domenica 23 dicembre 2007

Il pudore necessario

Fanno discutere i casi di «Buona domenica» e di «Decameron».
Nel rispetto c'è il pudore: quel pudore che tanto è stato sbeffeggiato perché ritenuto retaggio di cultura oppressiva e frustrante, quel pudore letto come ostacolo alla libertà, presunta, d'espressione è, invero, molto più aduso alle genti di quanto venga pensato da chi fa televisione.
Cosa differenzia la presenza di un “povero” sacerdote (Don Sante Sguotti), all'interno della tristissima e sguaiata trasmissione Buona Domenica, contenitore pomeridiano domenicale di Canale 5, dalla coprolalica dissertazione del presunto comico Daniele Luttazzi, che nel suo noioso programma Decameron ha fatto satira con immagini disgustose nei confronti di un compagno di emittente, il giornalista Giuliano Ferrara? A nostro avviso nulla. Ormai avulso dal contesto della consonanza liturgica e morale per sue autonome e pubbliche scelte e divenuto mezzo di Auditel e di profitto personale con la narrazione frequente della sua situazione privata, il sacerdote(da commiserare) ha trovato giusto ri-raccontare per l’ennesima volta la sua scelta di diventare padre e compagno di vita della madre del figlio che ha riconosciuto (l’unico essere innocente e senza macchia in questa squallida vicenda).
Non vogliamo qui analizzare oltre la vicenda e le valutazioni ecclesiali, ma chiederci se sia lecito svillaneggiare in televisione temi così seri e profondi, che toccano tutta la sfera dell'esistenza cristiana, con il presbiterato, la famiglia, la vita nascente.
La televisione ha perso il crisma della moderazione e del rispetto. E la riprova l’abbiamo nella eliminazione (con richiesta di rescissione del contratto da parte de La7) della trasmissione Decameron dal palinsesto del canale privato di proprietà Telecom. Daniele Luttazzi, ingiustamente espulso dalla televisione per il noto "editto" che costò anni di esclusione televisiva anche al compianto Enzo Biagi e al tribuno Santoro, ha buttato alle ortiche la libertà e la passione caustica del suo lavoro, sproloquiando su Giuliano Ferrara.
Luttazzi è capace di strappare la risata sulla stura di una tradizione di guitti e bastonatori del potere che da Pietro Aretino alla statua di Pasquino a Roma popolano la nostra letteratura. Il problema è l'uso del suo stile in televisione, anche avendo carta bianca. Ed anche se adesso protesta che gli hanno voluto impedire di realizzare una puntata tutta dedicata al Papa e alla sua ultima enciclica, c'è sempre la necessità di un pudore innato che deve prevedere la presenza davanti alla tv di persone le più diverse, non paganti, vogliose di qualche cosa di nuovo, ma non per forza escatologico.
Ecco allora che l'autore passa dalla parte del torto, dimentico che se esiste per lui la libertà del fare, esiste anche la libertà del togliere. E poi dicono che il pudore non serve… (Massimo Lavena, Incrocinews, 46/2007)

Il «Vangelo di Giuda»: è pieno di falsi


Ricordate il vangelo di Giuda? Quel testo copto che la (massonica) National Geographic Society ha preteso di aver scoperto, che ha diffuso con spese enormi ed enorme grancassa pubblicitaria, ripresa dai «grandi media» come la verità ultima e nascosta su Gesù? In questo testo, ci dicevano, Giuda appare nella sua vera luce: non è il traditore ma il vero salvatore, avendo compiuto la volontà di Cristo fino in fondo.
Adesso uno studioso serio, April D. DeConick, docente di Studi Biblici alla Rice University, ha esaminato a fondo il testo e ci ha scritto un volume per smentire la grancassa mediatica. «The Thirteenth Apostle: What the Gospel of Judas Really Says». Rivelando false traduzioni ed altri trucchi usati dai banditori della «nuova verità». Lo studioso ha scritto anche un fondo per il New York Times ((April DeConick, «Gospel's Truth», 1 dicembre 2007).
Eccolo: «Con molta pubblicità, l'anno scorso, il National Geographic ha annunciato che era stato trovato un testo perduto del terzo secolo, il Vangelo di Giuda Iscariota. Fatto impressionante: Giuda non aveva tradito Gesù. Anzi Gesù aveva chiesto a Giuda, il suo più fido e amato discepolo, di consegnarlo per farlo uccidere. Il premio per Giuda: l'ascensione al cielo e la sua esaltazione al disopra degli altri discepoli.
Una grande storia. Peccato che, dopo aver ri-tradotto la trascrizione del testo copto presentata dalla National Geographic Society, io ho trovato che il significato reale del testo è molto diverso».
«La traduzione del National Geographic sosteneva l'interpretazione provocatoria di Giuda come eroe; una lettura più attenta chiarisce che Giuda non solo non è un eroe, ma (per il testo) un demone. La traduzione della Società e dei suoi esperti si distacca in più punti dal senso e dai metodi comunemente accettati nel nostro campo di studi.
Per esempio, la trascrizione della National Society, nel punto in cui Giuda è chiamato un 'daimon', traduce la parola con 'spirito'. Di fatto, il termine universalmente accettato per 'spirito' è 'pneuma'; nella letteratura gnostica, 'daimon' è sempre usato nel senso di 'demonio'.
Altro punto: Giuda non è preservato 'per' la santa generazione, come dicono i traduttori del National Geographic, ma separato 'da' essa. Egli non riceve i misteri del regno perché 'è possibile per lui entrarci'.
Li riceve perché Gesù sostiene che egli non potrà entrare, e Gesù non vuole che Giuda lo tradisca per ignoranza: vuole che sia informato, in modo che il demonico Giuda soffra tutto quanto merita».
«Ma il più grosso errore che ho trovato è stato forse una alterazione del testo originale copto.
Secondo la tradizione del National Geographic, l'ascensione di Giuda alla santa generazione sarebbe stata maledetta. Invece è chiaro dalla trascrizione che gli esperti del National hanno alterato l'originale copto, eliminando una particella negativa dalla frase originale. Devo dire che la Società ha riconosciuto questo errore, ma veramente molto tardi per cambiare la sbagliata concezione del pubblico».
«Cosa dice dunque in realtà il vangelo di Giuda?
Dice che Giuda è un demonio specifico, chiamato 'il Tredicesimo'.
In certi testi gnostici, questo è il nome per il re dei demoni, una entità nota come 'laldabaoth' che vive nel tredicesimo piano sopra la terra. Giuda è l'alter ego umano di questo demone, il suo agente infiltrato nel mondo. Questi gnostici identificavano 'laldabaoth' con l'ebraico Yahweh, che accusavano d'essere una divinità gelosa e vendicativa, avversa al Dio supremo che Gesù era venuto sulla terra a rivelare.
Chi ha scritto il vangelo di Giuda era un aspro critico del cristianesimo dominante e dei suoi riti. Siccome Giuda è un demone che lavora per 'laldabaoth', così sostiene l'autore, quando Giuda sacrifica Gesù, lo sacrifica ai demoni, non al Dio supremo. Con ciò, vuol prendersi gioco della fede cristiana nel valore salvifico della morte di Gesù e dell'efficacia della Eucarestia».
«Com'è possibile che siano stati fatti errori così gravi [dal National Geographic]? Sono stati proprio errori, o qualcosa di consapevolmente deliberato?
Questa è la domanda che si pone, e non ho una risposta soddisfacente. D'accordo, la Società aveva un compito difficile, restaurare un vecchio vangelo che stava da secoli in una cassa ridotto in briciole. Era stato trafugato da una tomba egizia negli anni '70 e ha languito per decenni nel mercato antiquario clandestino, e ha persino passato del tempo nel freezer di qualcuno. Per cui è davvero incredibile che la Società ne abbia recuperato anche solo una parte, anzi è riuscita a ricomporlo all'85%.
Detto questo, il problema grosso è che la Società voleva un'esclusiva. Per questo ha voluto che i suoi traduttori esperti firmassero un impegno al segreto, e a non discutere il testo con altri competenti prima della pubblicazione. Il miglior lavoro scientifico si riesce a fare quando, di un nuovo manoscritto, vengono pubblicate foto di ogni pagina in grandezza naturale 'prima' di fornire una traduzione, in modo che i competenti del ramo, in tutto il mondo, possano scambiarsi le informazioni mentre lavorano indipendentemente sul testo».
«Un'altra difficoltà è che quando il National Geographic ha pubblicato la trascrizione, il fac-simile del manoscritto originale che ha reso pubblico era ridotto in dimensioni del 56%, ciò che lo rende inutilizzabile per un lavoro scientifico. Senza copie in grandezza naturale, siamo come il cieco che conduce altri ciechi. La situazione mi ricorda molto il blocco che tenne lontano gli studiosi dai Rotoli del Mar Morto decenni or sono. Quando i manoscritti sono accaparrati dai pochi, ne nascono errori e un 'monopolio dell'interpretazione' che è molto difficile rovesciare, anche quando l'interpretazione è dimostrata falsa».
«Per evitare questo tipo di situazioni la Society of Biblical Literature ha varato nel 1991 una risoluzione per cui, se l'accesso ad un manoscritto è riservato a pochi a causa delle condizioni del manoscritto stesso, allora è obbligatorio diffondere prima di tutto una copia fotografica di esso. E' una vergogna che il National Geographic, e il suo gruppo di esperti, non abbiano obbedito a questa molto sensata disposizione.
Mi domando perché tanti esperti del mestiere e tanti scrittori abbiano tratto ispirazione dalla versione del vangelo di Giuda fatta dal National Geographic. Magari ciò deriva da un comprensibile desiderio di cambiare la relazione tra ebrei e cristiani. Giuda è un personaggio spaventoso: per i cristiani, è colui che aveva avuto tutto il bene e ha tradito Dio per una manciata di monete. Per gli ebrei, egli è il personaggio la cui vicenda è stata usata dai cristiani per perseguitarli nei secoli. Sono d'accordo sul fatto che dobbiamo continuare verso la riconciliazione di questo antico scisma; ma fare di Giuda un eroe non mi pare la soluzione giusta».
Così termina DeConick, lo studioso di copto e di vangeli gnostici.
Possiamo fare una scommessa: benché la sua autorevole asserzione sia apparsa sull'autorevolissimo New York Times, essa non sarà ripresa da nessuno dei «grandi» media, specialmente non da quelli italioti.
(Maurizio Blondet, Effedieffe, 02/12/2007)

