giovedì 30 luglio 2015

Athanasius Schneider: “Travisati i documenti del Concilio Vaticano II”

Mons. Athanasius Schneider, segretario Generale della Conferenza Episcopale del Kazakhstan, è il vescovo ausiliare di Astana (Kazakhstan) e vescovo titolare di Celerina. Nato Anton Schneider (il 7 aprile 1961), a Tokmok, nell’allora Unione Sovietica, ha assunto il nome religioso Atanasio dopo essere entrato nell’ordine dei Canonici Regolari della Santa Croce di Coimbra. Studioso e docente di patristica, Mons. Schneider, da qualche anno, fa sentire la sua voce profetica per cercare di svegliare l’Occidente dal torpore spirituale che sta vivendo, a seguito, specialmente, di false interpretazioni dei perenni insegnamenti della Chiesa e della teologia cattolica. Ha concesso una intervista esclusiva per l’Italia a www.lafedequotidiana.it-

Monsignor Schneider, nel suo libro “Dominus Est – Riflessioni di un Vescovo dell’Asia Centrale sulla sacra Comunione”, pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana, lei ha incoraggiato la Chiesa a sostenere la pratica della Santa Comunione sulla lingua e in ginocchio. Ci spiega brevemente le motivazioni teologiche e storiche di tale modalità?
“Le motivazioni teologiche si appoggiano sulla verità della fede della presenza vera, reale e sostanziale del Corpo e del Sangue di Cristo sotto le specie del pane e del vino, e questa presenza contiene anche la divinità di Cristo a causa dell’unione ipostatica, cioè contiene “totum et integrum Christum“, come ha detto il Concilio di Trento. C’è anche la verità che Cristo è presente in ogni parte o frammento del pane. Poi c’è la verità della transubstanziazione. Tutte queste verità sono state dogmaticamente definite dal Magistero della Chiesa. Se prediamo sul serio la verità nella quale crediamo, dobbiamo mostrare la nostra fede con il nostro comportamento esteriore. La fede deve riflettersi nelle opere concrete, la teoria e la prassi, la fede e il culto, la lex credendi e la lex orandi devono concordare vicendevolmente. Altrimenti la nostra fede diviene zoppicante e col tempo prenderà la forma di una fede gnostica. Alla fine la fede concreta nella presenza reale, la fede nella presenza della divinità, la fede nella presenza di Cristo nei minimi frammenti, la fede nella transustanziazione svanisce. C’è una legge inesorabile della psicologia umana: i gesti ripetuti e divenuti poi abituali, determinano con il tempo il modo di pensare. Quindi, se io tratto ciò che è il più sacro, il più sublime, ciò che è il mistero per eccellenza, ciò che è Dio onnipotente stesso (totus et integer Christus) quasi con lo stesso gesto come io prendo l’alimento ordinario e con un modo sprovvisto di un inequivocabile gesto d´adorazione, io non solamente contraddico la profondità della mia fede, ma commetto oggettivamente un atto d’informalità, indegno della maestà infinita di Cristo (anche se questa maestà è umilmente nascosta nella specie del pane). Questo pericolo reale rappresenta una vera motivazione pastorale. Qui entrano ancora altri due aspetti d’importanza eminentemente pastorale: – il fatto sempre più diffuso della perdita dei frammenti eucaristici, i quali cadono sulla terra e in seguito sono calpestati; – il furto dilagante delle ostie sacre. Tutto ciò si verifica a causa del gesto così insicuro, banale e mai esistito nella Chiesa, cioè l’uso odierno di distribuire la santa Comunione sulla mano (l’uso dei primi secoli era notevolmente diverso)”.

In teologia sembra avanzare l’antropocentrismo a discapito del cristocentrismo. Cosa comporterà questo nel prossimo futuro della Chiesa?
“L’antropocentrismo, in ultima analisi, comporta:
– lo svanimento e la perdita della fede soprannaturale;
– l’eliminazione della grazia Divina e dei mezzi della grazia;
– l’eliminazione del senso soprannaturale dei sacramenti, dando loro un significato puramente sociologico;
– l’eliminazione della preghiera personale e delle concrete opere di penitenza e ascesi;
– l’eliminazione, col tempo, dell’adorazione di Dio, cioè della Santissima Trinità e favorisce l’adorazione dell’uomo e della terra (del clima, dell’oceano etc.);
– la dichiarazione pratica e anche teorica che questa terra è il giardino del paradiso, cioè il paradiso sulla terra (teoria dei Comunisti);
– l’apostasia.
L’antropocentrismo comporterà una spaventosa codardia davanti al mondo e la collaborazione dei fedeli e dei chierici con le ideologie anticristiane. Si verificheranno oggi queste parole del Nostro Divino Maestro e dell’apostolo san Paolo: “Quando si dirà: Pace e sicurezza, allora d’improvviso li colpirà la rovina” (1 Tess. 5,3), “Senza de Me non potete far nulla” (Gv 15,5) e “Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8)”.


