mercoledì 27 maggio 2015

Così il voto irlandese ci travolgerà

In un acuto e ben documentato articolo Massimo Introvigne su la Nuova Bussola Quotidiana (clicca qui) ha messo bene in evidenza il trucco escogitato dalla leadership politica irlandese per avvelenare i pozzi dell'accampamento pro-family. Se è vero che la maggioranza è contro il matrimonio omosessuale perché esso implica l'adozione omosessuale e l'eterologa (di fatto una fabbricazione e compravendita di bambini), allora non si deve fare altro che seguire la tecnica della rana bollita scaldando l'acqua a poco a poco perché la rana non guizzi fuori della pentola: prima hanno legiferato introducendo le unioni civili omosessuali, poi hanno stabilito che i membri di dette unioni possono adottare ed infine hanno fatto votare i cittadini perché tutto questo potesse essere chiamato matrimonio. 
Il referendum irlandese ha sancito a larghissima maggioranza che gli irlandesi sono d'accordo: nella loro Costituzione il matrimonio non dovrà essere solo tra un uomo e una donna. Messaggio chiaro per noi: «se non si vogliono i ”matrimoni” e le adozioni bisogna fermare le unioni civili. Dopo è troppo tardi. In Italia il disegno di legge Cirinnà va fermato ora», scrive Introvigne. Umilmente sottoscrivo in pieno. Non di meno a onore del vero non si può tralasciare che gli attori di un disegno tanto perverso non sono alieni piovuti da Marte, ma eletti dal popolo. E non si può fare a meno di notare come dal 2010, anno in cui le unioni civili omosessuali furono introdotte, non si abbia avuto notizia di un qualche sommovimento contrario di adeguate proporzioni. La legge sulle unioni civili, denominata Civil Partnership and Certain Rights and Obligations of Cohabitants Act, fu approvata alla Camera senza nemmeno la necessità di un voto formale e passò al Senato l'8 luglio 2010 con una schiacciante maggioranza di 48 a 4, tanto che il ministro della giustizia di allora poté parlare di un «livello senza precedenti di unità e sostegno in entrambe le Camere». 
Su una popolazione complessiva di 4 milioni e mezzo di irlandesi, i cattolici sono 3 milioni e ottocentomila. Degli oltre tre milioni e duecentomila aventi diritto al voto solo il 60,52% ha espresso un voto valido di cui quelli a favore del matrimonio omosessuale sono stati 1.201.607, pari al 62,07% dei votanti e del 37,3% degli elettori. Che cosa ha da dirci dunque un processo di questa portata? Credo che una prima amarissima conclusione sia questa: l'Irlanda è oggi una nazione nella quale di fatto dilaga l’eresia (non sono in grado di dire eresia formale, ma almeno quella materiale). Se infatti «per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata» (Can. 750n - §1), se «si devono pure fermamente accogliere e ritenere anche tutte e singole le cose che vengono proposte definitivamente dal magistero della Chiesa circa la dottrina della fede e dei costumi» (Can. 750n - §2) e se infine «vien detta eresia, l'ostinata negazione, dopo aver ricevuto il Battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa» (Can. 751), allora non riesco a individuare una ragione per cui negare che «maschio e femmina li creò» e negare che «né effeminati, né sodomiti erediteranno il regno di Dio», affermando invece che il matrimonio possa essere anche tra uomo con uomo e donna con donna, non riduca tecnicamente alla condizione di eretico. Ovviamente non posso che augurarmi di tutto cuore di essere in errore nel trarre conclusioni di questo tenore da un fatto comunque moralmente gravissimo.
La seconda considerazione è questa: come hanno fatto i pastori a perdere una parte così grande del gregge? Essendo solo una delle pecore non spetta a me dare la risposta, ma qualsiasi pastore vorrà concedermi almeno il diritto di essere spaventato e di offrire il mio modesto suggerimento: mi sembrerebbe più sensato avviare un'ispezione generale del recinto per tappare tutte le falle e un esame accurato del vello di ogni singolo capo per distinguere, individuare ed espellere i lupi che dalle voragini sono entrati, piuttosto che abbattere l'intero recinto e dichiarare pecore e lupi la stessa cosa. Essere sbranato da un lupo camuffato da agnello non rende, infatti, la cosa meno dolorosa. Da umile pecorella mi augurerei che proprio dal prossimo Sinodo ordinario sulla famiglia partisse un tale intervento di restauro e bonifica.
Terza considerazione: se da una nazione che fu cattolicissima torna a ergersi l'antico vitello d'oro, se con una X referendaria si compiono un grave deragliamento della ragione e una eresia materiale, allora non riesco a non pensare alle parole del Vangelo di Luca: «Quando il Figlio dell'uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?» (Lc 18,8). Quarto pensiero rivolto ai cantori cattolici della legalità e della democrazia: le schifezze decise a maggioranza rimangono schifezze. Cambiate registro e tornate a cercare la giustizia, non la legalità, anche perché mi pare che di giustizia si parli nel Vangelo. Il primo Papa, la roccia, quando rispose all'autorità che «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5,29), doveva avere ancora ben vivido il ricordo della decisione "democratica" di salvare Barabba e condannare il Signore.
Vorrei infine indirizzare un pensiero a quanti si bevono la storia che offrire il matrimonio anche alle persone omosessuali non tolga nulla agli altri, vorrei dunque rivolgermi a quelli credono che si tratti di dare solo la possibilità a tutti di godere degli stessi diritti. Cari amici, la bevanda aromatica del «più diritti per tutti» che oggi vi bevete, avvelenerà voi, me, i nostri figli e le generazioni che verranno che giustamente malediranno la vostra scempiaggine di oggi. È questo l'ammonimento che da ormai alcuni anni giunge dal professor Robert P. George, docente di diritto all'Università di Princeton e dal suo ex allievo, Ryan T. Anderson, direttore della rivista Public Discourse e ricercatore alla fondazione Heritage. Che cosa significa, infatti, consentire il matrimonio fra persone dello stesso sesso, se non ridefinire attraverso la forza della legge il matrimonio stesso? Oggi il matrimonio che unisce me e mia moglie è l'istituto che unisce tra loro un uomo e una donna come marito e moglie per essere padre e madre dei loro figli, è fondato sulla realtà antropologica della complementarietà dell'uomo e della donna, si sviluppa dal fatto biologico che gli esseri umani nascano solo da un uomo e una donna, protegge l'esigenza umana di ogni figlio di avere un padre e una madre e assolve al bene sociale della tutela dell'interesse del figlio.
Con l'avvento del matrimonio omosessuale o col suo camuffamento temporaneo e furbastro delle unioni civili omosessuali, il legame che unisce me e mia moglie sarà trasformato in un'unione affettiva centrata sul desiderio e l'interesse degli adulti approvata dal governo e plasmabile a piacimento dallo stesso governo. La stragrande maggioranza delle persone sposate crederà che niente sia cambiato il giorno dopo l'approvazione del matrimonio o delle unioni omosessuali (che al matrimonio sono prodromiche), ma non si renderà conto che il vincolo che li univa è stato dissolto e sostituito da uno del tutto diverso. E non si renderanno conto che quel vincolo che li univa, proprio perché non esiste più, non sarà più disponibile neppure per i loro figli e per i figli dei loro figli. 
Quel giorno non penseranno che la macchina dello Stato metterà in moto ogni suo tentacolo per imporre le nuove regole a livello educativo alla loro progenie, a livello culturale nella società e per prevenire e reprimere ogni possibile trasgressione. Non crederanno che anonimi burocrati di uno Stato che lascia a marcire in India per anni i suoi servitori in divisa, che rimette a piede libero i peggiori delinquenti e assassini, che fa delle sue frontiere marittime un colabrodo pseudoumanitario, saranno capaci con grande efficienza d'imporre lezioni obbligatorie di cosiddetta "uguaglianza di genere" ai loro figli e ai nipoti. Non immagineranno che quando affermeranno che un bimbo ha bisogno di un papà e di una mamma, ciò basterà a farli considerare retrogradi, incolti, gente da rieducare e che i primi a additarli come tali saranno proprio quei loro figli e nipoti che dietro ingente tassazione sono stati prelevati dallo Stato, affidati da questi al comparto scuola e che ora sono pronti a svolgere il ruolo di perfetti censori domestici delle loro idee nostalgiche. Non penseranno che già l'essere cattolici verrà visto come l'appartenenza ad una setta di infidi sovversivi del nuovo ordine. Non immagineranno di dovere stare bene attenti a non esternare alcunché d'interpretabile come minimamente critico alla condotta omosessuale per non essere oggetto di attenzione dell'apparato giudiziale e carcerario. 
Quei vescovi e preti tremebondi, forse in qualche caso resi tali dal ricatto, non penseranno che il loro silenzio li condannerà a un provvisorio silenzio tombale e poi all'assenso benedicente delle omocoppie e del poliamore, o in alternativa, come predetto dal cardinale George, al prossimo martirio. No, non immagineranno tutto questo, penseranno solo di essere stati più buoni degli altri, alcuni crederanno di essere stati persino più cristiani, ma non ci vorrà molto perché i fatti mostrino che erano solo dei poveri illusi. Non lasciamoci angustiare da tutto questo però, pensiamo a fare bene il bene che ci sta di fronte, perché «non tocca a noi dominare tutte le maree del mondo». Qualsiasi sia l'esito di questa battaglia, non lasciamoci spaventare dalle sconfitte provvisorie, perché l'esito della guerra è già stato vinto sulla Croce. Sulle orme di Enrico V nel giorno di San Crispino, ricordiamoci che se rimarremo saldi nella fede, «meno siamo e più grande sarà la nostra parte di gloria; [...] noi pochi. Noi felici pochi. Noi manipolo di fratelli».


(Fonte: Renzo Puccetti, La nuova bussola quotidiana, 26 maggio 2015)
http://www.lanuovabq.it/mobile/articoli-cosi-il-voto-irlandese-ci-travolgera-12764.htm#.VWVsnf0w-72

 