giovedì 13 dicembre 2007

Vangelo di Giuda, smascherati gli errori di traduzione


Non cessa la discussione scientifica sul Vangelo gnostico di Giuda, pubblicato nell’aprile del 2006 per la National Geographic Society, e subito oggetto privilegiato della fantareligione, perennemente protesa – sulla scorta del successo di Dan Brown – a confezionare pastoni storicamente traballanti, per non dire ridicoli, e a presentarli con i crismi dell’autorevolezza, magari appigliandosi a elementi accessori serviti da oscuri pseudostudiosi in cerca di notorietà.
In questo clima da New Age da supermercato una simile sorte non poteva risparmiare Il Vangelo di Giuda, opera gnostica fortemente inficiata nelle proprie strutture esegetiche e nella propria creatività narrativa da teorie di filosofia neoellenistica, in cerca di un punto di incontro con una religione oramai ecumenica e dotata di un Canone già ben definito (siamo nel III secolo).
Finalmente, a più di un anno della pubblicazione di uno scritto tanto discusso, sul New York Times uno studio rigoroso di April DeConick, docente di Studi biblici alla Rice University – studio intitolato Il tredicesimo Apostolo: ciò che realmente dice il Vangelo di Giuda – smonta in modo convincente le tesi fondanti dell’editio princeps, troppo affrettatamente impugnate contro l’autorevolezza dei Vangeli canonici e in polemica con la Chiesa ufficiale; tesi subito sposate da chi invece ritiene il cristianesimo primitivo una nebulosa magmatica e indifferenziata di esegeti e padri della Chiesa per lo più in contrasto tra loro.
DeConick fa rilevare un’impressionante serie di svarioni nella traduzione e nell’interpretazione del testo in lingua copta, commessi (quanto scientemente?) nel corso di un lavoro «troppo veloce per ben ponderare le insidie di un’opera così complessa». Si fa rilevare come, a fronte dell’interpretazione da parte del National Geographic di Giuda come eroe, una lettura più attenta evidenzi che non solo l’Iscariota non è ritenuto un eroe, ma che è un daimon: «E la traduzione di daimon, secondo il pensiero della setta gnostica dei Cainiti, non può che essere demone e non spirito, solitamente espresso anche in copto con il termine greco pneuma», osserva DeConick. Inoltre il testo dice espressamente che «Giuda è separato dalla Santa Generazione» e non, come traducono gli esperti del National Geographic, «preservato per essa».
Poi, da Gesù Giuda riceve sì i Misteri del Cielo, ma non perché è per lui possibile entrarci, semplicemente perché il Messia vuole che l’apostolo-traditore sia informato e che, se decide di tradirlo, lo faccia scientemente: «In realtà questa affermazione sostiene in modo evidente il libero arbitrio, concetto-cardine del pensiero cristiano ortodosso», fa notare DeConick. E ancora: il National Geographic ha omesso una negazione, contenuta in una frase sull’ascensione di Giuda, che capovolge il senso originario: l’ascensione di Giuda alla Santa Generazione sarebbe stata maledetta. La casa editrice ha ammesso l’errore ma in ritardo e non con un’evidenza tale da far cambiare nell’opinione pubblica un concetto ormai radicato. (Aristide Malnati, Avvenire, 8 dicembre 2007)

giovedì 6 dicembre 2007

Salvati con il preservativo: l'enciclica di Livia


D'accordo, se faccio sesso a cazzo di cane rischio di ammalarmi. Una volta era la sifilide, adesso è l'Aids. Il governo (Livia Turco, ministro della salute) intende proteggermi. Commissiona uno spot alla signora cultura (Francesca Archibugi, regista). E che dice lo spot? Potrebbe dire, con Agostino: Ama (dilige), e fa' ciò che vuoi. O con Jane Austen: Cercati un marito o una moglie, un compagno o una compagna, concepisci una creatura umana, ama, educa, educati e divertiti. O con Kakà: La castità è una scelta libera e possibile. Ma no, è troppo semplice. Sa di parrocchia. Che cosa volete che sia la salvezza, magari la speranza, di fronte al problema della salute? Ecco dunque la soluzione: Mettiti un preservativo, fagli mettere un preservativo. Il ministero suggerisce «un amore senza rischi», proprio così. L'amore con l'air bag. L'amore con la gomma. Un sesso tecnico. Un altro capitolo del progetto Orgasmus.Poi si lamentano degli stupri, della solitudine, della violenza, dell'indifferenza, queste donne moderne sull'orlo di una crisi di coscienza. La concupiscenza a loro va bene, tutto bene benissimo, e deve esercitarsi al riparo da ogni senso del peccato, parola desueta e insignificante, poco laica. Basta che sia protetta da un palloncino. Mettitelo, e fa' ciò che vuoi. Eviti il rischio di pensare a quel che fai, il rischio di fare un bambino o una bambina, il rischio di entrare o accogliere liberamente l'altro, il rischio dell'amore rischioso che implica qualcosa, il rischio della nudità. Il ministero potrebbe anche dire, via spot: Sta' attento, sta' attenta, il sesso casuale è una ginnastica pericolosa, il corpo libero comporta conseguenze spesso incontrollabili. In mancanza di Paolo e Francesca, la bocca mi baciò tutto tremante, si può supplire con una bella foto di Amanda e Raffaele. Un richiamo rozzo alla responsabilità. Rozzo ma efficace, no? Ma questo è terrorismo moralistico, si dirà. Siamo fuori del senso comune, si dirà. Invece è la perfezione del senso e del luogo comune l'idea che lo stato ti suggerisca di vestire di gomma il pisello, trattandoti come un bambino scemo, incapace di subordinare gli istinti o i talenti alla ragione. I preservativi ci sono. Son stati inventati e sono alla portata di tutti. Gli amanti vedranno che cosa farne. Decideranno loro, caso per caso. Ma chi decide per tutti, chi fa cultura e controcultura, chi ci insegna ogni giorno che lo stato è laico, non sopporta ideologie e invadenze religiose, quale diritto ha di fare propaganda alla cosa più schifosa che sia mai stata inventata, che non è il profilattico o la libera scelta se usarlo o no, ma l'amore profilattico, il sesso senza rischi?«Un messaggio culturale di rispetto per se stessi e per gli altri», dice il ministro. E uno pensa: adesso fa uno spot per dire: Giovanotto, fatti un cuore intrepido e impara ad amare, studiati la questione del piacere, fatti gli occhi giusti per il desiderio, agisci con grazia ché poi c'è il giudizio (come dice il Papa dal buio profondo del medioevo, così lontano dalla luce immensa che illumina la Archibugi). No invece, il rispetto è tecnicamente realizzabile così: Srotola un palloncino colorato, e fa' sesso a coriandolo, come ti capita ma in sicurezza, al riparo da ogni evenienza. Chiaro che poi ci sta bene anche la tolleranza per l'aborto («Vorrei tanto abortire ma non riesco a rimanere incinta» - Sara Silberman), e tanta morfina per una bella eutanasia amorevolmente assistita. Se lo stato è il pronto soccorso del desiderio regolato dall'istinto, se è il farmacista della fregola, se moraleggia a vanvera e controassicura con la gomma il formidabile gesto dell'amore, dove troverò la forza. (Giuliano Ferrara, Il Foglio, 03/12/2007)

giovedì 29 novembre 2007

Falce e carrello. il potere delle coop rosse


«La Coop sei tu, chi può darti di più?». Chiunque, ma non la Coop. Nelle regioni rosse fare la spesa in un qualsiasi supermercato della catena controllata da Legacoop, il gigante economico agli ordini di Pci–Pds-Ds, costa fino al 15% in più, la qualità delle merci è peggiore e anche l’assortimento dei prodotti biologici – uno dei cavalli di battaglia del marchio Coop - è di gran lunga inferiore a quello di altre catene. E’ l’effetto del quasi monopolio che la Coop conquista ovunque può contare sulla complicità di amministratori locali e sindacalisti della Cgil proni agli ordini di scuderia ma anche causa della insipienza di un management che si è formato nelle sezioni del partito anziché alla scuola del mercato e della produzione.
Per chi vive in Emilia Romagna, Liguria, Toscana o Umbria senza prosciutto sugli occhi non è una novità. In queste regioni, dove vige da più di mezzo secolo un regime socialista, “non cade foglia che Pci (e successive varianti) non voglia”.
Gli altri, gli scampati, farebbero bene a leggere il libro di Bernardo Caprotti, Falce e carrello. Le mani sulla spesa degli italiani , pubblicato da Marsilio.
Chi è Caprotti? È il fondatore e il timoniere di Esselunga, l’imprenditore che per primo ha portato in Italia il supermarket facendo della sua azienda un caso di eccellenza nella grande distribuzione. Dopo anni di strenue battaglie, prima contro un sindacalismo arrabbiato, cinghia di trasmissione dell’ideologia del Pci nella società italiana, poi contro il gigante “rosso” della vendita al dettaglio ha deciso di portare i panni sporchi della Coop in piazza.
Siamo dunque di fronte alla rivalsa polemica e stizzita di uno sconfitto? Niente affatto. Falce e carrello è piuttosto la testimonianza, resa inoppugnabile da una inedita documentazione, di un imprenditore lombardo che chiedeva soltanto di fare il suo mestiere e si è invece scontrato con un concorrente sleale che per affermare ed estendere la propria supremazia sul mercato non esita a usare le Giunte di sinistra per lasciare scadere licenze, che poi prontamente si fa girare, pagare terreni sei volte il valore di mercato, usare il ritrovamento di reperti archeologici come grimaldello grazie alla complicità di assessori e soprintendenti. Terreni agricoli acquistati per due lire diventano in un batter d'occhio edificabili, fino a giungere – è cronaca dell'ultimo anno - alle pressioni di Romano Prodi su Caprotti perché l’azienda resti «in mani italiane». “Voci” pretestuosamente messe in giro da una stampa “amica” (Espresso, Corriere della Sera, l'Unità) avevano infatti dato per imminente la cessione di Esselunga. Naturalmente queste «mani» dovevano essere quelle della Coop.
Insomma un libro «di grande coraggio personale e civile», come si dice in certi ambienti “democratici” quando qualcuno denuncia pubblicamente la Mafia. In questo caso il potere è quello di Legacoop e Pds-Ds, che per consolidare ed estendere il proprio sistema di affari usa ovunque è possibile gli apparati di Regioni, Province e Comuni. Dopo le ultime elezioni – gli italiani provano un gusto tutto particolare nel darsi zappate sui piedi - ci sta provando anche con quelli dello Stato. Il caso Unipol e le “liberalizzazioni” di Bersani, sono solo un prologo.
Lettura assai istruttiva e interessante è anche la ricca appendice di Falce e carrello, dalla quale si apprende quale sia la reale entità dell’impero “rosso”, immenso serbatoio di capitali, clientele e voti. Un impero che Tangentopoli, guarda il caso, non ha neppure scalfito e che il terremoto del 1997 in Umbria ha consolidato.
Terminata la lettura viene alla mente l’ultima pagina de La fattoria degli animali, di Orwell, quando cavalli, mucche, oche si affacciano alla finestra della casa dove viveva l’antico, odiato, padrone: l’uomo. I maiali, artefici e ispiratori della gloriosa rivoluzione che doveva cancellare per sempre la schiavitù e lo sfruttamento, stavano trattando la pace con i proprietari delle fattorie vicine e l’avvio di vantaggiosi commerci, ma le povere creature, fuori la finestra, guardano ora gli uomini, ora i maiali ma per loro è diventato ormai impossibile distinguere chi sono gli uni e chi sono gli altri. (Pietro Licciardi, Rassegna Stampa, 26 novembre 2007)

giovedì 22 novembre 2007

Persone consacrate e laici insieme nella grande avventura dell’educazione cristiana.