Recentemente, in una bellissima quanto documentata conferenza, Lei ha parlato del Concilio Vaticano II e dei suoi documenti. Può spiegarci quello che non è stato ancora attuato alla luce dei documenti conciliari e quali sono le false e pericolose interpretazioni che alcuni teologi progressisti danno dell’ultimo concilio.
“Il contributo più originale e specifico del Concilio Vaticano II consiste nella chiamata universale alla santità nel capitolo 5 di “Lumen gentium” e nella chiamata universale missionaria all’evangelizzazione (il Decreto “Ad gentes“), la quale si manifesta nella collaborazione dei fedeli laici con i pastori della Chiesa nel testimoniare e nel difendere la purezza e l’integrità della fede cattolica nell’odierno mondo fino al martirio, se necessario (il Decreto “Apostolicam actuositatem“). La seguente affermazione conciliare rimane una delle più belle, necessarie e attuali: “I cristiani, comportandosi sapientemente con coloro che non hanno la fede, s’adoperino a diffondere la luce della vita con ogni fiducia e con fortezza apostolica, fino all’effusione del sangue” (Dichiarazione “Dignitatis humanae“, n. 14). Questi contributi più essenziali dell’ultimo Concilio sono stati purtroppo offuscati e soffocati in larga misura dalla gran parte di chi ha occupato le cattedre teologiche, cioè dai nuovi scribi, e purtroppo anche da parte di non pochi rappresentanti del clero e persino dell’alto clero. Sono state diffuse interpretazioni completamente arbitrarie e interpretazioni erronee di alcune espressioni non sufficientemente chiare o ambigue in alcuni testi conciliari. Si sono creati dei miti conciliari. Questa situazione si spiega, da un lato, dal carattere pastorale e non-definitivo di una considerevole parte dei testi conciliari e, dall’altra parte, di una mancata refutazione dettagliata e sistematica di queste interpretazioni erronee da parte del Magistero. Ci vuole un sillabo degli errori di interpretazioni conciliari”.

L’idea di cambiamenti sulla morale matrimoniale crede che sia un reale pericolo che possa verificarsi in occasione del prossimo sinodo dei vescovi a Roma o è solo un pericolo auspicato dai media anti-cristiani?
“Alcuni fatti hanno dimostrato che c’è un pericolo del cambiamento della comprensione e dell’applicazione pratica delle verità Divine sul matrimonio e sulla sessualità umana nell’ambito ecclesiale stesso. Esempi sono stati lo svolgimento del sinodo nel mese di ottobre 2014 con momenti di manipolazione all’interno dello stesso sinodo, la Relatio post disceptationem, il nuovo questionario mandato alle diocesi, le affermazioni pubbliche del Segretario del Sinodo, di alcuni cardinali, di rappresentanti di alcune conferenze episcopali. Questi ecclesiastici usano, sorprendentemente, lo stesso linguaggio e lo stesso modo di argomentare dei mass-media anti-cristiani. Essi hanno, riguardo a questa tematica, la forma mentis del mondo e non del Vangelo. Rimane l’impressione che nelle stesse file del clero ci siano dei collaboratori con la dittatura mediatica e politica della nuova ideologia anti-cristiana “.

Sembra che la società si sia sempre più omosessualizzando e, recentemente, anche in Irlanda, sono stati riconosciuti i matrimoni gay. Quali saranno i pericoli per la Chiesa in questo campo?
“Una delle caratteristiche essenziali della Chiesa è la testimonianza e – se necessario – il martirio della verità. Gesù ha solennemente confessato davanti ai potenti del Suo tempo: “Io sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37). E questo rimane sempre la missione della Chiesa e di ogni cristiano. Avere paura, davanti alla prepotenza ideologica del mondo, sarebbe una contraddizione alla missione essenziale della Chiesa e dei cristiani. Le parole di Gesù con le quali Egli incoraggiava all’inizio della predicazione del Vangelo l’apostolo Paolo, sono dirette anche a noi oggi, in primo luogo ad ogni vescovo e poi anche ad ogni fedele: “Non aver paura, ma continua a parlare e non tacere, perché Io sono con te” (At 18,9). Ed anche queste parole di San Pietro, nella sua Prima Lettera, cioè nella prima enciclica papale, sono attuali più che mai: “E chi vi potrà fare del male, se sarete ferventi nel bene? E se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non vi sgomentate per paura di loro, né vi turbate, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male di voi rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. È meglio infatti, se così vuole Dio, soffrire operando il bene che facendo il male” (1 Pt 3,13-17)”.

Eccellenza, in che senso è possibile dialogare cristianamente con gli esponenti delle altre religioni e dell’Islam in particolare?
“Il comandamento dell’amore al prossimo vale per tutti e non c’è un’eccezione. Dobbiamo amare persino i nostri nemici e tutti coloro che ci sono ostili. Dobbiamo amare tutti coloro che si trovano nell’errore della fede e della morale. Anzi, dobbiamo avere in modo speciale misericordia verso queste persone, perché da Dio siano liberati dall’errore e dal peccato, giacché l’errore e il peccato sono la più grande miseria e infelicità dell’uomo. Quindi dobbiamo e possiamo dialogare con tutti, e specialmente con i musulmani, seguendo il metodo di san Paolo e di tutti i Santi: “Operando la verità nella carità (veritatem facientes in caritate)” (Ef 4,15)”.

 
(Fonte: Matteo Orlando, La fede quotidiana, 15 giugno 2015)
http://www.lafedequotidiana.it/athanasius-schneider-travisati-documenti-del-concilio-vaticano-ii/74

 

Il Cardinal Sarah: "La Fede o niente"

