giovedì 25 marzo 2010

L’ultima paradossale esternazione del vecchio Küng

Ti pareva che l’odio mai sopito di un dissidente frustrato non venisse rispolverato proprio in occasione delle tristi vicende che vedono coinvolta la Chiesa in questi ultimi mesi?
In seguito ai casi di pedofilia ad opera di preti, che tanto hanno fatto scalpore ultimamente in Germania, il teologo svizzero Hans Küng, 81 anni, professore emerito di teologia ecumenica presso l'Università di Tubinga, è intervenuto sull'argomento tramite il giornale Süddeutsche Zeitung, [come ovvio prontamente ripreso a titoli cubitali da Repubblica e da Micromega, solerti portavoce di questo pugile ormai “suonato”] e ha pronunciato parole durissime, venate di autentico rancore. Il fautore del “rinnovamento della Chiesa Romana” e portabandiera dei teologi dissidenti, si è rammaricato perché la chiesa di Roma non si interroghi seriamente, perché il Papa stesso, invece di parlare di pentimento, di richiesta di perdono, di dichiarazioni di profonda tristezza e di shock, non si assuma di fronte al mondo la sua personale e diretta responsabilità di tutto ciò.
Il papa e la chiesa dovrebbero quanto meno aprire un dibattito sul celibato, causa prima della pedofilia [il suo leitmotiv]. Dopo aver ricordato che, solo il dieci per cento dei tedeschi ritiene che la chiesa stia facendo abbastanza a proposito dei preti pedofili, Küng si è chiesto come mai il Papa chiami "sacro" il celibato definendolo un grande dono. Per Hans Küng il celibato più che sacro è infelice, perché esclude innumerevoli buoni candidati dal sacerdozio e induce ad espellere dal loro incarico molti preti sposati. Nihil novi sub sole, in questo: abbiamo sentito e risentito fino alla noia mortale queste tesi partigiane: le conosciamo perfettamente, ma il teologo tedesco non demorde e prosegue: la legge del celibato non è una verità di fede, ricorda Küng, ma una legge della chiesa, che dovrebbe essere abrogata, è in vigore dall'11esimo secolo, ma era già stata contestata dai riformatori nel 16esimo secolo.
Ci sono innumerevoli testimonianze di psicoterapeuti e psicoanalisti, ha continuato a ribadire Hans Küng, secondo i quali il celibato ecclesiastico e il tabù del sesso asseconderebbero le tendenze alla pedofilia, già a partire nei seminari. Quindi per il teologo ribelle i vescovi non solo dovrebbero chiedere perdono, ma dovrebbero anche dichiararsi colpevoli e complici, perché “per decenni, dato il tabù sulla norma del celibato, hanno occultato gli abusi, limitandosi a disporre il trasferimento dei responsabili. Tutelare i preti era più importante che proteggere bambini”. E quindi, “in nome della verità, Joseph Ratzinger, l’uomo che da decenni è il principale responsabile dell`occultamento di questi abusi a livello mondiale [sic!], avrebbe dovuto pronunciare a sua volta un mea culpa”, assumendosi a sua volta le proprie responsabilità, anziché lamentarsi di una campagna che sarebbe in atto contro la sua persona”.
E qui prosegue nella sua accusa infamante, che peraltro l’esatta ricostruzione storica ha ampiamente dimostrato come totalmente falsa; ma lo fa comunque, pur sapendo di mentire, con l’unico scopo di insultare e gettare fango sulla figura del Pontefice, altrimenti inattaccabile: “Per otto anni docente di teologia a Regensburg e in stretti rapporti col fratello Georg, maestro della cappella del Duomo (Domkapellmeister), Joseph Ratzinger era perfettamente al corrente della situazione dei Domspatzen, i piccoli cantori di Regensburg. E non si tratta qui dei ceffoni, purtroppo all’ordine del giorno a quei tempi, bensì anche di eventuali reati sessuali. Arcivescovo di Monaco per cinque anni, in un periodo durante il quale un prete, trasferito nel suo episcopato, perpetrò una serie di ulteriori abusi che oggi sono venuti alla luce. Anche se Mons. Gerhard Gruber, suo vicario generale, oltre che mio ex collega di studi, si è assunta la piena responsabilità di questi episodi, la sua lealtà non poteva bastare a scagionare l`arcivescovo, responsabile anche sul piano amministrativo”.
Rispondere a questo squallido delirio di idiozie è tempo sprecato. Quello che mi preme sottolineare è che le solite pattumiere dell’informazione – sempre quelle, Adista, Micromega e Repubblica & Co. – siano alla ricerca scientifica di ogni escremento esibito a livello mondiale, purché sparli della Chiesa e del Papa. Salvo poi, in occasione delle imminenti elezioni che vorrebbero insediata a Roma, centro della cristianità, una Emma Bonino che tutti conosciamo, ergersi con lei a paladini dei valori non negoziabili del cattolicesimo. Mah. In questo mondo distorto, non finisco mai di stupirmi! Che dire? Auspico che in un barlume di improbabile lucidità il Küng si degni almeno di leggere la Lettera ai cattolici d’Irlanda del Papa; e sia sobrio quel tanto per ricredersi e capire la portata delle sue corbellerie insolenti, provandone in cuor suo almeno una profonda vergogna. Il Signore lo assista in questo.

(Fonte: Administrator, 24 marzo 2010)

I pastrocchi di Casini in supporto alla Bresso

E se alla fine a tagliare la strada a Mercedes Bresso nella sua corsa verso la riconferma alla guida del Piemonte fossero proprio gli elettori dissidenti dell’Udc? Già, perché delusi dalla casiniana “politica dei due forni” (alleanze variabili nelle diverse regioni) che da queste parti prevede l’appoggio alla zapateriana governatrice e alla sua prodiana coalizione (dentro tutti: dall’estrema sinistra ai radicali passando per l’Idv), i fans di Pierferdinando Casini potrebbero dirottare il voto sullo sfidante di centrodestra, il candidato leghista. «Fantapolitica – reagisce il segretario regionale dell’Udc – la nostra è una linea che non guarda le etichette, la destra o la sinistra, ma valorizza i programmi e la qualità delle persone. Non è stata una scelta facile, ma gli elettori incominciano ad apprezzarla e ci seguiranno…».
Apprezzano anche l’elevato tasso di laicismo e anticlericalismo esibito dalla presidente Bresso? «Mercedes non ha mai nascosto il suo pensiero. Noi, con lei, abbiamo sottoscritto un patto con il quale ci si impegna ad astenersi da interventi normativi contrari a princìpi quali la centralità della persona, della famiglia, la tutela della vita. Ci sentiamo garantiti da questo accordo, molto più che dall’appoggiare un candidato espressione di un partito come la Lega per il quale l’immigrato è un nemico da abbattere…».
A taccuino chiuso e microfono spento, però, un dirigente torinese delle truppe di Casini la mette giù così: «Inutile girarci intorno: la base è disorientata e ci attendiamo un calo di consensi. Speriamo di tenere e di arrivare intorno al 4,5 per cento (alle regionali del 2005 l’Udc ottenne il 4,6, alle politiche del 2008 il 5,2 per cento, alle europee dello scorso anno il 6,1, ndr), ma sarà dura. Se dovessimo scendere sotto il 4 per cento, è ovvio, salterebbero i vertici regionali». Ma perché puntare su Bresso? Perché scegliere la “Zarina” che equiparò il Gay Pride a una processione religiosa («Entrambe sono manifestazioni di orgoglio identitario»), a suo tempo offrì la disponibilità degli ospedali pubblici piemontesi per la morte di Eluana Englaro («Tutti sappiamo che la vita di Eluana è artificiale e che alimentazione e idratazione sono trattamenti medici», dichiarò) e alla reazione contrariata dell’arcivescovo di Torino Raffaele Poletto rispose: «Non viviamo in una repubblica di ayatollah»? Per tacere, naturalmente, della sua stima nei confronti del cattolicesimo («Se dovessi convertirmi non abbraccerei certo la religione cattolica, diventerei valdese»), della sua collaborazione, in tema di aborto, con Franca Rame ed Emma Bonino e del suo mostrarsi favorevole all’uso della pillola Ru486 («Una soluzione dal punto di vista medico che permette alle donne di soffrire meno»). Insomma non esattamente il massimo quanto a rispetto dei cosiddetti valori non negoziabili per i cattolici. Allarga le braccia, il nostro dirigente: «Quello con Mercedes Bresso non è un matrimonio: abbiamo cercato di scegliere il male minore. Lo ripeto: per noi l’accoglienza e l’integrazione sono valori irrinunciabili, per la Lega no. Tant’è che se il candidato di centrodestra fosse stato espressione del Pdl l’avremmo sostenuto volentieri». Antonello Angeleri ha un passato nell’Udc e un presente nella Lega: «La nostra posizione sull’immigrazione è di limpido buon senso: chi viene per lavorare e per integrarsi è accolto a braccia aperte, mentre non ci può essere spazio per chi non rispetta la convivenza civile e le nostre tradizioni». Osserva il senatore Enzo Ghigo: «La classe dirigente dell’Udc ha fatto una scelta di potere che non verrà seguita dalla base. Rispetto all’appoggio dato a Bresso, gli elettori moderati sono meno ingenui e meno ambigui dei vertici del partito e li puniranno. Me ne rendo conto facendo campagna elettorale in giro per il Piemonte: quella gente si sente tradita. La stessa recentissima uscita dal partito del capogruppo Udc in Regione, Deodato Scanderebech, che ha poi creato una lista autonoma di sostegno a Cota, è un segnale che non dovrebbero trascurare». Anche la decisione del sindaco di Torino star del Pd locale, Sergio Chiamparino, di “celebrare” il matrimonio simbolico tra due donne omosessuali non ha scatenato tempeste di entusiasmo nel mondo di riferimento dell’Udc. Resta da vedere se tutto questo contribuirà davvero a far uscire di strada l’agguerrita Mercedes.

(Fonte: Mauro Pianta, Tempi, 19 marzo 2010)

Cattolici, non votate la Bonino!

Candidata alla presidenza della Regione Lazio, Emma Bonino da sempre è portabandiera di una politica che significa più individualismo, più ultraliberismo, più droga libera, più aborto, più eutanasia, più disgregazione della famiglia, più aperture ai matrimoni omosessuali, più sperimentazioni sugli embrioni, insomma, più tutto quello che un cattolico dovrebbe aborrire.
Emma Bonino è tutto questo, se ne vanta, e per questo si batte.
Darle dell’abortista non significa insultarla, ma anzi riconoscere un suo tratto distintivo, di cui è fiera. Quante volte l’abbiamo sentita dire che quella per l’aborto è stata una battaglia di civiltà? E quante volte l’abbiamo sentita dire, anche nel recente passato, che l’eutanasia è un atto di umanità?
Mandare alla presidenza della propria regione un personaggio di questo genere, per un cattolico è una vera e propria apostasia, un rinunciare alle proprie convinzioni, una resa senza condizioni. Non ci si può nascondere dietro un dito, stavolta. Non si può nemmeno dire che in fondo il voto amministrativo si basa sulle persone, più che sugli schieramenti, perché in questo caso è proprio la persona ad essere messa in discussione.
So per certo di politici del PD che, accolti nelle parrocchie, tengono incontri per portare voti ad Emma Bonino; ho avuto modo di riportare alcuni sondaggi svolti nelle parrocchie e nei centri sociali cattolici del Lazio che offrono un quadro inquietante di indifferenza, disinteresse e ignoranza, con percentuali significative pro Bonino.
E i parroci che dicono? I loro più stretti collaboratori? La direttrice della mensa Caritas di Viterbo, in questo senso, è tristemente famosa: è colei che ha dichiarato ad un giornalista del Foglio che voterà la Bonino perché “è una brava persona e sta dalla parte degli ultimi”. Le hanno chiesto che ne pensava della sua linea abortista. Risposta “bisogna rispettare le opinioni di tutti”.
Ecco, questo è un esempio lapalissiano e tragico di quella che si dice mancanza di chiarezza di giudizio diffusa nel mondo sedicente cattolico. E c’è purtroppo da credere che questi giudizi non verranno minimamente scossi dalle indicazioni dei vescovi.
Come cattolico non posso assolutamente giustificare la posizione preconcetta di tanta gente alla Rosy Bindi – che abbonda nelle sacrestie di tutta Italia, negli uffici di curia, nelle pompose commissioni diocesane – che pur di non prendere in esame l’alternativa, anche se valida ma suggerita dall’odiato Berlusconi, preferisce scendere a compromessi ingiustificabili con la propria fede cattolica; non riesco a capire il cattolico che non ha ribrezzo, un sincero ribrezzo, nel mettere la croce sulla scheda elettorale con la quale consegnerà la Regione Lazio ad Emma Bonino. La quale, se è vero che è una persona onesta e coerente, non perderà tempo a trasformare la nostra Regione in un laboratorio politico anticristiano.
Dove sbaglia il cattolico che vota Bonino? Nel fatto che mette al primo posto, nella sua scala di valori, l’onestà e la predilezione per gli “ultimi”! Sono due cose importanti, ma che non possono stare al primo posto.
Nella storia del cristianesimo vi sono stati molti onesti, poveri e “puri” (i catari, per esempio), che furono combattuti duramente dai cattolici. Non perché non fossero “brave persone”, ma perché diffondevano una pratica ed un pensiero radicalmente anticristiano. Cosa ce ne facciamo di una “brava persona” che incoraggia aborto ed eutanasia? Cosa ce ne facciamo di una persona che sta dalla parte di tutti gli “ultimi”, purché non siano i bambini nel grembo della madre? Cosa ce ne facciamo di una persona che proclama il relativismo, il nichilismo, il “fai quello che ti pare”, anche se questo significa lasciare la gente nella propria disperazione? Che ce ne facciamo di una persona che si batte per i “sacrosanti diritti” di una coppia omosessuale, magari anche quello di adottare figli? Che senso ha sostenere un pensiero eretico, che ribalta dalle fondamenta la cultura e la civiltà cristiana?
Per questo la scelta, per un cattolico che deve fare i conti con la propria coscienza, è una sola: non votare Emma Bonino.