Ecco cosa pensano i veri teologi di Vito Mancuso

Il teologo del politicamente corretto, Vito Mancuso, ha recentemente offerto ai lettori di “Repubblica” un’altra perla new age pescata dal suo repertorio.
Il noto teologo mediatico -temendo di parlare di Dio, di Gesù Cristo e del suo messaggio evangelico-, ha infatti spiegato che l’uomo dovrebbe scegliere il bene al posto del male, anche se quest’ultimo talora risulta più conveniente, semplicemente in nome dell’etica (laica), cioè «la logica della relazione armoniosa che abita l’organismo a livello fisico e che lo fa essere in salute, l’armonia tra le componenti subatomiche che compongono gli atomi, tra gli atomi che compongono le molecole, e così sempre più su, passando per cellule, tessuti, organi, sistemi, fino all’insieme dell’organismo», secondo la sua definizione.
E qualunque cosa ciò voglia dire, la conseguenza è che «il segreto della vita in tutte le sue dimensioni è l’equilibrio, e l’etica non è altro che l’equilibrio esercitato tra persone responsabili». Basta rispettate delle regole sociali per essere felici e trovare il segreto della vita, altro che i comandamenti di quel Messia mediorientale! In un altro suo scritto recente spiegava con un ennesimo abuso teo-panteista che il senso della vita, la meta è «fare di noi stessi un giardino». Sarà contento il WWF!
La domanda sorge spontanea: se l’autorità e la reputazione di un intellettuale la si valuta anche nella stima che i diretti colleghi provano nei suoi confronti, cosa ne pensano i teologi, quelli veri e autorevoli, di Vito Mancuso? Ecco qui una bella carrellata di opinioni:
Mons. Piero Coda, presidente dell’Associazione Teologica Italiana, docente di teologia dogmatica alla Pontificia Università Lateranense, membro del Consiglio Scientifico dell’Enciclopedia Italiana nonché professore e primo relatore della tesi di Vito Mancuso, ha preso le distanze dal suo ex allievo nel libro “Dio crede in te” (Rizzoli 2009): «Mancuso tende a sottovalutare la portata universale dell’evento di Gesù. Dice di rifarsi alla tradizione metafisica dell’evento cristologico e parla di una teologia universale: ma l’universalità, dal punto di vista della fede, è radicata nella singolarità dell’evento di Gesù Cristo. In sostanza, il progetto di Mancuso di una rifondazione metafisica della fede consentanea alla ragione contro le timidezze e i formalismi della teologia postconciliare è più un’intenzione che un risultato». Rispetto alla coesistenza del male e di Dio, di cui parla in alcuni libri, «Mancuso non riesce a cogliere la logica, senz’altro profonda e persino misteriosa», che lega i due assunti. «D’altra parte, ciò che gli manca è guardare al focus che li illumina: Gesù Crocifisso e Risorto».
Il teologo Bruno Forte, anche lui professore di Mancuso presso la Facoltà Teologica “San Tommaso d’Aquino”, ha scritto un articolo su “L’Osservatore Romano” nel febbraio 2008 dopo aver letto un suo libro, dicendo: «ha suscitato in me un senso di profondo disagio e alcune forti obiezioni, che avanzo nello spirito di quel servizio alla Verità, cui tutti siamo chiamati». Il suo pensiero è «una “gnosi” di ritorno, presentata nella forma di un linguaggio rassicurante e consolatorio, da cui molti oggi si sentono attratti».
Il teologo e filosofo Antonio Livi, docente di Filosofia della conscenza all’università Gregoriana e professore emerito della Pontificia Università Lateranense, nonché allievo del filosofo Étienne Gilson, ha questa opinione di Vito Mancuso: «Premetto una cosa: rispetto Giuliano Ferrara, che è un “ateo devoto”, Marcello Pera che è ateo ma rispetta il cristianesimo. Rispetto Paolo Flores D’Arcais, che è un anticattolico viscerale, e anche l’antireligioso Piergiorgio Odifreddi. Ma se uno si presenta come teologo cattolico deve stare a certe regole, logiche ed epistemolgiche». Mancuso «è considerato un teologo, ma il contenuto e l’impianto del suo testo contraddicono la natura della teologia. Tratta con scandalosa superficialità temi che meriterebbero ben altro rispetto, commettendo diversi notevoli svarioni», ha scritto. Nell’articolo “Mancuso, il falso teologo”, del novembre 2011, ha scritto inoltre: «Mancuso parla e scrive di teologia, e i suoi libri hanno avuto in Italia una vasta e chiaramente interessata eco nei mass media di orientamento laicistico: evidentemente, alla cultura anti-cattolica non può che far piacere che un autore che si proclama cattolico e teologo demolisca uno per uno tutti i dogmi della fede cattolica (era già successo anni or sono con i libri di Hans Küng) […]. E’ questo modo di affrontare gli argomenti della fede cristiana che non consente di considerare Mancuso un teologo», non accorgendosi che «la sua teoria ripropone, senza sostanziali novità speculative, la vecchia eresia pelagiana […]. Quello di Mancuso è genuino panteismo (anche se teoreticamente inconsistente)». E in conclusione: «Insomma, la pseudo-teologia di Mancuso piace ai miscredenti perché porta acqua al mulino della polemica contro la Chiesa e ripropone (proprio come aveva fatto in precedenza Hans Küng con la sua Welthetik) il progetto massonico di una religione universale “laica” senza gerarchia e senza dogmi, quella religione che alla fine del Settecento era stata teorizzata dal massone Gotthold Ephraim Lessing con Nathan der Weise».
Un altro suo collega, Angelo Busetto teologo presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, nell’aprile 2013 ha spiegato che Mancuso è «un autore che si definisce e si fa definire ‘teologo’ […]. Qualche tempo fa avevo letto con una certa simpatia qualche suo intervento, nel tentativo di riconoscergli lo sforzo di avvicinare la teologia ai problemi dell’uomo d’oggi. Ormai però mi sembra di vederlo imbarcato con l’equipaggio di chi si fa servo dei luoghi comuni ampiamente propagandati sui mass-media».
Padre Gian Paolo Salvini, gesuita e direttore della prestigiosa “La Civiltà Cattolica”, ha esposto brevemente il suo pensiero su Mancuso nel gennaio 2008: «stiamo preparando un articolo sul libro di Mancuso. Un articolo per la verità molto critico, credo che su molti punti quanto egli scrive non sia compatibile con la fede cattolica. Ma il libro e il linguaggio sono seducenti anche perché parlano di cose che interessano alla gente. Lui poi è molto amabile e cortese, anche personalmente. Il suo linguaggio è molto evanescente e immaginifico, per cui spesso non si capisce che cosa voglia dire».
Un altro suo collega, il famoso teologo Enzo Bianchi, amareggiato nel vedersi citato a sproposito nel libro scritto con Corrado Augias, ha commentato: «le risoluzioni che propone Mancuso si collocano nello spazio della gnosi in cui la storia è di per sé storia di salvezza e in cui non c’è da parte di Dio né rivelazione né grazia».
Padre Giovanni Cavalcoli, docente emerito della Facoltà Teologica di Bologna, ha spiegato nel marzo 2013 che «Mancuso rappresenta l’ala secolarista tendenzialmente atea del modernismo, di carattere popolare e sovversivo, che, come sappiamo, si affianca all’altra ala più intellettuale e legata agli ambienti della cultura e della gerarchia cattolica, la quale affetta una forma di spiritualismo raffinato che in fondo non è che riesumazione della tradizione gnostico-idealistica tedesca». Nel 2010 ha invece smontato punto per punto il libro di Mancuso intitolato “L’origine e l’immortalità dell’anima”.

Il suo vecchio amico e collega, l’affermato teologo Gianni Baget Bozzo, gli ha domandato nel 2008: «Caro Vito, che senso ha chiamarsi ancora teologo, se non per pura commercializzazione del prodotto, quando si ha una così bassa concezione della teologia?».
Il teologo gesuita Giovanni Cucci, docente di Filosofia e Psicologia all’Istituto “Aloisianum” di Padova e presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, ha scritto di Mancuso nel 2010 stroncando il libro “La vita autentica”: «Mettendo a confronto le varie parti del libro, il meno che si possa dire è che la conduzione del discorso risulta molto ambigua ed equivoca, per non dire contraddittoria. In fin dei conti, per Mancuso, Dio è necessario o no ai fini del discorso sull’autenticità? Le risposte che giungono dal libro non consentono di stabilirlo, poiché si afferma in una pagina quanto viene negato alla pagina successiva. La prospettiva di un orizzonte impersonale non risulta soltanto insostenibile in sede filosofica. Resterebbe da chiedersi come Mancuso, escludendo dal suo discorso la possibilità di Dio, possa ancora presentarsi come un teologo cristiano, e su che cosa verta a questo punto l’indagine della sua disciplina, ammesso che le parole conservino ancora un senso».
Pietro De Marco, sociologo della religione presso l’Istituto Superiore di scienze Religiose e di Storia della Chiesa presso la Facoltà di Lettere di Firenze, nel febbraio 2010 ha scritto: «il linguaggio di Mancuso è disarmante, non lo accetterei nella tesina di uno studente». Il suo «monismo energetico, disperante nella sua dogmaticità, può certamente apparire frutto di un tardo, sfilacciato New Age». «Da anni, leggendo Mancuso», ha continuato De Petro, «sono diviso tra lo stupore per una cultura, filosofica e teologica, approssimativa ed esibita, e la riflessione sul suo successo. Che Augias abbia catturato Mancuso in un libro a due, che si vende molto, e che se lo porti dietro in un inesausto calendario di incontri, ha una sua logica. Mancuso produce, infatti, più danni nella religiosità comune e cattolica che la cultura ottocentesca del giornalista de “la Repubblica”. Dopo Adriano Prosperi, e altri, la coppia Mancuso-Augias garantisce una solida continuità di polemica anticattolica».
Don Agostino Clerici, sacerdote, giornalista ed editorialista del “Corriere di Como”, ha sottolineato nel maggio 2012 che nei libri di Mancuso, nel «modo di procedere che vorrebbe essere logico e quasi sistematico si insinuano frequentemente degli scivoloni clamorosi, quasi del lapsus che sembrano dettati solo da un’acredine, da una polemica, non di rado astiosa, nei confronti della struttura ecclesiastica». Dopo aver segnalato alcuni di questi errori, ha concluso: «il successo dei libri di Mancuso si basa sull’attacco alla Chiesa autoritaria e dogmatica suffragato da incursioni nell’attualità. Troppo poco. Io continuo a nutrire simpatia nelle forza emotiva che lo spinge a scrivere, ma mi attendo che il nuovo linguaggio serva a dire le verità della fede cristiana, non a smantellarle».
Il teologo Stefano Biavaschi, docente e collaboratore con la Cattedra di Teologia dell’Università Cattolica, nel gennaio 2013 ha commentato: «Che un uomo, ordinatosi sacerdote, possa gettare la tonaca alle ortiche solo un anno dopo, sono fatti suoi (per modo di dire, perché ogni fatto è di tutti, specie se sei un uomo di chiesa). Ma che poi lo stesso uomo pretenda di dare lezioni al Papa, appare un po’ eccessivo. Eppure è quello che Vito Mancuso fa tutti i giorni con i suoi scritti». E, dopo aver sottolineato numerosi errori nei libri di Mancuso, ha affermato: «rimane dunque l’amara impressione che si voglia generare confusione tra i credenti. Tesi che ingannano molti, perché poi sono pochi quelli che vanno a verificare davvero le fonti».
Il gesuita Corrado Marucci, professore di esegesi biblica al Pontificio Istituto Orientale, ha scritto su “La Civiltà Cattolica”: «Mancuso dice di voler essere un pensatore cattolico, un figlio della Chiesa. È perciò assai strano che egli non faccia alcun riferimento alla metodologia dell’esegesi biblica e a quella propria della teologia cattolica. L’assenza quasi totale di una teologia biblica e della recente letteratura teologica non italiana, oltre all’assunzione più o meno esplicita di numerose premesse filosoficamente erronee o perlomeno fantasiose, conduce Mancuso a negare o perlomeno svuotare di significato circa una dozzina di dogmi della Chiesa cattolica. A fronte di una relativa povertà di dati autenticamente teologici, la tecnica di accumulare citazioni da tutto lo scibile umano, oltre al rischio di distorcerne il senso reale ai propri fini poiché esse fanno parte di assetti logici a volte del tutto diversi, non corrisponde affatto alla metodologia teologica tradizionale. Non è facile elencare tutte le matrici che Mancuso alterna e assomma nel corso dell’esposizione (platonismo, razionalismo gnostico, scientismo, eclettismo e così via): quello che comunque domina è il razionalismo convinto che di realtà di cui non si ha alcuna percezione sensibile o decisamente soprannaturali si possa discettare in analogia con le scienze fisico-biologiche. Nel contesto di notevolissima confusione sulla religione e la Chiesa tipica della cultura mediatica contemporanea, ci sembra che contribuisca ad aumentare tale confusione. L’Autore dichiara la sua disponibilità ad essere corretto: ma ciò, dato lo stile non sistematico e velleitario delle sue affermazioni, non è facile, poiché si può confutare soltanto ciò che è organicamente formulato al di dentro di un preciso assetto epistemologico».
Segnaliamo infine altre stroncature del pensiero mancusiano arrivate da intellettuali, scrittori e filosofi come  Costanzo PreveAlfonso Berardinelli, Marcello Veneziani, Fabio Luppino, Francesco Lamendola, Antonio Socci, Francesco Agnoli ecc.

(Fonte: Redazione Uccr, 4 luglio 2013)
http://www.uccronline.it/2013/07/04/ecco-cosa-pensano-i-veri-teologi-di-vito-mancuso/
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Cosa manca a Vito Mancuso per essere un teologo cattolico?
Se ponessimo la domanda: “Che cosa manca a Vito Mancuso per essere un teologo cattolico”, molti risponderebbero ricordando il rifiuto dei principali teologi – come abbiamo mostrato più sopra – a considerarlo tale (compresi i suoi formatori). Altri ricorderebbero il suo credo gnostico e panteista: proprio recentemente ha sostenuto che «occorre approdare alla convinzione che la Terra sia un unico organismo vivente chiamato Gaia». Altri ancora si soffermerebbero sul suo ateismo filosofico dato che l’editorialista di Repubblica sostiene che i miracoli, compresi quelli evangelici, non sono opera di Dio ma «sorgono dal basso, dall’energia della mente umana».
In realtà quel che principalmente manca a Mancuso è proprio la fede cattolica, non aderendo a nessun fondamento del cattolicesimo (dal peccato originale al principio di autorità della Chiesa e della lettera biblica, fino alla negazione di «circa una dozzina di dogmi della Chiesa cattolica» come ha scritto La Civiltà Cattolica). In secondo luogo manca a Mancuso la capacità di essere teologo, come ha scritto il teologo e filosofo Antonio Livi«è teologo nel senso che insegna Teologia ma l’effettivo contenuto e l’impianto metodologico» del suo pensiero «sono in netta contraddizione con l’idea stessa di teologia».
Un esempio è il suo ultimo articolo/relazione intitolato “Cosa manca alle religioni per accettare l’omosessualità” nel quale ha tentato di confutare gli argomenti delle religioni contrari ai comportamenti omosessuali. Un tentativo non riuscito, nel quale in realtà si è continuamente confuso tra persone omosessuali, inclinazione omosessuale e comportamento omosessuale. Prendiamo in considerazione la sua obiezione alla posizione della Chiesa cattolica: «In ambito cristiano gli argomenti contro l’amore omosessuale sono due: la Bibbia e la natura. Il primo si basa su alcuni testi biblici che condannano esplicitamente l’omosessualità, in particolare Levitico 18,22-23 e 1Corinzi 6,9-10. L’argomento scritturistico è molto debole, non solo perché Gesù non ha detto una sola parola al riguardo, ma soprattutto perché nella Bibbia si trovano testi di ogni tipo, tra cui alcuni oggi avvertiti come eticamente insostenibili. I testi biblici che condannano le persone omosessuali io ritengo siano da collocare tra questi, accanto a quelli che incitano alla violenza o che sostengono la subordinazione della donna. E in quanto tali sono da superare».