Il nodo è la fede. Perché “se un vescovo, un cardinale non vede ciò che l’Eucarestia è, cioè il corpo di Cristo, e prende questa Eucarestia come un pasto, da cui nessuno deve essere escluso, perdiamo veramente il cuore del mistero.” Parola del Cardinal Robert Sarah, Prefetto per la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Presentando lo scorso 20 maggio al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II la collana “Famiglia, Lavori in corso” dell’Editore Cantagalli, il Cardinal Sarah ha parlato senza peli sulla lingua. Il Sinodo? “La gente crede che ci sarà una rivoluzione, ma non potrà essere così. Perché la dottrina non appartiene a qualcuno, ma è di Cristo”. Le sfide della Chiesa? “Oggi la Chiesa deve combattere contro corrente, con coraggio e speranza senza aver paura di alzare la voce per denunciare gli inganni e la manipolazione e i falsi profeti. In duemila anni la Chiesa ha affrontato tantissimi venti contrari, ma con l’aiuto dello Spirito Santo la sua voce si è sempre fatta sentire.”
Parole che pesano come macigni, nella discussione in corso. Vanno oltre il mero dibattito del sinodo, certo quello importante e pesante, mentre alcune Conferenze Episcopali rendono noti i risultati del questionario del Sinodo, spesso con la sottile volontà di influenzare l'opinione pubblica, di mostrare la richiesta di una Chiesa nuova.
Il Cardinal Sarah entra nel dibattito con una prospettiva ampia. Non risponde alle domande dei giornalisti, ma a quelle della platea accorso a vedere la presentazione, sì. E lo fa con la franchezza che vuole un dialogo.
Spiega il Cardinale: “Come disse Ratzinger, un diritto che non si basa sulla morale diventa ingiustizia. Per questo è necessario tener presente il contesto della secolarizzazione in cui viviamo. L’allontanamento di parti intere della società moderna dal cristianesimo è andato di pari passio con l’ignoranza e il rigetto della sua dottrina e identità culturale.” Papa Francesco parla di una Chiesa ospedale da campo. Commenta il Cardinale: “Dice una cosa profonda: dobbiamo annunciare la bellezza del cristianesimo perché l’uomo è gravemente ferito. In un ospedale da campo, cerchi di chiudere le ferite prima possibile, perché le persona non muoiano. Poi in un secondo momento penserai al fattore estetico. L’uomo ha necessità di amore, ed è questo il nostro compito, portarlo all’unico compito che dà senso alla nostra esistenza.”  
Ma il problema, è inutile girarci intorno, è la fede, oppressa da una secolarizzazione galoppante. “La Chiesa deve vigilare per contrapporsi alla perdita dei valori cristiani. I mezzi di comunicazione sociale, i media, contribuiscono a denigrare la posizione della Chiesa, a mostrarla sotto una falsa luce, o nel migliore dei casi a restare silenziosi. Il pensiero dominante cerca senza sosta di presentare l’idea di una Chiesa arretrata e medievale, che rifiuterebbe di adattarsi all’evoluzione del mondo, ostile alle scoperte scientifiche.”
Il percorso sinodale rappresenta le lenti per mettere in luce questo dibattito. Allo scorso sinodo, "fu chiaro che il vero fulcro non era e non è solo la questione dei divorziati risposati", bensì "se la dottrina della Chiesa sia da considerare un ideale irraggiungibile, irrealizzabile e necessitante quindi di un adattamento al ribasso  per essere proposta alla società odierna. Se così stanno le cose, si impone necessariamente una chiarificazione se il Vangelo sia una buona notizia per l'uomo o un fardello inutile e non più proponibile".
Quali le ideologie contro cui combattere oggi? “Oggi una delle ideologie più pericolose è quella del gender, secondo la quale non ci sono differenze ontologiche tra l’uomo e la donna, e l’identità maschile e femminile non sarebbero scritte nella natura. (La differenza sessuale risulterebbe) da una costruzione sociale,e un ruolo che riveste l’individuo attraverso dei compiti e delle funzioni sociali. Per i suoi teorizzatori le differenze uomo-donna non sono che delle oppressioni normative, degli stereotipi culturali, delle costruzioni sociali che bisogna decostruire al fine di pervenire all’eguaglianza tra uomo e donna. L’idea di una identità costruita nega nei fatti l’importanza del corpo sessuato.”
Accusa il Cardinal Sarah: “Dire che la sessualità umana non dipende dall’identità dell’uomo e della donna, ma da un orientamento sessuale, come l’omosessualità, è un totalitarismo onirico, è una vera ideologia che di fatto nega la realtà delle cose. Non vedo un avvenire possibile a un tale inganno. Una cosa è rispettare le persone omosessuali, che hanno diritto a un autentico rispetto, altra cosa è promuovere omosessualità. Anche i divorziati risposati hanno diritto a un autentico rispetto, ma la Chiesa non può promuovere una nuova idea di famiglia. Le persone omosessuali sono le prime vittime di questa deriva.”
Il compito della Chiesa – annuncia il Cardinale – è di annunciare la dottrina cristiana e la verità dell’amore coniugale, portando l’uomo alla sua vera realizzazione.” Ma si torna sempre al nodo della fede. Una fede che si ignora, tanto che si utilizza un vocabolario per parlare dei sacramenti che non è il vocabolario cristiano.
“È chiaro che è sbagliatissimo che la Chiesa si permetta di usare le parole che sono usate nelle Nazioni Unite. Abbiamo un vocabolario per esprimere ciò che crediamo. Se l’Eucarestia è solo un pasto, possiamo anche dare la comunione ai divorziati che contraddicono l’alleanza. Il fatto è che siamo imprecisi nell’usare parole cristiane come ‘misericordia.’  Senza spiegare di che si tratta, inganniamo la gente. La misericordia non chiude gli occhi per non vedere il peccato... il Signore è pronto a perdonare, però se torniamo (a Lui), se ci pentiamo dei nostri peccati. Io penso che dobbiamo misurare le parole che usiamo, perché la gente ha sentito parlare i vescovi, il Papa, e sperano che ci sarà un cambiamento totale… E anche se oggi sentiamo una nuova direzione nelle parole del Santo Padre, la gente non ci crede, perché crede che ci sarà un cambiamento, ci sarà una rivoluzione e dobbiamo provare che non c’è una rivoluzione, non ci può essere, perché la dottrina non appartiene a qualcuno, appartiene a Cristo, alla Chiesa.” E ancora: "Cristo è stato misericordioso, però ha affermato che rompere il matrimonio è adulterio. Non si può interpretare questa sua parola diversamente, è un peccato, e il peccatore, senza pentimento, non può avvicinarsi al corpo di Cristo. Se già alcuni Paesi lo fanno, insultano Cristo, è una profanazione del suo corpo, sono più colpevoli perché lo fanno in modo pensato, voluto.
L’antidoto alla confusione è la chiarezza, perché “se noi ritroviamo la nostra fede, se noi troviamo una dottrina ferma, sono sicuro che il popolo di Dio seguirà, anche se con difficoltà.” Solo con la chiarezza si può essere davvero testimoni, in un mondo in cui c’è il rischio di adeguarsi alle richieste del tempo presente.
“Io penso – dice il Cardinale Sarah - che è più coraggioso stare con Cristo sulla croce, essere fedele  alla sua parola: non è facile vivere il Vangelo. È facile andare nelle periferie… ma con chi andiamo? Se non portiamo Cristo, non portiamo niente! Io penso che il coraggio più forte è rimanere cristiani, come fanno tanti cristiani che muoiono in Pakistan, Medio Oriente, Africa. Non vuol dire che non dobbiamo uscire per portare il Vangelo. Ma il coraggio per noi oggi è di andare controcorrente, perché il mondo non sopporta più il Vangelo.”
Per il Cardinale Sarah, il martirio “non è solo fisico,” c’è anche il martirio di coloro ai quali viene anestetizzata la fede. E per questo “dobbiamo essere sempre più chiari ad esprimere la nostra fede con rispetto, con coraggio, come hanno fatto i nostri predecessori. È coraggioso di non essere del mondo perché il mondo non ascolta la Parola.”
Ma oggi si ha “l’impressione che la gente parla dove va il vento. Dobbiamo seguire Cristo, il suo Vangelo. Tutti noi seguiamo Cristo, nell’ambiente oggi che è così insicuro, in cui ciascuno ha il suo parere.” Ma il dibattito in corso, racconta il Cardinale, è drogato perché “molte volte anche i giornalisti oppongono il Papa con la Curia, che è falso. Ma ormai le persone pensano che ci siamo opposti, e pensano che il Santo Padre ha detto che è a favore della comunione ai divorziati, eppure questa è soltanto una interpretazione delle sue parole.”
Si torna sempre al nucleo centrale: la fede. L’ultimo libro del Cardinal Sarah si chiama “Dio o niente.” Per lui, “la fede è il nucleo della difficoltà della Chiesa. Abbiamo veramente incontrato Cristo? Ha cambiato Cristo la nostra vita? E poi, c’è la crisi sacerdotale. I sacerdoti sono ipse Christus, e questo è vero. Ma siamo coscienti di essere Christus?”

