nichilistica “inappetenza per ogni sistema di valori”». Oppure la rassegnazione ma accompagnata comunque dall’auspicio del «riposo del legislatore, preferibile ad un legiferare frenetico e scomposto, ideologico e nichilistico, frutto di una persistente confusione tra l’”agire” e l’”agitarsi”».

(Fonte: UCCR, 9 giugno 2014)
http://www.uccronline.it/2014/06/06/otto-validi-motivi-contro-la-legge-sullomofobia/

domenica 1 giugno 2014

Suora cantante si, suora cantante no

Mi riferisco all’articolo “Suor Cristina Scuccia o “scoccia?” apparso sul sito “Nuovi Orizzonti” il 30 maggio u.s.
Con tutto il rispetto e l’ammirazione che nutro per “Nuovi Orizzonti” e per la figura di don Giacomo Pavanello, autore dell’articolo, vorrei comunque dire la mia.
Pur condividendo alcune parti della lunga arringa a difesa della suora, ho comunque l’impressione che anche il don, nel suo articolo, pecchi un po’ della stessa superficialità che rimprovera a quanti criticano la suora in TV, scettici sull’opportunità di una siffatta esibizione.
Mi viene quindi spontaneo pensare che forse, invece di imporre tanti interrogativi agli altri, ai non allineati con la sua tesi, avrebbe fatto meglio di porne qualcuno a se stesso e tanti altri alla suora in questione.
Per esempio: a mio avviso è un non senso equiparare l’opera “evangelizzatrice” della suora a quella dei veri e santi evangelizzatori (tra i quali il nostro cita anche Paolo): mai come in questi casi il valore di una missione si valuta dai risultati lasciati sul campo: ora, al di là dei saltellamenti a ritmo di una musica difficilmente inquadrabile come “sacra”, mi piacerebbe conoscere che tipo di “messaggio” sia riuscita a trasmettere la suorina, e soprattutto quale semina in termini di “fede” abbia piantato nel cuore dei suoi osannanti estimatori: ovviamente qui mi riferisco solo al suo ruolo di “cantante”, non certo di “suora”: infatti non mi permetterei mai di dubitare sui sicuri risultati spirituali ottenuti con il carisma del suo essere Suora Orsolina della Sacra Famiglia.
Personalmente in quei pochi minuti che l’ho vista in TV non ho notato molta differenza tra il suo “dimenarsi” davanti alle telecamere - pur riconoscendole una voce potente ed estesa - e quello di tante sue coetanee, che sempre più numerose inseguono la chimera di un’affermazione nell’avaro e spietato mondo dello spettacolo.
E mi chiedo: tra qualche mese la grande massa di teleutenti ricorderà questa giovane suora come portatrice di un “messaggio” cristiano e religioso, oppure più semplicemente come una concorrente tra le tante, che – grazie alla sua “simpatia” e alla singolarità della sua “mise”– si è imposta in una difficile gara canora? Certo sarà anche un bel traguardo il suo: ma quanto le sarà costato in termini di tempo, di preghiere, di vita spirituale, di vita comunitaria, di obblighi vocazionali, inevitabilmente trascurati, messi , anche se solo per poco, in secondo piano? Per carità, lungi da me qualunque giudizio sulle scelte personali di una persona: sono scelte che solo Dio può giudicare.
Cercherò comunque, da normale spettatore, di dare una mia personalissima opinione di questo fenomeno mediatico. E penso, prima di tutto, che sia indispensabile calarlo nel suo contesto, almeno in quella parte affidata al pubblico: mi pare infatti di aver letto che la ragazza si sia fatta suora dopo alcune delusioni proprio nel settore musicale: in altre parole non sarebbe riuscita a “sfondare” e quindi, una volta sentita la chiamata di Dio, avrebbe gettato alle spalle questi suoi sogni, provvedendo a “riprogrammare” le proprie scelte di vita in sintonia con quanto le chiedeva il Signore.