(Fonte: Aleteia, 26 maggio 2015) 26 maggio 2015
http://www.aleteia.org/it/religione/contenuti-aggregati/cosa-manca-vito-mancuso-teologo-cattolico-articoli-critiche-5880338345623552

 

venerdì 22 maggio 2015

Preoccupazioni prive di azioni

Le conclusioni dell’Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana ricalcano le indicazioni offerte nell’intervento di apertura da Papa Francesco e la precisa diagnosi compiuta nella sua prolusione da Angelo Bagnasco, il cardinale presidente della Cei. La consapevolezza della Chiesa italiana rispetto alla fase di profonda crisi attraversata dal paese è piena, non ci sono sotterfugi, non ci sono non detto: dalla crisi etica complessiva, al dramma della corruzione diffusa, alla difficoltà economica piombata nella stragrande maggioranza delle famiglie italiane sotto forma di assenza di lavoro o di lavoro precario, tutti gli aspetti sono stati affrontati.
Non ci sono state reticenze neanche sui temi che questo giornale indica come “falsi miti di progresso”, contro cui dalla sua fondazione combatte. Bagnasco in particolare ha elencato con puntualità tutti i nodi anche legislativi che si affacciano all’orizzonte dell’attività parlamentare: ha citato il ddl Cirinnà sulle unioni gay (sottolineando anche il pericolo rappresentato dall’articolo 5 del disegno di legge, anche se non comprendendone a pieno le conseguenze sul piano della legittimazione della pratica dell’utero in affitto), ha sottolineato il pericolo dell’avanzare dell’ideologia gender nelle scuole anche attraverso l’emendamento alla riforma appena varata dalla Camera, ha citato il divorzio breve già approvato dal Parlamento in via definitiva e anche i progetti per arrivare ad una legge sull’eutanasia. L’offensiva legislativa è ampia e pericolosissima, i vescovi italiani ne sono consapevoli, il presidente della Cei ha espresso chiaramente tutte le sue preoccupazioni.
Anche nel documento conclusivo, a riprova dell’ampio livello di coscienza e preoccupazioni raggiunto nel corso del dibattito, le tematiche sono ribadite: “Proprio di tale vocazione e responsabilità a vivere con la gente si è fatto interprete il Cardinale Bagnasco nella prolusione, dove ha dato voce innanzitutto ai nodi antichi e nuovi del Paese: la piaga della disoccupazione, la tragedia dei migranti, i tentativi legislativi di equiparare il matrimonio e l’istituto familiare ad altre unioni. Sono stati temi ripresi e approfonditi nel dibattito assembleare, con i Vescovi preoccupati – accanto alle difficoltà materiali sofferte da tanta gente – dello “snaturamento” della cultura popolare, della disgregazione dei rapporti e delle manipolazioni di carattere tecnologico. In particolare, l’Assemblea ha messo in guardia dalla cosiddetta teoria del genere, che si sta diffondendo in modo subdolo soprattutto nelle scuole e che coinvolge l’impostazione generale del senso della vita, della sessualità e dell’amore. Di qui l’appello dei Pastori a genitori e educatori, perché prendano coscienza di ciò che a questo riguardo viene insegnato ai loro figli e trovino le forme per contrastare apertamente una tale deriva antropologica, culturale e sociale”.
Risuonano tutte le preoccupazioni che hanno caratterizzato il nostro “appello ai vescovi italiani” del 18 aprile scorso. Chiaramente i vescovi ne hanno parlato, hanno osservato avanzare delle norme che stravolgeranno il diritto di famiglia italiano e del punto di vista del costume comprendono che codicilli come quello della riforma della scuola sulla propaganda gender sono bombe destinate a esplodere e a fare molti danni: forse, siamo davanti a una ferita mortale per il tessuto sociale italiano fondato fino ad oggi sulla famiglia naturale. La famiglia è la nemica delle teorie gender, che non a caso nei famosi “corsi antidiscriminazione” definiscono la cellula fondata su mamma, papà e figli come “uno stereotipo”, volendo imporre piuttosto una cultura delle “famiglie” al plurale fondate su qualsiasi forma di relazioni affettiva e collegando ad esse anche un incredibile “diritto al figlio” che lede prima di tutto i diritti dei figli, dei bambini. E proprio Bagnasco aveva indicato nei bambini, riecheggiando le parole di Papa Francesco, le vittime di questo colossale abbaglio della ragione umana e dell’azione politico-legislativa di questo Parlamento.
Il combinato disposto dell’approvazione a strettissimo giro di divorzio breve, ideologia gender nelle scuole grazie alla riforma dell’istruzione e legge Cirinnà sulle unioni gay e conseguente diritto alla filazione anche attraverso la legittimazione di pratiche come l’utero in affitto costituisce un’offensiva devastante per la società italiana. I vescovi sono sembrati consapevoli. Hanno espresso chiare le loro preoccupazioni, non hanno indicato azioni da compiere.
Si resta dentro lo schema della “responsabilità dei laici”, che ne carica molta anche sulle nostre spalle. Cercheremo di non sfuggirla, ma certo occorrerà capire se questa assenza di un piano operativo (otto anni fa una piccola legge come i Dico fu battuta in piazza, da una piazza voluta dalla Cei e i Dico rispetto a quello che sta approvando questo Parlamento sono niente, acqua fresca) indica una freddezza rispetto alla volontà di agire dei laici o è in qualche modo un incoraggiamento responsabilizzante. Quel che so è che le leggi potrebbero essere approvate in tempi brevissimi, dunque per la risposta organizzata e visibile di una opinione pubblica contraria occorrono tempi brevissimi. Altrimenti la politica deciderà e deciderà contro la famiglia, avendo avuto la sensazione che l’opposizione a quei progetti è, di fatto, inesistente.

 
(Fonte: Mario Adinolfi, La Croce, 22/05/2015)
http://www.lacrocequotidiano.it/articolo/2015/05/22/chiesa/preoccupazioni-prive-di-azioni
 

Gli italiani contrari al ddl Cirinnà: il 76% sostiene la famiglia uomo-donna

Anche in Italia si vuole replicare quanto accaduto in Francia, dove il matrimonio omosessuale è stato letteralmente imposto alla popolazione nonostante milioni di persone si siano radunate per giorni nelle piazze francesi a manifestare la loro contrarietà (nacque lì infatti la Manif pour tous, associazione poi diffusasi velocemente in tutto il mondo occidentale).
In Italia l’attuale governo, non eletto da nessun cittadino, ha messo in calendario il ddl Cirinnà che di fatto intende equiparare le unioni civili (anche omosessuali) al matrimonio, con tanto di stepchild adoption (aprendo la porta all’adozione di bambini da parte di parte di coppie omosessuali). L’on. Ivan Scalfarotto, punta di diamante del mondo Lgbt nonché Sottosegretario di Stato al Ministero delle Riforme (noto per aver tentato di introdurre per la prima volta in Italia il reato d’opinione tramite il ddl sull’omofobia), aveva annunciato ancora una volta trionfalmente -prendendo per l’ennesima volta in giro i suoi sostenitori- che la legge sui diritti civili sarebbe arrivata entro maggio, gli oppositori «se ne facciano una ragione». Siamo oltre la metà di maggio e il ddl Cirinnà –ha spiegato Il Fatto– è già andato in vacanza per una lunga pausa di riflessione anche grazie alla forte opposizione che ha ricevuto in Parlamento (ben spiegata dall’avvocato Filippo Martini dei Giuristi per la Vita).
Scalfarotto dovrebbe farsi una ragione anche del fatto che la popolazione italiana è a maggioranza contraria al ddl Cirinnà, notizia che nessun principale quotidiano ha riportato. E’ emerso infatti da una rilevazione effettuata negli ultimi giorni di marzo da Lorien Consulting, autorevole società di ricerche di mercato, che i favorevoli al disegno di legge sulle unioni civili sono il 47% degli Italiani, mentre il 50% si dichiara apertamente contrario e il restante 3% non risponde. Considerando che radio, quotidiani e televisioni sono un continuo ed enorme spot pro-Lgbt -la stessa strategia utilizzata con successo per promuovere la campagna omosex negli Stati Uniti-, possiamo dire che il responso è decisamente e positivamente sorprendente.
Altri dati interessanti emersi dal sondaggio di Lorien Consulting, ripresi soltanto dal quotidiano La Croce e dal quotidiano online Formiche, sono che il 44% degli italiani non vuole che vengano omologati unioni civili e matrimonio e il 76% ritiene la famiglia tradizionale un valore in sé per il quale è importante battersi e manifestare. Se inoltre consideriamo il responso di Eurispes del 2014, dove il riconoscimento delle coppie di fatto era allora visto positivamente dal 78,6% della popolazione, si potrebbe dire che nel solo giro di un anno si è verificata una massiccia inversione di rotta (troppo bello per essere vero, purtroppo). L’on. Scalfarotto se ne farà comunque una ragione?
 

(Fonte: Redazione Uccr, 19 maggio 2015)
http://www.uccronline.it/2015/05/19/gli-italiani-contrari-al-ddl-crinna-il-76-sostiene-la-famiglia-uomo-donna/

 

Pederastia fa rima con necrofilia. Il tenebroso & turpe delirio dei banditori pederastici

La pornografica, demenziale Organizzazione Mondiale per la Sanità (Oms) ha diffuso un grottesco documento intitolato Standard per la sessualità in Europa. Il testo in questione intima agli stati nazionali di promuovere l’iniziazione alla masturbazione precoce degli alunni delle scuole elementari. Sullo sfondo lo scenario che prevede un futuro indirizzato alla denatalità attraverso la medicina pederastica e onanistica.
L’osceno, inquietante e criminale testo dell’Oms è citato e confutato da Gianfranco Amato, autore di un saggio, Omofobia o eterofobia?, edito in Verona da Fede & Cultura. Il testo è apprezzabile quantunque non siano comprensibili le anacronistiche bordate (di fonte pliniana?) contro il regime fascista, nello specifico non colpevole. Anzi.
Concepito dai poteri forti, il barbaro, infame progetto (dis)educativo contempla la corruzione dell’infanzia a spese del contribuente, frastornato e disarmato da una viscida e ossessionante campagna giornalistica, che concerta le voci squillanti nel tele-vespasiano a lode e gloria del vizio contro natura.
Sorprendenti e inquietanti sono la blanda reazione del mondo cattolico all’infezione pederastica e la scarsa resistenza dei genitori italiani, che sembrano incapaci di vedere la cialtronesca diseducazione progettata e avviata contro i loro figli dai motori bancari (Georges Soros in prima linea) e industriali (Bill Gates, nel ruolo di seconda locomotiva) della cultura pederastica e nichilista. E dalla scuola postmoderna, in cui imperversano presidi e insegnanti favorevoli all’introduzione nei programmi d’insegnamento di giochi sessuali, quali il gioco del rispetto.
Gli scolaretti sono incoraggiati da pedagoghi di scuola onusiana & californiana “a consolidare la propria identità di genere e a favorire la convinzione il mio corpo appartiene a me quindi a conoscere la possibilità di relazioni con persone dello stesso sesso”.
I bambini, pertanto, devono essere informati – dalla scuola degli orchi democratici – sulle “aspettative di ruolo e comportamenti di ruolo rispetto all’eccitazione sessuale e alle differenze di genere” ed eventualmente/preferenzialmente sull’opportunità di svelare la propria omosessualità. 
Naturalmente i genitori degli scolari avviati alla corruzione non sono informati dell’esperimento gay condotto a danno della coscienza dei loro figli.
Un osservatore incline a giudicare realisticamente potrebbe dire in assoluta tranquillità che sulla bandiera dell’unione europea fiammeggia la squillante parola Culocrazia.
L’unione europea, infatti, “promuove una legislazione intesa alla piena equiparazione giuridica della famiglia composta da un uomo e una donna a quella omosessuale”.
A questo punto è utile rammentare che l’ascesa del Culo nel vessillo della rivoluzione moderna è stata preparata, negli anni Ottanta del secolo scorso, da una squadra di prestigiosi intellettuali suggestionati dai pederasti californiani, che Maurizio Blondet ha definito adelphi della dissoluzione.
L’ebrezza pederastica, associata al furore abortista, è indirizzata alla demolizione spirituale e fisica dell’onesta persona umana, oltre a incrementare il potere della suggestione maomettana.
In Italia tale progetto fu sostenuto e applaudito senza pudore da Sergio Quinzio, un funereo intellettuale adelphiano, al quale fu concesso di pubblicare, nelle seriose e sontuose pagine del Corsera, un’apologia dei rapporti omosessuali consapevolmente finalizzati alla trasmissione del mortale virus Hiv.
L’abusata e ingannevole parola gay deve essere pertanto sostituita dalla appropriata parola sad (lugubre) la più adatta a definire i viaggi nello sterco.
La resistenza cattolica al disordine deve fare un passo avanti, al seguito delle indicazioni proposte a tempo debito da padre Julio Meinvielle s. j., e prepararsi a confutare la perversa utopia dei postmoderni: il disegno incuboso, che contempla un paradiso in terra costituito per la minoranza dei gaudenti illuminati dalla religione obituaria.
L’orizzonte dell’élite pederastica è una radunata di eletti eccitati e fanatizzati dal disordine sessuale e dal progetto di vivere in un regno al quale, oltre alli superiori, siano ammessi soltanto servi animaleschi, sopravvissuti ai colpi della falce abortista/malthusiana e programmati per l’utilità degli eletti.