Presentato il nuovo documento della Congregazione per l’Educazione Cattolica

Lo scopo del documento “Educare insieme nella scuola cattolica. Missione condivisa di persone consacrate e fedeli laici”, a cura della Congregazione per l’Educazione Cattolica, è “di offrire degli spunti di riflessione sulla missione educativa condivisa da persone consacrate e da fedeli laici nella scuola cattolica. Il documento parte da quanto già si fa nel campo della missione educativa condivisa, vuole avere carattere propositivo ed incoraggiare la formazione e la progettualità dei fedeli laici e delle persone consacrate nel campo educativo e scolastico cattolico”. Con queste parole il Card. Zenon Grocholewski, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica (dei Seminari e degli Istituti di Studi), ha presentato il documento il 20 novembre, nella Sala Stampa della Santa Sede. Più di un miliardo di ragazzi sono in età scolare, 58 milioni sono gli insegnanti a cui va aggiunto il personale non docente, ha ricordato il Cardinale. Le istituzioni scolastiche della Chiesa contano oltre 250.000 scuole con circa 42 milioni di allievi. Migliaia sono poi gli insegnanti cattolici, tra cui moltissime persone consacrate, che svolgono la loro missione educativa in numerose scuole dello Stato. “Accanto all’ampiezza del ‘bacino d’utenza’ della scuola è da segnalare anche l’accresciuto interesse ai temi dell’educazione da parte dell’opinione pubblica e della comunità internazionale” ha sottolineato il Card. Grocholewski, evidenziando gli elementi comuni del panorama educativo contemporaneo: il fenomeno della globalizzazione, non solo economica ma anche culturale, politica ed educativa; l’applicazione delle nuove tecnologie, l’informatizzazione diffusa, la rapidità delle comunicazioni; le problematiche legate all’ambiente e le questioni della bioetica. Non mancano tuttavia segnali preoccupanti: il contesto odierno della scuola è infatti segnato da un profondo disagio. Oltre ad una “diffusa fatica da parte degli insegnanti, che si sentono demotivati e vedono frustrato il loro compito educativo”, il Cardinale ha segnalato l’aumento della violenza a scuola e tra gli adolescenti e la difficoltà delle famiglie ad essere parte attiva della comunità educativa scolastica. “Si assiste, inoltre, ad una perdita di senso dell’educazione strettamente legata allo smarrimento dei valori, soprattutto di quelli che sostengono le scelte di vita: la famiglia, il lavoro, le scelte morali. Così l’educazione soffre anch’essa dei mali che affliggono le nostre società: il diffuso soggettivismo, il relativismo morale ed il nichilismo. La tradizione pedagogica cattolica ribadisce con forza la centralità della persona umana nel percorso educativo”. “La corretta educazione dei bambini e dei giovani è questione di estrema importanza per il bene della Chiesa e dell’umanità, per formare un mondo migliore” ha sottolineato ancora il Card. Grocholewski, esortando i religiosi e i laici a collaborare, in una armonica integrazione, nella cura dell’educazione delle nuove generazioni. Mons. Angelo Vincenzo Zani, Sotto-Segretario della medesima Congregazione, ha ricordato nel suo intervento che “la scuola cattolica opera in tutte le aree geografiche, anche in quelle dove non c’è la libertà religiosa, o che sono socialmente ed economicamente più svantaggiate, con una stupefacente capacità di rispondere alle emergenze e ai bisogni formativi, nonostante talvolta vi siano grandi difficoltà”. A questo proposito ha citato una serie di esempi di tale presenza. In Libano, il programma della scuola cattolica ha come obiettivo principale di portare i giovani al dialogo e alla collaborazione tra musulmani e cristiani. In alcune aree del paese i non cattolici sono il 99% degli allievi delle scuole cattoliche. Nel Nepal, dove la maggioranza della popolazione è induista, nel 2004 il re ha assegnato un premio di benemerenza a due missionari per il loro impegno nel campo dell’istruzione, per i contributi dati alla vita sociale, economica, culturale e al progresso della popolazione nepalese. A Dakar, nel Sénégal, nel 1949 i Padri Maristi fondarono la scuola "Sainte Marie de Hann", che nel 1977 è stata assimilata ai Licei francesi fuori del territorio della Repubblica francese. La frequentano 3.500 allievi con 170 professori, ed è aperta a ragazzi e ragazze provenienti da tutta l’Africa Occidentale francofona, di tutte le confessioni religiose e di tutte le categorie socio-economiche. Dopo che i Maristi si sono ritirati, è subentrata la diocesi la quale, con l’aiuto dei laici, ne conserva lo stile e lo spirito. La scuola, che ha ricevuto il premio UNESCO, si ispira ad un progetto educativo teso ad educare alla pace e a realizzare un ‘foyer’, con l’obiettivo di far dialogare le diverse culture per costruire un mondo fondato sulla fraternità. Un accenno particolare è stato poi fatto da Mons. Zani sulla presenza della scuola cattolica nell’Europa centrale e orientale: “Il crollo del comunismo ha sbloccato una situazione che si protraeva da anni, facendo riscoprire il valore della persona e della libertà anche nei processi formativi. In molti di questi paesi si sono avviate revisioni profonde delle legislazioni scolastiche, nelle quali sono ora previsti anche riconoscimenti e sostegni economici alle scuole cattoliche”. Infine Mons. Zani ha presentato una serie di statistiche sui docenti delle scuole cattoliche: oggi dei 3.500.000 di insegnanti nelle scuole cattoliche la maggioranza è formata da laici, con una percentuale assai diversificata nelle varie parti del mondo. Nell’arco degli ultimi anni si è registrato un forte calo di religiosi e religiose e un considerevole aumento di personale docente laico. Tuttavia, si nota che questa trasformazione, lungi dall’essere un impoverimento, costituisce una grande potenzialità per la scuola cattolica” ha evidenziato il Sottosegretario. Il Prof. Roberto Zappalà, Preside dei Licei dell’Istituto Gonzaga di Milano, ha infine esposto la struttura del documento, che vuole offrire un contributo di riflessione su tre aspetti fondamentali che riguardano la collaborazione tra fedeli laici e consacrati nella scuola cattolica. A questi tre aspetti sono dedicate le tre sezioni in cui si articola il documento: La comunione nella missione educativa; Un cammino di formazione per educare insieme; La comunione per aprirsi agli altri. (Agenzia Fides 21 novembre 2007)

Don Di Noto indagato? Sì, per il reato di iperbole


Meno male, ora possiamo dirci tutti più tranquilli: don Fortunato Di Noto da sabato è iscritto nel registro degli indagati. La Sicilia, terra di sventure secolari e ancestrali problemi, vede finalmente aperto un procedimento della procura di Catania contro il pericoloso prete siracusano che da anni stana e denuncia i pedofili. Chiaro il reato secondo le parole dell’accusa: pubblicazione di notizie esagerate. In pratica, come ha spiegato ai giornalisti il procuratore aggiunto di Catania, Enzo Serpotta, don Di Noto aveva definito «raid vandalico» ciò che assomigliava di più a un semplice furto con scasso: lo ha fatto con un comunicato stampa diffuso il 6 novembre scorso, dopo che una delle sedi della sua associazione era stata visitata da ignoti che avevano divelto la porta, messo a soqquadro la stanza e rubato il poco denaro che era in cassa, 126 euro. Insomma, sempre per usare le parole dell’accusa, l’incauto sacerdote avrebbe «turbato l’ordine pubblico», e proprio questo non si può fare: la nostra imperturbabile società è turbata anche troppo – delitti di mafia, studentesse violentate e sgozzate, rapine in villa – senza che ci si metta pure don Di Noto a diffondere il panico. Tra l’altro con un fine ben preciso: «Il suo obiettivo era attirare solidarietà per la sua associazione», la quale – ricordiamolo – non è a delinquere, ma collabora da anni con le polizie postali e le magistrature di mezzo mondo (compresa quella siciliana) per fermare gli “orchi” della pedopornografia. Ammesso e non concesso che don Fortunato, uomo di passione, si sia lasciato un po’ trascinare e abbia trasfuso in quel comunicato tutta la sua amarezza, sconcerta la sproporzione tra il fatidico “reato” e la pronta reazione del pm: undici agenti della Guardia di Finanza inviati con tanto di mandato di perquisizione in quattro luoghi diversi (la parrocchia di Avola, l’abitazione del sacerdote, la sede dell’associazione Meter di Aci Castello teatro del furto, e la sede centrale di Avola) alla ricerca di quello che viene chiamato “il corpo del reato”. Che cosa cercavano gli undici agenti? È sempre il pm Serpotta a spiegare alla stampa: «Confermo che abbiamo proceduto sulla base di quel volantino in cui si parlava di “atto vandalico”, mentre in realtà si trattava di un piccolo furto». Tutto qui? Tutto qui. Undici agenti sulle tracce di un comunicato che, proprio perché rivolto alla stampa, era consultabile su tutti i giornali del 7 novembre. E che comunque è bastato chiedere alla volontaria di Meter presente in quel momento in sede... Di morali dalla storia se ne traggono parecchie.
Prima: d’ora in poi se, tornati a casa, troveremo la porta divelta, le nostre cose a soqquadro e quel poco di spiccioli portati via, facciamo attenzione a parlare di «gesto vandalico», potremmo macchiarci di iperbole e finire sul registro degli indagati alla pari dei criminali. Seconda: non è vero che in Italia le forze dell’ordine sono insufficienti e mancano gli agenti, anzi, ne abbiamo così tanti che possiamo permetterci azioni massicce e tempestive anche per questioni di tale rilievo. Terza: può anche essere che don Di Noto sia «alla ricerca di attestati di solidarietà», ma non sarebbe male se ogni tanto gliene arrivassero, visto che in questi anni ha fatto arrestare centinaia di pedofili e oscurare migliaia di siti pedopornografici, ha subìto minacce di morte e per questo vive sotto protezione. Infine, quella solidarietà che non sempre ha avuto in passato la sta ricevendo in queste ore, proprio grazie all’inchiesta che lo vede indagato: politici di destra e di sinistra, uomini di cultura, semplici cittadini, sono uniti per una volta dalla stessa incredulità. Seriamente “turbati”, è vero, dall’iperbole, e non certo da quella del prete. (Lucia Bellaspiga, Avvenire, 20 novembre 2007)

giovedì 15 novembre 2007

Tifoso ucciso, e la Chiesa?


Da domenica scorsa, dall’uccisione di Gabriele Sandri nella stazione di servizio di Badia al Pino in poi, abbiamo assistito a una serie di eventi che ci hanno lasciati sgomenti. Su tante cose meriterebbe riflettere: su questo Paese – e non solo il calcio - ormai ostaggio di una minoranza violenta e cieca oltre che impunita; su uno Stato che assiste inerme a un atto di guerra (come giudicare altrimenti l’assalto a una caserma) e ad atti che abbiamo visto soltanto in tentativi di golpe; sui costi esorbitanti di distruzioni che ancora una volta saranno ripagati con le tasse di cittadini che, in cambio, non possono neanche più godere del diritto di assistere a una partita di calcio. Su tante altre cose si potrebbe riflettere, ma quello che vorremmo oggi porre all’attenzione – visto che nessuno se ne è accorto - è la profanazione persino della Chiesa, con la complicità degli stessi cattolici che sembrano aver smarrito qualsiasi criterio di giudizio.

