venerdì 19 agosto 2016

La lobby LGBT esiste: George Soros finanzia Arcigay

Che esista una lobby LGBT lo diciamo da tempo. Ora però ne abbiamo la prova.
Dopo l’operazione di hackeraggio delle mail del magnate George Soros avvenuta pochi giorni fa, infatti, è possibile vedere chiaramente chi guida il mondo e verso quale direzione.

Non è questa la sede per entrare nel merito dei singoli documenti rubati. Basti solo mettere in evidenza che lo scopo di Soros è “supportare la società civile nel mondo”. E, dai database della sua Open Society Foundation – con cellule e società affiliate in tutto il mondo -, emerge nitidamente che la crisi economica è considerata positivamente: «L’avversità in campo economico stimola apatia perché i cittadini sono più preoccupati a risolvere i propri affari privati». Dunque avranno meno tempo e meno voglia di lottare per la dimensione valoriale. Capite bene?Ci vogliono tenere affamati in modo da impedirci ogni forma di ribellione alla dittatura che intendono instaurare. Non è un caso quindi se proprio ora cercano di farci digerire ideologia gender, pseudo-matrimoni omosessuali, adozioni gay e utero in affitto. Sanno che questo è il momento favorevole.
E arriviamo allora al rapporto del miliardario con le associazioni LGBT, che è il tema per noi più interessante. Osserviamo l’immagine qui sotto:
Notiamo che tra il 2013 e il 2014 – in pratica in vista delle elezioni europee – Soros si è occupato dell’Italia e ha dato ben 100.000 dollari (per l’esattezza 99.690$) all’Arcigay, nel contesto del progetto “LGBT Mob-Watch Italy-Europe 2014“.
«Questo progetto – è scritto – punta a mobilitare, canalizzare ed amplificare la voce e le richieste delle persone LGBT italiane e dei loro alleati alle elezioni europee 2014, costruendo uno strumento permanente per monitorare, fare campagne, mobilitare e fare lobby in queste e nelle prossime elezioni. Arcigay punta a informare, mobilitare e incanalare la voce degli elettori LGBT – e di quelli che simpatizzano per la loro causa – in modo da ridurre la distanza tra gli standard italiani e quelli della UE riguardo la protezione delle persone LGBT, evidenziando il ruolo positivo della UE nel campo dei diritti umani e dei diritti LGBT».
Dietro l’agenda LGBT c’è il grande capitale (si veda ad esempio quiqui e qui). Lo stesso – detto per inciso – che finanzia e sostiene Hillary Clinton, la candidata legata alle lobby Lgbt e dichiaratamente abortista.
Quanto accaduto con il furto delle mail, però, dimostra che, nonostante la sua potenza, Soros è un gigante coi piedi d’argilla, che può essere sconfitto. Se non avesse paura del popolo, infatti, non sprecherebbe tutte queste energie e risorse per tenerlo fuori dalle decisioni e imporgli determinate ideologie.
Pertanto, dobbiamo tenere duro e avere coraggio: c’è ancora speranza. Il buon senso dei più vincerà.

(Fonte: Redazionale, Notizie ProVita, 18 agosto 2016)