 

(Fonte: Piero Vassallo, Riscossa cristiana, 20 maggio 2015)
http://www.riscossacristiana.it/pederastia-fa-rima-con-necrofilia-il-tenebroso-turpe-delirio-dei-banditori-pederastici-di-piero-vassallo/

 

Papa da una parte, vescovi dall'altra? Ecco quello che certi giornali non capiscono

C'è qualcosa di non detto, o meglio non riferito, che pesa sul bilancio della 68ma Assemblea generale della Chiesa italiana, conclusasi ieri con la consueta conferenza stampa del Card. Angelo Bagnasco. 
Sono le due ore, circa, di colloquio confidenziale e franco, tra Papa Francesco e il suo episcopato, tenutosi in Vaticano lunedì scorso. Botta e risposta alla Bergoglio, puntellato dalle continue raccomandazioni a non cadere in pasto ai "leoni", alias vaticanisti assetati di gossip e scoop, per non alimentare il già pastoso chiacchiericcio mediatico fatto di "si dice", "io le assicuro", "io credo" di presunti monsignori e curiali, che prima di sbottonarsi supplicano sempre: "non scriva il mio nome". Per una volta i vescovi ciarlieri, avvezzi alle confidenze, hanno tenuto la bocca chiusa. E già questa è una novità. Poco o nulla è trapelato del dialogo con Francesco, seguito al denso, a tratti sferzante, come sempre implacabilmente sincero, discorso di apertura dei lavori tenuto dal pontefice. 
"La lama di un chirurgo che affonda nella carne viva della Chiesa", la chiusa di un collega non avvezzo alle metafore forti, forse, più semplicemente, la mossa furba di un buon giocatore che mostra le carte e costringe gli altri a svelare la strategia. In questi giorni, autorevoli commentatori hanno sottolineato la severità del Papa, la sua inusuale mancanza di "misericordia", o meglio di "indulgenza", verso i vescovi e i loro presunti piccoli vizi o mancanze, cercando di marcare la distanza tra l'episcopato italiano e il pontefice latino-americano, popolarissimo all'esterno, incompreso e solo, dentro le mura vaticane e i confini della Penisola.
E' evidente lo schematismo facile e l'uso smodato di cliché applicati ad una storia che ha ben altre radici rispetto ai pontificati degli ultimi anni. Francesco è oltre le dinamiche destra/sinistra che qualcuno si ostina ad applicare alla Chiesa. E se è vero che molti suoi vescovi non sempre lo comprendono, ancora più evidente risulta il difetto di interpretazione di certi commentatori. Indubbiamente entrare in sintonia con un Papa così pirotecnico, in pastorale e azione, deve aver creato qualche problema. Il suo slancio in avanti ha sorpreso e preoccupato più di un pastore, e c'è da credere che in molti non abbiano ancora capito dove vuole andare a parare. 
Ma sono portata a pensare che lo stordimento non nasconda sempre avversione. Per farmi un'idea di cosa ne pensano le Eccellenze italiane del Vescovo di Roma e Patriarca di Italia ne ho sentita qualcuna, pretendendo nome e cognome. Volevo capire come la provocazione sulla "sensibilità ecclesiale", vale a dire "l'appropriarsi degli stessi sentimenti di Cristo, di umiltà, di compassione, di misericordia di concretezza e di saggezza", fatta dal Papa nel discorso inaugurale, avesse scalfito il monolitico corpo della gerarchia italiana, che alcuni si ostinano a disegnare tiepido, se non indifferente o addirittura ostile, alla rivoluzione bergogliana. 
Due giovani vescovi, anagraficamente e di consacrazione, mi hanno detto di essere stati sorpresi dallo stile "Francesco". Mons. Anselmi, don Nico per gli amici, vescovo ausiliare di Genova, scout nel cuore, mi ha confidato che quasi non ascoltava ciò che il Papa diceva, preso com'era da quella sua capacità confidenziale e fraterna  nell'invitare al confronto. "Ha parlato poco e ascoltato molto" e "ha risposto con riferimenti personali, aneddoti e storie prese dal suo passato". "E' stato massimamente concreto". 
Ecco ciò che più spiazza una chiesa forse un po' anestetizzata dai troppi convegni e parole, tentata dall'autoreferenzialità e bloccata da una gerarchia ingombrante. "Ci ha provocato condividendo con noi quello che è il suo stile personale — ha affermato Mons. Paolo Giulietti, anche lui ausiliare, ma di Perugia — la vicinanza e l'accompagnamento alla gente sono i cardini della sua pastorale, che ci ha mostrato attraverso la forza della prassi". Un Papa insomma che parla di collegialità e comunione e che la mostra, saltando anche in maniera brusca i convenevoli per andare subito al sodo. 
Nessuna piaggeria; il tono dei due neovescovi, che conosco personalmente e, assicuro, non sono inclini a fare sconti, era sinceramente estasiato. Per scorticare un po', ho interpellato un paludato monsignore, pastore da anni in una città di provincia, ma non per questo meno addentro alle dinamiche ecclesiali. Il Cardinale Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona, passato attraverso la dialettica aspra del Sinodo sulla famiglia e oggi impegnato più che mai a cercare di capire il senso e i segni di questo tempo ecclesiale. La provocazione di Papa Francesco lanciata alla Chiesa italiana, per il pastore marchigiano, è proprio sull'interpretazione della missione del vescovo, compresa in un Mistero più grande. Per lui si deve capire "che il vescovo non è un padrone di qualcosa o di qualcuno, ma colui che in nome di Gesù Cristo esercita la vicinanza nella verità e nella misericordia". E in questo il Papa dà l'esempio. "Molti lo percepiscono come nuovo — continua Menichelli — ma noi dobbiamo renderci conto che dobbiamo passare da un modo di ideare la pastorale, buono, ottimo, strutturato e fruttuoso in passato, ad un altro tipo di pastorale, capace di coniugare le due famose parole: Verità e Misericordia". Ma attenzione, non si tratta di "inventare verità o accelerare o ridurre la misericordia" ma di guardare in faccia chi si ha davanti, il famigerato "Popolo" e di "impastare con il tempo che viviamo una sorta di paternità incarnata". 
Menichelli confida in una conversione lenta ma per tutti. E le resistenze? gli chiedo. Lui: "Chi resiste non è resistente al Papa. Dovrebbe fare un esame di coscienza, perché è resistente allo Spirito di Dio. Ci siamo incartati, la pastorale è incartata in certi ambiti, con il risultato di aver imbottigliato lo Spirito Santo. Dobbiamo inginocchiarci e pregare, rendendo il nostro cuore molle all'azione dello Spirito, friabile". Nelle parole del saggio cardinale tutta la sfida della Chiesa italiana. 
 

(Fonte: Cristiana Caricato,il Sussidiario.net, venerdì 22 maggio 2015)
http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2015/5/22/CHIESA-Papa-da-una-parte-vescovi-dall-altra-Ecco-quello-che-certi-giornali-non-capiscono/610900/

martedì 12 maggio 2015

E questo sarebbe il teologo di fiducia del papa?

Nel “cerchio magico” degli intimi di papa Francesco il numero uno è sicuramente Víctor Manuel Fernández, rettore della Universidad Católica Argentina di Buenos Aires nonché arcivescovo titolare dell’estinta sede metropolitana di Tiburnia.
O almeno, numero uno lo è stato fino a ieri. Perché l’intervista che ha dato al “Corriere della Sera” di domenica 10 maggio potrebbe segnare l’inizio della sua rovina.
Basta vedere come nell’intervista egli liquida la curia romana e i cardinali tutti, vagheggiando un papa commesso viaggiatore:
“La curia vaticana non è una struttura essenziale. Il papa potrebbe pure andare ad abitare fuori Roma, avere un dicastero a Roma e un altro a Bogotá, e magari collegarsi per teleconferenza con gli esperti di liturgia che risiedono in Germania. Attorno al papa quello che c’è, in un senso teologico, è il collegio dei vescovi per servire il popolo. […] Gli stessi cardinali possono sparire, nel senso che non sono essenziali”.
Oppure come si scaglia a testa bassa contro il cardinale Gerhard L. Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede:
“Ho letto che alcuni dicono che la curia romana fa parte essenziale della missione della Chiesa, o che un prefetto del Vaticano è la bussola sicura che impedisce alla Chiesa di cadere nel pensiero light; oppure che quel prefetto assicura l’unità della fede e garantisce al pontefice una teologia seria. Ma i cattolici, leggendo il Vangelo, sanno che Cristo ha assicurato una guida ed una illuminazione speciale al papa e all’insieme dei vescovi ma non a un prefetto o ad un altra struttura. Quando si sentono dire cose del genere sembrerebbe quasi che il papa fosse un loro rappresentante, oppure uno che è venuto a disturbare e che dev’essere controllato. […] Il papa è convinto che quello che ha già scritto o detto non possa essere punito come un errore. Dunque, in futuro tutti potranno ripetere quelle cose senza la paura di ricevere sanzioni”.
Il bello è che per distillare dal Rio de la Plata questa sua “summa” Fernández ha scomodato l’intervistatore del “Corriere” facendogli trasvolare due volte l’Atlantico.
Perché lui passa come grande teologo, anzi, come il teologo di riferimento di papa Francesco, il suo consigliere più insigne, il suo ghostwriter sin da quando era arcivescovo di Buenos Aires. Nell’estate del 2013 si stabilì a Roma per scrivere con Francesco la “Evangelii gaudium”; e poi ancora vi si è stanziato lo scorso marzo nella settimana che il papa s’era ritagliata per scrivere la prossima enciclica sull’ecologia. Da Santa Marta è trapelato però che Francesco abbia cestinato la bozza che Fernández gli aveva confezionato, forse presago, il papa, che il cardinale Müller l’avrebbe poi comunque demolita, una volta avutala tra le mani.
In effetti, se si va a curiosare nella produzione libraria del teologo Fernández, c’è da convenire che anni fa la congregazione per l’educazione cattolica aveva più che ragione nel bocciare la sua candidatura a rettore della Universidad Católica Argentina, salvo poi doversi inchinare, nel 2009, al volere dell’allora arcivescovo di Buenos Aires.
Il primo libro che rivelò al mondo il genio di Fernández è “Sáname con tu boca. El arte de besar“, edito nel 1995 da Lumen con questa presentazione al lettore fatta dall’autore stesso:
“Ti chiarisco che questo libro non é stato scritto sulla base della mia personale esperienza quanto della vita della gente che bacia. In queste pagine voglio riassumere il sentimento popolare, quello che la gente prova quando pensa a un bacio, quello che sentono i mortali quando baciano. Per questo ho parlato a lungo con tante persone che hanno molta esperienza in materia, e anche con tanti giovani che imparano a baciare alla loro maniera. Inoltre ho consultato tanti libri e ho voluto mostrare come i poeti parlano del bacio. Così, nell’intento di sintetizzare l’immensa ricchezza della vita sono venute queste pagine a favore del bacio, che spero ti aiutino a baciare meglio, che ti spingano a liberare in un bacio il meglio del tuo essere”.
Poi sono venuti altri libri più consoni al suo ruolo di teologo e chierico, come ad esempio, nel 2006, per i tipi della San Pablo, le 300 pagine di “Teología espiritual encarnada“.
Eppure anche questa sua opera magna è incappata nelle settimane scorse in una disavventura boccaccesca.
In una telenovela a puntate dal titolo “Esperanza mía”, in onda sul canale 13 della tv argentina, con protagonista un giovane prete che seduce una suora e inizia con lei una storia d’amore, a far da galeotto della seduzione è stato proprio il citato volume del dotto Fernández, ripetutamente sfogliato e letto nelle sue pagine più tentatrici.
È questo lo sfondo della sfrontata intervista di Fernández al “Corriere”, con tiro ad alzo zero contro il cardinale Müller.
Il quale Müller, per aver detto di voler “strutturare teologicamente” il papato, come da suo ruolo statutario, è ormai diventato il bersaglio numero uno degli ultrabergogliani del “cerchio magico” e di “Vatican Insider”, da qualche tempo piuttosto nervosi.
Uno di questi, Gianni Valente, ha fatto di tutto per strappare una condanna del cardinale prefetto al rinomato teologo domenicano Benoît-Dominique de La Soujeole, intervistato come fosse un inquisitore, senza peraltro cavare un ragno dal buco neppure dopo l’ennesima domanda a tesi:
D. – L’idea di un papato carente dal punto di vista della “strutturazione teologica” contiene un riverbero delle vecchie teorie medievali sull’ipotesi del “papa eretico”?
R. – Non penso. La strutturazione teologica di cui parla il cardinale Müller, per come io comprendo l’espressione, è una collaborazione attiva al ministero proprio del papa.
E papa Francesco? Dovesse ora scegliere tra Fernández e Müller saprebbe già lui con chi stare, senza che nessuno glielo insegni.

 
(Fonte: Sandro Magister, Settimo cielo, 11 maggio 2015)
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/

 

giovedì 7 maggio 2015

Dossier: Maria Valtorta e la sua opera: una valutazione…

Quando l’ispirazione letteraria è scambiata per ispirazione divina. E un romanzo su Gesù per “quinto evangelio”. “Pericoloso” per giunta, a detta di Ratzinger.
Meglio Dan Brown… J'accuse di un equivoco letterario-religioso.
Perciò, quando i valtortiani dicono: “Maria Valtorta, chiamata ‘piccolo Giovanni’, non ha scritto un quinto Vangelo, ma ha sviluppato e illustrato, per divina ispirazione, i quattro Vangeli canonici”, occorre rispondere: “NO”.
La verità è che la Chiesa ha rigettato questa conclusione.
Da 50 anni la Chiesa sostiene che la Valtorta non ha scritto sotto ispirazione divina ma a modo suo: ha semplicemente composto una “vita romanzata” di e su Gesù…
Insomma, potremmo continuare e non essere lontani da ciò che disse l’allora Card. Ratzinger per mezzo del Sant’Uffizio: “Una vita di Gesù malamente romanzata“…
E anche se volessimo togliere il termine “malamente” , che esprime il giudizio della Chiesa, l’opera è davvero una vita di Gesù “romanzata”.
 