  
(Fonte: Andrea Gagliarducci, ACI Stampa, 22 maggio 2015
http://www.acistampa.com/story/il-cardinal-sarah-la-fede-o-niente-0590

 

C'è una Chiesa che vuole le nozze gay e cattoliche

Già da tempo molti teologi, anche cattolici, cercano di sdoganare l’omosessualità, perché sia accettata dalla comunità credente come una forma legittima di amore. Naturalmente, questo discorso riguarda solo quelle persone omosessuali che si dicono credenti e che vorrebbero continuare a vivere come credenti nella comunità ecclesiale, senza rinnegare l’esercizio della loro omosessualità. Ecco le loro argomentazioni. Essendo la sessualità un potenziale carico di eros, è certamente importante che questo eros non decada nello sfruttamento dell’altro o nel dominio sull’altro, ma sia educato a diventare strumento di una relazione autentica. 
Questo discorso, secondo quegli autori, vale non solo per gli etero, ma anche per gli omosessuali. Non importa quale sia il sesso fisiologico. L’eros prescinde dal sesso. Il piacere erotico, infatti, si può provare anche nell’incontro con una persona dello stesso sesso. Si deve dunque proporre agli omosessuali credenti un cammino di crescita spirituale, orientata all’incontro con l’altro tu, in cui si rivela il Tu ineffabile e trascendente del Mistero d’Amore.
In questo contesto, dicono, gli atti omosessuali non possono più essere considerati immorali.
La moralità di un atto, proseguono, infatti, non sta nell’adesione a una norma, ma consiste nel favorire l’incontro, la relazione, l’aiuto reciproco. In questo senso si può parlare anche di una “fecondità” della relazione omosessuale, anche se è diversa dalla fecondità procreativa. In questo percorso spirituale, alla coppia omosessuale va però chiesta la stabilità e l’esclusività. 
Stando così le cose, argomentano, non si capisce perché non si possa parlare di matrimonio e di famiglia anche per una coppia omosessuale, dato che ci sono i requisiti fondamentali della stabilità, dell’esclusività e della fecondità (sia pure in senso metaforico). E poiché una relazione stabile ed esclusiva è un bene per la società, non si vede perché una coppia omosessuale non debba avere un riconoscimento e una tutela giuridica da parte dello Stato. Una società in cui i gay possono sposarsi è una società che incoraggia l'impegno fedele.
Ho cercato qui di sintetizzare, con molta benevolenza, il discorso di quei teologi, i quali spingono perché la Chiesa cattolica cambi il suo insegnamento sulla morale sessuale.
Lì infatti vogliono arrivare. In sostanza, la loro argomentazione si riassume in questo: poiché in una coppia omosessuale è possibile (non è automatico, ma è possibile, tanto più se è formata da credenti) che ci siano sentimenti di amore, di oblatività, di sacrificio per l’altro/a, ciò è sufficiente per ritenere moralmente a posto quelle persone, e quindi ammetterle alla comunione eucaristica. Toccherà al sacerdote che segue quelle copie verificare se ci sia quel cammino spirituale, quel “vissuto”, e quindi anche eventualmente benedire quelle relazioni omosessuali basate su valori di amore, fedeltà e impegno.
Di fronte a queste tesi, che sembrano di alta spiritualità, la prima cosa che uno si chiede è che fine abbia fatto il corpo, che, da che mondo è mondo, si distingue in maschile e femminile. Si parte dall’affermazione, ormai data per scontata, che l’omosessualità non sia più una patologia psichiatrica (com’era considerata prima del 1973), né un disturbo della personalità, né l’espressione di un disagio o di una mancata maturazione affettiva, ma un orientamento normale della sessualità umana. La componente genitale è allora solo un aspetto secondario e persino irrilevante della sessualità. Sbagliano dunque quelli che pensano che l’omosessuale sia interessato solo al sesso, sia pure fatto in un certo modo. Questo “certo modo” è del tutto marginale rispetto alla dimensione affettiva e spirituale. 
Qui siamo chiaramente in una posizione di tipo gnostico. Per gli gnostici del II secolo quello che avveniva a livello del corpo (genitali) non aveva nessuna rilevanza morale per la persona “pneumatica”, quella cioè che aveva raggiunto o scoperto la sua “consustanzialità” con il Pneuma, lo Spirito divino. Da qui il loro libertinismo in materia sessuale. A parte il fatto che nessuna persona di buon senso ritiene moralmente irrilevante l’uso del piacere sessuale, anche se poi uno cerca sempre di giustificare i propri comportamenti, l’insegnamento della parola di Dio, e in particolare quello dell’apostolo Paolo, è chiarissimo su questo punto. Di fronte alle tendenze pre-gnostiche dei cristiani di Corinto, i quali dicevano: «Tutto mi è lecito» (1Cor 6,12), Paolo ricorda che «il corpo è tempio dello Spirito Santo» (6,19), «membra di Cristo» (6,15), e che non bisogna «peccare contro il proprio corpo» (6,18) con la fornicazione. Il corpo, infatti, è destinato alla risurrezione (6,14). Occorre dunque «glorificare Dio nel proprio corpo» (6,20). 