L’ultimo testamento. La parola "fine" di Benedetto XVI alla sua vita

Tra tanti primati papali il record, non solo editoriale, lo vincerà lui. Per la prima volta nella storia, non solo della Chiesa cattolica, ma del mondo, Benedetto XVI uscirà in libreria con un inedito assoluto che non ha neppure un minimo lontano precedente: il primo libro intervista di un Papa emerito. A scriverlo insieme con Ratzinger anche questa volta è stato il suo biografo, il giornalista tedesco Peter Seewald. Quello che uscirà in contemporanea mondiale l’8 settembre prossimo sarà il quarto della serie: due scritti con l’allora cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (Il sale della terra, e Dio e il mondo), uno con il Papa felicemente regnante nel quale si parlava anche della possibilità delle dimissioni dalla cattedra di Pietro (Luce del mondo) e, infine, uno con il Pontefice emerito che nella versione italiana si intitola Ultime conversazioni ed è edito da Garzanti, mentre in quella inglese è certo che avrà un titolo molto più accattivante: L’ultimo testamento.
Un volume con il quale Benedetto XVI metterà la parola fine alla sua vita e soprattutto al suo controverso pontificato, oggetto di attacchi spregiudicati dentro e fuori la Curia romana che ricordano quelli di cui erano vittime i Pontefici medioevali. Un testo tutt’altro che edulcorato o spirituale come qualcuno potrebbe immaginare e men che mai revisionista che, da una prospettiva unica nel suo genere, quella del Papa emerito, ovvero di chi può guardare e commentare la successione al proprio pontificato, ripercorre gli otto anni che lo hanno visto guidare la barca di Pietro in un mare a dir poco in tempesta. Si spazia a partire dalla presenza di una “lobby gay” in Vaticano, composta da quattro o cinque persone che Ratzinger afferma di essere riuscito a sciogliere.
Benedetto XVI si spinge ancora più avanti ripercorrendo i suoi tentativi di riformare lo Ior e la sua politica della tolleranza zero per debellare definitivamente la piaga della pedofilia, sottolineando le difficoltà che un Papa incontra quando cerca di intervenire sulla “sporcizia nella Chiesa” che lui stesso aveva denunciato con forza pubblicamente da cardinale. A Seewald che lo incalza con le domande, Ratzinger racconta anche di come ha preparato in gran segreto la rinuncia e ammette di aver appreso “con sorpresa” il nome del suo successore: aveva pensato a dei nomi, “ma non a lui”, Jorge Mario Bergoglio. Così come confessa la sua “gioia” nel vedere in televisione come il Papa appena eletto pregava e comunicava con la folla nella sua prima apparizione pubblica subito dopo la fumata bianca e descrive la figura di Francesco evidenziando sia ciò che lo accomuna a lui, sia ciò che lo differenzia.
Non ho mai percepito il potere – afferma Ratzinger in Ultime conversazioni  – come una posizione di forza, ma sempre come responsabilità, come un compito pesante e gravoso. Un compito che costringe ogni giorno a chiedersi: ne sono stato all’altezza?”. Il volume, spiega l’editore italiano Garzanti, rappresenta “il testamento spirituale, il lascito intimo e personale del Papa che più di ogni altro è riuscito ad attirare l’attenzione sia dei fedeli sia dei non credenti sul ruolo della Chiesa nel mondo contemporaneo. Indimenticabile resta la scelta di abbandonare il pontificato e di rinunciare al potere: un gesto senza precedenti e destinato a cambiare per sempre il corso della storia. In questa lunga intervista con Seewald il Papa affronta per la prima volta i tormenti, la commozione e i duri momenti che hanno preceduto le sue