(Fonte: Administrator, 24 marzo 2010)

Un Papa, due Chiese. Quello scisma strisciante che divide il mondo cattolico

Gli attacchi al papa hanno ormai un aspetto nuovo e veramente inquietante. Vengono da fuori la Chiesa ma anche da dentro, nella forma delle aperte denunce come quella di Hans Küng su Repubblica di qualche giorno fa o nel sistematico, tacito boicottaggio del suo insegnamento. Ad essere realisti sembra ormai che esistano come due Chiese, che ci sia uno scisma in atto, che due pastorali molto diverse evidenzino due ecclesiologie altrettanto diverse.
Mentre la stampa tentava di coinvolgere il papa nella questione pedofilia, sostenendo che un sacerdote accusato di simili atteggiamenti era stato accolto nella diocesi di Monaco e Frisinga ai tempi dell’episcopato del cardinale Ratzinger, sul giornale “La Repubblica” il teologo Hans Küng, amico di un tempo, si è scagliato contro la persona di Joseph Ratzinger sia come teologo, sia come vescovo, sia come Prefetto della Congregazione della Fede e infine come Pontefice per aver causato, a suo dire, la pedofilia di alcuni ecclesiastici mediante la sua teologia e il suo magistero sul celibato. E’ in fin dei conti comprensibile, anche se non giustificabile, che contro il Papa si avventino i nuovi laicisti di un’Europa sempre maggiormente impegnata a estromettere il cristianesimo dalla propria storia futura, mediante la legislazione, l’educazione scolastica e i cambiamenti nel costume, anche se una virulenza da kulturkampf di questo tipo non era prevedibile. Quanto invece preoccupa sono gli attacchi al papa da dentro la Chiesa. Questi sono però di due tipi. Una forma particolarmente evidente è quella alla Küng, o ieri alla Martini, apertamente polemica, ostensiva di sé, che trova spazio nei giornali. Un’altra è più nascosta dentro la vita quotidiana della cattolicità, più normale e diffusa.
Molti cattolici non accusano apertamente il Pontefice, ma mettono la sordina ai suoi insegnamenti, non leggono i documenti del suo magistero, se li leggono non ne tengono conto o scrivono e parlano sostenendo esattamente il contrario di quanto egli dice, danno vita ad iniziative pastorali e culturali, per esempio sul terreno delle bioetica oppure del dialogo ecumenico, in aperta divergenza con quanto egli insegna. Si tratta di atteggiamenti sistematici e pianificati. Benedetto XVI ha dato degli insegnamenti sul Vaticano II che moltissimi cattolici apertamente contrastano, promuovendo forme di di sistematico magistero parallelo guidati da molti “antipapi”che vivono dentro la Chiesa; ha dato degli insegnamenti sui “valori non negoziabili” che moltissimi cattolici minimizzano o reinterpretano e questo avviene anche da parte di teologi e commentatori di fama ospitati sulla stampa cattolica; ha dato degli insegnamenti sul primato della fede apostolica nella lettura sapienziale degli avvenimenti e moltissimi continuano a parlare di primato della situazione, o della prassi o dei dati delle scienze umane; ha dato degli insegnamenti sulla coscienza e sulla dittatura del relativismo ma moltissimi antepongono la democrazia o la Costituzione al Vangelo. Per molti la Dominus Jesus, la Nota sui cattolici in politica del 2002, il discorso di Regensburg del 2006, la Caritas in veritate è come se non fossero mai state scritte, anzi è come se fossero sbagliate.
Docenti degli studi teologici e degli Istituti di scienze religiose, opinionisti che scrivono quasi quotidianamente sui giornali cattolici, giornalisti dei settimanali diocesani, padri gesuiti e non che gestiscono centri culturali nelle varie diocesi: la chiesa che di fatto opera contro il papa è molto ramificata e ormai divide trasversalmente anche il clero. Ho occasione di girare molto nelle diocesi per incontri e conferenze. Sistematicamente ormai mi capita di avere davanti a me sempre un uditorio diviso in due. Anche quando si tratta di sacerdoti. Da un lato il primato della fede, l’idea che il mondo abbia bisogno di salvezza, che il dialogo ecumenico e religioso non comporta la rinuncia alla unicità della salvezza in Cristo, che la tradizione è una sola, che il cristianesimo è religio vera, che la coscienza senza la verità è arbitrio; dall’altra il primato della situazione che provoca il Vangelo, l’idea che il mondo salvi la Chiesa e che Enzo Bianchi o Serge Latouche siano il magistero, che il dialogo non comporta nessuna identità cattolica, che il Vaticano II è inizio di una nuova fase della vita della Chiesa, che il cristianesimo non ha a che fare con la verità che è sempre ideologia, che la coscienza personale è l’ultimo tribunale. Due ecclesiologie che danno vita per forza a due pastorali diverse: pastorale evangelizzante e della riconoscibilità pubblica del cristianesimo l’una, pastorale dell’accompagnamento al mondo senza pretesa di illuminarlo l’altra.
Nelle chiese locali questa situazione crea notevoli difficoltà. Molti vescovi non riescono più ad imprimere una linea, negli studi teologici si insegnano molte dottrine strane, i fedeli sono spesso disorientati, nei decanati e nelle vicarie non si produce pastorale di respiro perché i preti stessi sono divisi tra loro nei due schieramenti, i sinodi sono spesso luoghi di confronto anche duro tra le due anime, i temi caldi della vita, della famiglia, dei rapporti con le altre religioni sono impostati in modi molto diversi da parrocchia a parrocchia e da diocesi a diocesi.
Il Papa sempre di più sta divenendo segno di contraddizione. Nei fatti e nella prassi quotidiana sembrano esserci due chiese, c’è uno scisma strisciante o forse già in atto solo che nell’accentuato pluralismo di oggi non viene formalizzato. La fedeltà al Papa oggi è atteggiamento di demarcazione, segno di discrimine, questione veramente dirimente.

(Fonte: Stefano Fontana, l’Occidentale, 21 Marzo 2010)

Una Italia anticristiana

Sempre più di frequente il discorso pubblico delle società occidentali mostra un atteggiamento sprezzante, quando non apertamente ostile, verso il Cristianesimo. All'indifferenza e alla lontananza che fino a qualche anno fa erano la regola, a una secolarizzazione per così dire silenziosa, vanno progressivamente sostituendosi un'irrisione impaziente, un'aperta aggressività che non è più solo appannaggio di ristrette cerchie di colti, come invece avveniva un tempo. Il bersaglio vero e maggiore è nella sostanza l’idea cristiana nel suo complesso, come dicevo, ma naturalmente, non foss'altro che per ragioni numeriche e di rappresentanza simbolica, sono poi quasi sempre il cattolicesimo e la sua Chiesa a essere presi in special modo di mira. Dappertutto, ma, come è ovvio, in Italia più che altrove.
Il celibato, il maschilismo, la pedofilia, l'autoritarismo gerarchico, la manipolazione della vera figura di Gesù, l'adulterazione dei testi fondativi, la complicità nella persecuzione degli ebrei, le speculazioni finanziarie, il disprezzo verso le donne e la conseguente negazione dei loro «diritti », il sessismo antiomosessuale, il disconoscimento del desiderio di paternità e maternità, il sostegno al fascismo, l'ostilità all'uso dei preservativi e dunque l'appoggio di fatto alla diffusione dell'Aids, la diffidenza verso la scienza, il dogmatismo e perciò l'intolleranza congenita: la lista dei capi d'accusa è pressoché infinita, come si vede, e se ne assommano di vecchi, di nuovi e di nuovissimi. Ma da un po' di tempo vi si aggiunge qualcosa che contribuisce a dare a quelle imputazioni un peso e un senso diversi, un impatto più largo e distruttivo, finendo per unirle tutte nel segno di un attacco solo complessivo. Questo qualcosa è un radicalismo enfatico nutrito d'acrimonia; è, insieme, una contestazione sul terreno dei principi, un chiedere conto dal tono oltraggiato e perentorio che dà tutta l'idea di voler preludere a una storica resa dei conti. Ciò che più colpisce, infatti, della situazione odierna – e non solo immagino chi è credente ma pure, e forse più, chi non lo è – è soprattutto l'ovvietà ideologico-culturale della posizione anticristiana, la sua facile diffusione, oramai, anche in ambienti e strati sociali non particolarmente colti ma «medi», anche «popolari». Ai preti, alla Chiesa, alla vicenda cristiana non viene più perdonato da nessuno più nulla. Si direbbe — esagero certo, ma appena un poco — che ormai nelle nostre società, a cominciare dall'Italia, lo stesso senso comune della maggioranza stia diventando di fatto anticristiano. Anche se esso preferisce perlopiù nascondersi dietro la polemica contro le «colpe» o i «ritardi» della Chiesa cattolica.
Tra i tanti e assai complessi motivi che stanno dietro questa grande trasformazione dello spirito pubblico del Paese ne cito tre che mi paiono particolarmente significativi.
Al primo posto l'ingenuità modernista, l'illuminismo divenuto chiacchiera da bar. Ci piace pensarci compiutamente moderni, e modernità sembra voler dire che gli unici limiti legittimi siano quelli che ci poniamo noi stessi.
Le vecchie autorità sono tutte morte e al loro posto ha diritto di sedere solo la Scienza. Siamo capaci di amministrarci finalmente da soli, non c'è bisogno d'alcuna trascendenza che c'insegni dov'è il bene e dov'è il male. Che cosa c'entrano dunque la religione con i suoi comandamenti, i preti con i loro divieti? Accade così che ogni cosa che getta ombra sull' una o sugli altri ci appaia allora come la rassicurante conferma della nostra superiorità: alla fin fine siamo migliori di chi pure vorrebbe farci continuamente la lezione.
E poi — ecco un secondo motivo — la Chiesa e tutto ciò che la riguarda (religione inclusa) ricadono nella condanna liquidatoria del passato, di qualsiasi passato, che in Italia si manifesta con un'ampiezza che non ha eguali. Il che significa non solo che tutto ciò che è antico, che sta in una tradizione, è perciò stesso sempre più sentito come lontano ed estraneo (unica eccezione l'eno-gastronomia: l'ideologia dello slow food è la sola tradizione in cui gli italiani di oggi si riconoscono realmente), ma significa anche, questa messa in mora del passato, che il pensare in termini storici sta ormai diventando una rarità. Sempre più diffusi, invece, l'ignoranza della storia, dei contenuti reali delle questioni, e l'antistoricismo, l'applicazione dei criteri di oggi ai fatti di ieri: da cui la ridicola condanna di tutte le malefatte, le uccisioni e le incomprensioni addebitabili al Cristianesimo, a maggior gloria di un eticismo presuntuoso che pensa di avere l'ultima parola su tutto.
E da ultimo il cinismo della secolare antropologia italiana, e cioè il fondo limaccioso che si agita al di sotto dell'appena sopraggiunta ingenuità modernista. Il cinismo che sa come va il mondo e dunque non se la beve; che appena sente predicare il bene sospetta subito il male; che ha il piacere dello sporco, del proclamarne l'ubiquità e la forza. Quel feroce tratto nazionale che per principio non può credere in alcuna cosa che cerchi la luce, che miri oltre e tenga lo sguardo rivolto in alto, perché ha sempre bisogno di abbassare tutto alla sua bassezza.