Anche se il nostro corpo attuale è segnato dalla corruttibilità e dalla morte, tuttavia l’unità della persona è tale che non si può considerare il corpo escluso dalla moralità, come se essa fosse solo dipendente dall’intenzione dell’animo: «Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male» (2Cor 5,10). Paolo conosceva bene il mondo pagano, con la sua esaltazione di una sessualità senza freni, che egli condanna apertamente (cfr. Rom 1,24-32), escludendo che ci possa essere una “via cristiana” all’interno di un comportamento omosessuale. Le sue parole sono chiare: «Che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto, non come oggetto di passioni e libidine, come i pagani che non conoscono Dio. Che nessuno offenda e inganni in questa materia il proprio fratello, perché il Signore è vindice di tutte queste cose, come già vi abbiamo detto e attestato» (1Ts 4,3-6). E per non correre il pericolo di non essersi spiegato bene, aggiunge: «Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste norme non disprezza l’uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo Santo Spirito» (ivi, vv. 7-8). Già allora c’era chi con sofismi cercava di far passare nella vita cristiana il comportamento pagano. 
Allora Paolo ammonisce: «Non illudetevi: né immorali, né idolastri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio» (1Cor 6,9-10). E in questa condanna sono inclusi non solo chi compie quelle azioni, ma anche chi le approva (cfr. Rom 1,32). Se la parola di Dio ha ancora un senso, allora questi insegnamenti dell’Apostolo non possono essere messi da parte come superati. Ma questa, obiettano, è una lettura fondamentalista della Bibbia. Per Gesù, dicono, la norma morale non è un assoluto, perché prima di tutto viene l’amore: essere orientati all’amore, è questo che fa la moralità dell’atto umano. Ma, chiediamo, che cos’è l’amore? Forse risponderanno come Pilato di fronte alla verità, cioè non risponderanno (cfr. Gv 18,38). 
Siamo consapevoli che nelle persone omosessuali c’è un grande bisogno di affetto, di tenerezza, di amicizia, di amore, ma questo bisogno è presente in tutti e deve esprimersi con verità, nel rispetto della propria condizione. L’eros sessuale non può essere messo semplicemente a servizio dell’amore a prescindere dal proprio stato e dalla differenza tra maschio e femmina. Ci sono infatti vari tipi di amore, come l’amore di amicizia, l’amore fraterno, paterno, materno, filiale, che escludono l’eros sessuale, pena cadere nell’incesto e negli atti contro natura. C’è un unico amore capace di accogliere e di sublimare l’eros sessuale, ed è l’amore coniugale, dove il piacere sessuale e l’affettività sono al servizio dell’amore, che è una decisione che impegna tutta la persona per tutta la vita, in vista anche della generazione e dell’educazione dei figli. In un comportamento tra persone, non basta che ci siano elementi positivi perché esso risulti moralmente accettabile. Anche in una relazione adulterina ci può essere soddisfazione, affetto, dedizione, ma non per questo diventa moralmente accettabile. 
Non è vero che la posizione cattolica porti la persona con tendenza omosessuale su una strada senza uscita, dando per scontato che la castità sia impossibile. Ciò significherebbe ammettere che la grazia di Cristo non sia efficace e che lo Spirito Santo non venga in aiuto alla debolezza umana. Proporre agli omosessuali un ipotetico percorso spirituale, chiedendo per di più un impegno di “stabilità” e di “esclusività” nell’esercizio della loro omosessualità, assomiglia molto a una visione romantica, assai lontana dalla realtà.
Ciò non farebbe che illudere ancora di più quelle persone e far loro del danno invece che aiutarle.
 
(Fonte: Enrico Cattaneo, La nuova bussola quotidiana, 30 luglio 2015)
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-ce-una-chiesa-che-vuole-le-nozze-gay-e-cattoliche-13393.htm

 

mercoledì 29 luglio 2015

Padre Lombardi, la bocca della verità

Nei primi mesi del pontificato di papa Francesco vari osservatori avevano individuato in lui – tra gli altri – tre caratteri distintivi.
Il primo era l'insofferenza nei confronti della curia. Invece di avvalersi di essa, Francesco sembrava voler fare da sé, costituendo attorno a sé una squadra minuscola ma attivissima di collaboratori fidati, un po' come aveva fatto un secolo prima Pio X con la sua "segretariola" personale:
> La "segretariola" di Francesco, il papa che vuol fare tutto da sé (8.8.2013)
Il secondo elemento peculiare era individuato nella novità di forma e di contenuto dei suoi interventi in campo geopolitico, di cui la giornata di preghiera e digiuno contro l'intervento militare occidentale in Siria, il 7 settembre del 2013, fu il più emblematico, quasi espressivo di una sua nuova strategia planetaria:
> Francesco e il miracolo dell'icona (12.9.2013)
Il terzo era l'apparente spontaneità e improvvisazione di tanti suoi gesti e parole. Francesco abbandonava sempre più spesso il testo scritto per parlare a braccio, dava interviste senza controllarle né prima né dopo, agiva infrangendo i protocolli.
Oggi però, dopo più di due anni, nessuna di queste tre impressioni sembra più reggere. E a smentire definitivamente almeno le prime due è un testimone di sicura attendibilità, uno che conosce papa Francesco molto da vicino e lo frequenta quotidianamente: il gesuita Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede.
 