dimissioni; ma risponde anche, con sorprendente sincerità, alle tante domande sulla sua vita pubblica e privata: la carriera di teologo di successo e l’amicizia con san Giovanni Paolo II, i giorni del Concilio Vaticano II e l’elezione al papato, gli scandali degli abusi sessuali del clero e i complotti di Vatileaks. Benedetto XVI si racconta con estremo coraggio e candore, alternando ricordi personali a parole profonde e cariche di speranza sul futuro della fede e della cristianità. Leggere oggi le sue ultime riflessioni è un’occasione privilegiata per rivivere e riascoltare i pensieri e gli insegnamenti di un uomo straordinario capace di amare e di stupire il mondo”.
Congedandosi per sempre dal mondo il 28 febbraio 2013 sul balcone del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, Ratzinger aveva detto: “Sono semplicemente un pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo pellegrinaggio in questa terra. Ma vorrei ancora, con il mio cuore, con il mio amore, con la mia preghiera, con la mia riflessione, con tutte le mie forze interiori, lavorare per il bene comune e il bene della Chiesa e dell’umanità. E mi sento molto appoggiato dalla vostra simpatia. Andiamo avanti insieme con il Signore per il bene della Chiesa e del mondo”.
Un pellegrino che, trasferitosi stabilmente all’interno del “recinto di Pietro”, nel Monastero Mater Ecclesiae nei giardini vaticani, ha rotto poche volte il suo silenzio. Lo ha fatto ultimamente il 28 giugno scorso ritornando per la prima volta dopo le dimissioni nel Palazzo Apostolico che negli anni del pontificato era stato la sua casa. Francesco ha voluto festeggiare con lui nella sala Clementina il suo 65esimo anniversario di sacerdozio in una cerimonia semplice e commovente nella quale è emersa in modo trasparente l’amicizia autentica che lega Ratzinger al suo successore: “Grazie soprattutto a lei, Santo Padre: la sua bontà, dal primo momento dell’elezione, in ogni momento della mia vita qui, mi colpisce, mi porta realmente, interiormente più che nei giardini vaticani, con la bellezza, la Sua bontà è il luogo dove abito: mi sento protetto. Grazie anche della parola di ringraziamento, per tutto. E speriamo che lei potrà andare avanti con noi tutti con questa via della misericordia divina, mostrando la strada di Gesù, a Gesù, a Dio”.
Parole che saranno riprese e sviluppate nel libro intervista destinato a diventare un bestseller mondiale. Un ulteriore segno di ciò che Benedetto XVI aveva spiegato ai fedeli nella sua ultima udienza generale, il 27 febbraio 2013:  “Chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per cosi’ dire,totalmente tolta la dimensione privata. Ho potuto sperimentare e lo sperimento precisamente ora, che uno riceve la vita proprio quando la dona”. In questi tre anni e mezzo di pontificato alla Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, sapientemente guidata dal presidente monsignor Giuseppe Antonio Scotti che ha recentemente passato il testimone a padre Federico Lombardi, è toccato il ruolo di tenere vivo il magistero del Papa tedesco. Tantissime sono state le iniziative con un successo a dir poco sorprendente che ne hanno favorito la conoscenza e lo studio su scala mondiale: dai numerosi convegni internazionali, al prestigioso Premio Ratzinger, alla biblioteca intitolata al successore di Francesco all’interno del complesso del Campo Santo Teutonico in Vaticano, alla pagina Facebook della Fondazione che ha letteralmente sbancato sul social network. Una testimonianza preziosa alla quale oggi si associa lo stesso Papa emerito con il suo ultimo testamento.