E’ difficile infatti sottrarsi alla sensazione di disgusto nel rivedere le immagini dei funerali e dei commenti tv ad esse legate. La chiesa era chiaramente percepita come il prolungamento della curva: zona vietata agli agenti di polizia e cori da stadio all’esterno. Ma anche all’interno della chiesa la situazione non sembrava migliore. La liturgia si è aperta sulle note di una canzone di Gianna Nannini - “Meravigliosa creatura” –, la preferita dal ragazzo ucciso: si capisce la buona intenzione dell’omaggio a un ragazzo scomparso in circostanze tragiche, ma la chiesa non è un semplice luogo di ritrovo in cui far scorrere immagini nostalgiche, è il luogo dove siamo richiamati alla domanda sul senso della nostra vita, è il luogo dell’incontro con la misericordia di Cristo. Anche i canti liturgici servono a questo: non a ripiegarsi su se stessi e sul proprio dolore, ma ad aprirsi all’unico che ci può salvare dal male. Quello che si è visto è né più né meno il riproporsi di antiche usanze pagane, quando i morti venivano sepolti con i loro oggetti perché sarebbero serviti loro nell’altra vita.Non entriamo nel merito dell’omelia, perché siamo certi che – come solito - i giornalisti hanno scelto solo brevi passaggi più facilmente “vendibili” all’opinione pubblica. Eppure quel chiedere giustizia umana – più che legittimo – forse andava spiegato esplicitamente visto che la folla che partecipava, in gran parte associa al termine giustizia l’idea della vendetta, come si è visto all’uscita del feretro. Sì, è vero, il parroco ha anche detto che la giustizia non deve essere vendetta, ma in fondo non sono le stesse cose che aveva già detto il presidente Napolitano? Siamo sicuri che alla voce “giustizia” noi cattolici non abbiamo nulla di originale da suggerire? Che senso ha il sacrificio in croce di Gesù se è soltanto per ripetere ciò che un laicissimo presidente della Repubblica ha già detto? E che enorme fastidio quegli applausi durante l’omelia: cinque volte, ci dicono i cronisti. L’omelia come un comizio, un discorso pubblico qualsiasi.E se il parroco avesse detto qualcosa di sgradito, sarebbero stati legittimi anche i fischi, visto che la platea – data la situazione è giusto chiamarla così – ha diritto ad esprimere la sua opinione? E qui chiediamo ai nostri vescovi: visto che fedeli e parroci sembrano incapaci di capire la differenza tra la spiegazione della Parola di Dio e una qualsiasi conferenza, non sarà il caso di imporre la proibizione degli applausi durante le cerimonie liturgiche, inclusi battesimi e matrimoni? Almeno forse qualcuno si porrebbe qualche domanda e sarebbe aiutato a comprendere meglio il senso dell’evento che si sta celebrando. Si potrebbe andare avanti, ma una cosa è importante cogliere: in questo sfacelo evidente della nostra società, in cui anche le massime istituzioni hanno alzato bandiera bianca e la gente è disorientata e avvilita, soltanto la Chiesa può indicare la strada e ricostruire un popolo. E’ deprimente lo spettacolo di cattolici – ordinati o meno - che si piegano alla cultura dominante, alla legge del più forte, magari gratificati da qualche applauso. Dobbiamo prendere coscienza del tesoro che ci è stato donato e dobbiamo fare in modo che fruttifichi, per amore di Gesù e della gente che egli ci ha messo intorno. Soltanto la ripresa di questa coscienza potrà evitare lutti peggiori a questo popolo. (Il Timone, 15 novembre 2007)

La morale delle belle anime porche


C'è una ragione per cui i romanzi moderni annoiano, mentre le vecchie novelle delle fate durano sempre. La ragione ce la spiega il mio vecchio amico G. K. Chesterton: "Le vecchie novelle hanno per protagonista un ragazzo qualunque. Sono le sue avventure che lo rendono interessante; e lo rendono interessante appunto perché è un ragazzo qualunque. Nel moderno romanzo psicologico, il protagonista è un anormale: il centro è fuori centro. Onde le avventure più straordinarie non hanno in lui una ripercussione adeguata, e il libro riesce monotono".
Chissà che ne avrebbe pensato il buon Chesterton di "Belle anime porche", il romanzo di tale Francesca Ferrando. Stando alle esaltate dichiarazioni dell'autrice, la protagonista della vicenda è un personaggio "del tutto nuovo" nella storia della letteratura italiana. Una ragazza che è stata violentata dal padre e che, solo più tardi, evadendo dalla realtà familiare ed entrando nel giro di un gruppo di amici, riesce a godersi il fiore della vita, in un'esperienza di sesso felice, liberante, e violento. "Il sesso deve essere gioia - dice la Ferrando - e anche l'orgia, se uno la fa consenziente, da adulto, va bene".
Le novelle della fate - diceva ancora Chesterton - hanno per oggetto un uomo normale in un mondo anormale. Il solito romanzo realistico di oggigiorno ci presenta le gesta di un lunatico essenziale in un mondo idiota". Ma il romanzo della Ferrando, in effetti, sembra nuovo: parla di una ragazza anormale, in un mondo anormale e idiota, che però l'autrice dimostra di apprezzare. La novità è tutta qui.
Questa esaltazione dell'orgia tra consenzienti mi lascia un tantino inquieto. E' evidente che per certa gente il limite tra ciò che è buono e ciò che è cattivo, tra il bene e il male, si è da tempo volatilizzato.
Vuoi farlo? Just do it! Tranquillo: è una filosofia "liberante", che ti porta alla felicità.
Le cronache degli ultimi giorni parlano di una realtà ben diversa, che con la felicità e la realizzazione di sé ha molto poco a che vedere. Il mondo delle "belle anime porche", dell'inebriante libertà sessuale respirata lontano dalla famiglia, durante uno stage Erasmus, più che attraente e felice ci appare mostruoso. L'omicidio di Meredith, ragazza americana in vacanza Erasmus a Perugia, impressiona per la sua violenza, causata proprio da quell'istinto di godimento sessuale che invece dovrebbe essere l'origine di ogni bene. La realtà è molto più complessa di quella che si descrive su certi libri.
Leggevo l'altro giorno una pagina di un grande. Antoine di Saint Exupéry scrive "Il piccolo principe" non per degli adulti maturi, che non capiscono niente, ma per dei bambini, che capiscono tutto, anche la complicata profondità delle novelle delle fate. E, parlando dei baobab, dice che bisogna estirparli quando sono ancora piccoli, perché poi, se diventano grandi, si trasformano in tremendi giganti che soffocano un piccolo pianeta e lo trapassano da parte a parte. Certo, bisogna saper distinguere i semi buoni da quelli cattivi, che apparentemente si assomigliano molto. Poi, quando uno ha imparato a distinguere, deve costringersi ad un lavoro di disciplina, facendo con cura la pulizia del proprio pianeta, ogni giorno.
Meredith questa pulizia non l'ha saputa fare. E neppure Amanda. Forse avevano la testa troppo imbottita di false promesse. Nessuno gli aveva forse spiegato che esiste il concreto pericolo di perdersi, di diventare schiavi. Forse nessuno le aveva spinte a riflettere su uno dei miti fondanti dell'Occidente, quello di Ulisse, nell'episodio di Circe e dei porci. Il loro sogno di un'esperienza universitaria felice e divertente, ricca di esperienze e di sapori piccanti, si è trasformato in un incubo. E il baobab è cresciuto, ed ha trapassato il pianeta da parte a parte.
Nelle antiche novelle delle fate, l'eroe doveva stare attento a distinguere il male dal bene, e doveva guardarsi dal male, e imparare a scegliere il bene. Nei moderni romanzi alla Durando, non si capisce più che cosa sia oggettivamente il bene e cosa sia il male. Nelle antiche novelle della fate si insegna ad affrontare la fatica, a maturare, a diventare grandi. Nei romanzi alla Durando, a ricercare il piacere nell'orgia. Là "scoprire la vita" significava scoprire le insidie e i valori. Qui, invece, semplicemente abbandonarsi ai piaceri della vita, succhiare il nettare.
Fa specie sentirsi dire queste cose mentre per terra, in un appartamento, fuma ancora il sangue caldo di una giovane vittima sacrificale.
Quello che Chesterton, ai primi del Novecento, non poteva prevedere era che la letteratura sarebbe diventata una felice, esaltata, giocosa e irresponsabile istigazione al vizio. (Gianluca Zappa, La Cittadella)

giovedì 8 novembre 2007

TV deludente: programmi fotocopia

A poco meno di due mesi dall'inizio della nuova stagione televisiva, è già tempo di primi bilanci. Se la tv cosiddetta generalista perde circa 350 mila spettatori (ben poca cosa rispetto al milione di defezioni degli ultimi tempi), ciò che dovrebbe allarmare è l'assoluta assuefazione del pubblico al mezzo televisivo.In mancanza di reazioni, come ad esempio un sostanziale calo degli ascolti, produttori e autori propongono la solita minestra riscaldata, con programmi fotocopiati (ad esempio Domenica In, La Domenica Sportiva, Il treno dei desideri e Porta a Porta sulla Rai contro Buona Domenica, Controcampo, C'è posta per te e Matrix sulle reti Mediaset) e personaggi molto simili (Mentana e Vespa, Clerici e Maria De Filippi, Gerry Scotti e Carlo Conti, Paola Perego e Simona Ventura).Così le risse tra gli ospiti nei talk show sono identiche su Canale 5 e su Raiuno, come dimostrano i politici chiamati in causa, questa volta da Beppe Grillo, per rispondere alla disaffezione degli elettori/spettatori.Insomma, non c'è niente di nuovo nei palinsesti di Rai e Mediaset, comprese le banali fiction sulle forze dell'ordine (carabinieri, marinai e finanzieri) o sulle biografie dei santi volutamente falsificate (si veda quella di Giuseppe Moscati o di Francesco e Chiara). Anche per quanto riguarda lo sport, con il Campionato di calcio, la Nazionale e la Champion League che la fanno da padroni, si assiste al solito teatrino messo in scena da scialbi telecronisti, mentre altri spettacoli (ad esempio i tornei internazionali di basket, pallavolo e rugby) avrebbero meritato ben altra attenzione.Così le ultime stagioni televisive sono tutte uguali, ed anche i critici rischiano di ripetere le cose scritte anni addietro. Ma ciò che risulta davvero sconfortante è il fatto che il pubblico non si ribella, non pretende qualcosa di nuovo, mentre preferisce seguire gli stessi personaggi, gli stessi programmi, gli stessi format. E’ come se fosse rassicurato dalle vecchie e stantie idee, e perciò non fosse curioso, appassionato, desideroso di vedere programmi diversi e di qualità.Ed è un vero peccato, perché così la televisione non può migliorare, anzi può solo peggiorare, come dimostrano quei talk show che nel tempo hanno commentato i delitti da prima pagina con particolari sempre più efferati (ad esempio quelli di Novi Ligure, Cogne, Erba e in ultimo Garlasco).Non c'è quindi da stupirsi se le poche cose nuove e interessanti vengano trasmesse in tarda serata, proprio perché sono rivolte ad un pubblico ristretto che ancora crede ad una televisione educativa, intelligente e stimolante. Ma non era questa la missione della tv?