I giudizi di padre Lombardi sono annidati in un lungo servizio sul pontificato di Francesco uscito sul numero di agosto della famosa rivista internazionale "National Geographic":
> Will the Pope Change the Vatican? Or Will the Vatican Change the Pope?
L'autore del servizio, il giornalista americano Robert Draper, riporta alcune battute di un colloquio avvenuto a Roma tra padre Lombardi e un suo collega argentino, Federico Wals, già addetto stampa di Jorge Mario Bergoglio a Buenos Aires.
"Come ti senti con il mio ex capo?", chiede Wals. Risponde Lombardi: "Confuso".
Altro che piccola ma compatta squadra parallela, a servizio personale e diretto del papa. Lombardi spiega che ciascuno dei collaboratori di Francesco, anche i più intimi, conosce solo una parte di ciò che il papa decide e fa.
Padre Lombardi porta l'esempio di un incontro a Casa di Santa Marta tra Francesco e quaranta esponenti ebrei, di cui la sala stampa vaticana e lui hanno saputo solo a cose fatte. "Nessuno è a conoscenza di tutto quello che il papa sta facendo", dice Lombardi. "Nemmeno il suo segretario personale lo sa. Devo sempre fare un giro di telefonate: Una persona è a conoscenza di una parte della sua agenda, un’altra di un'altra parte ".
Da ciò si arguisce che Bergoglio utilizza l'uno o l'altro dei suoi confidenti più stretti a seconda delle proprie inclinazioni e delle rispettive abilità.
Tra i più vicini a lui, alcuni sono argentini:
- Fabián Pedacchio Leaniz, suo segretario personale;
- Guillermo Javier Karcher, cerimoniere pontificio e addetto al protocollo, l'ufficio della segreteria di Stato dal quale passano tutte le carte della Santa Sede;
- Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere delle pontificie accademie delle scienze e delle scienze sociali;
- Víctor Manuel Fernández, rettore della Universidad Católica Argentina di Buenos Aires e suo intellettuale di riferimento, nonostante le credenziali tutt'altro che brillanti:
> E questo sarebbe il teologo di fiducia del papa?
Altri sono italiani:
- Antonio Spadaro, gesuita, direttore de "La Civiltà Cattolica";
- Dario Edoado Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano e ora anche prefetto della neonata segreteria per la comunicazione;
- Battista Ricca, direttore della Casa di Santa Marta e promosso da Francesco a prelato dello IOR, nonostante i suoi trascorsi scandalosi, specie quand'era consigliere della nunziatura di Montevideo, dirimpetto a Buenos Aires sul Rio de la Plata:
> Il prelato della lobby gay
In ogni caso – sempre a detta di padre Lombardi – anche con la curia vera e propria il papa opera in forma scoordinata, appoggiandosi di volta in volta all'uno o all'altro funzionario o ufficio:
"Francesco ha ridotto drasticamente i poteri del segretario di Stato, in particolare per quanto riguarda le finanze vaticane. Con ciò il problema è che la struttura della curia non è più chiara. Il processo [di riforma] è in corso, e che cosa ne uscirà alla fine nessuno lo sa. La segreteria di Stato non è più al centro di tutto come prima, e il papa ha molte relazioni che sono dirette solo da lui, senza alcuna mediazione".
Eppure anche questo disordine, aggiunge Lombardi, presenta qualche vantaggio:
"In un certo senso ciò è positivo, perché in passato c'erano delle critiche per il fatto che qualcuno aveva troppo potere sul papa. Non si può più dire che questo oggi sia il caso".
 
Padre Lombardi demitizza anche la strategia di papa Francesco in campo geopolitico.
Fa il paragone tra ciò che gli diceva Benedetto XVI dopo un incontro con l'uno o l'altro leader mondiale, per consentirgli di sintetizzare in un comunicato i contenuti del colloquio, e ciò che gli dice oggi papa Francesco:
"Era incredibile. Benedetto era così chiaro. Diceva: 'Abbiamo parlato di queste cose, sono d'accordo su questi punti, avrei obiezioni contro questi altri punti, l'obiettivo del nostro prossimo incontro sarà questo’. Due minuti e avevo totalmente chiaro il contenuto del colloquio. Con Francesco [mi sento dire]: 'Questo [che ho incontrato] è un uomo saggio; ha avuto queste esperienze interessanti'. La diplomazia per Francesco non è tanto una strategia, ma invece: 'Ho incontrato questa persona, ora abbiamo un rapporto personale, cerchiamo ora di fare del bene per la gente e per la Chiesa'”.