(Fonte: Francesco Antonio Grana, Faro di Roma, 18 agosto 2016)



venerdì 12 agosto 2016

Francesco il ribelle. Contro la "colonizzazione ideologica"

È quella, dice, di chi insegna "che il sesso ognuno lo può scegliere". E intanto i vescovi australiani documentano come avanza ovunque l'ideologia del "gender", a scapito del matrimonio tra uomo e donna.
  
Rompendo l'iniziale consegna del silenzio, la Santa Sede ha resa pubblica qualche giorno fa la trascrizione del colloquio a porte chiuse avvenuto tra papa Francesco e i vescovi della Polonia nel primo giorno della sua trasferta in quel paese, il 27 luglio a Cracovia:
Una ragione di questa insolita pubblicazione "ex post" è stata probabilmente la volontà di troncare le indiscrezioni che circolavano sui contenuti di quel colloquio, in particolare riguardo alla comunione ai divorziati risposati, vista la compatta contrarietà dei vescovi polacchi a qualsiasi cedimento in proposito.
In realtà, a leggere la trascrizione del lungo colloquio, non vi si trova alcun accenno alla "Amoris laetitia" e alle relative controversie.
Vi si scopre invece, verso la fine, una vibrante arringa del papa contro l'ideologia del "gender", da lui bollata come una "vera colonizzazione ideologica" su scala mondiale.
Ecco qui di seguito le sue parole testuali:
"In Europa, in America, in America Latina, in Africa, in alcuni Paesi dell’Asia, ci sono vere colonizzazioni ideologiche. E una di queste – lo dico chiaramente con nome e cognome – è il 'gender'! Oggi ai bambini – ai bambini! – a scuola si insegna questo: che il sesso ognuno lo può scegliere. E perché insegnano questo? Perché i libri sono quelli delle persone e delle istituzioni che ti danno i soldi. Sono le colonizzazioni ideologiche, sostenute anche da Paesi molto influenti. E questo è terribile. Parlando con papa Benedetto, che sta bene e ha un pensiero chiaro, mi diceva: 'Santità, questa è l’epoca del peccato contro Dio Creatore!'. È intelligente! Dio ha creato l’uomo e la donna; Dio ha creato il mondo così, così, così… e noi stiamo facendo il contrario. Dio ci ha dato uno stato 'incolto', perché noi lo facessimo diventare cultura; e poi, con questa cultura, facciamo cose che ci riportano allo stato 'incolto'! Quello che ha detto papa Benedetto dobbiamo pensarlo: 'È l’epoca del peccato contro Dio Creatore!'”.
Il circuito dei grandi media ha praticamente ignorato queste parole di Francesco, per di più arricchite da una citazione di peso del papa emerito. E non c'è da stupirsi, perché è questo che capita ogni volta che Francesco dice qualcosa che stride con la sua immagine mediatica dominante, di papa aperto alla modernità.
Intanto però quelle cose le ha dette, come già altre volte in passato. E si può presumere che non siano state bene accolte da quei settori della Chiesa che propugnano un drastico ammodernamento della dottrina cattolica in materia di "gender", di omosessualità, di "matrimonio" tra persone dello stesso sesso.
Sono settori ecclesiali, questi, ben presenti ed attivi soprattutto nel centro Europa, con tanto di vescovi e teologi in prima fila.
Ma è anche vero che queste tendenze moderniste incontrano l'opposizione di settori molto ampi della Chiesa mondiale, per i quali invece sono musica le parole dette da papa Francesco a Cracovia contro l'ideologia del "gender".
Un esempio tra tanti di questo fronte di resistenza è la lettera pastorale pubblicata a fine novembre del 2015 – cioè dopo la fine del sinodo sulla famiglia – dai vescovi dell'Australia, rivolta non solo ai cattolici ma a tutti i cittadini di quel paese.
In questa lettera, i vescovi australiani difendono vigorosamente la visione originaria del matrimonio tra uomo e donna dalla "confusione" ingenerata dal cosiddetto "matrimonio omosessuale".
(Ecco il testo integrale della lettera pastorale dei vescovi dell'Australia: > Non fare confusione sul matrimonio)
E non si limitano a denunciare tale insidia. La documentano elencando una serie di episodi avvenuti in vari paesi dell'Occidente che testimoniano l'aggressività della nuova ideologia, tale da far diventare il matrimonio tra uomo e donna "una verità che non si può più dire", se non a prezzo di punizioni e di umiliazioni.

(Fonte: Sandro Magister, www.chiesa, 8 agosto 2016)