Ma allora: perché ritornare al passato? Perché “insistere” e riproporsi nuovamente sullo stesso “ring”? Perché tanta voglia di riesibirsi? Doveva forse dimostrare qualcosa? Voleva realizzare finalmente un sogno interrotto, facendo leva sulla sua attuale posizione? A beneficio di chi? Per il bene di quale prossimo?
Non mi si venga a dire – come tenta di fare il don – che la sua partecipazione a tale kermesse, sicuramente poco comune per una consacrata, sia avvenuta come risposta di obbedienza ad un ordine specifico dei superiori, avallato magari da curia, vescovi, cardinali, papa e via dicendo...
Penso invece, senza voler essere malpensante né tantomeno “invidioso”, come dice il don, che gli “input” che ne hanno determinato la partecipazione, siano stati, più prosaicamente, l’amore e la predisposizione per il canto, la voglia di riprendersi una rivincita sul passato, il clima esaltante di una gara condotta di fronte a milioni di persone, piuttosto che l’ispirazione divina di “evangelizzare” il popolo di Dio. Anche perché, a cose fatte, i “contenuti” del messaggio offerto, gli effetti “spirituali” suscitati, indurrebbero a pensare proprio alla prima ipotesi, anche se più temeraria.
Infine, assolutamente ridicola mi sembra la giustificazione del don: «se suor Cristina è in tv, significa che vende. Nessun autore avrebbe avvallato la sua presenza se avesse fatto calare lo share. Conseguentemente, se “vende”, significa che c'è domanda. Non è domanda tipica di certo gossip da rotocalco, è domanda di avere uomini e donne di Dio, che con la loro presenza indichino una realtà che supera questo mondo».
Beh, mi sembra che interpretare in questi termini il vero motivo del gradimento del pubblico per la presenza in TV della suora, sia semplicistico e statisticamente improponibile; soprattutto se tale sua presenza fosse stata oggetto di valutazione economica da parte degli organizzatori.
Ora, delle due l’una: o attraverso la partecipazione della suora si voleva rispondere al bisogno di spiritualità della gente, come sostiene il don, oppure il volerla in gara a tutti i costi era un “investimento” di quanti vedevano in lei uno “scoop” in grado di assicurare eccellenti riscontri in termini di pubblicità, di audience, di “share”, e quindi di sicuro guadagno.
E neppure meno scettico mi trova il tentativo del reverendo di giustificare la sua opinione circa l’efficacia spirituale della performance di suor Cristina, adducendo come prova le “lacrime” di J-Ax (chi è costui? un guru, un vate, un padre spirituale?): preferisco interpretare questa sua “commozione” riferita più semplicemente ad una concreta possibilità di affermazione personale, alla vittoria finale, a primati e benefit da cogliere, a pubblicità, carriera, notorietà, piuttosto che ad un “tocco” di grazia spirituale; le vedo più come “lacrime” di gioia per aver azzeccato una “carta” vincente; oppure, in alternativa, lacrime a beneficio del pubblico, sapientemente dosate “ad hoc”, per dare cioè un ulteriore “aiutino” a quella naturale “captatio benevolentiae” suscitata dalla estemporanea esibizione del saio da parte della suora.