(Fonte: Ernesto Galli Della Loggia, Corriere della Sera, 21 marzo 2010)

Incubi Kafkiani

Voi conoscete la situazione kafkiana del romanzo “Il processo”. Il protagonista si scontra contro un potere anonimo, impenetrabile, misterioso. Il protagonista sa di essere sotto processo, ma non sa perché, non sa cosa ha fatto. L’unica certezza che ha è, appunto, quella di essere l’oggetto delle attenzioni della Giustizia.
E voi sapete anche di sicuro come si viveva nell’URSS di Stalin quando il capo supremo aveva deciso che eri un nemico del popolo. Anche in quel caso non sapevi nemmeno tu di cosa eri imputato, quali erano le prove contro di te, ma sapevi che tutti sapevano. Eri già condannato prima ancora di essere stato processato. Orwell ci ha raccontato l’incubo del regime totalitario che si basa sulla polizia politica nel suo famoso “1984”: Winston, il protagonista, indovina da silenzi, sguardi, atteggiamenti il suo essere diventato nemico del Grande Fratello.
C’è un altro romanzo in cui questa situazione emerge con forza e con estrema e chiarezza: è “Vita e destino” di Grossman, che lo stalinismo l’ha vissuto in prima persona. In questo testo si sente anche l’angoscia di non avere la possibilità di esprimersi liberamente, perché il regime ha orecchie ovunque e i tuoi discorsi, le tue parole, possono essere intercettati, ripresi, stravolti, riportati in un certo modo e saranno inevitabilmente utilizzati per distruggerti.
In tutti questi casi, l’uomo è ridotto ad un nulla di fronte all’arroganza, all’invadenza, all’onnipotenza del Potere. Si tratti del signor K., di Winston o dello scienziato Strum, l’individuo è costretto a mendicare dal Potere la possibilità di esistere e non è assolutamente padrone del proprio destino, del proprio futuro, della propria vita, reputazione, fortuna. E’ nelle mani di altri.
Adesso, dite quello che vi pare, ma a me sembra letteralmente allucinante quello che è avvenuto in questi giorni a partire da un’inchiesta della Procura di Trani. Il Presidente del Consiglio ha saputo di esservi coinvolto direttamente dai giornali, senza essere stato raggiunto da un avviso di garanzia. Mi sembra che ci troviamo in pieno nella dinamica totalitaria e kafkiana appena ricordata. Non solo: il Presidente del Consiglio ha dovuto farsi avanti lui a chiedere ufficialmente alla Procura se per caso vi fosse un’inchiesta che lo coinvolgeva. Se questo è normale, allora vuol dire che la gente convive con delle dinamiche da regime dittatoriale e nemmeno se ne rende più conto.
Questo doversi sentire accusato di qualcosa che tutti conoscono ma che l’accusato non conosce; questo doversi chinare umilmente davanti al Potere anonimo e supremo, per chiedere gentilmente qualche lume sulla propria posizione; questo essere da tutti condannato prima ancora di aver saputo di cosa e per che cosa e perché, è qualcosa che si provava in URSS al tempo delle famigerate purghe. Oggi, come ieri, il Potere colpisce attraverso l’apparato dei tribunali e ti sputtana davanti a tutti e ti bolla come inaffidabile, nemico del popolo, mascalzone, grazie alla gran cassa della stampa, dei mezzi d’informazione, dei suo servi e galoppini sparsi ovunque e ben piantati nei posti strategici. In un attimo sei finito: zero assoluto, nulla, fatto fuori.
Oggi capita a Berlusconi. Domani capiterà a qualcun altro. Un giorno potrebbe toccare a ciascuno di noi. Basta una frase intercettata, una battuta al telefono, la maledizione lanciata contro qualcuno, l’aver dato del gay a Luxuria durante una chiacchierata al telefono, e sei portato in tribunale, con scandalo sommo, non senza essere diventato il mostro dei giornali. È un incubo solo a pensarci. Un incubo kafkiano.

(Fonte: Gianluca Zappa, La Cittadella, 17 marzo 2010)

Marcello Pera su preti pedofili e l'attacco al Papa

È quanto meno emblematico il fatto che in presenza di una latitanza quasi generale del Vaticano e dei Vescovi, sia un laico, Marcello Pera, a prendere posizione sulla campagna mediatica sferrata contro il Papa in tema di preti pedofili. E lo fa con questa lettera aperta al "Corriere della Sera" in cui si schiera apertamente in difesa del Pontefice e dei principi etici cristiani.
Caro Direttore, La questione dei sacerdoti pedofili o omosessuali scoppiata da ultimo in Germania ha come bersaglio il Papa. Si commetterebbe però un grave errore se si pensasse che il colpo non andrà a segno data l'enormità temeraria dell'impresa. E si commetterebbe un errore ancora più grave se si ritenesse che la questione finalmente si chiuderà presto come tante simili. Non è così
È in corso una guerra. Non propriamente contro la persona del Papa, perché, su questo terreno, essa è impossibile. Benedetto XVI è reso inespugnabile dalla sua immagine, la sua serenità, la sua limpidezza, fermezza e dottrina. Basta il suo sorriso mite per sbaragliare un esercito di avversari. No, la guerra è fra il laicismo e il cristianesimo. I laicisti sanno bene che, se uno schizzo di fango arrivasse sulla tonaca bianca, verrebbe sporcata la Chiesa, e se fosse sporcata la Chiesa allora lo sarebbe anche la religione cristiana. Per questo i laicisti accompagnano la loro campagna con domande del tipo "chi porterà più i nostri figli in Chiesa?", oppure "chi manderà più i nostri ragazzi in una scuola cattolica?", oppure ancora "chi farà curare i nostri piccoli in un ospedale o una clinica cattolica?".
Qualche giorno fa una laicista si è lasciata sfuggire l'intenzione. Ha scritto: "l'entità della diffusione dell'abuso sessuale su bambini da parte di sacerdoti mina la stessa legittimazione della Chiesa cattolica come garante della educazione dei più piccoli". Non importa che questa sentenza sia senza prove, perché viene accuratamente nascosta "l'entità della diffusione": un per cento di sacerdoti pedofili? dieci per cento? tutti? Non importa neppure che la sentenza sia priva di logica: basterebbe sostituire "sacerdoti" con "maestri" o con "politici" o con "giornalisti" per "minare la legittimazione" della scuola pubblica, dei parlamenti o della stampa. Ciò che importa è l'insinuazione, anche a spese della grossolanità dell'argomento: i preti sono pedofili, dunque la Chiesa non ha autorità morale, dunque l'educazione cattolica è pericolosa, dunque il cristianesimo è un inganno e un pericolo.
Questa guerra del laicismo contro il cristianesimo è campale. Si deve portare la memoria al nazismo e al comunismo per trovarne una simile. Cambiano i mezzi, ma il fine è lo stesso: oggi come ieri, ciò che si vuole è la distruzione della religione. Allora l'Europa pagò a questa furia distruttrice il prezzo della propria libertà. à incredibile che soprattutto la Germania, mentre si batte continuamente il petto per la memoria di quel prezzo che essa inflisse a tutta l'Europa, oggi, che è tornata democratica, se ne dimentichi e non capisca che la stessa democrazia sarebbe perduta se il cristianesimo venisse ancora cancellato. La distruzione della religione comportò allora la distruzione della ragione. Oggi non comporterà il trionfo della ragion laica, ma un'altra barbarie.
Sul piano etico, è la barbarie di chi uccide un feto perché la sua vita nuocerebbe alla "salute psichica" della madre. Di chi dice che un embrione è un "grumo di cellule" buono per esperimenti. Di chi ammazza un vecchio perché non ha più una famiglia che se ne curi. Di chi affretta la fine di un figlio perché non è più cosciente ed è incurabile. Di chi pensa che "genitore A" e "genitore B" sia lo stesso che "padre" e "madre". Di chi ritiene che la fede sia come il coccige, un organo che non partecipa più all'evoluzione perché l'uomo non ha più bisogno della coda e sta eretto da solo. E così via.
Oppure, per considerare il lato politico della guerra dei laicisti al cristianesimo, la barbarie sarà la distruzione dell'Europa. Perché, abbattuto il cristianesimo, resterà il multiculturalismo, che ritiene che ciascun gruppo ha diritto alla propria cultura. Il relativismo, che pensa che ogni cultura sia buona quanto qualunque altra. Il pacifismo che nega che il male esiste. Oppure resterà quell'europeismo retorico e irresponsabile che dice che l'Europa non deve avere una propria specifica identità, ma essere il contenitore di tutte le identità. Salvo poi ricredersi e andare nella cattedrale di Strasburgo a dire: "ora abbiamo bisogno dell'anima cristiana dell'Europa".
Questa guerra al cristianesimo non sarebbe così pericolosa se i cristiani la capissero. Invece, all'incomprensione partecipano molti di loro. Sono quei teologi frustrati dalla supremazia intellettuale di Benedetto XVI. Quei vescovi incerti che ritengono che venire a compromesso con la modernità sia il modo migliore per aggiornare il messaggio cristiano. Quei cardinali in crisi di fede che cominciano a insinuare che il celibato dei sacerdoti non è un dogma e che forse sarebbe meglio ripensarlo. Quegli intellettuali cattolici felpati che pensano che esista una questione femminile dentro la Chiesa e un non risolto problema fra cristianesimo e sessualità. Quelle conferenze episcopali che sbagliano l'ordine del giorno e, mentre auspicano la politica delle frontiere aperte a tutti, non hanno il coraggio di denunciare le aggressioni che i cristiani subiscono e l'umiliazione che sono costretti a provare dall'essere tutti, indiscriminatamente, portati sul banco degli imputati. Oppure quei cancellieri venuti dall'Est che esibiscono un bel ministro degli esteri omosessuale mentre attaccano il Papa su ogni argomento etico, o quelli nati nell'Ovest, i quali pensano che l'Occidente deve essere laico, cioè anticristiano.
La guerra dei laicisti continuerà, se non altro perché un Papa come Benedetto XVI che sorride ma non arretra di un millimetro la alimenta. Ma se si capisce perché non si sposta, allora si prende la situazione in mano e non si aspetta il prossimo colpo. Chi si limita soltanto a solidarizzare con lui o è uno entrato nell'orto degli ulivi di notte e di nascosto oppure è uno che non ha capito perché ci sta.