Allontanando da noi la presunzione o la superbia di sostituirci al giudizio della Madre Chiesa, vogliamo semplicemente trattare l’argomento partendo da ciò che la Santa Sede ha già detto a riguardo. Desideriamo, inoltre, tentare di comprendere perché, pur essendoci stato parere negativo riguardo agli scritti della Valtorta, i fedeli, invece di obbedire, continuano ad andare contro le disposizioni ecclesiali.
Va sottolineato che la Chiesa non si è pronunciata sulla persona, ma solo sui suoi scritti. Pur non ritenendoli eretici, li ha però “sconsigliati perché pericolosi” alla fede “dei piccoli”.
Le denunce della Madre Chiesa su questi scritti sono due. La prima è del 1959 a cura del Sant’Uffizio con la firma dell’allora Prefetto cardinale Ottaviani; la seconda è del 1985 a firma dell’ex Sant’Uffizio. Il Prefetto era all’epoca Joseph Ratzinger, il quale era impegnato contemporaneamente nell’analisi dei testi e della biografia di un’altra mistica, Anna Katharina Emmerich, di cui abbiamo parlato già in precedenti articoli e la cui beatificazione giunse nel 2004 con la firma al decreto di approvazione del beato Giovanni Paolo II.
Va ripetuto che non intendiamo fare processi. In aggiunta, diciamo anche che in futuro le decisioni prese finora potrebbero cambiare. E’ sempre saggio e prudente attendere il parere della Chiesa. Pertanto, noi ci accingiamo a sviscerare l’argomento fermandoci a ciò che è stato detto fino ad ora: per il domani Dio vede e provvede.

Per vie segrete… e Radio Maria
Nel Bollettino valtortiano del luglio 2010 leggiamo questa inquietante presentazione:
“L’Opera è restia a farsi trasportare sui veicoli di una propaganda aperta, ma preferisce dirigersi ai cuori, che se la comunicano l’un l’altro. Per tali vie segrete l’Opera ha raggiunto e continua a raggiungere ogni angolo della terra, fino ad aver suscitato spontaneamente traduzioni in più di 20 lingue, che tendono ad aumentare… Ogni volta, dunque, che abbiamo preteso di “lanciarla” con un servizio giornalistico, una pubblicità sulla stampa, uno stand alle fiere del libro, una conferenza o un convegno, a volte per iniziativa di altri con il nostro appoggio, ma sempre nella convinzione di rendere un buon servizio all’Opera, abbiamo fallito il colpo e siamo stati dirottati a servire tornando al solito posto di lavoro. Insomma, non dovevamo condurla, ma esserne condotti”
Inquieta quelle “vie segrete” giustificate dal quel dirigersi direttamente “ai cuori” comunicando l’un con l’altro: ci suona tanto di adepti,”per gli eletti”, settario, soprattutto se guardiamo al fatto che la condanna espressa dalla Chiesa è nata proprio a riguardo della difesa dei semplici.
Ad ogni modo usano anche Radio Maria, con la compiacenza di Padre Livio, per rendere pubblici questi scritti sconsigliati dalla Chiesa, definendoli “ispirati” quando la Congregazione per la Dottrina della Fede ha deciso, per ora, che non lo sono.

Se Gesù parla “strano” e si dissocia dalla Chiesa
L’ambiguità di queste parole è palese. Questo “Gesù” si esprime con pensieri strani, e comprendiamo perché per ben due volte la Chiesa definisce questi diari o quaderni come “pericolosi”. Sfogliando tutte le profezie dei mistici, riconosciuti tali, mai un Gesù Signore si dissocia dalla Chiesa che “vediamo”. Certo, Gesù mette in guardia sempre dai nostri peccati e dalle ombre che gettiamo sulla Sua Sposa, ma non ha mai avanzato il dubbio che “Sarebbe meglio allora che molte volte non la conoscesse. Dico che non conosce la Chiesa così come Io l’ho fondata“; al contrario, Gesù, nel suo rapporto con mistici e veggenti, solitamente cerca discepoli per riaffermare la credibilità dell’unica Chiesa da Lui fondata e guidata (più che animata), non semplicemente dal “suo” spirito, ma dallo Spirito Santo, Terza Persona della Trinità, che è Uno col Padre e il Figlio. La beata Emmerick, per esempio, parla certamente di ministri corrotti, perversi e pervertitori che guidano una “chiesa parallela”, ma non mette mai in dubbio la Chiesa in quanto tale. Qui, invece, la Valtorta dice ben altro, avanzando il dubbio che la Chiesa guidata da Pietro (intende questo quando viene detto “suoi ministri”) non sia la stessa di quella fondata da Cristo. E’ come se Cristo parlasse di un’altra Chiesa che la maggior parte dei fedeli non conoscerebbe o che “ Sarebbe meglio allora che molte volte non la conoscesse“. Il dubbio è palese e ci spinge a quella dottrina protestante secondo la quale la vera Chiesa di Cristo sarebbe quella “spirituale”, fatta dalla fede dei fedeli, e non quella retta dai ministri che sono sì sempre passibili di tentazione – e in alcuni casi anche corruttori di anime – ma anche “santi e santificatori”.

Ratzinger: una condanna che non è presa alla leggera
Nel 1985, il cardinale Joseph Ratzinger, nella sua qualità di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, risponde personalmente al quesito di un sacerdote genovese, interessato a conoscere la posizione dell’autorità ecclesiastica circa l’Opera della Valtorta; la risposta, come abbiamo detto, richiama il decreto del 1959 e un articolo dell’Osservatore Romano, aggiungendo che la condanna «non fu presa [rectius: decisa] alla leggera», sostenendo che l’Opera su Gesù è: “Una vita di Gesù malamente romanzata“. La condanna non è rivolta alla persona, ma deve essere fatta al fine di evitare i danni che tale pubblicazione avrebbe potuto «arrecare ai fedeli più sprovveduti». Michele Pisani, il laico che si prodigò alla prima stesura degli scritti, senza attendere il parere della Chiesa e continuando la divulgazione anche dopo l’esito negativo, addolcisce la pillola sostenendo che parlando di “fedeli più sprovveduti”, si potrebbe sottintendere che nell’Opera non si trovano errori propriamente eretici, giacché, in tal caso, essa sarebbe stata proibita a tutti quanti i fedeli; analogo discorso può farsi per un ipotetico danno alla moralità. Piuttosto la decisione presa dal futuro Papa riguarda propriamente quelle censure di “opportunità”, proprio per evitare che i fedeli “più sprovveduti” possano far sorgere in loro quegli stessi dubbi palesemente presenti nell’Opera.

Il mistero dell’approvazione di Pio XII e la lettera di Paolo VI
Le fonti valtortiane sostengono che tutta l’Opera fu data all’allora pontefice Pio XII, il quale, dicono, dopo averla letta, in una udienza privata a tre serviti diede l’ordine di farla pubblicare “così come era” e di vietare ai chierici la strumentalizzazione dei testi, e il divieto di censurare alcune parti. Il Sant’Uffizio naturalmente sostiene che ciò non è vero, a chi credere?
Semplice: se la risposta si fosse fermata al 1959, forse si poteva sospettare di un’eventuale disobbedienza al Papa e di un’azione malevola del Sant’Uffizio, ma il fatto che nel 1985 la Congregazione per la Fede, guidata da Ratzinger, si espresse nel modo in cui abbiamo letto, appare ragionevole credere che Pio XII non approvò mai l’Opera e forse non ebbe modo neppure di leggerla. Per il fatto stesso che si parla di “udienza privata” (e guarda caso a tre serviti che seguivano Maria Valtorta) non possiamo certo dire che la fonte sia più attendibile di quella del pronunciamento della Congregazione per la Dottrina della Fede stessa. I valtortiani esibiscono una lettera della Segreteria di Stato nella quale c’è scritto che l’Opera donata a Paolo VI, nel 1974, ha ricevuto il “grazie del Pontefice”. Questa, però, non è un’approvazione: il Papa riceve centinaia di doni. Anche io conservo ben due di queste lettere-ricevute, dopo aver fatto pervenire al Papa Giovanni Paolo II le foto della mia famiglia, chiedendo la benedizione, e la sua segreteria ci rispose mandandoci anche la corona del rosario, ma non mi sono mai illusa che il Papa l’abbia davvero letta o che abbia visto le nostre foto.

Colombe e serpenti. Magistero e vangelo piegati alla valtorta
Ma è necessario anche ricordare che “sprovveduto” si dice di colui che non ha dimestichezza o conoscenza di come funzionano le cose in un determinato contesto; che non è in grado di capire un fenomeno, una situazione che si trova ad affrontare. Talora, nell’accezione comune, si sottintende che chi è sprovveduto è anche esposto a determinati rischi derivanti dalla sua ingenuità o scarsa avvedutezza. Ci pare, allora, che, in un tal contesto, l’opportuna “censura” sia stata provvidenziale: sprovveduti sono in generale un po' tutti i cristiani, proprio perché, come battezzati, laddove si vive da veri cristiani, si è resi “docili come colombi”. Anche per questo, tuttavia, siamo invitati ad agire con l’astuzia dei serpenti.
Del resto, che certa “astuzia” venga usata anche da chi cura le Opere valtortiane è da loro detto: “Alcuni libri-estratti li abbiamo corredati di passi del Vangelo, ed anche di documenti del magistero pontificio, che avallano e rafforzano il valore della trattazione valtortiana.”
Il sistema è, dunque, quello di piegare il Magistero e il Vangelo all’opera valtortiana, una sorta di interpretazione che, evidentemente, all’allora cardinale Ratzinger non è bastata per definirla “edificante e di aiuto ai fedeli”. Al contrario, dichiarata “pericolosa” nonostante gli accostamenti fatti al magistero e al Vangelo…
I valtortiani che curano i suoi scritti ammettono: “L’opera di Maria Valtorta ha dato prova, per decenni, di essere uno strumento di evangelizzazione nel mondo intero. La Chiesa potrebbe ora servirsi delle nostre pubblicazioni per intraprendere un suo esame, troppo a lungo rimandato, che faccia approdare ad un riconoscimento”.
Dunque non c’è un riconoscimento: la Chiesa fino ad oggi non si è servita di questa Opera. A questo punto appare evidente che Pio XII non la approvò ordinando la sua diffusione. Poiché ci preme l’unità della Chiesa, noi ci auguriamo di cuore che riconoscimento arrivi, magari in un futuro: ci preoccupa tuttavia che molti sacerdoti, per esempio, non leggono e non conoscono i santi, non conoscono il Magistero Pontificio, non conosco neppure il catechismo, ma si dilettano nell’opera valtortiana perseguendo una ostinata disobbedienza alle decisioni prese dalla Chiesa.

Seminare dubbi sul sant’Uffizio
Nel Bollettino del luglio 2007, i valtortiani ammettono di agire in disobbedienza alla Chiesa:
“Quando, oltre sessant’anni fa, l’opera di Maria Valtorta veniva fatta circolare in copie dattiloscritte, il Sant’Uffizio intimò ai Religiosi che se ne facevano promotori di non pubblicarla prima che la competente Autorità ecclesiastica ne avesse compiuto un accurato esame. Ben presto, però, si capì che l’accurato esame non sarebbe mai iniziato, sia per la mole dell’opera, sia per la poca predisposizione dei Revisori. La pubblicazione che uscì nonostante il divieto, pur essendo dovuta all’iniziativa di un editore laico, fu ritenuta dal Sant’Uffizio un atto di disobbedienza dei suddetti Religiosi, con le ben note conseguenze.”. Non ci sembra un modo corretto di procedere: tanto più che è falso e grave gettare il dubbio che “la competente Autorità non avrebbe apportato un accurato esame…”. Conoscendo la pignoleria del Sant’Uffizio nel 1950 e quella di Ratzinger nel 1985, poiché sappiamo di come si sono occupati di altre questioni e, per esempio, degli scritti della Emmerick, tutto ci fa credere piuttosto che i testi vennero letti e non giudicati idonei e persino pericolosi. Si legge che la decisione “non fu presa alla leggera”: se la conseguenza dei fatti è agire sapendo di disobbedire, ciò ci fa pensare che questi testi non sono propriamente “celesti” e che la Valtorta – noi pensiamo – non avrebbe mai accettato una situazione del genere, ma avrebbe atteso il parere della Chiesa!