Padre Lombardi – sempre su "National Geographic" – insiste invece nel giudicare "totalmente spontaneo" papa Francesco anche quando compie dei gesti eclatanti come ad esempio l'abbraccio a tre a Gerusalemme, davanti al Muro Occidentale, tra lui, il papa, l'imam musulmano Omar Abboud e il rabbino ebreo Abraham Skorka, entrambi suoi amici argentini.
Ma che Bergoglio sia una personalità di puro istinto, portata a improvvisare, è stato smentito, nel caso specifico, dallo stesso rabbino Skorka, il quale ha detto di avere discusso col papa l'idea dell'abbraccio già prima di partire per la Terra Santa.
E in generale sono numerose le testimonianze di conoscitori di Bergoglio di lunga data che lo descrivono come un "giocatore di scacchi", un calcolatore sopraffino, di cui ogni giornata è perfettamente organizzata e ogni mossa è accuratamente studiata.
Lui stesso, d'altra parte, ha detto a "La Civiltà Cattolica", nella più importante delle sue interviste da papa:
"Diffido sempre della prima decisione, cioè della prima cosa che mi viene in mente di fare se devo prendere una decisione. In genere è la cosa sbagliata. Devo attendere, valutare interiormente, prendendo il tempo necessario".
Anche la sua espressività a contatto con le folle, così ilare ed estroversa, difficilmente può essere attribuita solo a una speciale infusione dello Spirito Santo, seguita alla sua elezione a papa, come lui stesso alcune volte ha detto. Chiunque lo conosceva da tempo e gli era amico – ultimo l'arcivescovo Agostino Marchetto, in un'ampia intervista a "Critica marxista" del giugno 2015 – lo ricorda come "una persona estremamente seria, che non rideva mai, mai". Un cambiamento così netto nei comportamenti esteriori non può non derivare anche da una valutazione razionale della sua opportunità.
E lo stesso vale per l'evidente preferenza del papa per lo stile comunicativo orale, rispetto a quello scritto.
Su "L'Osservatore Romano" del 15 luglio monsignor Viganò, uno specialista in materia, ha mostrato come tale preferenza non sia affatto slegata da una consapevole ponderazione da parte del papa dei vantaggi dell'oralità:
> Francesco nel villaggio globale
Ma si può aggiungere che Francesco cominci a soppesare anche gli svantaggi di una troppo disinvolta oralità comunicativa.
Quando ad esempio Francesco insiste sulla necessità di sottoporre a una corretta "ermeneutica" le sue stesse parole – come ha fatto nella conferenza stampa sul volo di ritorno a Roma del suo ultimo viaggio – ha forse in mente anche la colossale gaffe in cui è caduto l'11 luglio ad Asunción, parlando a braccio ai rappresentanti della società civile e alle massime autorità politiche del Paraguay.
Lì a un certo punto disse testualmente:
“Ci sono due cose, prima di concludere, a cui vorrei fare riferimento. E in questo, poiché ci sono politici qui presenti, c’è anche il presidente della Repubblica, lo dico fraternamente. Qualcuno mi ha detto: ‘Senta, il tale si trova sequestrato dall’esercito, faccia qualcosa!’. Io non dico se è vero o non è vero, se è giusto o non è giusto, ma uno dei metodi che avevano le dittature del secolo scorso era allontanare la gente, o con l’esilio o con la prigione; o, nel caso dei campi di sterminio, nazisti o stalinisti, la allontanavano con la morte. Affinché ci sia una vera cultura in un popolo, una cultura politica e del bene comune, ci vogliono con celerità giudizi chiari, giudizi limpidi. E non serve altro tipo di stratagemma. La giustizia limpida, chiara. Questo ci aiuterà tutti. Io non so se ciò qui esiste o meno, lo dico con tutto rispetto. Me lo hanno detto quando entravo, me lo hanno detto qui. E che chiedessi per non so chi… non ho sentito bene il nome”.
Il nome che Francesco non aveva “sentito bene” era quello di Edelio Murinigo, un ufficiale sequestrato da più di un anno non dall’esercito regolare del Paraguay – come invece il papa aveva capito – ma da un sedicente "Ejército del pueblo paraguayo", un gruppo terrorista marxista-leninista attivo nel paese dal 2008.
Eppure, nonostante la dichiarata ed enfatizzata sua ignoranza del caso, Francesco non temette di utilizzare i pochi e confusi dati da lui occasionalmente raccolti poco prima per accusare “fraternamente” l’incolpevole presidente del Paraguay addirittura di un crimine assimilato ai peggiori misfatti nazisti e stalinisti.
È un caso, questo, nel quale padre Lombardi torna ad avere ragione. Qui l'impulso, la "spontaneità", ha vinto sulla ponderazione. Qui papa Francesco pare proprio che abbia fatto "la prima cosa che mi viene in mente di fare".
 

(Fonte: Sandro Magister, www.chiesa, 29 luglio 2015)
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351102?refresh_ce

 