Se poi è il pubblico a giudicare…
Al contrario è sempre più stretto il legame tra i mezzi di comunicazione e le aule giudiziarie. Da tempo si permette alle telecamere di varcare la soglia dei Palazzi di Giustizia per documentare in presa diretta lo svolgimento di un dibattimento giudiziario, oppure vengono riprodotte in studio le situazioni processuali, con casi reali e giudici veri, con tanto di sentenza finale.E gode di buona salute anche il genere, che usa la metafora giudiziaria per analizzare alcuni eventi, generalmente di carattere sportivo.Oggi, accanto a questi esempi ormai tradizionali, sono sempre più numerosi i programmi televisivi che portano in scena le vicende giudiziarie in corso. La telenovela che coinvolge i giudici Forleo e De Magistris e il ministro Mastella è soltanto l'esempio più recente.Il fenomeno è ormai radicato e non si vede alcun segnale di inversione di rotta; basti pensare a tutte le volte in cui i presunti colpevoli vanno a difendersi in televisione, di solito (ma non esclusivamente) sulle poltroncine bianche di Porta a porta, dove Bruno Vespa è riuscito a ospitare persone che la giustizia ha dichiarato colpevoli di omicidio (per esempio Scattone e Ferraro, accusati di aver ucciso Marta Russo, o Annamaria Franzoni, condannata per l'infanticidio del figlio Samuele).Non appena i media mettono nel mirino un processo in corso, puntualmente le vicende giudiziarie si spostano sul teleschermo; i giornali e gli altri organi di informazione fanno la cronaca non più di ciò che avviene (o dovrebbe avvenire) nelle aule giudiziarie, ma di ciò che si vede nel piccolo schermo. D'altronde, se la tv italiana pullula di processi televisivi, questo significa che il genere incontra il favore del pubblico.E’ pericoloso demandare al giudizio degli spettatori, invece che a quello degli organi competenti, tutti i più scottanti casi di attualità. Si rischia di confondere ancora una volta la realtà con la fiction o con il reality show. Evidentemente, c'è chi ha interesse a trasferire sotto i riflettori delle telecamere i dibattimenti giudiziari, a partire dagli avvocati più o meno spregiudicati che, facendo leva sui sentimenti popolari, sperano di creare un movimento di opinione innocentista tale addirittura da condizionare le decisioni della magistratura giudicante.
I presunti colpevoli, dal canto loro, stanno al gioco mediatico perché, secondo la distorta strategia di cui sopra, hanno soltanto da guadagnarne. E gli autori delle trasmissioni televisive sacrificano volentieri la deontologia alle leggi dell'audience, che impongono di tenere incollati al video milioni di telespettatori a tutti i costi.Auguriamoci che il verdetto finale di molti processi in corso non sia affidato al televoto della "giuria popolare" composta dal pubblico televisivo, ma agli organi effettivamente competenti. (Fonte: Incrocinews, novembre 2007)

sabato 3 novembre 2007

È morto don Benzi: una vita per gli ultimi.

“Un infaticabile apostolo della carità”. Così l’ha definito papa Benedetto XVI nel messaggio di cordoglio inviato per la morte di Don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Giovanni XXIII.
Nato il 7 settembre 1925 a San Clemente in provincia di Forlì, don Benzi è entrato in seminario nel 1937 ed è stato ordinato sacerdote nel 1949. A lungo impegnato con i giovani, cui propone "un incontro simpatico con Cristo", nel 1972 ha guidato l'apertura della prima Casa Famiglia dell'Associazione Papa Giovanni XXIII a Coriano (Forlì).Nell'ottobre 1950, come spiega il sito della sua Comunità, don Benzi viene chiamato in seminario a Rimini quale insegnante e quindi è nominato vice assistente della Gioventù Cattolica di Rimini (ne sarà poi Assistente nel 1952). E' in questo periodo che matura in lui la convinzione dell'importanza di essere presenti ai giovani adolescenti nei quali si formano i metri di misura definitivi dei valori di vita.Riteneva fondamentale, infatti, realizzare una serie di attività che favorissero un "incontro simpatico con Cristo" per coinvolgere la maggior parte di teenager che venivano ad avere incontri decisivi per la loro formazione con tutti ad eccezione di Cristo. In questo progetto rientra anche la costruzione di una casa alpina ad Alba di Canazei (TN) per soggiorni di adolescenti, realizzata dal 1958 al 1961.Mantenendo l'impegno fra gli adolescenti, nel 1953 don Benzi è nominato direttore spirituale nel seminario di Rimini per i giovani tra i 12 e i 17 anni. Attraverso tale compito (protrattosi fino al 1969) ha potuto approfondire più intensamente la conoscenza dell'animo giovanile. Nel frattempo, dal 1953, oltre al seminario, insegnava religione alla scuola Agraria "S. Giovanni Bosco" di Rimini, frequentata dagli adolescenti nei primi tre anni dopo le elementari. Nel 1959, continuando l'ufficio di padre spirituale in seminario e la presenza fra gli adolescenti in Diocesi, viene trasferito al Liceo Classico "Giulio Cesare" di Rimini, poi nel 1963 al Liceo Scientifico "Serpieri" di Rimini, ed infine nel 1969 al Liceo Scientifico "Volta" di Riccione. Tale esperienza, spiegano dalla Comunità, gli ha permesso di portare numerose attuazioni sul piano educativo tendenti a migliorare l'insegnamento di religione nella scuola, con il coinvolgimento dei giovani nella propria vita e nella presenza ai più poveri.Nel 1968, con questo gruppetto di giovani e con alcuni altri sacerdoti dà vita all'Associazione Papa Giovanni XXIII. Dall'incontro con persone che nella vita non riuscirebbero a cavarsela da sole e grazie alla disponibilità a tempo pieno di alcuni giovani, Don Oreste Benzi guida l'apertura della prima Casa Famiglia dell'Associazione Papa Giovanni XXIII a Coriano (FO) il 3 luglio 1972. Nel 1983 l'associazione di don Benzi ottiene il riconoscimento di "aggregazione ecclesiale" da parte del vescovo della Diocesi di Rimini Mons. Giovanni Locatelli. Il 7 ottobre 1998 l'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII è riconosciuta come "Associazione Internazionale Privata di Fedeli di Diritto Pontificio" riconosciuta dal Pontificio Dicastero dei Laici.Da oltre trent'anni la Comunità Papa Giovanni XXIII opera nel mondo dell'emarginazione in Italia e all'estero . E' presente in: Albania, Australia, Bangladesh, Bolivia, Brasile, Cile, Cina, Croazia, India, Italia, Kenya, Romania, Russia, Tanzania, Venezuela e Zambia. La vocazione specifica della Comunità è riassunta così: "Mossi dallo Spirito a seguire Gesù povero e servo, i membri della Comunità Papa Giovanni XXIII, per vocazione specifica, si impegnano a condividere direttamente la vita degli ultimi mettendo la propria vita con la loro vita, facendosi carico della loro situazione, mettendo la propria spalla sotto la loro croce, accettando di farsi liberare dal signore attraverso loro. L'amore ai fratelli poveri di cui si condivide la vita deve spingersi fino a cercare di togliere le cause che provocano il bisogno e quindi porta la Comunità ad impegnarsi seriamente nel sociale, con un'azione non violenta, per un mondo più giusto ed essere voce di chi non ha voce".
Don Benzi lo abbiamo più volte visto in tv nei suoi interventi per liberare le prostitute – soprattutto africane ed est europee – dalla schiavitù. Ma è stato molto di più. Proprio la sera del 31 ottobre aveva organizzato in una discoteca di Rimini una contro-festa di Halloween insieme al vescovo di San Marino, monsignor Luigi Negri, per incontrare i giovani e sfidarli sul senso della loro esistenza.Molte sono state le testimonianze sincere e commoventi, ma un pensiero vorremmo rivolgere a tutti quei politici – di destra e di sinistra – che fin dalle prime ore dopo la morte hanno fatto a gara per esprimere il loro cordoglio. Giusto, doveroso e degno di rispetto l’omaggio a quest’uomo da qualunque parte esso provenga, ma perché parlare a sproposito e coprire con parole piene di miele la propria ostilità a ciò che don Benzi era e rappresentava? Abbiamo letto di “una lezione alla politica”, “testimonianza su cui riflettere”, “un insegnamento da non dimenticare”. E allora forse è il caso di ricordare quell’insegnamento citando alcuni pensieri espressi da don Benzi:
- Sul caso Welby e l'eutanasia: "Interessava troppo ai politici. Avrei voluto dire alla moglie che non era troncando la vita, ma dando spazio alla vita che si poteva superare la sofferenza. Questo sarebbe stato il bello e una svolta nella storia. Ma non è potuto accadere, interessava troppo ai politici". "Ho mandato un messaggio a Piergiorgio in cui gli ho detto : 'vedrai quanto è bella la vita. Chiunque soffre dà la possibilità all'uomo di ritrovare se stesso, di non ignorare l'altro, di ricomporre un'unità profonda. Non è la malattia che fa star male ma è l'abbandono che vien fatto della persona malata che lo fa soffrire".
- La nostra società e la vita: "E’ una società vecchia, cioè una società di vecchi capaci solo di spegnere le realtà più belle create da Dio: il matrimonio, la famiglia, la dignità della donna, la libertà dello spirito, l'amore di Dio e del prossimo". La difesa della vita dal concepimento alla morte naturale era per don Benzi "il primo dei grandi appuntamenti che Cristo sta dando a tutti i cristiani e soprattutto alle comunità e movimenti riconosciuti dalla Chiesa: la lotta per difendere la donna a non abortire, la lotta per garantire un'assistenza dignitosa ai malati terminali, la lotta per il riconoscimento della vera famiglia, la lotta per vincere la droga, l'impegno per accogliere veramente gli immigrati a partire dai fratelli nella fede, l'impegno per accogliere gli zingari a partire dai fratelli nella fede, l'impegno per accogliere i carcerati e per superare le carceri, l'impegno per non essere impiegati della carità ma innamorati di Cristo, l'impegno per essere popolo, la lotta per la liberazione dalla schiavitù della prostituzione".
- Al Family Day: “Non esiste scientificamente l’omosessualità, è una devianza”.
- Sulla prostituzione: “Se non ci fosse la domanda, non ci sarebbe l’offerta. Se gli italiani non chiedessero prestazioni sessuali a pagamento, non ci sarebbe la tratta delle donne che vengono schiavizzate e forzate, da criminali singoli o associati, a dare le prestazioni sessuali richieste. Questa ingente quantità di persone colpite dalla schiavitù, dalla disoccupazione, dalla fame, dalla guerra, sono le vittime di una società disumana, di una società in cui l'uomo è una "cosa" accanto alle altre”. (Liberamente tratto da Il Timone).

mercoledì 31 ottobre 2007

Non basta? Ancora su preti pedofili, gay, dissoluti...