Processo di beatificazione per la Valtorta: i vescovi dicono no
Se è vero, poi, che l’unica Opera passata al vaglio dal Sant’Uffizio è proprio quella più imponente, più letta e più importante, denominata “L’Evangelio come mi è stato rivelato” – che nella prima edizione portava un’altro titolo: il Poema dell’Uomo Dio, e che è stata definita “pericolosa per i più semplici” – e che quest’opera è stata esaminata per ben due volte, appare evidente che tutta l’Opera valtortiana non è affidabile riguardo al campo apologetico, dottrinale e teologico. Almeno fino a quando la Chiesa non si pronuncerà nuovamente e diversamente. E anche importante sottolineare che l’Ordine dei Serviti, ai quali Maria era legata, ha chiesto di recente l’apertura del processo di beatificazione: questa richiesta è stata rigettata da tutti vescovi della Toscana. Tutti hanno dato parere negativo. Quindi, Maria Valtorta, in questo momento, non è neppure dichiarata “venerabile”, sebbene il corpo fu traslato dal cimitero ove venne sepolta nel 1961 alla Basilica di Santa Maria Annunziata in Firenze nel 1973.
Qui non si discute la sua personale santità, ma di regole calpestate, di venerabili senza autorizzazione, di testi divulgati non soltanto senza l’imprimatur, ma, proprio contravvenendo a ben due divieti della Congregazione per la Dottrina della Fede, definiti “ispirati” quando per la Chiesa non lo sono.
È bene ripetere e ricordare che tutti i sacerdoti e i laici che usano gli scritti valtortiani per l’evangelizzazione, lo fanno in disobbedienza alla Chiesa, servendosi di materiale “pericoloso e non idoneo” che la Chiesa non ha approvato e che ha vietato di divulgare come “ispirato”.
Qui non è in discussione la persona di Maria Valtorta, sia ben chiaro, ma ancora una volta è in discussione la sua Opera scritta che la Chiesa non ha riconosciuto! Non rischiamo di essere mai ripetitivi abbastanza quando ancora nel 2007 leggiamo dal loro Bollettino: “Tutta questa storia, detta qui in brevi cenni, è ben sviluppata nel libro intitolato Pro e contro Maria Valtorta, che riproponiamo soprattutto a coloro che lo rifiutano perché ritengono, a torto, che esso accolga per buone le maldicenze”.
Ma come è possibile approvare chi dice male di Maria Valtorta?”.
L’ennesimo errore, speriamo in buona fede: non si parla affatto “male” di Maria Valtorta, ma si dice, con la Chiesa, che i suoi scritti non sono approvati come materiale ecclesiale, teologico e dottrinale, e come “ispirazione divina”.
Il fatto che ci possano essere, o ci siano, pareri favorevoli a questi scritti, provenissero anche da cardinali o professori, non significa nulla: ciò che conta è il parere della Chiesa; è la Chiesa che deve decidere quali siano i testi da adottare per l’evangelizzazione; è la Chiesa che decide quali siano i testi validi per la dottrina e per le catechesi. Il parere degli altri, per quanto autorevoli, non può mai sostituirsi ad un’approvazione ufficiale!
Naturalmente questo discorso vale per tutti e per tutto ciò che riguarda la Chiesa. Noi stessi, per quanto fallibili con le nostre opinioni, stiamo cercando di analizzare i fatti alla luce della disapprovazione della Chiesa e non alimentando opinioni personali che ognuno potrà maturare per conto proprio, ma mai in nome della Catholica.

Quel nome che ancora non viene fatto…
Un’altra volta “la voce” le avrebbe detto: “Quando la tua mano sarà ferma nella pace in attesa di risorgere nella gloria, allora, solo allora verrà fatto il tuo nome”. Dovremmo pensare che Maria Valtorta non è ancora nella gloria? Ovvio che no, ma non è stata riconosciuta ancora, e i valtortiani sostengono che se il suo nome non viene ancora “glorificato-beatificato” dipende dal fatto che ella non voleva il culto alla sua persona. Questo, però, nessun santo lo vuole! Nessun santo desidera che la propria fama oscuri il nome del suo Signore. E’ Dio a decidere ed è la Chiesa docente ad interpretare le decisioni di Dio. Se il suo nome non è ancora stato fatto, ossia, beatificato, di conseguenza ci è lecito pensare che è Dio stesso a non volere questa divulgazione, stando proprio a ciò che leggiamo. Attualmente il suo nome appare sì, ma come atto di disobbedienza dei suoi seguaci, per loro stessa ammissione, come è scritto sopra.

Quale santo ha mai detto “mi oppongo”?
Nel novembre del 1944 Maria Valtorta scrive al suo sacerdote: “…mi oppongo formalmente che della opera santa, data per gioia dei buoni e guida dei sacerdoti, sia fatto uno studio umano… trattando il portavoce come “il caso clinico Valtorta”, volendo tutto spiegare, e perciò ridurre ad un fenomeno psichico, tutto spiegare, anche quello che altro non è che suprema, adorabile, paterna opera di Dio, del Pastore e Padre al suo gregge. (…) Circa, poi, l’opera dettata da Gesù, mi oppongo, e nella maniera più recisa, che vengano fatti studi di una scienza che spogliata da non vere vesti appare quale è: razionalismo del più schietto. No. Siate sacerdoti e non scienziati. Siate sacerdoti e non politicanti. Siate sacerdoti, ossia umili e retti, e non superbi e spinti sempre a dimenticare lo scopo: le anime, per il fronzolo: la soddisfazione di fare un’opera scientifica lodata, citata, e commentata da altri della stessa tempra.”
Parole in sé sacrosante: siate sacerdoti e non politicanti…Attenzione, però: l’Opera di cui parla è stata passata al vaglio dall’Autorità della Chiesa. Quale santo o mistico ha mai detto all’Autorità della Chiesa che indagava “mi oppongo”? La Chiesa ha il compito di “provare al crogiolo” soprattutto i mistici. San Pio ci rammenta benissimo come occorre disporsi davanti all’autorità ecclesiastica: con un “obbedisco” senza se e senza ma. E questa obbedienza ha rivelato la sua vera grandezza e quella di altri come lui.

Disobbedisce al Signore e guida il suo confessore, invece di farsi guidare
Dalle lettere dell’aprile 1946 al suo sacerdote, appare una chiara contraddizione:
“Le faccio presente che, anche dopo il permesso avuto da Nostro Signore di dare a leggere pagine a chi sento bisognosi di questo fra i miei testimoni, io non me ne sono valsa perché sempre più mi convinco che non c’è ubbidienza, correttezza, prudenza, nella gente anche migliore. Non per colpa mia deve venire il castigo. Io ubbidisco e ho ubbidito. Sempre…”.
Queste affermazioni, teologicamente parlando, sono davvero ambigue se non persino gravi: un santo, che riceve un permesso dal Signore, opera e basta, agisce, non decide diversamente perché ritiene il genere umano scorretto e disobbediente. E se il “castigo” doveva avvenire per causa (non colpa) sua? Chi è lei per decidere diversamente dal permesso voluto da Cristo? Obbedisce o no? E a chi obbedisce?
Appare piuttosto evidente che Maria Valtorta agisce molto liberamente, indipendentemente da tutti e da tutto; agisce secondo le sue decisioni, è lei a decidere. Tutte le lettere indirizzate al suo confessore sono chiarissime in questo senso: è lei che guida il suo confessore, non il contrario come dovrebbe avvenire, e questo è davvero contrario a tutte le regole della vera mistica (chi volesse capire cosa è la mistica si rilegga sul sito la prima tappa sulla beata Katharina Emmerich). Una volta dice al suo sacerdote: “Ma non ha ancora capito che è un momento in cui tutto il Male è contro l’Opera? Sia coraggioso, prudente e paziente. Quando, e se, capisce che il Generale ha vero interessamento e fede nell’opera, col suo aiuto cerchi di ottenere l’approvazione.”. L’approvazione, però, non è arrivata. Contro l’Opera della Valtorta c’era il Sant’Uffizio, cioè la Chiesa!

Cristo può contraddirsi? Tutto è sempre al contrario nella Valtorta
Lievemente grafomane. I quattro evangelisti in una ventina di pagine ciascuno raccontarono la storia della salvezza. Questo “quinto evangelo” della Valtorta, per raccontare apparentemente le stesse cose, abbisogna di 20 volumi
Il 28 gennaio del 1947 “Gesù” avrebbe dato a Maria Valtorta un nome maschile, con il quale presentare la “sua” Opera, che molti discepoli valtortiani definirono erroneamente il Quinto Vangelo. Cristo, a tal proposito avrebbe appunto detto: “Non è un libro canonico. Ma è sempre un libro ispirato, che Io dono per aiutarvi a comprendere ciò che fu il mio tempo di Maestro e a conoscermi”. Perché, però, chiamare Maria Valtorta “piccolo Giovanni”, alludendo così ad una continuazione con il Suo Vangelo? E’ altrettanto ambiguo che nel fare citazioni dall’Opera come fonte si scriva “L’Evangelo n….” e, tuttavia, nello stesso tempo, si precisa che non è un quinto Vangelo. Al di la di questo particolare, resta palese che per “conoscere” Gesù dovremmo avere bisogno di leggere i quaderni della Valtorta la quale, ha scritto di suo pugno, di non essersi mai interessata ad altri testi teologici. Inoltre, se tale opera è “per i semplici”, suona strano che la CdF abbia per ben due volte sottolineato che tale Opera è “pericolosa” proprio per i semplici, sottolineato da chi è diventato Papa: abbiamo due Cristi diversi – uno che ha ispirato la Valtorta e uno che guida la Sua Chiesa attraverso il suo vicario – che si contraddicono?
In verità la Valtorta era certamente un’anima pia e aveva letto libri spirituali come Storia di un anima di santa Teresa di Lisieux ed era attiva nell’Azione Cattolica. Fin dall’adolescenza aveva in cuore l’idea di approfondire la fede cristiana: ciò che c’era a sua disposizione sembrava non bastarle mai e voleva di più. Già da tempo le frullava per la mente di scrivere, e scrivere tanto: aveva pure iniziato un romanzo femminile, ma non lo completò mai.
Forse è proprio questo “volere” a trarla in qualche inganno nella convinzione che il Signore l’avesse prescelta proprio in ciò che ella desiderava di più al mondo: conoscere la fede cristiana e scrivere. Solitamente, nei mistici, accade proprio il contrario: è vero che fin da bambini sono “privilegiati”, ossia preparati spesse volte da delle “visite” speciali di angeli custodi, di alcuni santi, ecc., ma solitamente non sono i loro desideri che si avverano, se non quello di un atto di consacrazione di se stessi a Dio nella verginità totale. Riguardo ai “progetti”, è la “visione” che disvela lentamente il progetto di Dio. Con la Valtorta ciò che colpisce è che tutto avviene sempre al contrario: è la Valtorta che disvela il Cristo!

Quel titolo – L’Evangelo – che nessun’opera di mistici ha mai rivendicato per sé
C’è, poi, un altro particolare. In molti casi, la donna non vede – non ha, pertanto, delle visioni – ma scrive sotto dettatura, sostenendo che a dettare a volte è Gesù, altre volte lo Spirito Santo, altre volte ancora l’angelo custode, ecc. Maria Valtorta non vede, ma dice di “riconoscere le voce come proveniente da Gesù… dallo Spirito Santo, ecc…”
E se è Gesù stesso che dice che nulla può essere aggiunto e nulla può essere tolto dalla Scrittura, perché chiamare l’opera maggiore della Valtorta L’Evangelo come mi è stato rivelato? Un opera voluminosa: 10 volumi ed oltre 600 capitoli per raccontare, senza dubbio, ciò che è già nei Vangeli, ma aggiungendo anche molto di ciò che nei Vangeli non c’è. Anche la Beata Emmerich, attraverso le sue visioni, fece trascrivere al Brentano ciò che vedeva sulla vita di Gesù e Maria (la beata, sofferente come era, ed essendo in estasi, non poteva scrivere, ma raccontava e poi spiegava), ma gli scritti tratti dalle sue visioni non sono mai stati chiamati Evangelo. Più semplicemente, infatti, sono stati intitolati La Passione di Cristo e la Vita di Maria.

Strani episodi e nuovi personaggi
Inoltre, non ci sono episodi aggiunti ai racconti canonici, al contrario di quello che accade spesso nell’Evangelo della Valtorta, come nel proemio V, dove, nei racconti che precedono la Passione di Gesù, spunta una discepola velata col nome di Anastatica. Tanto per rendere l’idea: “Gesù ha lasciato Betania insieme a quelli che erano con lui, ossia Simone Zelote e Marziam. Ma ad essi si è aggiunta Anastatica che, tutta velata, cammina di fianco a Marziam, mentre Gesù è un passo indietro con Simone. Le due coppie camminano parlando. Ognuna per conto proprio, e di ciò che più gli sta a cuore. Dice Anastatica a Marziam, continuando un discorso già avviato: “Non vedo l’ora di conoscerla”. Forse la donna parla di Elisa dei Betsur. “Credi, che non ero così commossa quando andai alle nozze o fui dichiarata lebbrosa. Come la saluterò?” E Marziam con un sorriso dolce e serio nello stesso tempo: ” Oh! Col suo vero nome! Mamma!” – “Ma io non la conosco! Non è troppa confidenza? Chi sono io, infine, rispetto a lei?” – “Ciò che ero io lo scorso anno. Anzi, tu molto più di me sei! Io ero un povero orfanello, eppure lei mi ha sempre chiamato figlio, dal primo momento, e una vera madre mi è stata. L’anno passato ero io che tremavo d’orgasmo in attesa di vederla! Ma poi solo a vederla non ho tremato più…”.
Poi il racconto prosegue ancora con storie incomprensibili di queste persone. Giungono alla casetta dove sta in attesa Maria, la Madre di Gesù, con tutti gli altri discepoli: Gesù saluta la Madre da lontano e prende per mano Anastatica per condurla a lei. Poi Gesù si avvia verso il Getsemani e si legge ancora: “E dopo, Gesù invita sua Madre e Maria di Alfeo ad andare con Lui e con i Discepoli per l’uliveto silenzioso”. Qui Gesù si mette a leggere una Lettera da Antiochia a Pietro, desideroso di udirla per poterla raccontare subito alla moglie appena rientrerà.
Insomma, potremmo continuare e non essere lontani da ciò che disse l’allora Ratzinger per mezzo del Sant’Uffizio: “Una vita di Gesù malamente romanzata“… E anche se volessimo togliere il termine “malamente” , che esprime il giudizio della Chiesa, l’opera è davvero una vita di Gesù “romanzata”.