(Ma.La. 31 maggio 2014)

 

Quel che i cattolici non hanno capito delle Europee

Non ci sono dati certi di come abbiano votato i cattolici alle recenti europee. L’unico ragionamento che si possa fare a questo riguardo è che essi abbiano complessivamente votato come gli altri italiani. Statisticamente il ragionamento non regge e gli esperti si metterebbero a ridere, ma politicamente forse sì. Anche i cattolici hanno avuto gli 80 euro in busta paga, anche loro avranno avuto un po’ paura di Grillo, anche a loro non è stato offerto granché dal centro destra, anche loro possono essersi fatti catturare dalla pattuglia di governanti “giovani e belli”, anche loro forse si sono astenuti nonostante questa fosse in pratica l’unica cosa che i loro vescovi chiedevano di evitare. 
Ammesso allora che l’esito alle europee possa in qualche modo rappresentare in proporzione anche il voto cattolico, il giudizio valutativo che ne consegue è abbastanza desolante. Se così fosse, significherebbe che il cosiddetto “mondo cattolico”, per usare un eufemismo già vecchio molti anni fa, ha una scadente percezione di alcuni aspetti della posta in gioco che erano in ballo in queste elezioni.
Il primo di questi aspetti è l’Unione europea stessa, che oggi è un pericolo. Non è più sufficiente continuare a richiamare gli ideali dei Fondatori, bisogna guardare in faccia la realtà e muoversi politicamente di conseguenza. Il mondo cattolico questo non lo sta facendo. Questa Unione europea è un pericolo non tanto per i vincoli economici, che possono essere valutati in modo diversificato, ma perché rischia di uccidere le nazioni e i popoli europei. Il cristianesimo incontra le nazioni e i popoli, non le Commissioni o i Parlamenti. L’incontro della Chiesa con le nazioni di questo continente non può essere sostituto dai Trattati. Ma oggi l’Unione impone eccessivamente la sua legge e, addirittura, la sua morale. Siamo governati indirettamente da Bruxelles e le nostre leggi sono fatte a Strasburgo e questo avviene secondo un’ideologia individualista, radicale e di apparato che disarma. Nei campi della vita e della famiglia, ma anche dell’educazione dei nostri figli, del rispetto della legge morale naturale e quindi della filosofia di vita, l’Unione europea entra ormai sistematicamente a gamba tesa e impone i suoi valori, appiattendoci. 
La posizione di Renzi e del PD è conservatrice di questa linea. Non riesco a figurarmi questo governo che ricorre in Europa contro una futura sentenza che vietasse l’esposizione dei crocifissi nei luoghi pubblici. I parlamentari europei del PD della passata legislatura avevano votato tutti la mozione Lunacek. Voteranno a favore anche dalla prossima, insieme ai neo-deputati Grillini. Aver votato in massa per Renzi anche da parte dei cattolici dice che il pericolo dell’Unione non è da essi percepito. 
In campagna elettorale la propaganda ha equiparato automaticamente “euroscettico” e “populista”. Sembrava che il nemico con cui confrontarsi fosse il populismo ed invece era questa Unione europea con la sua ideologia tecnocratica sul piano delle procedure e nichilista sul piano dei valori. E forse in questa trappola sono caduti anche gli elettori cattolici che, per non sembrare populisti hanno avuto paura a presentarsi come euroscettici. Eppure ci sono oggi molte ragioni per essere euroscettici e ci può essere benissimo un euroscetticismo cattolico, se si tratta di difendere la nazione, la morale tradizionale, la famiglia dal pericolo dell’Unione europea. Anche con l’aiuto del voto cattolico, l’Italia è andata invece in controtendenza rispetto alle altre nazioni e ha puntellato di fatto questa Europa.
Quel misto di tecnocrazia delle regole in economia e individualismo delle regole in etica sociale è anche il futuro per il nostro Paese, dato l’esito delle Europee, esito dalle ripercussioni interne molto forti. Come Obama era stato insignito del Nobel della pace prima ancora di iniziare a governare, così Renzi è stato incoronato d’alloro prima ancora di scrivere una sola riga di programma di governo da Palazzo Chigi. Legge Scalfarotto, divorzio breve, unioni civili con adozione di minori, fecondazione eterologa - a sentire il ministro Boschi e nonostante Mario Adinolfi - sono lì lì per arrivare, rafforzati dal 41 per cento delle Europee. Il voto aveva anche questo significato, ma i cattolici non l’hanno compreso e chissà quanti santi preti avranno votato per Renzi, ossia “perché l’Unione europea continui nel recupero dello spirito dei padri fondatori”.
 

(Fonte: Stefano Fontana, La nuova bussola quotidiana, 29 maggio 2014)
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