domenica 19 luglio 2015

Viganò fa l’ermeneutica del papa, ma dimentica la colossale gaffe di Asunción

Nella conferenza stampa sul volo di ritorno dal viaggio in Ecuador, Bolivia e Paraguay papa Francesco ha usato un parola per lui inusuale: “ermeneutica”.
In pochi muniti l’ha ripetuta undici volte e ha chiesto di applicarla a lui stesso, alle sue parole che effettivamente spesso si prestano a interpretazioni ambigue, polivalenti.
Ed ecco puntuale, due giorni dopo su “L’Osservatore Romano”, il primo intervento pubblico di monsignor Dario Viganò nella sua nuova veste di prefetto della neonata segreteria vaticana per la comunicazione, tutto dedicato proprio allo “stile comunicativo di Bergoglio tra oralità e concretezza”:
> Francesco nel villaggio globale
Come caso di studio dello stile comunicativo di Francesco, Viganò ha preso il discorso fatto dal papa ai giovani del Paraguay, la sera del 12 luglio: un discorso fatto a braccio, dopo aver abbandonato il testo scritto precompilato.
Scrive Viganò:
“Credo che la chiave per comprendere la pratica comunicativa di papa Francesco vada ricercata a partire dagli studi ormai classici sul rapporto tra oralità e scrittura. Un discorso preparato è noioso, perché è un testo concepito nella forma di uno scritto. Sappiamo infatti come la cultura scritta, rispetto a quella dell’oralità, abbia privilegiato la sinteticità, l’analiticità, l’oggettività, il pensiero astratto.
“Lo stile del pontefice si pone invece come uno stile ridondante, capace di comprendere la forza determinante della contestualità – il richiamo all’ermeneutica durante la conferenza stampa nel viaggio di ritorno dal Sud America è stato preciso – e la concretezza. Tutt’altro che negativa, la ridondanza appare piuttosto come intrinseca esigenza di chi comunica oralmente, chiamato a procedere a velocità pedonale sui sentieri della parola e con un incedere zigzagante, attraverso cioè una frequente ripetizione di ciò che ha già detto”.
E conclude:
“Il dire di papa Francesco sta avviando la pratica antica del passaparola, comunicazione che a sua volta edifica una riconoscibilità e una stabilità negli interlocutori – vera e propria comunità – innescando una reticolarità basata sul gusto di un ritrovato abbraccio tra umanità e Vangelo”.
Ridondanza, ripetizioni, incedere zigzagante…. Se però monsignor Viganò avesse preso come caso di studio non il discorso di Francesco ai giovani del Paraguay, ma quello tenuto dal papa la sera prima, sempre ad Asunción, ai rappresentanti della società civile, avrebbe potuto rilevare non solo i benefici, ma anche i seri limiti di una troppo disinvolta “oralità” comunicativa.
Lì Francesco a un certo punto disse testualmente, a braccio:
“Ci sono cose, prima di concludere, a cui vorrei fare riferimento. E in questo, poiché ci sono politici qui presenti, c’è anche il presidente della Repubblica, lo dico fraternamente. Qualcuno mi ha detto: ‘Senta, il tale si trova sequestrato dall’esercito, faccia qualcosa!’. Io non dico se è vero o non è vero, se è giusto o non è giusto, ma uno dei metodi che avevano le dittature del secolo scorso era allontanare la gente, o con l’esilio o con la prigione; o, nel caso dei campi di sterminio, nazisti o stalinisti, la allontanavano con la morte. Affinché ci sia una vera cultura in un popolo, una cultura politica e del bene comune, ci vogliono con celerità giudizi chiari, giudizi limpidi. E non serve altro tipo di stratagemma. La giustizia limpida, chiara. Questo ci aiuterà tutti. Io non so se ciò qui esiste o meno, lo dico con tutto rispetto. Me lo hanno detto quando entravo, me lo hanno detto qui. E che chiedessi per non so chi… non ho sentito bene il nome”.
Il nome che Francesco non aveva “sentito bene” era quello di Edelio Murinigo, un ufficiale sequestrato da più di un anno non dall’esercito regolare del Paraguay – come invece il papa aveva capito – ma da un sedicente “Ejército del pueblo paraguayo“, un gruppo terrorista marxista-leninista attivo nel paese dal 2008.
Eppure, nonostante la dichiarata ed enfatizzata sua ignoranza del caso, Francesco non ha temuto di utilizzare i pochi e confusi dati da lui malamente raccolti poco prima da un passaparola per accusare “fraternamente” l’incolpevole presidente del Paraguay addirittura di un crimine assimilato ai peggiori misfatti nazisti e stalinisti.
Onore al presidente paraguaiano Horacio Cartes (nella foto) per la signoria con cui ha lasciato cadere nel vuoto l’impressionante pubblico affronto.
 

(Fonte: Sandro Magister, Settimo Cielo, 17luglio 2015
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/?refresh_ce

 

giovedì 2 luglio 2015

Renzi ignora il Family Day. Unioni civili entro settembre

Non è vero che Renzi ha rinunciato all’approvazione delle unioni civili. La proposta di legalizzarle non è mai venuta direttamente dal governo, ma dalla senatrice Laura Cirinnà, a cui il premier ha affidato il non difficile compito di trovare i voti in Parlamento.
La manifestazione del 20 giugno a Piazza San Giovani non ha per nulla turbato Renzi che, anche questa volta, si serve di interposta persona per chiarire le sue intenzioni. Una giornalista a lui notoriamente vicina, Maria Teresa Meli, ha scritto sul Corriere della Sera che il premier intende rispettare quella “promessa” fatta già tre anni fa alla Leopolda, quando propose la civil partnership sul modello tedesco. Slitteranno forse i tempi, considerato come al Senato ci sia anche il passaggio pericoloso delle riforme costituzionali.
Poco cambia, secondo Palazzo Chigi: il disegno di legge sarà approvato subito dopo. «Siccome il premier intende veramente fare sul serio – scrive Maria Teresa Meli – può facilmente incunearsi in questo spazio che si è aperto tra chi vuole il matrimonio e chi vi si oppone con tutte le sue forze, portando a casa il risultato: le unioni civili come proposta di mediazione accettabile. Magari non si riuscirà ad approvare la normativa entro luglio, ma a settembre al massimo la legge passerà al Senato per andare alla Camera».
«Per occuparsi che tutto fili liscio Renzi ha dato l’incarico di seguire questa vicenda a Maria Elena Boschi e la presenza della ministra per le Riforme, che per ora si muove dietro le quinte, dimostra quanto il premier tenga a quella legge. È una normativa che piace a molti credenti e una parte dei credenti sono gay, per questo Renzi non vede contraddizione alcuna tra il suo essere cattolico e il fatto di essere il primo presidente del Consiglio che riuscirà (salvo incidenti parlamentari sempre possibili in un paese come l’Italia) a mandare in porto, dopo anni di dibattiti, mediazioni fallite e tentativi andati a vuoto, una legge sulle unioni civili. E comunque “una promessa è una promessa”, Renzi vuole la legge sulle unioni civili: non verrò meno alla parola data, (“Corriere della Sera”, 29 giugno 2015).


(Fonte: Emmanuele Barbieri, Corrispondenza Romana, 1 luglio 2015)
http://www.corrispondenzaromana.it/renzi-ignora-il-family-day-unioni-civili-entro-settembre/