Gesù il vero autore dell’opera valtortiana?
Diverso è un giudizio che si potrebbe dare ai cosiddetti “Quaderni”. Si tratta di scritti da ricondurre esclusivamente alla mano della Valtorta, composti dal 1947 al 1953, nel corso dei 27 anni, in cui la donna rimase immobilizzata a letto per una paralisi. Riportano quanto Maria ritiene “dettato” e quanto Maria ritiene “visione”: 90 quaderni e circa 12mila pagine. Da questi scritti sono state estrapolate quelle “visioni o dettati” sulla vita di Gesù e Maria e riportate poi a parte in quell’Evangelo, cestinato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Mi viene il sospetto che probabilmente sarebbe stato meglio lasciare i quaderni così com’erano, senza estrapolare per farne ciò che viene definita l’Opera voluta da Gesù. Secondo quanto rivelato in uno di questi quaderni – a quanto sostengono anche i valtortiani definiscono – sarebbe stato Gesù stesso ad ordinare i capitoli del libro e dei quaderni. Egli così avrebbe ordinato alla Valtorta: “E ora, fa attenzione. Ti risparmio la descrizione della deposizione nel sepolcro, che è stata ben descritta l’anno scorso, il 19 febbraio 1944. Così userai quella, e (Padre Migliorini) alla fine metterà il lamento di Maria, che ho dato il 4 ottobre 1944. Poi tu inserirai le tue nuove visioni. Sono nuove parti della Passione e devono essere messe con molta attenzione ai loro posti per evitare confusione e lacune.”

Meglio Dan Brown… almeno spinge a cercare la verità per difendere la propria fede
Personalmente ho letto l’Evangelo e non posso che definire il tutto “una vita romanzata di Gesù”. Quanto agli errori teologici non mi sbilancio e non mi pronuncio più di tanto: non è compito mio. Quel che penso è che nulla in quest’opera può tornare “utile” alla fede: certo, questa è una mia impressione, un mio giudizio, ma certi giudizi entusiastici che la descrivono come l’opera letteraria più grande di questi tempi mi sembrano davvero eccessivi. In alcuni punti – lo confesso – lo scritto mi appare persino noioso ed incomprensibile.
Se, però, in un commento che la sostiene leggo testualmente: “Trattandosi di una “Vita di Gesù”, quest’opera non lascia indifferenti e suscita sempre appassionate reazioni. L’opera è così eccezionale che merita di essere annoverata tra i capolavori della letteratura universale. Offre la materia per un’inesauribile enciclopedia della vita di Gesù. Infatti quest’opera non solo integra la totalità dei quattro evangeli, ma ne ricostruisce tutto il contesto socioculturale (…)”, mi si conceda di dissentire e non solo perché la Chiesa si è espressa diversamente sull’Evangelo, ma proprio perché è un errore definirla una sorta di enciclopedia su Gesù. Inoltre, non è affatto un opera eccezionale, ma è semmai un bel romanzo. Tanto per rendere l’idea, è un romanzo che può appassionare e suscitare “reazioni diverse” come avvenne per il romanzo di Dan Brown: non me ne vogliano i valtortiani per il paragone, ma perché non impegnarsi allora sulla Salita al Carmelo di san Giovanni della Croce? Perché non attenersi molto più semplicemente ai Vangeli? Perché non impegnarsi sul Dialogo della Divina Provvidenza di Santa Caterina da Siena, che è Dottore della Chiesa? Cosa è questa voglia, o questo prurito, di curiosare il dietro le quinte dei Vangeli canonici?
Dan Brown mi ha stimolato molto di più sulla difesa della mia fede; mi ha spinto a cercare la verità ancora di più, a tentare di trovare delle risposte valide e concrete alle assurde accuse che riportava, e naturalmente le ho trovate, perché la Verità alla fine si fa scoprire. L’Opera della Valtorta, invece, non mi ha dato gli stessi stimoli. Finita la lettura, l’ho vista per quello che era: un romanzo, molto fantasioso in diversi punti, con un Gesù a volte talmente sdolcinato da far temere il diabete che, d’un tratto, diventava un Gesù severo che “non perdona”; con una Madre intenta a tenere viva la piccola comunità di “fortunati” perché accolti dal Figlio che li porta a Lei, quando, nei Vangeli canonici, è invece la Madre che segue il Figlio.

Se Pilato si annoia…
Nell’Evangelo valtortiano si legge: “«Sia flagellato» ordina Pilato a un centurione.
«Quanto?» «Quanto ti pare… Tanto è affare finito. E io sono annoiato. Va’» “. Questo brevissimo esempio aiuta a capire cosa intendiamo per “romanzato”. Pilato non era affatto “annoiato”; il racconto canonico ci mostra che egli era “preoccupato”, ansioso di farla finita, sì, ma in un modo tale da mettere a tacere i contendenti: i cristiani che difendevano Gesù e gli accusatori che erano sempre “la sua gente”. Pilato si lava le mani non perché è annoiato, ma perché, riconoscendo per ben tre volte l’innocenza di Gesù, non vuole macchiarsi di sangue innocente e, al tempo stesso, non vuole mettersi “contro Cesare”, contro i Rabbini che lo accusavano di offendere Cesare se non avesse condannato Gesù. Piccole sfumature – d’accordo – ma, appunto, per questo si tratta di “un romanzo” e non della “vita di Gesù”! Un Pilato “annoiato” falsifica il ruolo stesso avuto da Pilato nella vicenda!

Qualcuno dice della Valtorta: “Alcuni dotti l’hanno paragonata al genio di uno Shakespeare”. Anche se fosse vero, a cosa mi serve uno Shakespeare per la dottrina? Interessante il fatto che abbia riprodotto, nei racconti, angoli nascosti nella Sacra Scrittura ma esistenti: va bene, ma a cosa mi serve? Per provare che i racconti sono veri? Se la verità si fondasse solo su questo perché le visioni della beata Emmerich sono state dichiarate autenticamente ispirate e questi no? Un motivo ci sarà!
Mi sembra più saggio parlare di complessità e di enigma. Una complessità al momento risolta dal pronunciamento della Congregazione per Dottrina della Fede sull’Opera e di un enigma, che riguarda la personalità della Valtorta, e che, a Dio piacendo, magari si risolverà in futuro.

Né “Gesù dice…”, né “Maria dice…
Come abbiamo accennato sopra, la Valtorta attribuisce a Gesù stesso l’Opera. Così, però, si espresse il Sant’Uffizio e così fu riportato da Ratzinger nel 1985:
“L’Opera, dunque, avrebbe meritato una condanna anche se si fosse trattato soltanto di un romanzo, se non altro per motivi di irriverenza. Ma in realtà l’intenzione dell’autore pretende di più. Scorrendo i volumi, qua e là si leggono le parole ‘Gesù dice…’, ‘Maria dice…’; oppure: ‘Io vedo…’ e simili. Anzi, verso la fine del IV volume (pag. 839) l’autore si rivela… un’autrice, e scrive di essere testimone di tutto il tempo messianico e di chiamarsi Maria (Valtorta)”.
Queste parole fanno ricordare che, circa dieci anni fa, giravano alcuni voluminosi dattiloscritti, che contenevano pretese visioni e rivelazioni. Consta che allora la competente Autorità Ecclesiastica aveva proibito la stampa di questi dattiloscritti ed aveva ordinato che fossero ritirati dalla circolazione. Ora li vediamo riprodotti quasi del tutto nella presente Opera. Perciò questa pubblica condanna della Suprema S. Congregazione è tanto più opportuna, a motivo della grave disobbedienza…”.

Maria seconda a Pietro. La disobbedienza di un consultore dell’ex sant’uffizio
L’irriverenza a cosa è dovuta? A questo passo che riporto sempre dal Decreto ufficiale:
Nel II vol. a pag. 772 si legge: “Il Paradiso è Luce, profumo e armonia. Ma se in esso non si beasse il Padre, nel contemplare la Tutta Bella che fa della Terra un paradiso, ma se il Paradiso dovesse in futuro non avere il Giglio vivo nel cui seno sono i Tre pistilli di fuoco della divina Trinità, luce, profumo, armonia, letizia del Paradiso sarebbero menomati della metà”. Qui si esprime un concetto ermetico e quanto mai confuso, per fortuna; perché se si dovesse prendere alla lettera, non si salverebbe da severa censura. Per finire, accenno ad un’altra affermazione strana ed imprecisa, in cui si dice della Madonna: “Tu, nel tempo che resterai sulla Terra, seconda a Pietro ”come gerarchia ecclesiastica…”.
La Vergine Maria, come ben sappiamo dalla dottrina non è nella “gerarchia” ma è dentro la Chiesa quale Madre della Chiesa e non Ministro, neppure paragonabile al ruolo di Pietro, e ciò dimostra che l’autorità ecclesiale aveva ben letto l’Opera.
Qui si apre un aspetto inquietante, che è tipico del tempo della grande confusione degli anni ’70. Riporto dal Documento di difesa valtortiano, l’unica “difesa” più autorevole che hanno avuto:
“Padre Roschini, dei Servi di Maria, aveva letto l’Opera della Valtorta dopo molti anni di diffidenza e ne era rimasto conquistato, fino a farne materia d’insegnamento in un corso di lezioni alla Pontificia Facoltà teologica Marianum di Roma. Da quelle lezioni nacque il suo libro, uscito nel 1973 e presto esauritosi, nel quale egli ripercorreva la teologia di Maria sui testi di una delle più grandi mistiche contemporanee”.
L’Autore, deceduto nel 1977, insegnava anche nella Pontificia Università Lateranense. Era Consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede e della Congregazione per le Cause dei Santi. Insomma, un nome che era una garanzia per l’epoca.
Ecco, di fronte a questi fatti uno davvero si ferma e si arrende, ma non per aver trovato le prove che cercava, ma si arrende di fronte alla disobbedienza fatta passare per virtù.
Questo sacerdote, contravvenendo ad una condanna del Sant’Uffizio, e consultore egli stesso della medesima Congregazione – e qui sta l’aggravante non certo il merito – non solo si fa promotore di un’opera condannata dalla Chiesa, ma la impone come argomento di insegnamento. Ne ricava persino un libro, ci guadagna pure e, probabilmente – anche se su questo non siamo certi – senza dire agli studenti che tale opera era stata vietata dalla Santa Sede. Si sa, purtroppo: eravamo negli anni della contestazione, gli anni del Catechismo Olandese, della contestazione alla morale cattolica, contro la Humanae Vitae, gli anni in cui il Papa denunciava che il fumo di Satana era entrato nei Sacri Palazzi, gli anni della fede fai da te… a chi importava cosa diceva il Sant’Uffizio?
Non è da sottovalutare che, anni dopo, l’allora card. Ratzinger abbia sorvolato sul comportamento del Roschini e, soprattutto, sulla sua posizione in favore dello stesso all’Opera valtortiana, e nel 1985, otto anni dopo la morte del consultore del Dicastero di cui egli è il Prefetto, nega ancora una volta l’ispirazione divina dell’Opera, usando il testo del 1959 del Sant’Uffizio.

La mariologia secondo la Valtorta: ci sono lacune nei Vangeli. La risposta indiretta di J. Ratzinger
Trovo piuttosto indicativo che nel suo testo del 1997, Maria Chiesa nascente, il card. Ratzinger, fra le mille citazioni che fa, non usa mai né la mariologia della Valtorta, né il libro così tanto venduto sulla mariologia di un suo “collega” che a quell’Opera si rifaceva! Anzi, il futuro Papa sembra riportare in questo testo la vera mariologia della Chiesa ripulita da tante altre pretese “mariologiche” di quegli anni.
Facciamo un esempio concreto di questa “mariologia valtortiana”. Innanzi tutto essa, dice padre Roschini, “è nuova” e come esempio fa questa citazione : “Restituire nella loro verità le figure del Figlio dell’Uomo e di Maria, veri figli di Adamo per la carne e il sangue, ma di un Adamo innocente” (l’Evangelio vol. X, p. 362). Una frase davvero ambigua. Cosa intende per nuovo? Lo spiega il Roschini in questo modo inaccettabile: “Si tratta perciò di restaurare, oltreché la figura di Cristo, la figura di Maria. Il motivo di questo restauro della figura di Maria va ricercato nelle evidenti lacune che riscontriamo, nei libri canonici, riguardo a Maria SS. «Io, detta Gesù alla Valtorta, ero nei Vangeli già sufficientemente descritto, in un minimo capace di bastare alla salvezza dei cuori. Maria SS. era poco nota; la sua figura era appena disegnata con linee incomplete che troppo di Lei lasciano in ombra. Ecco: lo l’ho svelata. Ed Io te l’ho data questa perfetta storia di mia Madre, o Ordine che ti fregi del nome di Maria… E’ gloria dell’Ordine, questa…» (Dettato del 6 gennaio 1949)”.
I Vangeli Canonici hanno delle lacune? Stiamo forse pazziando?
Riguardo a Maria Santissima, non ci sono delle lacune, ma “assenze volute”. Nella Scrittura nulla è scritto a caso, nulla può esservi aggiunto, nulla può essere tolto, Gesù ora si contraddice e parla di lacune, di “linee incomplete”? La Sacra Scrittura contiene tutto: semmai deve esserne svelato ancora pienamente il contenuto, come succede, per esempio, con l’Apocalisse, avvolta nel mistero, e non ancora pienamente rivelata nella sua comprensione, nell’interpretazione. La Scrittura, però, non contiene lacune, né è incompleta! A pag. 63 di Maria Chiesa nascente, Ratzinger dice:
“Maria ha vissuto così profondamente nella parola dell’Antica Alleanza, che questa è divenuta in modo del tutto spontaneo la sua propria parola. La Bibbia era così pregata e vissuta da Lei, era così ruminata nel Suo cuore, che Ella vedeva nella Parola Divina la sua stessa vita… e la Sua parola si era unita a quella di Dio…”. Non ci sono, dunque, lacune: ci sono piuttosto possibilità per approfondire ciò che, contenuto nella Bibbia, è ancora per noi velato, ma non incompleto o assente.