Ci risiamo: ormai dobbiamo sorbirci tutto il filone, fino all'ultima goccia! Ogni emittente deve esibire il suo “special”, il suo capolavoro giornalistico, la sua "perla", la sua tavola rotonda di idiozie.
Ultima in ordine di tempo (ma purtroppo non in senso assoluto, poiché c’è ancora Matrix e via dicendo…) è andata in onda a puntate la trasmissione Exit di Ilaria d’Amico, forse più abituata a trattare di pallone che di Chiesa.
Risultato? Una trasmissione squallida...
Partiamo dall'incompetenza della conduttrice, che pretende di tenere le fila del discorso senza appunto conoscere nulla della Chiesa, documentandosi solo con candid camere (di cui ci fidiamo essere anche veritiere) e le testimonianze in studio.
Si accusa la Chiesa di non essere stata presente alla trasmissione: non vi chiedete il motivo ? Quando si ricerca la Verità, la Chiesa è in prima linea; lo dimostra ad esempio la partecipazione di Mons. Rino Fisichella, rettore della Lateranense e vescovo ausiliare di Roma, alla discussa trasmizzione AnnoZero di Santoro di qualche mese fa... Lì la Chiesa c'era perché sicuramente c'erano dei veri giornalisti, e in qualcuno forse c'era anche il desiderio di ricercare la Verità (anche se il tizio irlandese ha perso più volte le staffe...).
Ieri invece sembrava di essere ad un processo calcistico del lunedì, in cui non si cercava neppure di inquadrare le singole situazioni e soprattutto senza mai neppure sforzarsi di capire il pensiero della Chiesa su tali questioni. Si è parlato di "presunti" preti e alte cariche ecclesiastiche (??), dando dei numeri per niente documentati e cercando di far passare il concetto che la Chiesa è tutta marcia. La verità è che la Chiesa, fin dalle sue origini, è sempre stata scomoda e per questo attaccata, perseguitata e screditata...
In effetti questi argomenti scottanti fanno audience e forse la redazione di La7 ne ha bisogno... Con questo non voglio negare l'esistenza di "episodi" che, se reali, andrebbero denunciati alle autorità ecclesiastiche competenti; questo farebbe solo bene alla Chiesa!
Del resto non mi ha sorpreso più di tanto l'atteggiamento gongolante della conduttrice che, magari anti-cattolica convinta, fa la sua campagna di disinformazione: mi ha invece sorpreso l'immaturità del "don" presente in studio: parlava di dialogo che la Chiesa dovrebbe avere. Dialogo? Vorrei ricordargli che la Chiesa NON è una democrazia e le sue "leggi" non vengono votate mediante referendum! Inoltre, quando uno decide di diventare prete, promette "filiale obbedienza" al Vescovo e al Papa.
Effettivamente la Chiesa dovrebbe "selezionare" e curare meglio la formazione dei giovani che si preparano ad un servizio così alto, nel celibato. Poi non dimentichiamoci (e scusate se è poco!) che chi crede nella Chiesa Cattolica crede fermamente nel fatto che la sua vera guida è Dio, il quale illumina i pastori con la potenza del suo Spirito. Ritengo pertanto realmente presuntuoso che i cristiani si alzino un mattino e dicano "secondo me le cose non stanno così"...
Il cristiano crede nei suoi pastori e li sostiene, perché è convinto che tutte le norme, le leggi, gli sono utili per arrivare alla vera felicità. La Chiesa è in continuo cammino verso la Santità perfetta, alcune cose certamente possono migliorare. Ma la denuncia che è stata fatta ieri mette solo sfiducia in tutto e in tutti, esattamente come quello che sta accadendo nella politica di questi giorni.
Ma a chi giova tutto ciò? Credo a nessuno... Ieri è passato il concetto che l'unico interesse della Chiesa sia quello di adescare i deboli, per i propri porci comodi...
Mi sembra veramente squallido. L'interesse della Chiesa rimarrà sempre il bene dell'uomo, come creatura a immagine dell'unico Dio.
Perché una volta tanto non si raccontano le virtù, le cose belle che la Chiesa fa? Perché non si raccontano le virtù che la maggior parte dei preti incarnano? Fa sempre più rumore l'albero secco che cade e non ci si accorge della bellezza di una rigogliosa foresta che cresce.
E pensare che la ns. società ha così bisogno di "pensare positivo", invece di gettare fango sempre su tutto e tutti. Mi auguro che ciascuno faccia le sue riflessioni e ricerchi sempre e onestamente la Verità che rende liberi.
Vedi Ilaria: il problema non è pizzicare o dimostrare al mondo intero la verità o l’indecenza della depravazione in cui possono cadere persone schiave e ingannate come lo possono essere anche dei presbiteri in crisi. (così come lo possono essere padri di famiglia in flagrante adulterio).
Ma attenzione: tu che con notevole zelo hai condotto questa piccola crociata contro una verità che nessuno si sogna di negare (perché anche i preti sbagliano!) hai preso un grosso abbaglio.
Hai voluto parlare della Chiesa e pretendere di saperla lunga su molte cose che la riguardano: e ti sei scaldata così tanto proprio perché della Chiesa conosci poco e niente.
Mi spiego: non dovevi per esempio confondere in alcun modo il peccato delle singole persone (dei preti, per esempio, che devono convertirsi come si deve convertire la totalità del popolo di Dio, te compresa) con la santità della Chiesa, che nulla e nessuno può offuscare!
Sono due aspetti che viaggiano su binari ben distinti. Ti consiglio di informati!

Neonato gay. Ma non dite che è uno choc


L’immagine che vedete - un neonato con al polso un braccialettino che ne indica, anziché il nome, la congenita inclinazione all’omosessualità - è stata scelta dalla Regione Toscana e dal ministero per le Pari opportunità come icona di una campagna contro le discriminazioni di carattere sessuale. Da oggi sarà affissa, in bella evidenza, sui muri delle città toscane, e riprodotta da alcuni quotidiani nazionali. Non sappiamo se otterrà il giusto scopo di combattere le discriminazioni, oppure se l’utilizzo di un bimbo - evidentemente non in grado di dare il proprio assenso - sortirà l’effetto non voluto di irritare. Di sicuro è una campagna che risponde pienamente ai canoni del «politicamente corretto», il quale impone la presenza di una o più coppie gay in ogni film, fiction tv, mostra d’arte, romanzo e persino gara sportiva. Il terreno è scivoloso, e criticare certe iniziative espone sempre al rischio di vedersi contestare l’immancabile accusa di omofobia. Tuttavia sarà ancora consentito, almeno, di sorridere di fronte alle mirabolanti definizioni con cui queste campagne vengono presentate. «Campagna choc», è scritto più volte nel comunicato diffuso dai promotori. «Choc», cioè che scuote, stupisce, sorprende, rompe gli schemi. Ma quali schemi? Quelli della coppia eterosessuale e magari monogamica? Quelli del matrimonio indissolubile? Quelli del processo a Oscar Wilde? Non prendiamoci in giro. Ogni epoca ha il proprio conformismo, e certo non era bello quello che marchiava gli omosessuali come «froci» o «invertiti» o peggio ancora: ma quei tempi sono finiti da un pezzo, morti e sepolti. Lo sa bene chiunque lavori in un giornale ma anche chiunque stia un paio d’ore davanti alla tv. Per chi sarebbe uno «choc» la campagna della Regione Toscana? Per i politici? Chiedere informazioni a chi ha perso una poltrona da commissario europeo, per aver dato l’impressione di non essere abbastanza choccante. Proprio di questi giorni è la notizia dell’ultima trovata di Joanne Kathleen Rowling, la creatrice della saga di Harry Potter. Scritto l’ultimo romanzo, finito il battage pubblicitario per l’uscita del libro, che cosa si è inventata la signora per rilanciare il prodotto? Che Albus Silente, uno dei suoi eroi di carta, è un gay. Ma guarda: se dire una cosa del genere fosse ancora così anticonformista, non avrebbe avuto paura, la Rowling, di perdere lettori? Invece ha messo a segno ancora una volta un colpo da genio del marketing, perché la parolina magica, «gay», non poteva che fare il giro del mondo circondata da cori di approvazione, di perbacco che coraggio, di ma guarda com’è illuminata. E infatti non è passato neppure un giorno che Daniel Radcliffe, l’attore che ha impersonato Harry Potter al cinema, ha annunciato: «Nel prossimo film mi piacerebbe interpretare un ruolo gay». Un kamikaze o un furbone? «I pittori del Rinascimento, Michelangelo in testa, riempivano i loro quadri, anche religiosi, con i ritratti nascosti dei loro amori e dei loro amanti: ma quello sì che era un gesto eversivo, rischioso», ha detto Pietrangelo Buttafuoco proprio ieri sul Foglio. Adesso invece il testimonial gay viene usato come la gallina dalle uova d’oro, come chiave sicura per aprire le porte dell’applauso facile: e non solo quello degli intellettuali progressisti, ma anche di tutto il cosiddetto media-system. Giova, agli omosessuali, tanto ipocrita conformismo? Non credo. Come non credo giovi loro neppure lo slogan che la Regione Toscana ha inserito nel manifesto con il neonato gay: «L’orientamento sessuale non è una scelta». È uno slogan ideato - come ha detto l’assessore regionale Agostino Fragai - per «sottolineare come l’omosessualità non possa essere considerata un vizio». Forse Fragai non si rende conto che in questo modo priva gli omosessuali del loro libero arbitrio, e li condanna a una condizione di dipendenza genetica che qualcuno, Dio non voglia, potrebbe chiamare malattia. Ben vengano, insomma, tutte le iniziative tese a spazzar via ogni residuo di discriminazione, di ghettizzazione, di offesa. Ma gli omosessuali avrebbero diritto a sponsor più credibili di chi, per usare ancora le parole di Buttafuoco, vuol «presentare gli uomini e le donne come “individui” de-generalizzati, né maschi né femmine, né adulti né bambini. Senza genere. De-generi». Sono gli autogol prodotti dallo zelo eccessivo del nuovo conformismo. Che ha la pretesa di presentarsi come anticonformista, è questo che fa un po’ ridere. (Michele Brambilla, Il Giornale n. 251 del 24 ottobre 2007)

giovedì 11 ottobre 2007

Un tumulto mediatico aberrante!


“Padova, 8 ottobre 2007 - E' stato rimosso da parroco di Monterosso don Sante Sguotti, il prete che aveva destato scalpore per le sue dichiarazioni d'amore per una donna. La decisione è stata presa dal vescovo di Padova mons. Antonio Mattiazzo. Il provvedimento di rimozione è stato consegnato al sacerdote dal notaio di Curia. Il decreto ha effetto immediato e, pertanto, don Sante Sguotti ha l'obbligo di lasciare quanto prima (non oltre il 13 ottobre) la parrocchia e non può più esercitare le funzioni di parroco. Al sacerdote è stata inoltre revocata la facoltà di udire le confessioni e pertanto non può impartire validamente l'assoluzione sacramentale. Amministratore parrocchiale della parrocchia di San Bartolomeo di Monterosso è stato nominato don Giovanni Brusegan, delegato vescovile per l'ecumenismo e la cultura.”

Fin qui la notizia apparsa in tutte le salse su giornali e tv.
Sembra un esempio ad hoc comprovante lo stato di obnubilamento totale in cui versa una grossa fetta di moderni preti, nati negli anni delle rivolte sessantottine, che probabilmente non hanno capito nulla della dignità della vocazione cui hanno aderito.
Ma quello che più ha colpito i media è il rifiuto del prete di sottomettersi all’autorità del suo Vescovo, accettando con umiltà le conseguenze (ben conosciute e inevitabili) della sua “disinvoltura”.
Per questo ha inscenato una conferenza stampa indegna! Una scelta peggiore del male.

Ho letto il blog di Andrea Tornielli che riportava la notizia, e mi sono inoltrato nella selva degli interventi: accanto a tante provocazioni idiote, mi sono imbattuto anche in alcune risposte (presumo di giovani) che secondo me hanno offerto al caso una obiettiva chiosatura.