(Fonte: Corriere della sera, 19 marzo 2010)

Simona Ventura: quella che in tv fa ciò che le pare. E poi straparla o sta zitta a sproposito

Il filosofo Karl R. Popper in «Cattiva maestra la televisione» invocava per i conduttori televisivi una patente. L’idea gli era venuta osservando il degrado sociale «per via dell’impetuosa presenza mediatica nella vita della gente». Secondo il filosofo, per un compito così importante occorrevano persone responsabili e preparate.
Popper, però, non ha mai conosciuto la Ventura. E con tutta probabilità Simona non ha mai conosciuto il filosofo. Quando morì nel settembre 1994, lei era appena approdata a «Mai dire goal». E, a quanto oggi è dato di vedere e di sentire, aveva ben altro di cui occuparsi, che di uno che parlava di patenti e regole...
Dal 1994, di Popper – soprattutto in televisione – si parla sempre meno, mentre Simona Ventura è diventata una sorta di regina del piccolo schermo. Una che si muove nella televisione italiana come fosse a casa sua, cioè facendo quello che le pare. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, ma ricordarlo sembra non sia né elegante né alla moda.
La perfetta, magnifica, coraggiosa, moderna, intelligentissima Simona ha solo un difetto. Uno solo? Sì, uno solo: non riguarda mai i programmi che conduce. Dovete capirla: ha talmente tante cose da fare e tante nuove idee da sfornare che non può perdere tempo dietro a simili dettagli. Peccato. Perché se solo avesse rivisto, non tutta la puntata dell’ultima «Isola dei famosi» ma almeno le parti in cui si è «confrontata» con Aldo Busi, avrebbe capito che in lei albergano due donne: Simona e Ventura. La prima è aggressiva, disinibita e per questo nell’onda del politicamente corretto.
La seconda è una donna che studia e si prepara ma soprattutto che conosce le regole del vivere civile. Se di fronte ai deliri dello scrittore contro il Papa, la conduttrice ha taciuto (forse Simona e Ventura stavano lottando per decidere cosa dire), alla fine del collegamento le sue due anime hanno prodotto un’unica frase, firmata metà per una: «Non sono assolutamente d’accordo con le offese che dice Busi, sono delle offese che non vanno assolutamente ripetute (Ventura), però è giusto che ogni punto di vista venga rappresentato, è giusto sempre, e questa trasmissione per quanto possibile lo farà (Simona)». Rivedere (e riascoltare) per credere.
Sorvoliamo sul fatto che se un’affermazione non può essere ripetuta è difficile che possa essere rappresentata. Sorvoliamo. E proviamo a tornare a Popper. Se la proposta del filosofo di dotare i conduttori televisivi di un patentino è fallita, lo si deve soprattutto al fatto che i signori della tv sono un’autentica casta. Un mondo «gelatinoso» diviso per bande (capitanate dai vari agenti delle star) all’interno delle quali tutti si spalleggiano. Prendete Simona. Mentre Busi, l’altra sera, attaccava il Papa, lei è stata zitta. Ma appena lo scrittore ha criticato la sua amica Mara Venier, accusandola di essersi rifatta, Simona, da fan di Voltaire, non ci ha visto più: «Aldo, io sono arrabbiata con te. Perché non puoi offendere i miei ospiti in studio».
Già: se Aldo, «l’esteta della trasgressione», si fosse «limitato» all’«Isola» ad attaccare e offendere il Papa, per Simona tutto sarebbe stato normale. La Ventura, capace di correttezza e buon senso, evidentemente in quel momento dormiva. Come i dirigenti Rai, i quali – dopo avere deciso di allontanare Busi da tutti i programmi dell’azienda – ieri hanno permesso che tutti i talk show di Viale Mazzini si occupassero del «caso» (a proposito: complimenti a «La vita in diretta» che ci ha regalato tutto il peggio dei reality italiani e stranieri, passati e presenti, per dimostrarci «quanto siano eccessivi»). Come dire: le regole vanno bene per la politica, ma poi c’è l’audience. E ci sono i signori dei salotti tv che altrimenti non saprebbero cosa fare di mestiere.

(Fonte: Gigio Rancilio, Avvenire, 20 marzo 2010)

giovedì 18 marzo 2010

Pedofilia: Mons. Rino Fisichella, unica voce forte in difesa del Papa

In questo turbinio di notizie vere, false, tendenziose, addomesticate, di conferme e smentite, di attacchi nefasti e di silenzi ancor più nefasti, una cosa va detta a voce alta e sottolineata per bene: l’unico esponente del Vaticano che abbia difeso apertamente e a chiare note il Santo Padre in questo frangente è stato Mons. Fisichella (e ora a ruota anche il Card. Ruini). Gli altri, anche e soprattutto chi di dovere, hanno nicchiato, temporeggiato, glissato.
Ho già avuto modo di affermare tempo fa, che Mons. Fisichella dà fastidio a molti. C’è chi dice che nell’apparato vaticano che conta stia probabilmente pagando la sua scomoda amicizia con un altro grande personaggio della Chiesa, un personaggio che nel cattolicesimo italiano ha fatto storia: il card. Camillo Ruini. Un’amicizia resa ancor più solida da una condivisa posizione di deferente stima e apprezzamento nei confronti del Papa.
Ruini infatti lo si può amare o detestare; ma nessuno, neanche i suoi avversari, possono negare la sua fedeltà al Papa, la sua capacità organizzativa della pastorale e soprattutto quel fare politica, sempre per il bene della Chiesa. Quello che importava a Ruini era portare a casa un risultato buono per la Chiesa, non il farsi vedere accanto a questo o a quel potente o "gentiluomo" come per esempio succede spesso a qualcuno nei nostri giorni. E soprattutto equidistanza dai poli, bacchettare a destra e a sinistra, senza se e senza ma, sopravvivere ai vari governi. Ha fatto sua la massima: "se la Chiesa appoggia una parte politica, rafforza il suo potere su pochi, ma perde la possibilità di governare su tutti." Sarà anche “bieco pragmatismo” politico, ma in tanti anni ha sempre funzionato. Questo era Ruini.
Bene: oltre però che per la sua vicinanza alla linea ruiniana, io sono convinto che mons. Fisichella è inviso alla nomenklatura vaticana anche per altri motivi, più riconducibili alla sua spiccata personalità: la preparazione dottrinale di inattaccabile ortodossia, la chiarezza espositiva, la determinazione e il coraggio di esporsi in prima persona; tutte doti difficilmente riscontrabili in coloro che di Fisichella hanno recentemente chiesto la testa, gratuitamente, per partito preso, senza appello; doti che sicuramente non eccellono soprattutto in chi non vede l'ora di trovarne il sostituto, magari, guarda caso, limitando la ricerca in un vivaio ben circoscritto, peraltro in questi anni molto frequentato per la sua “miracolosa” fertilità. È del resto opinione diffusa, condivisa soprattutto dagli osservatori laici delle vicende interne della Chiesa.
Ecco perché mi sento di affermare in tutta tranquillità: guai se Fisichella dovesse lasciare il Vaticano! accanto al Papa c'è assoluto bisogno di persone come lui, persone che non abbiano paura di esporsi e che non fuggano, come pecore impaurite, di fronte alle domande insidiose e impertinenti dei lupi dell’informazione (ricordate la sera di Annozero con Santoro, in occasione del documentario della Bbc?).
Di questo volevo dunque ringraziare l’amico e maestro mons. Fisichella: per essersi schierato al fianco del Santo Padre, dimostrandogli assoluta fedeltà, con il coraggio, la competenza, la chiarezza che gli sono soliti: presumibilmente con il disappunto di quanti, sperando nelle manipolazioni, nelle loro fantasiose elucubrazioni, nei giochetti di palazzo, nei doppi sensi di parole e frasi estrapolate dal loro contesto, lo pensavano finalmente “defenestrato”, ridotto al silenzio. Purtroppo questi signori dovranno ricredersi e scendere dalle loro cattedre di “soloni” frustrati e delusi; loro che, per denigrarlo, per "suonarlo", sono riusciti ad imbastire a malapena una ridicola orchestra con i coperchi delle pentole, fidando in una grancassa di amplificazione (i media loro amici) miseramente scoppiata!

(Administrator, 18 marzo 2010)

“È necessario che gli scandali succedano”. La strana euforia dei cattolici progressisti

Sembra che una ventata di micidiale ottimismo stia attraversando la “Chiesa critica”, gli oppositori del pontificato, di fronte alla “strenua lotta del papa contro la pedofilia nel clero” (come si esprimono e documentano i blog). Una lotta, quella di papa Ratzinger, non solo pastoralmente ammirevole ma, com’è consueto in lui, di alta razionalità politica; eppure questo “ottimismo” non si allinea al pontefice ma si fonda sulla speranza che la congiuntura della crisi pedofilia, una crisi mondiale, restituisca forza nella Chiesa ai “sempiterni riformatori”.
La crisi offrirebbe la possibilità di colpire il celibato dei preti, di bloccare le linee ratzingeriane di ricostruzione degli episcopati mondiali, di ottenere dal disordine interno e pubblico un precipitato che favorisca l’indizione di un nuovo Concilio. Dal disastro finalmente la “svolta” nella Chiesa, sia pure sotto “la pioggia lurida e gelida che la sta inzuppando”, come immaginifico scrive Alberto Melloni sul “Corriere della Sera” dell’11 marzo. Tanto i “riformatori” hanno sempre buoni ombrelli.
Perché una tale speranza micidiale? Vediamo il quadro. La crisi pedofilia segue ormai regole ferree di internazionalizzazione. Quale che sia la percentuale di denunce, e non si dica di casi rigorosamente accertati, in ogni paese ove la Chiesa cattolica è diramata e forte si può aprire, e già si apre, una vertenza affidata ad attori pubblici, alla stampa, alla cosiddetta democrazia digitale. L’effetto di pressione, diciamo di ritorsione, politica di questa pistola puntata è, nelle relazioni tra Stato e Chiesa, fortissimo. Non va dimenticata la diagnosi, messa a fuoco già nei primi anni Novanta da autori diversissimi, che la Chiesa cattolica “aveva vinto”, sostanzialmente, la battaglia della secolarizzazione, e tornava ad essere (o diveniva) un attore spirituale ed etico-politico preminente nella sfera mondiale.
Una lotta politica internazionalizzata che cammina, peraltro, sulle solerti gambe della società civile, ove si mescolano valide istanze di giustizia e avide ragioni di capitalizzazione dal riconoscimento in sede giudiziaria di torti veri o immaginari. E la società civile è, oggi, un social network capace di azione concertata e globale.
In tale doppio livello, politico (relazioni mondiali tra Stato e Chiesa) e civile, fitto di avversari storici o contingenti della Chiesa cattolica, operano le “opposizioni” cristiane, e propriamente cattoliche, a Roma. Per ragioni ideali, s’intende: influire sui governi, perché siano intransigenti verso le Chiese nazionali sui casi di pedofilia nel clero, è vissuto come disegno di purificazione della Chiesa ad opera del Principe; mobilitare i laicati interni contro i vescovi e contro Roma esalta come lotta per la giustizia contro l’istituzione.
Internazionalizzata, socializzata in rete e radicata in interessi, e dotata quanto basta di copertura teologica, questa pressione contro l’ordine cattolico e la sua riconquistata autorità, è oggettivamente dura e rischiosa. Poiché non mi sento sporcato dai peccati degli altri uomini (solo dai miei), neppure da quelli dei miei preti, tendo ad osservare lo scenario con calma, all’aperto, senza timore di inzupparmi di piogge apocalittiche. Temo di più i tipi di risposta che intravedo nella comunità cattolica, a corredo della rigorosa risposta di Roma.
È da temere, infatti, nelle Chiese la geremiade autocolpevolizzante, e la deprecazione invece della circoscritta indagine e del retto giudizio; nessun complesso di colpa cattolico (tanto più se equivoco nei suoi obiettivi) può indurre tribunali civili ed ecclesiastici ad indebolire le tutele giuridiche degli accusati. È da temere la ridda di risposte illogiche come quelle che, ignorando la complessità dei tipi e delle eziologie di “pedofilia”, investono per curarla i cardini del sacerdozio cattolico. O azzardano terapie di femminilizzazione della Chiesa (in un intervento de “L’Osservatore Romano”, blando, ma inopportuno in quella sede non meno che poco pertinente). O aprono internet alle denunce dei singoli (come sembra intenda fare una diocesi), senza sapere, credo, cosa significhi affidare la civiltà giuridica della Chiesa alla “democrazia dei media”.
Al contrario, il rigore e il giusto risarcimento del danno dovranno essere esercitati con sguardo fermo entro la Chiesa e oltre, nel paesaggio civile e politico mondiale, ove molti attori intendono lucrare, con lucida ipocrisia, oggi come ieri, dai peccati e dai reati di alcuni preti.