Il parallelismo Eva-Maria: se la Valtorta insegna anche ai Padri della Chiesa…
Dice Roschini: “Cosi, tanto per fare un esempio, il celebre e classico parallelismo Eva-Maria in nessuno dei Padri e degli Scrittori Ecclesiastici, e neppure nei Padri e Scrittori presi complessivamente, ha uno sviluppo così seducente, ampio e completo come negli scritti di Maria Valtorta”.
Confesso che sono scandalizzata e senza parole. Il parallelismo “Eva-Maria” è proprio sviscerato in modo completo, dai Padri, specialmente orientali. Questi Padri insegnano: “Questo contrasto tra la Madonna ed Eva la Chiesa lo vede espresso nel fatto che la parola Ave è l’inversione della parola Eva, come cantiamo nell’Inno Ave Maris Stella: Sumens illud ave (…) Mutans Evae nomen/ Accogliendo quell’Ave (…) trasformando il nome di Eva… E la Chiesa considera che come Ave è l’inversione di Eva, la Madonna converte in benedizione tutte le maledizioni di Eva”.
Questo contrasto tra la Madonna ed Eva, la Patristica lo espone, inoltre, come contrasto tra una vergine sciocca ed una vergine prudente, una donna superba ed una donna umile: la prima che fa assaporare dell’albero della morte, la seconda che fa assaporare dell’albero della vita; la prima l’amarezza di un cibo velenoso, la seconda la dolcezza di un Frutto Eterno. Se sviluppo viene fatto dalla Valtorta, questo non può che partire da queste fondamenta. Se non partisse da queste, e dunque non unendosi alla ricchezza della Patristica, sarebbe piuttosto la prova di una ambigua mariologia.
Altro campanello d’allarme è il completo silenzio di Giovanni Paolo II sull’Opera valtortiana. E’ vero, egli non la condanna se non approvando la decisione presa da Ratzinger Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Tuttavia, è significativo che, in ben 25 anni di Pontificato, il Papa “di Maria”, del Totus Tuus, non cita mai, neppure una volta, “la Maria” dell’Opera valtortiana.

Quegli appigli dei valtortiani su fatti irrilevanti. La riposta chiara della Chiesa
Fa discutere il fatto che i valtortiani si appellino all’abolizione della soppressione del Decreto in base a quanto da essi riportato:
“Nei confronti del diritto: L’Indice è stato una misura disciplinare della Chiesa, soppresso inizialmente in diritto nel 1966 poi in conseguenza del suo decreto d’applicazione”. E’ vero: la soppressione dell’Indice (Index) c’è stata, ma loro dimenticano che c’è stata una ricondanna nel 1985 e non già la messa all’Indice, ma proprio una ri-valutazione negativa.
Altra scusa che mettono avanti è questa: “Essa (la condanna) proveniva da una congregazione della Chiesa, il Sant’Uffizio, ma non dal suo magistero infallibile riservato esclusivamente al Papa (ciò che avrebbe reso impossibile la sua abolizione)”.
Questa scusa è davvero inaccettabile. In primo luogo, perché il pronunciamento del Sant’Uffizio era legittimo. Quando poi il Sant’Uffizio divenne Congregazione per la Dottrina della Fede, ai sensi del decreto “Integræ Servandæ” di Papa Paolo VI, il 7 Dicembre 1965, questa si ri-espresse sull’argomento nel 1985, nella persona del suo Prefetto. In secondo luogo, perché le disposizioni del Sant’Uffizio o della CdF sono valutazioni in materia dottrinale che appartengono all’infallibilità della Chiesa perché sono pronunciamenti ufficiali che vengono sottoposti al Papa prima di essere firmati definitivamente
Un testimonial di origine francese usato dai valtortiani per dimostrare la veridicità delle loro indagini, dice:
“Certi detrattori dell’Opera di Maria Valtorta utilizzano, come argomento per sconsigliarne la lettura, la messa all’Indice del 1959 da parte del Sant’Uffizio, senza valutarne la prevalente motivazione disciplinare, provocata dal comportamento imprudente di alcuni religiosi, e senza riferire sugli attestati che ecclesiastici di alto rango hanno rilasciato in merito a quest’Opera, che per lo meno non contiene nulla contro la fede e la morale”.
Ma il 1959 fu solo l’inizio della negazione da parte della Chiesa. In risposta a questo e ad ogni tentativo di sminuire quella data, c’è proprio il testo dell’allora cardinale Ratzinger che toglie ogni dubbio. Egli scrivendo al cardinale Siri, di Genova, a riguardo di un frate cappuccino, che chiedeva chiarimenti in merito a tale condanna e a riguardo proprio dell’abolizione dell’Index, così rispondeva:
“…dopo l’avvenuta abrogazione dell’Indice, sempre sull’Osservatore Romano, 15 Giugno 1966, si fece presente quanto pubblicato su A.A.S. (1966) che, benché abolito, l’Index conserva tutto il suo valore morale per cui non si ritiene opportuna la diffusione e raccomandazione di un’Opera la cui condanna non fu presa alla leggera ma dopo ponderate motivazioni al fine di neutralizzare i danni che tale pubblicazione può arrecare ai fedeli più sprovveduti”.
Bisogna essere davvero in malafede per spacciare ancora l’Opera come approvata e innocua!

Pure Mons. Tettamanzi dice no alla soprannaturalità dell’opera…
La posizione della Chiesa sulle rivelazioni private si precisa ulteriormente quando il cardinale Ratzinger, davanti all’aumento d’interesse per l’opera di Maria Valtorta, chiede al Segretario della Conferenza Episcopale Italiana di prendere contatto con l’Editore delle Opere valtortiane per chiarire per l’ennesima volta la posizione della Chiesa. Ecco la lettera inviata:
“Conferenza Episcopale Italiana Prato N. 324/92 Roma, 6 maggio 1992
Stimatissimo Editore. In seguito a frequenti richieste, che giungono anche a questa Segreteria, di un parere circa l’atteggiamento dell’Autorità Ecclesiastica sugli scritti di Maria Valtorta, attualmente pubblicati dal “Centro Editoriale Valtortiano”, rispondo rimandando al chiarimento offerto dalle “Note” pubblicate da “L’Osservatore Romano” il 6 gennaio 1960 e il 15 giugno 1966.
Proprio per il vero bene dei lettori e nello spirito di un autentico servizio alla fede della Chiesa, sono a chiederLe che, in un’ eventuale ristampa dei volumi, si dica con chiarezza fin dalle prime pagine che le “visioni” e i “dettati” in essi riferiti non possono essere ritenuti di origine soprannaturale, ma devono essere considerati semplicemente forme letterarie di cui si è servita l’Autrice per narrare, a suo modo, la vita di Gesù.
Grato per questa collaborazione, Le esprimo la mia stima e Le porgo i miei rispettosi e cordiali saluti. + Dionigi Tettamanzi – Segretario Generale CEI”.
L’Opera valtortiana traduce questo ultimo Documento come una sorta di “imprimatur con la condizionale”, poiché non si nega più la pubblicazione ma si impone solo un chiarimento e, dunque, la pubblicazione è consentita.
Essi dicono: “Si noti che il testo non dice che le visioni di Maria Valtorta “non sono” di origine soprannaturale (il che costituirebbe una dichiarazione ufficiale di non soprannaturalità), ma “non possono … devono”. La Chiesa non si pronuncia (non constat), sulla loro origine, ma indica come bisogna accogliere queste rivelazioni private”.
Ma questo ragionamento è perverso e pervertitore!
Si ripete eccome la negazione circa la soprannaturalità dell’Opera “non possono essere ritenuti di origine soprannaturale … ma devono essere considerati semplicemente forme letterarie “. Essa non è soprannaturale: punto e basta. E’ inutile cercare cavilli. Inoltre, viene sottolineato di avvisare i lettori che tale opera è privata e che in essa è scritta “a modo suo la vita di Gesù“: non mi sembra affatto una promozione. In tempi come quelli in cui viviamo, la Chiesa non ha più alcun ascendente sulle case editrici e chiunque è libero di pubblicare ciò che vuole: solo che, anche nel 1992, è chiaro che si ripete la negazione all’approvazione dell’Opera di Maria Valtorta. La perversione di questo tiramolla sta nel fatto che il Centro Valtortiano, fatto naturalmente da chi pretende di dirsi cattolico, sente il bisogno di ottenere in qualche modo l’ufficialità per l’Opera che pubblica e magari anche la beatificazione della sua autrice, ma non ci riesce e, di conseguenza, da una parte chiede i permessi, dall’altra continua ad agire come le pare, spacciando un romanzo per una rivelazione soprannaturale e continuando ad ingannare i fedeli sprovveduti. Perciò, quando i valtortiani dicono: “Maria Valtorta, chiamata ‘piccolo Giovanni’, non ha scritto un quinto Vangelo, ma ha sviluppato e illustrato, per divina ispirazione, i quattro Vangeli canonici”, occorre rispondere: “no”. La verità è che la Chiesa ha rigettato questa conclusione. Da 50 anni la Chiesa sostiene che la Valtorta non ha scritto sotto ispirazione divina ma a modo suo: ha semplicemente composto una “vita romanzata” di e su Gesù.

La posizione della Chiesa: più chiara di così…
Diciamo che sull’argomento la Chiesa è stata chiarissima fin dal 1959. Si è espressa “papale, papale”, come si diceva una volta per affermare la chiarezza delle disposizioni della Santa Sede. Notiamo piuttosto che sono i discepoli, seguaci della Valtorta che agiscono da 53 anni con frode, grave disobbedienza, insolenza, insubordinazione… Agiscono da 53 anni come vogliono; hanno diffuso in tutte le lingue l’Opera contro le prime decisioni della Chiesa: per fare ciò hanno dato origine ad un centro editoriale apposito; hanno ingannato centinaia di fedeli sprovveduti, presentando l’Opera come approvata dalla Chiesa e sostenendo che Pio XII l’aveva approvata, idem Paolo VI, salvo poi ammettere loro stessi che l’Opera attende ancora il riconoscimento. Riconoscendo, dunque, di agire in disobbedienza alle richieste della Chiesa, hanno incantato centinaia di sacerdoti e laici parlando di “divina ispirazione” contro il parere della Chiesa che, interpellata ancora ufficialmente fino al 1992, ha continuato a dire che questa opera “non è ispirata”. Eppure essi pretendono ancora l’approvazione ufficiale cercando di ottenerla, arrampicandosi sugli specchi di giustificazioni inaccettabili… da ben 53 anni.
La Chiesa ha, dunque, parlato: se certi cattolici sono sordi e ciechi non si dia colpa alla Santa Sede e non si dica che questa alla fine ha approvato, magari perché stanca di questo tira e molla di mezzo secolo…
Ma chi l’ascolta più la Chiesa, oggi? Chi obbedisce più alle sue regole? alla sua disciplina? Che fine ha fatto la virtù dell’obbedienza?

Il compito del magistero: difendere la fede
“E’ compito del Magistero ufficiale della Chiesa difendere autoritativamente l’integrità cattolica e l’unità della fede e dei costumi. Da ciò derivano alcune funzioni peculiari, le quali, anche se a prima vista sembrano presentare un carattere piuttosto negativo, costituiscono tuttavia un ministero positivo per la vita della Chiesa, e cioè: “l’ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa” (DV.10); la condanna di opinioni pericolose alla fede e ai costumi propri della Chiesa; l’insegnamento di verità più attuali nel presente tempo (..)” (C.T.I 1975).
È la Chiesa che stabilisce quali siano i libri “edificanti” e di aiuto alla fede per i singoli fedeli; non spetta ai discepoli di un presunto mistico o mistica disattendere alle decisioni prese dalla Santa Sede e di agire contrariamente a quanto da Essa è stato decretato. Ricordare sempre che le decisioni prese della Chiesa: “anche se a prima vista sembrano presentare un carattere piuttosto negativo, costituiscono tuttavia un ministero positivo per la vita della Chiesa!”
Chi vuole davvero bene alla Chiesa e, nello stesso tempo, è devota di persone indicate come mistiche, lo dimostri obbedendole, attenendosi filialmente alle sue disposizioni. E se questo procurerà dolori per certi aspetti, per altri, invece, l’obbedienza sofferta sarà origine di grazie divine e di unità.
 

Fonte: Tea Lancellotti, Papalepapale, 28 aprile 2012)
http://www.papalepapale.com/develop/la-valstorta-jaccuse-sulla-valtorta-meglio-leggere-dan-brown/