martedì 2 agosto 2016

Musulmani a Messa: un atto insensato

Dai media nazionali e internazionali apprendiamo dei fatti – in una certa misura indiscutibili nella loro fattualità – ma ascoltiamo anche un accavallarsi di opinioni, molte delle quali presentate a loro volta come fatti; si tratta però di fatti di secondo livello, ossia di notizie riguardanti le “reazioni” delle istituzioni (Chiesa cattolica, rappresentanti delle altre comunità religiose, parlamenti nazionali, capi di Stato e di governo) ai fatti di primo livello. Questa breve premessa massmediologica serve per ragionare da cattolici sull’evento tragico dell’irruzione di due terroristi islamici nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, nei pressi di Rouen, e dell’assassinio brutale dell’abbé Jacques Hamel che stava celebrando la Santa Messa.
Le “reazioni” a questo fatto sono state tante, e alcune corrispondono in pieno alla logica della coscienza cristiana: esecrazione di fronte a un sacrilegio così orribile (profanazione di un luogo sacro e aggressione di una persona sacra nel momento stesso in cui svolgeva il rito più sacro), preghiera e opere di riparazione e al sentimento di venerazione di fronte alla vittima innocente della violenza anticristiana. Il professor Roberto de Mattei, per esempio, ha subito pubblicato un editoriale nella sua agenzia “Corrispondenza romana” onorando «il primo martire  dell’islam in Europa».
Altre “reazioni” sono invece dissennate. I media di ieri hanno parlato di una decisione che dovrebbe attuarsi già oggi: invitare i musulmani a partecipare alla Messa domenicale assieme ai fedeli cattolici, nelle chiese cattoliche. La proposta, inizialmente avanzata dal mondo musulmano e sposata dal parroco di Saint Etienne, è stata poi approvata (sembra) dall’intero episcopato francese, e per ultimo anche dall’episcopato italiano, il cui portavoce ha detto (e la frase a effetto ha ottenuto il suo scopo, quello cioè di essere citata da tutte le radio, le televisioni, Internet  e i giornali) che «si tratta di un gesto enorme!».
Di “enorme” in questa uscita del portavoce, c’è solo l’insensatezza (che spero non sia davvero di tutta intera la Conferenza Episcopale Italiana) e la stupidità di esprimersi in questo modo di fronte a eventi come quello di cui si sta parlando. Queste dichiarazioni rispondono evidentemente al dettato di una legge non scritta, ma rigorosamente applicata all’unisono da tutti i poteri forti del nostro mondo occidentale, siano essi poteri ecclesiastici che civili (politica, finanza, informazione).
La legge è che non bisogna condannare nulla, ma proprio nulla, se la condanna deve mettere in cattiva luce la religione dell’islam, senza troppo distinguere tra islam considerato moderato e il cosiddetto islam radicalizzato, e senza sottilizzare troppo sulle intenzioni di guerra santa professate dall’autoproclamato Stato islamico. Non bisogna parlare male dell’islam e non bisogna presentare le vittime cristiane dell’islam come vittime e/o come  cristiane. Bisogna parlare d’altro. Meglio tornare a parlare un’altra volta, come da anni, dell’uguaglianza di tutte le religioni, che sono tutte per la pace e non usano mai la violenza per imporsi le une sulle altre. In questa linea di retorica pacifista, l’idea di invitate i musulmani a Messa costituisce una trovata geniale. Così almeno dice (non so se lo pensa davvero) il portavoce della Cei.
Ma c’è un problema. Oltre alla responsabilità istituzionale che obbliga in un certo grado ed entro certi limiti la Chiesa gerarchica a occuparsi di diplomazia inter-religiosa (buon vicinato, rispetto incondizionato per l’altro, silenzio sulle colpe altrui e richiesta di perdono per la proprie colpe, vere o presunte che siano, non importa), c’è anche – ed è la più importante, anzi è quella essenziale, tanto che se manca quella non c’è proprio più Chiesa – la responsabilità di dare a Cristo Gesù, realmente presente «in corpo, sangue, anima e divinità» nell’Eucaristia, il dovuto culto adorazione.
Nelle chiese cattoliche questo culto si dà con la santa Messa e con la “riserva” eucaristica  nel Tabernacolo. Per questo le chiese cattoliche non sono un semplice luogo di incontro della comunità, e quindi non sono qualcosa di analogo alle sinagoghe e alle moschee: sono – in senso proprio, cioè in senso teologico e soprannaturale – la “casa di Dio”. Sono un “luogo sacro”, e la profanazione di un luogo sacro è un orrendo peccato agli occhi di Dio, perché è esattamente il contrario di ciò che Dio ordina nel primo comandamento del Decalogo. Anche il sacerdote cattolico è una “persona sacra”, come la Chiesa ha sempre riconosciuto; è una “persona sacra” per effetto della consacrazione sacerdotale ricevuta nel momento in cui un vescovo gli ha conferito il sacramento dell’Ordine, che imprime nell’anima del soggetto un “carattere” indelebile, come il Battesimo.