(Fonte: Pietro De Marco, Il Tempo, 14 marzo 2010)

Le donne antidoto contro la pedofilia del clero? Una tesi improponibile

Sulla prima pagina de “L’Osservatore Romano” datato 11 marzo 2010, Lucetta Scaraffia spezza una lancia a favore di una maggior partecipazione delle donne alla vita della Chiesa, in particolare “nelle sfere decisionali e negli ambiti di elaborazione culturale”.
Per mostrare i benefici di una rafforzata presenza femminile accanto ai sacerdoti, chiama in causa la piaga degli abusi sessuali sui minori:
“Nelle dolorose e vergognose situazioni in cui vengono alla luce molestie e abusi sessuali da parte di ecclesiastici su giovani a loro affidati, possiamo ipotizzare che una maggiore presenza femminile non subordinata avrebbe potuto squarciare il velo di omertà maschile che spesso in passato ha coperto con il silenzio la denuncia dei misfatti. Le donne infatti, sia religiose che laiche, sarebbero per natura più portate alla difesa dei giovani in caso di abusi sessuali, evitando alla Chiesa il grave danno che questi colpevoli atteggiamenti le hanno procurato”.
Ma che l’ipotesi sia fondata, è tutto da dimostrare. I fatti sembrano dire l’opposto. La massima parte degli abusi sessuali su minori avviene nelle famiglie, dove le donne non sono certo assenti, ed è nelle famiglie che l’omertà è più diffusa.
Più avanti, Lucetta Scaraffia cita san Daniele Comboni e la sua lungimiranza nell’affiancare delle religiose ai sacerdoti, in terra di missione:
“Il grande missionario era convinto che la presenza di donne occidentali accanto a quella dei suoi missionari li avrebbe aiutati a mantenere un comportamento corretto, e soprattutto avrebbe loro impedito di infrangere il voto di castità, pericolo invece non infrequente in luoghi isolati, dove la promiscuità sessuale e soprattutto il potere nei confronti di donne e ragazzi rendevano la tentazione non improbabile”.
Dall’uno e dall’altro esempio, par quindi di capire che Lucetta Scaraffia veda in una maggior collaborazione tra donne e sacerdoti un antidoto contro la pratica della pedofilia. Un’ipotesi che altri estremizzano quando reclamano come un toccasana l’abolizione del celibato ecclesiastico.
Ma di nuovo, l’ipotesi è fondata? Non siamo d’accordo. Anche perché per quanto riguarda il celibato, lo psichiatra e teologo tedesco Manfred Lütz, membro del pontificio consiglio per i laici e della pontificia accademia per la vita, nonché consultore della congregazione per il clero, aveva scritto su “L’Osservatore Romano” del 16 febbraio:
“Qualunque cosa si possa pensare della morale sessuale cattolica, anche nei tempi della banalizzazione della pedofilia, essa era, per chiunque la rispettava, un baluardo contro l’abuso dei bambini. E citare in questo contesto il celibato è un atto particolarmente irresponsabile. In una conferenza che si è tenuta a Roma nel 2003, i principali esperti internazionali – tutti non cattolici – hanno inoltre dichiarato che non esiste un collegamento tra questo fenomeno e il celibato
L’11 marzo, quando “L’Osservatore Romano” con l’articolo di Lucetta Scaraffia era ancora in edicola, il vescovo di Ratisbona Gerhard Ludwig Müller, interpellato sul legame tra celibato del clero e pedofilia, ha detto: “È una stupidaggine. In Germania ogni anno ci sono quindicimila denunce di pedofilia e il novantanove per cento dei casi avviene in famiglia o per colpa di altri educatori, e quindi non ha niente a che vedere col celibato. Gli studi scientifici dicono che la pedofilia ha origine in un disturbo nello sviluppo della persona, ma le cause specifiche ancora non si conoscono”.


(Fonte: Sandro Magister, Settimo Cielo, 11 marzo 2010)

Le contraddizioni dell'Italia sono scese in piazza

Quanti erano a Roma a manifestare contro il governo liberticida? Gli organizzatori sparano 250.000 presenze. Le cifre ufficiali parlano di 25.000 persone. Non è una differenza da poco. Si tratta di due manifestazioni totalmente diverse, una riuscita, l’altra no. Eppure convivono tranquillamente. Anche questa è l’Italia dei misteri, signori.
Sono scesi in piazza per difendere la libertà. Avrebbero dovuto difendere la libertà di opinione e di espressione democratica, che un vero liberale non dovrebbe negare a nessuno, nemmeno ai nemici. Invece, proprio lì, a Roma, la libertà di esprimersi con un voto verrà negata. E loro saranno i primi a beneficiarne. Anche questa è l’Italia delle contraddizioni.
“Fantasiose ricostruzioni giornalistiche” vengono definite dalla Procura di Trani certe notizie apparse su un foglietto per lavandaie noto come “Il fatto quotidiano”. Intanto però sono apparse, intanto però i giornali e le TV non hanno parlato d’altro, intanto è scattata la gogna mediatica. Il Direttore del TG1 è stato trascinato nel fango senza che c’entrasse niente. Anche questa è l’Italia del Quarto Potere.
“Fantasiose ricostruzioni giornalistiche”. Intanto però Massimo D’Alema mostra di prenderle sul serio e ci costruisce sopra il teorema della solita “gravissima” intromissione del Presidente del Consiglio, che, come al solito, non ha tempo per occuparsi delle questioni che più importano agli italiani e si occupa invece solo delle cose che riguardano lui stesso. Teorema arcinoto, straripetuto, quasi ossessivo. Peccato che sia falso. Anche questa è l’Italia delle facce di bronzo e dei farisei, che dicono “parliamo d’altro”, ma poi parlano sempre delle stesse cose.
Torniamo alla piazza. Se la sono presa col Presidente della Repubblica. Hanno addirittura parlato di impeachment. Perché? Semplicemente perché non la pensa come loro e chi non la pensa come loro è notoriamente un nemico del popolo, della Nazione, della Verità e dell’Onestà. Questa è “L’Italia paese della Libertè Egalitè e del Gioca Giuè”, per citare Cristicchi, uno che se ne intende e che forse era in piazza anche lui.
Dopo la piazza, le notizie. Il listino di Formigoni è stato definitivamente riammesso. Il cazzuto Governatore della Lombardia aveva tirato fuori gli attributi e aveva dimostrato, documenti alla mano, come fossero stati usati due pesi e due misure. L’obiettivo era quello di farlo fuori a colpi di carte bollate. Aveva ragione lui. Ancora una volta la giustizia, la magistratura, gli organi di controllo vengono utilizzati a fini politici. Anche questa è l’Italia dove la legge non è uguale per tutti.
Una signora, intervistata dal TG1, oggi in piazza a Roma, ha detto che da giovane aveva sentito parlare di “regime” e che mai si sarebbe immaginata di sentirne parlare di nuovo. Deve essersi distratta un attimo, in questi ultimi anni. Il regime c’è, è bello solido, e mette in campo tutte le forze che ha a disposizione. Il meglio di questo regime era oggi in piazza con quella signora. L’Italia è in ostaggio di una potente cupola, sfacciata, prepotente e arrogante. Che domina coi suoi giornali, con le sue televisioni, con i suoi magistrati. Anche questa è l’Italia, “Paese anormale”.

(Fonte: Gianluca Zappa, La Cittadella, 13 marzo 2010)

Legionari di Cristo: terminata la prima fase della Visita Apostolica

Nel pieno della tempesta che scuote la Chiesa cattolica per gli abusi sessuali su minori commessi da sacerdoti, si è chiusa la visita apostolica ordinata dalla Santa Sede tra i Legionari di Cristo, la congregazione fondata da Marcial Maciel.
Il caso Maciel è estremo in tutto. Spinge a limiti esasperati il contrasto tra l'immagine e la realtà. Tra l'immagine venerata del sacerdote fondatore di una congregazione religiosa ultraortodossa, ascetica, devota, fiorente di vocazioni anche esemplari, e la realtà di una sua seconda vita dissoluta, fatta di incessanti violazioni non solo dei voti ma dei comandamenti, di continue avventure peccaminose con donne e uomini e ragazzi di ogni età e condizione, con figli e amanti disseminati ovunque nel mondo, di numero tuttora imprecisato.
Una seconda vita che anche al momento della morte è parsa sprofondare tra bagliori sulfurei. Racconti gotici trapelano sugli ultimi giorni di Maciel a Houston, alla fine di gennaio del 2008, prima della sua sepoltura a Cotija, la sua città natale, in Messico.
La visita apostolica è iniziata il 15 luglio 2009. E i cinque vescovi visitatori hanno esaurito il loro mandato alla metà di questo mese di marzo, con la consegna del loro rapporto alle autorità vaticane. Erano Ricardo Watti Urquidi, vescovo di Tepic in Messico; Charles J. Chaput, arcivescovo di Denver; Giuseppe Versaldi, vescovo di Alessandria; Ricardo Ezzati Andrello, arcivescovo di Concepción in Cile; e Ricardo Blázquez Pérez, vescovo di Bilbao.
Saranno poi le autorità vaticane a decidere che fare. I tre cardinali investiti del caso sono Tarcisio Bertone, segretario di Stato, William J. Levada, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, e Franc Rodé, prefetto della congregazione per gli istituti di vita consacrata.
Ma l'ultima parola la dirà comunque Benedetto XVI, il più chiaroveggente di tutti. Già prima d'essere eletto papa e quando ancora in Vaticano Maciel aveva protettori fortissimi, Joseph Ratzinger fece compiere un'indagine a fondo sulle accuse al fondatore dei Legionari. E da papa, il 19 maggio 2006, lo condannò "a una vita riservata di preghiere e di penitenza".
Dopo questa condanna, la congregazione dei Legionari si piegò al comando papale. Ma continuò a prestare venerazione al proprio "padre" fondatore, come "vittima innocente" di false accuse.
Solo dopo la sua morte e l'affiorare di altri scandali trovò spazio tra i dirigenti della congregazione l'ammissione di alcune colpe del fondatore, ma non tali da indurli a smentire la bontà della sua opera.
Ancor oggi, dopo gli otto mesi della visita apostolica, il successore di Maciel come direttore generale della congregazione, don Álvaro Corcuera, e il vicario generale Luis Garza Medina – che furono anche per decenni, specie il secondo, strettissimi collaboratori del fondatore – non manifestano alcuna intenzione di lasciare il comando. E così altri dirigenti medio-alti, centrali e periferici.
La loro linea di difesa è che essi sarebbero stati sempre all'oscuro della seconda vita di Maciel e che la loro fedeltà alla Chiesa e al papa, oltre che la loro esperienza di guida, sarebbero tali da assicurare nel miglior modo la continuità della congregazione.
Il 5 febbraio scorso, su "L'Osservatore Romano", padre Luis Garza Medina pubblicò imperturbabile un articolo per descrivere come dovrebbe essere la "vita virtuosa" del sacerdote ideale. Lui che ha vissuto più di ogni altro a fianco a fianco con Maciel, conoscendone tutti i segreti e amministrandone i denari, e che l'ha sempre esaltato come modello.
Ma che gli attuali capi dei Legionari siano lasciati dalle autorità vaticane alla testa della congregazione è del tutto inverosimile. La decisione più probabile è che la Santa Sede nominerà un proprio commissario dotato di pieni poteri e fisserà le linee guida per una rifondazione di tutto, compresa la sostituzione degli attuali dirigenti.
Rifondare da capo, però, una congregazione nella quale l'impronta dell'indegno fondatore è tuttora fortissima, sarà impresa ardua.
Sacerdoti e seminaristi che fino a ieri sono stati imbevuti degli scritti attribuiti a Maciel avranno difficoltà a trovare nuove fonti ispiratrici, non generiche ma specifiche per il loro ordine. Né gli attuali capi della congregazione aiutano. Anzi. Un'ex segretario personale di Maciel, padre Felipe Castro, assieme ad altri sacerdoti della Legione, ha lavorato in questi mesi a selezionare tra le numerosissime lettere del fondatore un gruppo di lettere da "salvare" per il futuro, per tener viva un'immagine positiva di Maciel.
La dipendenza dei Legionari da Maciel era – e per molti è ancora – totalizzante. Non c'era briciolo della vita quotidiana che sfuggisse alle regole da lui dettate. Regole minuziose fino all'inverosimile. Che ordinavano, ad esempio, come sedersi a tavola, come usare il tovagliolo, come deglutire, come mangiare del pollo senza usare le mani, come spinare un pesce.
Ma questo era nulla in confronto al controllo esercitato sulle coscienze. Il prontuario per l'esame di coscienza alla fine di una giornata era di 332 pagine, con migliaia di domande.
E poi c'erano – e ci sono – gli statuti veri e propri. Molto più ampi e dettagliati di quelli forniti ai vescovi delle diocesi nelle quali i Legionari hanno le loro case. I cinque visitatori hanno faticato non poco per ottenere gli statuti nella loro integralità.
Dagli statuti si ricava che oltre ai tre voti classici degli ordini religiosi, di povertà, castità e obbedienza, i legionari erano tenuti ad altri due voti – più un terzo detto "di fedeltà e carità" per i membri scelti della congregazione – che vietavano qualsiasi tipo di critica e contemporaneamente obbligavano a denunciare ai superiori i confratelli che fossero stati visti violare il divieto.
Questi voti aggiuntivi sarebbero stati cancellati per ordine della Santa Sede, nel 2007. Ma al corpo dei Legionari questa revoca non risulta essere stata notificata.
Tra lo spirito di obbedienza e lo spirito di sottomissione il confine non è sempre percepibile, nella congregazione fondata da Maciel.
Tra i Legionari, la competizione incoraggiata dalle regole è tra chi riesce a fare più proseliti. E il novizio entra da subito in una macchina collettiva che assorbe completamente la sua individualità. Tutto è controllato e regolato meticolosamente, in una selva di limitazioni. Dalla posta personale alle letture, dalle visite ai viaggi.
Negli otto mesi della visita apostolica, questo controllo si è allentato solo in parte. Alcuni sacerdoti hanno denunciato ai visitatori le cose che ritenevano sbagliate. Altri hanno abbandonato la congregazione e si sono incardinati nel clero diocesano. Altri sono rimasti a presidio dell'eredità di Maciel. Altri si ritrovano come smarriti. Altri ancora, infine, hanno fiducia nella rinascita su nuove basi di una congregazione religiosa che è parte della loro vita e continuano ad amare.