Eccone un saggio:

“L’atteggiamento di don Sante mi ha rammentato un passo del “Paradiso Perduto”, laddove Milton indicava quale peggiore peccato di Lucifero la sua pretesa di proclamare il “male” come “bene” (atto supremo di quell’“orgoglio” che rettamente la dottrina ha qualificato come “peccato contro lo Spirito Santo”).
In questo senso, a mio sommesso avviso, il punto principale della vicenda non tanto è costituito dall’eventuale debolezza spirituale di quel sacerdote (spiritualmente deboli e peccatori, in fondo, lo siamo tutti), quanto piuttosto dalla sua rivendicazione della sostanziale liceità morale del grave peccato da lui commesso; questo sì costituisce un atto veramente scandaloso ed inescusabile! Così come ancora più inescusabile e scandaloso mi è parso il suo patetico tentativo (apertamente favorito dal ceto dei “mass media” anticattolici) di cercare una validazione morale del suo operato, mendicando il consenso di una pubblica opinione laicizzata e, quindi, inconsciamente lontana anni luce dai principi del cattolicesimo.
Sicuramente doveroso, d’altro canto, il provvedimento della Curia di Padova; anche se, assai probabilmente, a fronte del pubblico scandalo offerto dalle gravissime dichiarazioni di quell’indegno (nel senso che sopra ho chiarito) sacerdote, si sarebbe dovuta muovere assai prima." (Imerio)

"Neanche a me interessano le debolezze o le inclinazioni personali di don Sante Sguotti: ognuno di noi ha le proprie e ci mancherebbe anche mettersi a fare del moralismo a buon mercato approfittando dell’anonimato che un blog garantisce.Non ritengo nemmeno tutti i sacerdoti siano in grado di valutare ex ante le proprie inclinazioni sessuali (spesso possono proporsi e affacciarsi anni e anni dopo la loro scelta).
Quello che non mi piace è che l’uomo abbia montato un ambaradan mediatico di non poco peso volto a mettere fin da subito il suo vescovo nella posizione di mostro insensibile e perfido, mettendo persino in mezzo un bambino che - tuttora - non si capisce di chi sia figlio.
Io credo che prima che come sacerdoti ci si debba comportare da uomini…: cioè - mi si passi il francesismo - avere le palle. Troppo comodo coprirsi con la tonaca solo quando può far comodo, chiedendo alla Chiesa casa, stipendio, moglie e figli e pensione.Vada a lavorare come tutti i padri di famiglia e non pretenda che lo mantenga il suo vescovo che lui stesso considera retrivo: vedrà con quale delicatezza e sensibilità lo tratteranno altri datori di lavoro!" (Alberto di Udine)

"Il nodo della questione ruota intorno alla vocazione e ai suoi motivi in senso stretto.Perché ci si fa preti oggi? Per mediare fra il cielo e la terra? Per unirsi misticamente con Dio attraverso la preghiera e la liturgia? Niente affatto, non più. La religione si è fatta filantropia con tutto quanto ne deriva. Così troviamo i preti che si fanno dare del “tu”, che non si proteggono più con la tonaca, che badano più all’oratorio che alla chiesa. E’ ovvio che poi in questa confusione sia più facile tradire, anche involontariamente, la propria vocazione e i propri voti – se religiosi -, perché nulla fa più da scudo e da barriera, al mondo, alle sue lusinghe e al peccato. Tutto semplice, tutto facile. Così si arriva a commettere il male senza malizia, rivendicando spesso addirittura un diritto. Non succede solo nella Chiesa, è lo spirito del mondo che si è impossessato della ragione e della fede.Perdonatemi il tono omiletico, ma è davvero necessario uno sforzo per cercare di rimettere ordine. Anche se un sacerdote lascia, la Chiesa prosegue nel suo cammino fino alla fine dei secoli, ma questo cammino non deve essere lastricato di buone intenzioni e proponimenti, di parole ed omissioni, ma necessariamente costellato di esempi di santità e di amore a Cristo, che non si trovano ruzzolandosi per terra, ma solo guardando il cielo." (Mauro W. Fuolega)

"Attenzione non facciamo i moralisti per l’amor del cielo…lo scandalo di cui anch’io parlavo non sta affatto nella consumazione si o no del sacerdote…errare è umano e la stessa dispensa che la Chiesa concede mette in regola il sacerdote, ergo, non scandalizziamoci di questo, il vero scandalo dato da questo sacerdote è la sua propaganda sovversiva è il suo atteggiamento superbo contro il vescovo….è l’aver coinvolto la sua comunità la quale gli è stata affidata da quel vescovo….
Come uomo di fede, e sacerdote e amico di quella comunità avrebbe dovuto imporre loro di non agitarsi contro il vescovo….invece li sta usando,e loro si stanno lasciando usare in un gioco più grande di loro…E prima che arriveranno a comprendere il male che stanno facendo a se stessi e agli altri (ecco lo scandalo) avranno seminato maggiormente i veleni che corrodono le virtù alle quali siamo tutti chiamati, prima fra tutte la virtù dell’obbedienza, della pazienza, dell’umiltà….
Ripeto così il mio appello a don Sante Sguotti: se ne vada!ma non perchè la sua scelta è di scandalo, quanto la sua attuale posizione di atto di forza contro il suo vescovo è si uno scandalo!Se ne vada, in pace…..chieda la dispensa e se ne vada a crearsi una famiglia o a fare ciò che preferisce ma non pretenda la parrocchia, questa non le appartiene…lo dica ai suoi parrocchiani, faccia un ultimo sforzo coerente all’abito che indossa….la parrocchia appartiene al suo vescovo che le piaccia o no….e si rilegga san Paolo! Fraternamente." (Caterina LD)

Che ve ne pare? Fa piacere sentire che tra i giovani ci sia ancora qualcuno che ha le idee chiare!

martedì 9 ottobre 2007

L’immoralità del clero, un dato di fatto. Che fare?


Forse i cosiddetti "laici" - quelli che un tempo si chiamavano meno prosaicamente "senza Dio" o "mangiapreti" - sono così alieni al mondo cattolico da aver subodorato solo oggi il ghiotto boccone dell'immoralità dei chierici. Forse i cattolici praticanti, per quell'innato senso di protezione che in epoche meno corrotte assicurava comprensione verso i Ministri sacri, non vogliono o non osano vedere la realtà. Ma il reverendo Clero - dal coadiutore della più remota pieve al porporato della Curia Romana - non ignora assolutamente né la gravità, né l'estensione del fenomeno, che fa strame della morale al pari di quanto l'esasperato progressismo degli ultimi quarant'anni ha fatto scempio dell'ortodossia cattolica. Quello che è francamente incomprensibile e disarmante è il progressivo abbassamento della guardia, proporzionale all'incancrenirsi della piaga.

In altre epoche - bollate come viete e "post-tridentine" da sedicenti teologi e intellettuali di oggi - la fermezza della Chiesa tanto verso l'immoralità quanto verso la deviazione dottrinale consentiva di evitare al massimo il fenomeno, tenendo lontani dal santuario i chierici indegni.
Una ferrea selezione nei Seminari - ripetiamo: tanto in questioni "de fide" quanto "de moribus" - portava agli Ordini Sacri candidati di solida formazione e di buona spiritualità. Il Vescovo, prima di conferire gli Ordini, chiedeva all'Arciprete se gli ordinandi fossero degni di riceverli, ed egli rispondeva: «Quantum humana fragilitas nosse sinit, et scio et testificor illos dignos esse» («Per quanto l'umana fragilità permette di sapere, so e testimonio che sono degni»).

Dal postconcilio i Seminari hanno rinunciato alla disciplina, così come nei Conventi si è abdicato allo spirito di mortificazione e di sacrificio, per trasformare il Clero secolare e regolare in una sorta di categoria sindacale amorfa, proiettata verso un solidarismo orizzontale e filantropico, ed avversa ad ogni vestigio di vita ecclesiastica, primo tra tutti l'abito talare. Poca preghiera, scarsissima vita interiore, nessuna penitenza: cose medievali - dicevano - finalmente spazzate via dallo spirito dei tempi e dalla nuova primavera conciliare. E, come contraltare, il cellulare con fotocamera, il televisore sempre acceso, il computer, internet, gli abiti firmati, gli occhiali da sole, le uscite a qualsiasi ora, le vacanze in luoghi lontani dal controllo del Vescovo. E il venerdì, in aperta opposizione al magro preconciliare, carne e salumi.

Nell'assenza della disciplina (dal latino "discere", che significa "imparare") e del rigore - indispensabile presidio del raccoglimento interiore e dello spirito di mortificazione richiesto a chi vuole rinnegare se stesso per seguire Cristo - è inevitabile che si radichino e crescano rigogliosi i vizi e i difetti che dilagano nella società profana. Senza dire che tutto questo voler considerare il sacerdote come "uno di noi", senza alcun rispetto reverenziale per il suo ruolo, ha allentato sensibilmente quella barriera psicologica che se non altro aiutava il chierico nella vita quotidiana a contatto con i fedeli.

Rattrista e scandalizza che oggi i pochi seminaristi che vorrebbero vivere con serietà gli studi e la formazione al Sacerdozio nella fedeltà al Magistero, magari addirittura vestendo la talare o pregando in latino, siano additati come squilibrati, vengano derisi dai loro confratelli e dai Superiori e siano infine costretti ad abbandonare la vocazione. Contro costoro l'ira dei Presuli è implacabile; ma per quanti nei corridoi del Seminario o del Monastero si apostrofano con nomignoli femminili l'indulgenza è viceversa garantita, nonostante le direttive della Suprema Autorità. Non ci si stupisca allora se le vocazioni sono in calo impressionante: se profanità dev'essere, che sia almeno vissuta senza i fastidiosi impegni dello stato clericale. La televisione e internet ci sono anche a casa propria, così come non serve entrare in Seminario per vestirsi di Dolce & Gabbana e Prada. Indicativamente, gli Istituti e le Comunità religiose di stretta osservanza traboccano di giovani desiderosi di vivere con slancio e con totalità la loro consacrazione a Dio. E si capisce: in quest'epoca senza nerbo, i ragazzi di trovano una motivazione ed uno sprone alla sequela di Cristo nelle grandi prove, nelle sfide impegnative, nel raccoglimento.

Lo stato morale del nostro Clero è specchio di un diverso modo di concepire il sacerdozio. Se il prete è "alter Christus" e come tale vive e si mostra al mondo, con quella veste nera che simbolizza l'assoluta estraneità al secolo; se egli è colui che offre con devozione e rispetto il divin Sacrificio e che Dio ha voluto come dispensatore della Sua grazia attraverso i Sacramenti; se l'unzione ch'egli ha ricevuto gli ricorda che non è più lui a vivere, ma Cristo stesso che vive in lui; se il mondo vede il sacerdote come una persona sacra, anche le occasioni di peccato sono in qualche modo limitate. E non dimentichiamo che le tentazioni ci sono sempre e per tutti, ma che le occasioni prossime siamo quasi sempre noi che ce le andiamo a cercare. Ed anche la sua predicazione sarà più incisiva, perché da lui ci si aspetta di ricevere quegli insegnamenti che il Signore ha affidato alla Chiesa perché li trasmettesse fedelmente. E da quella predicazione scaturiscono anche comportamenti e stili di vita conseguenti: più amore per Cristo, più preghiera, più grazia, più moralità, più presenza di Dio nella società.