E’ vero che il mondo contemporaneo è dominato, nella sua cultura apparentemente egemone, dall’ideologia del secolarismo e dal processo sociale della secolarizzazione, quindi anche dalla smania di dimenticare, anzi di rimuovere ogni forma di presenza del Sacro. E’ vero che molti pensatori protestanti (a cominciare da Paul Tillich) pretendono che anche i cristiani di oggi sappiano accettare la secolarizzazione come un fatto positivo, che addirittura risponderebbe al messaggio cristiano originario; è vero che Martin Lutero ha abolito il sacramento dell’Ordine sacro e che per i luterani i preti cattolici, considerati alla stregua dei “pastori” protestanti, non hanno alcun carattere sacro. 
Ma tutto ciò non toglie che la nostra condizione di cattolici ci impone in termini assoluti (cioè, non in termini relativi a qualche convenienza politica del momento) di professare in ogni luogo e in ogni tempo la nostra santa fede, il cui nucleo fondamentale è il mistero della Santissima Trinità e il mistero dell’Incarnazione del Verbo, che è Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo. Professare questi misteri della fede non è compatibile con l’invito, rivolto ai musulmani, di riunirsi con i  cattolici nelle chiese cattoliche per manifestare i propri sentimenti di pace. 
Fare opera di pacificazione, di perdono e di ricerca di un’intesa su qualche valore condivisibile è legittimo, anzi doveroso, in quanto corrisponde a quel dialogo inter-religioso che è stato promosso dal Vaticano II con il decreto Nostra Aetate. Ma fare questa opera di pacificazione nel modo che è stato ora prospettato è assurdo. E’ un «gesto enorme», nel senso che è un’enorme (e abnorme) testimonianza di fede al contrario. Alla fine risulta una vera e propria profanazione, la seconda per quanto riguarda la chiesa di Saint Etienne a Rouen, già orribilmente profanata dall’assassinio rituale di un sacerdote cattolico mentre celebrava la Santa Messa.
E’ inutile far finta di non sapere (lo sanno tutti) che i musulmani che si vogliono invitare a partecipare alla santa Messa professano una fede religiosa che è non solo diversa ma esplicitamente contraria alla fede cattolica. I musulmani non accettano in alcun modo quelli che sono i fondamentali misteri della fede cattolica che nella Messa si celebrano, anzi, li considerano bestemmie contro l’unico Dio, e sono sempre in qualche modo ostili a noi che siamo, ai loro occhi, gli infedeli, gli idolatri.
Che cosa si spera dunque di ottenere dall’ingresso dei musulmani nelle nostre chiese quando viene celebrata la Messa? Nessuno di loro penserà di entrare in luogo sacro, dove si svolge una funzione sacra e si adora il vero Dio in tre Persone, dove si celebra sacramentalmente il sacrificio redentore del Figlio di Dio per la remissione dei nostri peccati. Nessuno di loro, entrando in chiesa, si farà il segno della Croce con l’acqua benedetta (un sacramentale che prepara i fedeli all’atto penitenziale e alla degna ricezione dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia). Nessuno di loro si inginocchierà al momento della consacrazione per adorare il Santissimo Sacramento dell’Altare. Soprattutto, nessuno di loro ascolterà l’omelia del sacerdote celebrata come commento liturgico al Vangelo di Gesù Cristo proclamato nella Messa: al massimo, la potranno considerare come qualcosa di analogo (e di contrario) ai sermoni del loro imam.
A che pro tutto questo? Per il bene del dialogo inter-religioso? Per la pace nel mondo? Sono tutti risultati che corrispondono a una pia illusione irenista. Quello che realmente ne risulterà è un’empia profanazione della Santa Messa, del luogo sacro dove essa viene celebrata e della persona sacra del celebrante, che sull’altare è Cristo stesso, in quanto presta la voce e i gesti a Cristo sommo ed eterno Sacerdote, che si fa Vittima perla nostra salvezza.
E se qualcuno, leggendo queste poche righe, penserà che qui si dà troppa importanza al dogma e che quello che conta è la pastorale e l’azione ecumenica, ebbene, sappia che è vittima di accecamento prodotto dalla falsa teologia e dai cattivi pastori. La fede della Chiesa è quella che ho ricordato; nessun Concilio e nessun papa l’ha voluta cambiare, né avrebbe potuto. E sappia che nessuna pastorale e nessuna iniziativa ecumenica raggiunge i suoi veri scopi se ignora o contraddice il dogma.