(Fonte: Sandro Magister, www.chiesa, 16 marzo 2010)

Quei cattolici pro-Bonino

Chi l’avrebbe mai detto? Emma Bonino, leader storica dei radicali italiani, che viene sostenuta da una fetta del mondo cattolico “impegnato”. Non è fantascienza, ma cronaca di queste settimane: per la carica di governatore della Regione Lazio, Bonino sarà la candidata del Partito democratico. E potrà contare sul voto di alcuni politici di estrazione democristiana, come Franco Marini e Maria Pia Garavaglia, ma anche di non pochi esponenti della “base” cattolica, che le hanno pubblicamente accordato il loro appoggio.
Lo ha rivelato il Foglio, che è andato a tastare il polso alle parrocchie del Lazio per capire quale aria tirasse per la “pasionaria” abortista. Dall’inchiesta emerge un quadro inatteso, dominato da attestati di stima e da dichiarazioni di voto per la Bonino. A Viterbo, la responsabile della mensa della Caritas dichiara di «avere molta fiducia in Emma Bonino, una persona onesta». «Certo — prosegue la signora — c’è il problema delle posizioni estreme sul divorzio e sull’aborto, ma bisogna avere rispetto per le opinioni altrui è superare le divisioni». Un avvocato della curia dice di sentirsi «tutelato dalla Bonino sul piano delle garanzie costituzionali e dei diritti». «E poi — aggiunge — è una persona seria”. Il direttore di un quotidiano locale, che si definisce «cattolico figlio di don Milani», dice che voterà Bonino «per la sua attenzione agli ultimi». A Latina un sacerdote, responsabile della pastorale sanitaria, spiega che «Emma Bonino è agli antipodi da me, ma è una candidata di mediazione, e sulla gestione del bilancio mi ispira fiducia». Un’attivista del movimento dei Focolarini spiega che «c’è la consapevolezza della integrità morale della Bonino, che ha mostrato coerenza nell’attenzione agli ultimi». Sempre a Latina I’ex presidente di un consultorio diocesano parla di «un nome di prestigio come quello di Emma Bonino». Ovviamente il Foglio raccoglie anche qualche testimonianza di cattolici che criticano la candidatura della radicale. Ma, nel complesso, la sensazione è una sorprendente onda favorevole che si solleva nella pancia del cattolicesimo “impegnato”.
Emma Bonino è una storica esponente della cultura radicale che non rinnega nulla delle famose sedicenti “battaglie di civiltà”, combattute con una straordinaria coerenza tra teoria e prassi. Lo testimoniano alcune impressionanti fotografie in bianco e nero ripubblicate di recente dal quotidiano Libero, foto che mostrano Emma Bonino impegnata a provocare l’aborto a una donna con l’ausilio di una pompa per biciclette (vedi anche ns. post precedente). Scene molto crude che risalgono agli anni Settanta, quando i radicali si davano da fare per praticare I’aborto, allora vietato dalla legge. Emma Bonino oggi prosegue con infaticabile impegno la sua militanza nell’accampamento radicale, vera e propria “chiesa” anticattolica. I radicali stanno al cattolicesimo così come l’antimateria sta alla materia. Il loro impegno è infaticabile, costante, inesauribile, generoso, astuto, intelligente. Al punto che il fenomeno radicale sembra possedere delle connotazioni preternaturali. I radicali sono dei praticanti rigorosi, professano un anticattolicesimo ortodosso, argomentato, dottrinale. Si occupano di tutto ciò che sta a cuore al Papa e alla Chiesa, tenendo immancabilmente una posizione speculare. Il loro obiettivo è cambiare le leggi, ma soprattutto capovolgere la mentalità dell’opinione pubblica, disseminare l’errore come il loglio nel campo di grano, coltivandolo con cura maniacale, affinché alla fine il loglio sostituisca il grano senza che il contadino nemmeno se ne accorga. In questi ultimi quarant’anni i radicali sono stati degli straordinari vincitori. Spettacolari perdenti sul piano del loro consenso elettorale — sempre insignificante — ma vincitori nell’aver trasformato poco alla volta il quadro politico in una diffusa galleggiante macchia di pensiero radicale. Nel Lazio hanno piazzato con straordinario tempismo la Bonino, imponendola a un Partito democratico che, a dispetto di certi sommessi rigurgiti teodem, non è affatto estraneo alla ideologia radicale, ma ne rappresenta invece l’incarnazione di massa. La verità è tragicamente questa: che i marxisti, morto Marx, Mao e l’Urss, si son fatti radicali. Trovandosi così gomito a gomito con la tradizione liberal libertaria che tanto avevano aborrito.
Non basta: i cattolici che hanno aderito al progetto politico progressista, irretiti soprattutto dalla famosa “opzione preferenziale per i poveri”, ora si ritrovano a “digerire” la candidatura di un personaggio che è, obiettivamente, completamente estraneo all’identità cattolica. A meno che questa identità non sia, essa stessa, una vaso di creta che può essere in ogni momento riplasmato a vantaggio delle alchimie politiche. Occorre ammettere che il pensiero radicale è penetrato all’interno dell’accampamento cattolico, il che spiega il carosello di giudizi favorevoli a Emma Bonino raccolti dalla voce di persone impegnate in curie e parrocchie. Evidentemente, da alcuni decenni il mondo cattolico è in debito di dottrina. E non solo nella sua “sinistra”. Il cattolicesimo spesso è stato trasformato o in grigia burocrazia formale inquadrata nel piccolo cabotaggio clericale; oppure, in alternativa, è stato ridotto a un fatto esperienziale, con forti connotazioni emotive. Nell’uno come nell’altro caso, la dottrina è stata, semplicemente, dimenticata. Il risultato è una popolazione cattolica spesso animata dalle migliori intenzioni, ma che ha convinzioni, principi, criteri di riferimento totalmente alternativi e contraddittori.
Queste elezioni regionali offrono altri esempi di candidature “imbarazzanti” per il mondo cattolico, a cominciare dal Piemonte, dove il Partito democratico rinnova la sua fiducia a Mercedes Bresso, personalità da sempre in simbiosi con la cultura radicale e anti-vita, e che nel 2009 si dichiarò disponibile ad aiutare Beppino Englaro nel suo “progetto”. Ebbene, in quella regione la Bresso sarà sostenuta dall’Udc, il “partito cattolico” di Pierferdinando Casini e di Rocco Buttiglione. In un simile scenario, serpeggia un certo disorientamento, e in molti si chiedono: ma un cattolico può votare veramente qualunque candidato? C’è una sola risposta esatta: no. L’insegnamento della Chiesa è chiarissimo: ci sono principi non negoziabili — essenzialmente in materia di vita umana, famiglia, matrimonio, educazione — sui quali non è possibile scendere a compromessi. Un politico favorevole ad aborto, eutanasia, “matrimoni” gay, non va votato, se non si vuole diventare suoi complici sul piano morale. Ma è altrettanto vero che tale consolidata dottrina è troppo spesso taciuta o ignorata. E nel silenzio colpevole di chi dovrebbe parlare, prosperano incredibili giudizi come quelli raccolti dal Foglio.
«Perché di fronte a una candidatura dichiaratamente contro la Chiesa una parte del mondo cattolico si mostra privo di atteggiamento critico? È la domanda che mi sono posto dopo aver letto l’inchiesta del Foglio a Viterbo che ha evidenziato come per molti cattolici non fa difficoltà la candidatura della Bonino nel Lazio. Se facessimo la medesima inchiesta in altre regioni, vorrei dire in tutte le regioni d’Italia, il risultato sarebbe lo stesso di Viterbo. Perché il dato è uno e chiede d’essere guardato: stiamo crescendo generazioni assolutamente incapaci di giudizio critico sulle cose. (…) A volte sembra che il dialogo che impostiamo con chi non crede altro non sia che una resa senza condizioni. Nel nome del dialogo ci dimentichiamo chi siamo. E dimenticandoci chi siamo sono sempre gli altri ad avere ragione, ad avere la meglio». (Mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino-Montefeltro).

(Fonte: Mario Palmaro, Il Timone, n. 91, Marzo 2010)

giovedì 11 marzo 2010

Di sinistra come lo spagnolo Manuel Montero

La nuova deregulation sull’aborto varata in Spagna da Zapatero, su pressione dell’ala radicale del partito, non convince neppure a sinistra. Una durissima lettera di contestazione della linea seguita su questo tema è giunta sui tavoli di Jorge Luís Zapatero, capo del governo, e di Leire Pajín, segretaria del Partito socialista spagnolo. La lettera porta la firma del giovane dirigente del Partito Socialista Operaio Spagnolo e vicesindaco di Paradras (Siviglia), Joaquín Manuel Montero, il quale invita i leader del suo partito a rendere pubblica la notizia del suo abbandono del partito nel giorno stesso in cui entrerà in vigore la nuova normativa sul cosiddetto “aborto facile”.
Montero afferma con fierezza di non desiderare più che il suo nome sia ancora associato a quello di una formazione politica “che legittima la morte di innocenti per mezzo dell’approvazione di leggi ingiuste”. Montero denuncia anche la triste circostanza di una legge “approvata da una sottile maggioranza di volontà comprate a colpi di concessioni”.
Come si vede non è necessariamente la Chiesa ad usare le parole più dure nei confronti delle leggi abortiste. Difficile prendere a pretesto, questa volta, il conservatorismo delle istituzioni clericali o l’indebito influsso del pregiudizio religioso... Ciò che colpisce in un caso come questo, a parte la militanza socialista di Montero, sono proprio le motivazioni politico-culturali della sua presa di posizione nei confronti dei vertici del partito: per Montero infatti, la battaglia per il diritto di aborto contraddice radicalmente il significato degli ideali socialisti, poiché “è contraria all’umanesimo universale, storicamente caratterizzato dal socialismo”, rappresenta inoltre una gravissima minaccia alla coesione sociale del paese, dato che “divide la società drammaticamente”. Non sfugge a Montero il significato antisociale di attentato al bene comune di quei provvedimenti che nascono da più che scoperte rivendicazioni di interesse utilitaristico e di individualismo estremo. Montero propone nella sua lettera un tema di riflessione che è tutt’altro che banale, per lui, infatti, è il binomio stesso sinistra-aborto ad essere intrinsecamente contraddittorio in quanto “chiunque pensi la sinistra dal punto di vista di una minima coscienza storica sa che il socialismo si fonda sulla difesa della vita e dei più deboli”.
Infine, c’è la grave accusa rivolta a Zapatero e all’attuale dirigenza del partito di aver derogato a criteri di moralità politica tradendo la fiducia dell’elettorato. Il PSOE infatti aveva deliberatamente scelto, stilando il programma elettorale del 2008, di non inserire proposte di un ulteriori rimaneggiamenti della precedente legge sull’aborto. In questo modo si era evitato uno scontro interno, ma al tempo stesso si era dato un segnale rassicurante ad un elettorato moderato tendenzialmente contrario all’idea dell’aborto come diritto soggettivo illimitato. Ciò nonostante la dirigenza del partito ha di recente ceduto alle pressioni delle lobbies radicali ed ha fatto approvare una normativa per la quale non aveva ricevuto alcuno specifico mandato da parte degli elettori.
Ciò fa concludere Montero con la forte affermazione: “abbiamo truffato l’elettorato”.
Ne avessimo anche noi di coscienze inquiete così…

(Fonte: Stefano, La Cittadella, 8 marzo 2010)

Ratisbona: il fratello del Papa non c’entra, ma fa molto titolo!