Se viceversa il sacerdote è considerato come un semplice rappresentante della comunità, nella quale ogni fedele - secondo la vulgata postconciliare - è sacerdote, re e profeta in virtù del Battesimo; se nella Messa egli si limita a presiedere stancamente un'assemblea annoiata; se si comporta e si veste come un laico - ammesso che i laici sappiano vestirsi con la trasandatezza di alcuni preti - ed il suo ruolo sacro di pastore e guida viene meno; se amministra i Sacramenti senza alcun rispetto e confessa i fedeli facendoli sedere accanto come per una simpatica chiacchierata, anziché far loro comprendere che nel Sacramento della Confessione il sacerdote è giudice che assolve ed imparte la penitenza in nome di Dio, e che al cospetto di Dio ci si inginocchia; se qualsiasi colpa gli si confessi egli la sminuisce ed attenua nel fedele il senso della responsabilità morale delle proprie azioni; se non lo si vede mai in chiesa a pregare davanti al tabernacolo ma si è certi di trovarlo a far fotocopie della «Lumen gentium» nell'ufficio parrocchiale, allora è inevitabile che lo si tratti come un laico qualsiasi, senza rispetto, ed anzi con quella pericolosa confidenza e famigliarità che tanto facilmente conduce alle colpe "de sexto". E la sua predicazione - anzi, le sue "omelie", come va di moda oggi - si limiterà a riportare quei miserrimi discorsi di circostanza, senz'anima e senza convinzione, che ha leggiucchiato su qualche testo progressista: non più verità eterne, non più semplici e chiari principi di morale e di fede da seguire nella vita quotidiana, ma banalità. Ed essendosi esautorato da sé, quel sacerdote non potrà pretendere dai suoi fedeli - dai quali tanto tiene a farsi dare del tu - che lo ascoltino e mettano in pratica quel che dice. Anzi: essendo egli per primo un esempio di mediocrità, non ispirerà certo slanci eroici nel suo gregge, che compatirà le sue miserie per legittimare le proprie. E da quella predicazione scaturiscono anche comportamenti e stili di vita conseguenti: meno amore per Cristo, che pare non interessare nemmeno quel sacerdote; meno preghiera, meno grazia, meno moralità, minor presenza di Dio nella società.

Qual è il rimedio? Il ritorno a Cristo, e a Cristo crocifisso. Disciplina, rispetto dell'autorità e rigore nella formazione del Clero e dei Religiosi, sapendo anteporre la qualità delle vocazioni al loro numero. Preghiera, e preghiera vera: non piagnistei, ma recita assidua del Breviario, ritorno all'adorazione silenziosa del Santissimo Sacramento, meditazione mattutina prima di ogni altra incombenza. Ritorno al latino, che è lingua sacra e che fa assaporare in modo ineffabile i tesori della più alta spiritualità, senza gli equivoci e i travisamenti che la lingua volgare induce. Ritorno alla disciplina anche nella liturgia e nel canto: si ripristini il gregoriano e si aboliscano d'autorità quegli odiosi miagolii che vanno di moda oggi. Si renda obbligatoria la veste talare per i chierici, e l'abito religioso per i frati, i monaci e le suore. Si ripristini, almeno per i chierici, il sacro digiuno nei venerdì di Quaresima e l'astinenza dalle carni nei venerdì dell'anno. Si favorisca la vita interiore e il raccoglimento vietando la frequentazione di locali e di spettacoli pubblici; si proibisca l'uso del computer, di internet e della webcam nell'abitazione dei chierici, limitando l'uso di questi strumenti alle sale di studio, con moderazione e sotto il vigile controllo dei Superiori; si spenga definitivamente quel maledetto tabernacolo di Satana che è il televisore.

Ancor più disciplina - ferrea e implacabile, in questo caso - si dovrebbe adottare verso i sacerdoti che esercitano il proprio Ministero: chi non è degno dell'unzione che ha ricevuto dev'essere cacciato senza esitazione, perché un ministro che vive nello stato di peccato mortale abituale e nel sacrilegio permanente è una maledizione non solo per sé, ma anche per il popolo che gli è affidato, per la Chiesa ed anche per chi cattolico non è e - a causa di quel prete - potrebbe non diventare mai. E diciamo cacciato, non trasferito: qui legit intelligat. Sono troppi i casi di scandali messi a tacere non punendo il colpevole, ma trasferendolo ad altro e talvolta anche più prestigioso incarico. L'assurdo adagio Promoveatur ut amoveatur dovrebbe essere bandito definitivamente dalla Chiesa, perché se si è inadatti a ricoprire un ruolo di responsabilità, ancor meno lo si potrà essere se la responsabilità aumenta. Tanto più che da un livello più alto il danno che si arreca è certamente maggiore. Desta stupore che l'antichissimo rito pontificale della Degradazione dagli Ordini - cerimonia pubblica in cui si degradava il chierico colpevole di gravi colpe - sia stato soppresso proprio quando il ricorso ad esso si sarebbe rivelato più opportuno.

I Vescovi tornino finalmente alla Sacra Visita Pastorale secondo le norme antiche: controllino che nella propria Diocesi tutti gli ecclesiastici seguano le prescrizioni canoniche, che le chiese siano tenute convenientemente, che i riti siano celebrati degnamente, che la predicazione e il catechismo siano efficaci. E si chieda collaborazione ai fedeli perché denuncino senza esitazione qualsiasi situazione anomala, con la fiducia che i Pastori sapranno temperare equamente la Giustizia e la Misericordia. D'altra parte, «Nonne et ethnici hoc faciunt?» (Mt. V, 48), non lo fanno anche i pagani? Chi non licenzierebbe un medico che diffonde il contagio tra i suoi pazienti o un insegnante che insegna cose sbagliate ai suoi allievi? Non lo si dovrà fare con chi attenta al bene supremo, che è la salvezza eterna?

E non si invochi la comprensione dei Pastori su chi trascina nel fango la Sposa di Cristo: in un mondo secolarizzato e anticattolico, offrire ai nemici di Dio, su un vassoio d'argento, gli scandali più abominevoli è doppiamente colpevole. E in questo la Chiesa non può - e non deve - esser tollerante, perché si presterebbe al gioco di chi la vuole colpire a morte. Per la tolleranza, specialmente per certi squallidi personaggi, ci sono delle case apposite. (elaborato da “Su un piatto d’argento”, Pietro Siffi, Cadl,sabato 06 ottobre 2007)

Il grillo "urlante"


Cavalcare l’onda della “disperazione” di milioni di cittadini è cosa facile: ripetere sgangheratamente quello che la folla desidera finalmente sentirsi dire, apertamente, con un “colorito” linguaggio da trivio, è un compito tutto in discesa, che il guitto genovese ha preso al volo, auto-proclamandosi difensore civico dei diritti universali.
L’ovvietà dei suoi ragionamenti, se non fosse per le continue e becere offese al buon gusto, sempre più spesso vicine all’area di competenza del codice civile e penale, indubbiamente hanno radici di verità e di una gestione del sociale arrivata al capolinea.
Su questo “nulla quaestio”: nel senso che effettivamente i mali esistono. Ma ciò che dovrebbe far riflettere è se sia opportuno e meno sobillare il popolo in tal maniera, portare all’esasperazione persone che cominciano a vedere in lui il tribuno che riuscirà finalmente a portare “Roma” a più miti consigli.
Cosa succederà a seguito di tale fenomeno, non è compito mio indagare. Ma compito mio è esprimere tutto il mio dissenso di fronte ad una situazione che ogni giorno, come un fiume in rotta, travolge tutto e tutti in uno scalmanato urlare “all’untore”, coinvolgendo in queste sue esternazioni e invettive, urlate e impreziosite da oscenità, anche a chi non ha nulla a che vedere con l’attuale nostra situazione economico politica in cui caoticamente siamo costretti a vivere. Mi riferisco al Papa, a Benedetto XVI, umile e mansueto rappresentante di Cristo.
Se il comico, in ambienti cabarettistici, ha gradualmente perso il senso della misura e del decoro, esprimendosi con irripetibili volgarità contro Dio, la religione, il Papa, vescovi e preti, per strappare facili risate e consensi, altrimenti impossibili con dei testi totalmente vacui e di una stupidità disarmante, in pubblico, di fronte a migliaia di persone, lui erettosi a paladino dei diritti umani, lui espressione assoluta della nobiltà d’intenti, dovrebbe quantomeno adottare i canoni del più elementare buon senso e rispettare i sentimenti di altrettanti milioni di persone. Dio e mammona sono su due fronti che nulla hanno da spartire, senza per questo minimizzare, lo ripeto, la tragica realtà sociale italiana.
Ma insultare il papa, come ha fatto lui sul palco di Jesolo, dov’era in tournée, è proprio troppo: lo ha definito «un amministratore delegato tedesco che gestisce due milioni di lavoratori in nero», cioè preti e suore (i quali tra l’altro - lo sa Grillo? - sono regolarmente stipendiati dalla Chiesa e pagano le tasse).
Ma non c’era bisogno di Jesolo per sapere che cosa pensa Grillo del cattolicesimo. Il 12 maggio scorso, in occasione del Family Day tanto sponsorizzato dalla stampa cattolica, il comico genovese in controtendenza mandò in onda su Internet, in anteprima assoluta, il famigerato video della Bbc secondo il quale i preti sono tutti, o quasi tutti, pedofili, e Ratzinger il loro protettore. Senza accennare poi ad un suo video intitolato «Vaffanculo a Benedetto XVI», presente in rete su Youtube.
Una cosa veramente sconcertante: una follia, questa superficialità di Grillo, che non si rende conto di giocare furbescamente col fuoco, per scopi personali facilmente intuibili: rinsavisca il Grillo urlante, perché prima o poi qualcuno dei tanti che hanno creduto in lui, gli presenterà il conto, gli chiederà le sue credenziali. Oggi non si tratta più di farsi firmare deleghe di rappresentanza dai piccoli azionisti in difficoltà e sul punto di perdere tutto, come è successo per l’affare Telecom: assemblea alla quale si è presentato di sfuggita, soltanto alla prima udienza, non spendendo neppure una parola in favore dei suoi mandatari, per poi sparire e non fare più nulla… Ci sarà pure qualcuno che, aprendo gli occhi, gli chiederà come intende giustificare e coniugare la sua attuale sottesa irreprensibilità, con un passato forse non altrettanto trasparente, vista la condanna penale per omicidio colposo, l’auto di lusso come la Ferrari (che dice di aver venduto), lo yacht (che dice di aver venduto) e le ville di proprietà a Genova e in Toscana (“case” che dice di non aver venduto): che il suo improvviso perbenismo non miri a colmare una sua altrettanto improvvisa difficoltà economica? anche se afferma lui stesso di essere tra i primi trenta contribuenti italiani? (se è così… vuol dire che il suo patrimonio è anni luce diverso rispetto a quello dei poveracci che lo vanno ad applaudire nelle piazze! Se è così… non sarebbe molto diverso da quei politicanti rapaci e ingordi, che tanto sagacemente addita al ludibrio generale. Dice anche di non voler fare politica… questa politica da nababbi, ma intanto si prepara con le liste civiche e il tripudio delle folle… Ma tutti questi sono affari suoi. Non ci interessano le sue mire. Noi vogliamo semplicemente che la smetta di fare il giullare buffone (purtroppo un premio nobel insegna!), lanciando strali avvelenati su idee, cose e persone che, intimamente legate alla sensibilità religiosa degli italiani, trascendono le sue possibilità conoscitive. Con buona pace di “Famiglia cristiana” che entusiasticamente ne osanna l’operato! Ma, caro Grillo, non tutti sono grulli!