(Fonte: Antonio Livi, La nuova bussola quotidiana, 31 luglio 2016)



lunedì 1 agosto 2016

Qualcosa non torna se nelle chiese si legge il Corano

Che nella chiesa dove è stato sgozzato padre Jacques siano andati dei musulmani in segno di solidarietà, è sicuramente apprezzabile. Che l’iniziativa sia stata estesa a tutta la Francia, dove gli attacchi del terrorismo islamico si sono moltiplicati, ci sta. Ma vedere che in Italia, a Bari, nella cattedrale di San Sabino è stato letto il Corano (in arabo) in cattedrale; vedere in un video che a Santa Maria in Trastevere addirittura un Imam canta un versetto del Corano; vedere la distribuzione di pane ai musulmani durante la messa, a Ventimiglia (perché? Se non era una "simil-comunione", cos’era: la merenda di metà mattina?) mi lascia, a dir poco, profondamente a disagio, a prescindere dalle intenzioni di chi l’ha fatto.
Sono gesti di grande ambiguità, perché se è vero che nelle nostre chiese può entrare chiunque, e chiunque, singolarmente e personalmente, può mettersi a pregare, è lapalissiano che moschee, sinagoghe e chiese servono fedi differenti, perché è diverso il Dio che vi si prega. Non è vero che abbiamo lo stesso Dio. La chiesa cattolica in particolare non è semplicemente uno spazio dedicato alla preghiera, dove leggere antichi testi sacri, come per altre religioni, ma è il luogo dove viene custodito il corpo di Gesù (e la Messa è la celebrazione dell'Eucarestia, Mistero della Fede), il luogo dei sacramenti; non puoi farci qualunque cosa. 
Gli incontri interreligiosi non si possono improvvisare ma vanno preparati con cura: per difendere la nostra identità, dobbiamo innanzitutto riconoscerla ed affermarla piuttosto che annegarla in un mare di indifferenziata spiritualità. Le intenzioni di chi vuole manifestare la propria abissale distanza dai terroristi sono lodevoli, persino commoventi, e manifestamente sincere, ma che un imam reciti versetti del Corano durante la messa dà l’idea che alla fin fine quel testo non sia poi così diverso dall’Antico e Nuovo Testamento. E allo stesso tempo, un conto può essere il gesto simbolico di un imam, in una chiesa specifica e significativa – come ad esempio quella francese dove è stato ucciso il sacerdote – un altro è una partecipazione corale di musulmani alla messa. Che poi quanto corale sia stata, non è dato sapere, visto che le cifre vengono solo da una organizzazione (la Comai, le Comunità del Mondo arabo in Italia). Insomma, io resto perplessa, e almeno aspetterei prima di parlare di "evento epocale", come hanno fatto in tanti, probabilmente per il sollievo di assistere a un primo gesto significativo della comunità islamica. Per esempio aspetterei di vedere se questa, pur con le sue ombre, è la prima di una serie di iniziative a favore della libertà religiosa, sempre da parte dei musulmani.
Aspetterei di vedere se ne seguiranno altre per dire pubblicamente che anche i cristiani (come tutti i credenti diversi dai musulmani) hanno diritto di costruire chiese nei paesi islamici, hanno diritto di pregare in pubblico e di educare nella propria fede i propri figli, in terra islamica. Aspetterei, insomma, perché a mio personalissimo avviso “la domenica andando alla messa” è solo il titolo di una vecchia canzone, e ho molti dubbi possa essere, di per sé e da solo, la bandiera dell’Islam moderato.

(Fonte: Assuntina Morresi, L’Occidentale, 1 agosto 2016)