Ieri sul Web e sulle agenzie di stampa (in Italia, non in Germania) il nome di Georg Ratzinger, fratello di Benedetto XVI è stato del tutto arbitrariamente associato allo scandalo della pedofilia che sta scuotendo la Germania, perché la diocesi di Ratisbona ha reso noti dei casi acclarati e delle denunce, riguardanti sacerdoti diocesani. Uno di questi casi acclarati (avvenuto nel 1958) e una delle recenti denunce (su un presunto abuso avvenuto all’inizio degli anni Sessanta) riguardavano il coro dei “Domspatzen”, i “passerotti del Duomo”, ma sono (nel secondo caso sarebbero) avvenuti nel convitto dove i bambini e i ragazzi erano allogiati e studiavano. Georg Ratzinger ha diretto quel coro dal 1964 al 1993. Nessuno dei casi acclarati o segnalati riguarda questo periodo. Va inoltre ricordato che oggi come nei decenni passati c’erano il direttore del coro (maestro di musica), il direttore del convitto (responsabile della struttura dove i bambini e i ragazzi alloggiano) e il direttore degli studi (che si occupa della parte didattica). Nel caso del 1958 fu coinvolto un prete che era in quel momento vice-direttore del convitto, poi condannato a due anni di carcere e morto nel 1984. Nel caso ora denunciato, non è ancora chiaro chi sia il presunto colpevole, ma comunque è o sarebbe avvenuto prima dell’arrivo di Georg Ratzinger alla direzione del coro. C’è un terzo caso - e qui si è ingenerata la confusione, non si sa quanto interessatamente alimentata - avvenuto nel 1969: il colpevole è un prete (anch’egli scomparso) che è stato condannato a 11 mesi di carcere nel 1971. Questo prete era stato per circa otto mesi, nel 1959, responsabile nel convitto dei “passerotti del Duomo”, ma poi aveva lasciato il convitto ed era diventato il responsabile diocesano per la musica sacra. L’abuso di cui si è reso colpevole è dunque avvenuto dieci anni dopo che lui aveva lasciato i “Domspatzen” e non c’entra con il coro. Dunque, non solo non c’è nessuna accusa o denuncia che citi in alcun modo il fratello del Papa, ma i due fatti fino ad oggi acclarati o anche soltanto denunciati che riguardano il coro si riferiscono a un periodo nel quale Georg Ratzinger non era neanche direttore. Intanto però la notizia è stata rilanciata sul Web e dalla Tv, associando il nome del fratello del Papa ai casi di pedofilia, senza che vi fosse una parola chiarificatrice. E’ noto che dopo il caso Williamson la Santa Sede segue con grandissima attenzione tutto ciò che viene scritto su Internet. In questo caso però nessuno ha ritenuto di chiarire alcunché, anche soltanto con fornendo una ricostruzione precisa dei fatti alle agenzie di stampa in forma ufficiosa. A mio modesto avviso si è trattato di un errore, perché è vero che sui quotidiani italiani in edicola oggi la vicenda è spiegata nei suoi giusti termini, ma l’opinione pubblica è stata informata ieri, dai giornali online, dai siti e dai servizi televisivi. Ci sono molti modi di intervenire per stroncare sul nascere informazioni non corrette e penso che la Sala Stampa avrebbe potuto dire o far filtrare qualcosa ufficiosamente al riguardo, essendo più volte intervenuta - in un passato non lontano - con comunicati tempestivi in difesa di uomini o istituzioni anche soltanto collegate con la Santa Sede, penso ad esempio alla nota con cui si espresse solidarietà al presidente dell’ospedale Bambin Gesù, Giuseppe Profiti, oggetto di un’indagine della magistratura riferita ai suoi precedenti incarichi ricoperti in Liguria.

(Fonte: Andrea Tornielli, Sacri Palazzi, 6 marzo 2010)

«Attenti alla Bonino! Lei può far male davvero, soprattutto ai cattolici»

Attenti alla Bonino. Lei può far male davvero. L’onda d’urto della sua candidatura alla presidenza della Regione Lazio ha già prodotto degli effetti politicamente molto rilevanti. Fughe, prese di distanza, monito delle gerarchie cattoliche. L’effetto Bonino in poco più di un mese ha mandato in tilt la sponda cattolica del Pd, e fatto fuggire, solo nel Lazio, oltre sessanta amministratori locali. Se la leader radicale dovesse avere la meglio sulla sua rivale, la sindacalista Polverini la cui devozione l'ha spinta a far benedire il proprio comitato elettorale, si assisterebbe ad una seconda Breccia di Porta Pia in chiave post moderna. Ne è convinto Luigi Amicone, direttore di “Tempi”, che proprio a causa dell’onda radicale vede in grossa difficoltà il partito di Bersani.
D. Amicone, cerchiamo di fare chiarezza, ma qual è la forza dei cattolici oggi nel Pd ?
Faccio un nome: Paola Binetti. Dico Binetti perché tutti possano capire. Ecco, la forza dei cattolici è pari al peso della Binetti. Quindi nullo. Sono inconsistenti, costretti ad una subalternità totale.
D. Destinati all’estinzione quindi?
Per ora destinati ad arrampicarsi sugli specchi, come fanno i vecchi democristiani come Fioroni, costretti sempre e comunque a chiedere permesso prima di parlare di questioni cattoliche. Una cosa penosa.
D. Il termine cattolico è ampio, abbraccia molti profili, oggi cosa caratterizza un cattolico che milita o vota Pd?
La sua caratteristica principale è la confusione che è totale e a trecentosessanta gradi. Costretti a vedere il cristianesimo come un affare privato. Come se non potessero dir la loro o fare battaglie contro i tempi moderni. E poi vedono in Berlusconi un uomo moralmente criticabile dal punto di vista cattolico.
D. E’ ipotizzabile che le oltre mille parrocchie nel Lazio si attivino per fermare l’onda radicale? In fondo la Polverini non è Berlusconi.
I parroci e chi frequenta le parrocchie assiduamente, e quindi entra in contatto con i fedeli, possono avere tante idee. Non so se arriverà un ordine di scuderia preciso. Ma ho veramente difficoltà ad immaginare il sostegno da parte del mondo cattolico nei confronti di un personaggio, come la Bonino, più volte vista di fronte San Pietro impegnata in feroci battaglie anticlericali. Sarebbe come se degli antitalebani viscerali sostenessero un talebano. Ma non escludo nulla: in giro ci sono tanti matti.
Abbracciando la Bonino il Pd però abbraccia anche quelle che erano le posizioni di Ignazio Marino.
D. Quindi in teoria non sarebbe dovuto accadere tutto questo terremoto.
Ma per carità. La Bonino è un gigante rispetto a Marino. La leader radicale ha una storia, una biografia seria e soprattutto una coerenza filosofica. Marino è una brutta copia sbiadita e rimpicciolita, mi domando ancora come faccio un personaggio del genere a stare nella dirigenza del partito. Ma sa cosa penso?
D. Dica…
Che il Pd è lo specchio dell’opportunismo liquido inconcludente alla mercè di Antonio Di Pietro e dei radicali. Si sta verificando la profezia di Baget Bozzo: il Pd è morto
D. Ha sfogliato Avvenire in questi giorni? Tratta in maniera diametralmente diversa Vendola rispetto alla Bonino. Come mai?
La Bonino è la vera antagonista. Vendola è un cattocomunista riverniciato. Un prodotto confuso che proviene da più parrocchie.
D. Nel Lazio molti esponenti cattolici del Pd cattolici si sbracciano per minimizzare l’effetto Bonino. Giorni fa Michele Meta, un consigliere regionale potentissimo e con decine di migliaia di voti, ha sostenuto che sui temi della famiglia e della vita il Pd si ispira all’umanesimo popolare e al socialismo democratico.
Non ci credo.
D. Sono dichiarazioni rilasciate dalle agenzie qualche giorno fa.
Allora sono basito. E’ impressionante, certi esponenti del Pd parlano come se la gente fosse stupida. Possono dire quello che vogliono, ma questi signori sotto la croce stavano con la lancia non certo con il fazzoletto della Veronica.
D. Ma qual è la casa dei cattolici oggi?
Santa Romana Chiesa.
D. E la loro casa politica?
Un cattolico trova casa dove si ragiona. E quindi più nell’area del Pdl che da qualche altra parte. E sia chiara una cosa: ad un cattolico oggi non interessa chi urla Gesù, Gesù come fa l’Udc. Semmai preferisce seguire il motto “non fiori ma opere di bene”. Ecco perché secondo me ha un atteggiamento più cattolico un Formigoni, che grazie al mix pubblico privato permette nelle strutture ospedaliere della Lombardia di fare una mammografia in dieci giorni, rispetto a chi fa attendere dieci mesi come accade in altre regioni.
Fin qui Amicone. Ma sempre in relazione alla Bonino, ricordate quando l’esponente radicale praticava aborti illegali? A quanto pare quei molti cattolici della sinistra che la sostengono l’hanno decisamente dimenticato.
Che dire? Se ogni politico nasconde qualche scheletro nell’armadio, Emma Bonino cela un cimitero di 10 mila bambini non nati e da lei, spesso personalmente, eliminati con una indifferenza orgogliosa e agghiacciante. Negli anni 1974-75, quelli in cui infiamma la battaglia che poterà alla legge 194, la Bonino diviene con Adele Faccio una leader di quella che ancora oggi Marco Pannella chiama una “battaglia per i diritti civili”.
Soprattutto, fonda il Cisa e si fa promotrice dell’aborto “per aspirazione”, alternativa pratica ed economica ai “cucchiai d’oro”, cioè agli infami interventi compiuti – fuorilegge ma dietro prezzolatissima parcella – da alcuni medici o praticoni nostrani. Quello mostrato dalla foto è proprio un intervento di quel tipo, eseguito con la pompa di bicicletta davanti al fotografo al quale la giovane e bella militante rivolge il suo sorriso. Il metodo è chiamato Karman e normalmente viene eseguito con un aspiratore elettrico, che però costa “un mucchio di quattrini e poi pesa a trasportarlo nelle case per fare aborti nelle case”. Così spiegava la deputata radicale alla giornalista Neera Fallaci di Oggi, mostrando gli oggetti accanto a lei, bastano una pompa da bicicletta, un dilatatore di plastica e un vaso dentro cui si fa il vuoto e in cui finisce “il contenuto dell’utero”. Un kit per il fai-da-te, come oggi usano fare le iper-femministe per ingravidarsi da sole. “Io – spiega Emma – uso un barattolo da un chilo che aveva contenuto della marmellata. Alle donne non importa nulla che io non usi un vaso acquistato in un negozio di sanitari, anzi è un buon motivo per farsi quattro risate”. Un’allegra scampagnata: “L’essenziale per le donne è fare l’aborto senza pericolo e senza soffrire, non sentirsi sole e angosciate”. Già perché mai? “Entro il secondo mese non ci sono problemi: si può fare il self-help, l’auto assistenza, un discorso rivoluzionario delle femministe francesi e italiane. Dopo il secondo mese mandiamo le donne a Londra”. La Bonino, oltre a essersi sottoposta a un aborto clandestino, tramite il Cisa nel 1975 ha eseguito in Italia e a Londra, in dieci mesi, 10.141 aborti. Cioè diecimila omicidi, secondo la legge vigente all’epoca. Per sua stessa ammissione.

(Fonti: L'Occidentale, 27 febbraio 2010; FattiSentire.org, 7 marzo 2010)

Che bello! un mese senza Santoro!

La domanda è questa: lede di più la libertà d’informazione la soppressione, per il mese precedente le elezioni, delle trasmissioni di Vespa, Santoro e Floris o l’imposizione di non rendere noti, nello stesso periodo, i risultati dei sondaggi demoscopici sulle intenzioni di voto degli italiani?
Domanda retorica: è molto più grave non far conoscere all’opinione pubblica le intenzioni di voto, perché in questo caso si impedisce la diffusione di una notizia e si tiene così all’oscuro l’elettorato. Eppure questa gravissima misura fu varata dal governo di centrosinistra e ce la siamo beccata supini e allineati nell’ultima tornata elettorale. Tant’è vero che la disastrosa debacle della sinistra arrivò come un fulmine a ciel sereno. Chi sapeva come stavano veramente le cose (e non poteva o non voleva dirlo) erano i politici e i giornalisti. Noi, popolo bue, eravamo all’oscuro di tutto. Ci fecero credere (non c’erano sondaggi a smentirlo) che la sinistra era in prodigiosa rimonta e noi ci credemmo. Ma, come poi, si vide, le cose stavano in modo molto diverso.
Se siamo onesti, dobbiamo riconoscere che in quel caso ci fu un attentato gravissimo alla libertà d’informazione e ci fu un’imposizione degna del peggior regime. Eppure ce lo siamo già dimenticato anche perché allora nessun “popolo viola” scese nelle piazze a stracciarsi le vesti e a cantare “O bella ciao”. Ci fecero inghiottire il boccone amaro come se niente fosse. Come se fosse per il bene del Paese. Come se fosse la cosa più normale di questo mondo!
E veniamo all’odierna misura, cominciando col dire che le suddette trasmissioni dovrebbero lasciare il posto a delle tribune elettorali. Come quelle che mi beccavo io quand’ero più giovane e quando ancora non si era diffusa la moda del talk show televisivo. Trasmissioni grigie, pallose, tutte uguali, ma pur sempre utili all’elettore. Magari non gridate, non spettacolari, piuttosto sobrie e, per par condicio, anche troppo equilibrate. Niente di nuovo, dunque, ma sempre meglio del bavaglio all’informazione.
Quanto a Santoro, chi ci legge sa cosa pensiamo del suo modo di fare giornalismo. Santoro è la vera anomalia italiana rispetto all’Europa, perché fa una televisione ideologica, dichiaratamente, sfacciatamente di parte, fosse anche solo la sua. Perché non è super partes, pur essendo pagato (si dice con 700.000 euri all’anno) dai contribuenti. Questo non accade in altri Paesi, dove l’anchor man non esprime un proprio indirizzo politico. Altrove c’è meno cialtroneria e più professionalità. Faremo dunque volentieri a meno di Santoro e dei suoi reggibastone, anche perché non si vede che tipo d’informazione venga dalle sue trasmissioni, che hanno soprattutto lo scopo di spargere odio e veleno e che tra l’altro sono ossessivamente monotematiche.
Faremo dunque tranquillamente a meno di lui, e dei Lerner, e dei Floris e perfino dei Vespa, per par condicio. Non credo che perderemo granchè, che in generale ne usciremo meno informati. Sicuramente saremo un po’ più sereni, non condizionati dalle squallide zuffe e tifoserie televisive che hanno trasformato la politica in un teatrino televisivo. Chi si scandalizza perché in questo modo la Rai fa del male a se stessa (in quanto ferma per un mese trasmissioni che tirano su gli indici di ascolto), non si rende conto di addurre una ragione che è un boomerang. Sta infatti rivelando in modo brutale quello che tutti, più o meno, abbiamo anche inconsciamente capito: che la politica in televisione (quella dei talk show) è solo uno spettacolo che “tira”, è fatta solo per vendere. Non conta più l’informazione, quanto piuttosto lo spettacolo. Non conta il bene del pubblico, quanto piuttosto gli indici di ascolto. Non conta capire, approfondire, affrontare insieme e risolvere i problemi. Questo non “tira”, non “vende”; conta la zuffa, lo scontro. E l’anchor man allora deve essere un po’ guitto, un po’ saltimbanco, un po’ cialtrone, un po’ clown, un uomo di spettacolo. Santoro è il maestro di questa televisione.
Ma allora, di cosa verremo privati? Del predicozzo settimanale di Travaglio? I fan potranno rifarsi comprando il suo giornale. Tanto poi Travaglio torna. Come torna Santoro. Come torna Vespa, Floris. Come tornano le Lilli Gruber, i Lerner. Nel frattempo, chi vorrà, si beccherà la sua tribuna elettorale. Ne soffriranno magari gli indici di ascolto. Avremo meno spettacolo e più informazione. Una TV forse più grigia, più compassata, senza guitti. Una bella pausa, prima che il circo ricominci.

(Fonte: Gianluca Zappa, La Cittadella, 5 marzo 2010)

A proposito di Scientology

Ricevo e pubblico. Si tratta di un commento anonimo postato il 15 febbraio 2010 in relazione alla pubblicazione dell’articolo “Fuga da Scientology” : «Lei basa il suo discorso sostenendo la natura religiosa di Scientology, una natura religiosa che, almeno in Italia, non è riconosciuta. Personalmente leggere una sorta di giustificazione derivante da richiami passati (in questo caso Cristiani) e non fornendo valide prove in contrasto a delle testimonianze reali e concrete mi appare leggermente fuorviante e, detto in maniera gretta, piuttosto facile, come a dimostrare la mancanza di alternativa».
Rispondo: «La ringrazio per la sua postilla, e mi scuso per aver fatto passare del tempo prima di rispondere.
Leggo sul sito ufficiale di Scientology Italia: «Scientology è una religione nel senso più tradizionale del termine. Scientology aiuta l’uomo a diventare più consapevole di Dio, più consapevole della sua natura spirituale e di quella del suo prossimo. Le scritture di Scientology riconoscono l’esistenza di un’intera dinamica (spinta o motivazione alla vita) dedicata all’Essere Supremo (l’ottava dinamica), e di un’altra dinamica relativa esclusivamente alla spinta verso l’esistenza in quanto spirito (la settima dinamica). Il riconoscimento di questi aspetti della vita è una caratteristica tradizionale delle religioni.
I Servizi domenicali si svolgono regolarmente nelle Chiese di Scientology. I ministri di Scientology inoltre svolgono battesimi per i nuovi nati, matrimoni e funerali».
Tanto mi basta per poter emettere un giudizio su tale realtà soprattutto sotto il profilo religioso che è quello che mi interessa. Nessuna giustificazione o mistificazione.
In proposito le riporto qui di seguito, e lo faccio anche per eventuali altri lettori, le tappe salienti dello sviluppo di Scientology in Italia. Come vedrà si tratta di documentazione riscontrabile e non di invenzioni demenziali. Ringrazio anzi per questo Gianni Leone, autore di uno studio in proposito, del quale riporto qui ampi stralci.
Scientology arrivò in Italia nel 1974 con la fondazione del primo “Hubbard Dianetics Institute”. Nonostante la Chiesa di Scientology fosse stata fondata nel 1954, inizialmente in Italia il nome Scientology non fu utilizzato, né il movimento si presentava come una religione. Il primo statuto della sede di Milano del 1977 affermava che l’associazione aveva natura “idealistica”, la dianetica era indicata non quale religione ma quale scienza.
Con lo statuto del 1982 per la prima volta i fini dell’organizzazione verranno definiti “religiosi, culturali ed idealistici” anche in Italia, e sarà introdotto il termine “chiesa”, nonostante l’associazione di Milano continuasse a denominarsi Dianetics Institute. Con lo statuto del 1985 l’associazione assumerà anche in Italia il nome di Chiesa di Scientology.
Con i primi seguaci arrivarono anche le prime polemiche. Sin dall’inizio i vari centri di dianetica furono oggetto di esposti ed indagini di varie preture d’Italia per reati di truffa, violazione valutaria, associazione a delinquere, esercizio abusivo della professione medica, circonvenzione di incapaci, violazioni delle leggi che disciplinano il rapporto di lavoro. Alla metà degli anni ottanta Scientology fu quindi al centro di un’inchiesta giudiziaria che si concluse con il rinvio a giudizio, nel 1988, di 140 operatori dei suoi centri, ormai diffusi su quasi tutto il territorio nazionale.
Le imputazioni spaziavano dalla circonvenzione di incapace all’abuso della professione medica, fino all’associazione per delinquere. Il procedimento, che per 12 anni vide alternarsi pesanti condanne dei giudici di merito e annullamenti dalla Corte di Cassazione, si concluse in via definitiva nel 2000. I vertici furono assolti dall’imputazione di associazione per delinquere, ma furono mantenute alcune condanne per circonvenzione di incapace e abuso della professione medica.
Del 1989, ribadita, dopo un annullamento con rinvio della Corte di Cassazione, dalla Corte di Appello di Bologna nel 1993 (N. 2011 R. Sent. N. 1371/92-p R. Gen), la condanna del Pretore di Modena per truffa e abuso della professione medica in merito al cosiddetto “Purification Rundown” o programma di purificazione, ancora commercializzato sia dalla Chiesa di Scientology che dal suo ente associato Narconon.
Nel 1996 la New Era Pubblications Italia Srl, casa editrice della chiesa di Scientology viene condannata dall’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato per pubblicità ingannevole (Provvedimento n. 3582). Si legge nel provvedimento del Garante: che il messaggio pubblicitario, apparso sul settimanale “Oggi” (n. 35 del 30 agosto 1995, pag. 87), teso a promuovere la vendita, effettuata dalla New Era Pubblications Italia Srl, del libro “Dianetics” di L. Ron Hubbard, abbinata all’omaggio del libro “La via della felicità”, costituisce, limitatamente alla parte in cui si vantano come riconoscimenti da parte di 130 Governi e del Congresso degli Stati Uniti semplici ringraziamenti di cortesia per l’invio in omaggio del libro “La Via della felicità”, pubblicità ingannevole, ai sensi dell’articolo 2, lettera b), del Decreto Legislativo n. 74/92, e ne vieta l’ulteriore diffusione.
Nel 1997 la chiesa di Scientology viene condannata nuovamente dall’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato per pubblicità ingannevole (Provvedimento n. 5016). Si legge nel provvedimento del Garante: che il messaggio pubblicitario reclamizzante 20 lezioni di “Anatomia della mente umana”, così come descritto al punto 2, è da ritenere ingannevole ai sensi degli artt. 1 e 2, con riferimento all’articolo 3 del Decreto Legislativo del 25 gennaio 1992 n. 74, per le ragioni e nei limiti esposti in motivazione, e ne vieta, con effetto immediato, l’ulteriore diffusione.
Nel novembre del 2004 il Tribunale di Cagliari condanna (N. 1555/2003 R.G. TRIB. N. 25/1999 R.N.R.) un dirigente della locale chiesa di Scientology a 4 anni e 6 mesi di reclusione per il reato di estorsione, nel dettaglio il dirigente è stato condannato: perché, anche in concorso con altre persone non identificate, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, mediante minacce, costringeva ripetutamente De. R. a consegnargli varie somme di danaro in contanti per un ammontare complessivo di circa cento milioni di lire, così procurandosi l’ingiusto profitto della predetta somma, con pari danno della persona offesa. Minacce consistite: nel prospettare la morte della persona offesa e dei suoi genitori; nel prospettare rivelazioni su particolari intimi della vittima appresi nell’ambito dell’associazione “Missione Chiesa di Scientology” di Cagliari frequentata dalla vittima (e di cui il Ca. era dirigente).
Attualmente la Chiesa di Scientology è presente in Italia con una ventina di “org” (chiese) e una quarantina di missioni sparse su tutto il territorio nazionale, con una netta prevalenza nelle regioni settentrionali.
Nel 1997 dichiarava 100.000 seguaci sul territorio nazionale, ma il Rapporto di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno su “Sette religiose e nuovi movimenti magici in Italia” del 1998 ne fissò il seguito a circa 7.000 unità.
Il rapporto del 1997 redatto dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza ed inviato il 29 aprile del 1998 dal Ministero dell’Interno alla Commissione per gli Affari Costituzionali contiene molti passi critici nei confronti di Scientology. Il rapporto rileva sia gli altissimi costi dei procedimenti sia le tecniche di reclutamento attraverso, si cita testualmente, “un test gratuito di “misurazione della personalità”, rappresentato da un questionario formato da circa duecento domande rivelatrici (in realtà mirate a conoscere meglio gli aspetti caratteriali dei loro interlocutori); dopodiché, individuati i soggetti più influenzabili, li convincono a “curarsi”, sottoponendosi a sedute di auditing.”.
Lo stesso rapporto sottolinea che le procedure di Scientology sono destinate ad attuare il sistema di “condizionamento mentale”.
Il quadro d’insieme che si ricava dal Rapporto è quindi estremamente negativo verso Scientology che viene descritta come una vera e propria setta.
E’ opinione personale di chi scrive, e in questo senso le do ragione, che Scientology non sia in alcun modo da considerarsi una religione; anzi mi trovo a condividere pienamente il giudizio di seri e qualificati studiosi del fenomeno, che ritengono Scientology semplicemente una grande mistificazione, nata dalla fantasia di un uomo come L. Ron Hubbard. Per il resto, ognuno è libero di ragionare con la propria testa. Grazie».

(Administrator, 10 marzo 2010)