giovedì 26 maggio 2016

Le false idee sul diaconato femminile di Lucetta Scaraffia

Dopo la drammatica Esortazione apostolica Amoris Laetitia, dopo la macabra pantomima pannelliana e vaticana a cui abbiamo assistito in questi giorni, osserviamo pure che ci sono persone non sufficientemente soddisfatte delle rivoluzioni in corso nella Chiesa, vorrebbero un sovvertimento maggiore, questo accade, per esempio, a Lucetta Scaraffia, direttrice dell’inserto Donne, Chiesa, Mondo de L’Osservatore Romano.
Le risposte che Scaraffia ha dato a Virginia Piccolillo del Corriere della Sera (12 maggio 2016), a proposito dell’eventualità di aprire il diaconato alle donne, sono inconfutabilmente di timbro protestante. Ella si rallegra di una possibile svolta sulle donne diacono: «Potranno esserci, ma bisognerà superare alcuni ostacoli». Quali ostacoli? «Solo di diritto canonico. Non è una cosa che va contro la dottrina cattolica. È soltanto un problema di regole da aggiornare».
E perché, chiede la giornalista, non sono state aggiornate prima? Non perché nella Chiesa il diaconato femminile non è mai stato inserito fra gli ordini della gerarchia apostolica (composta da tre gradi: diaconi, presbiteri, vescovi), istituita dal Figlio di Dio, ma perché «le donne non lo hanno mai chiesto». È sufficiente chiedere per ottenere le bizzarrie antidottrinali? Il sistema è quello del totalitarismo secolarizzato ed ideologico attuale: falsi diritti imposti a tutti. E così il femminismo, che storpia e deturpa la natura femminile, è oggi presente nell’intellighenzia della Chiesa.
Scaraffia sostiene che le suore presenti all’udienza concessa da Papa Francesco all’Unione internazionale Superiore generali (Uisg) il 12 maggio u.s. hanno avuto il «coraggio», grazie all’invito del Pontefice, di avanzare quesiti «non addomesticati», come a dire che le suore, prima di questo Pontificato, erano in cattività. Siamo di fronte, dice ancora Scaraffia, ad una «super-rivoluzione. Evidentemente non ne possono più di essere sempre in un ruolo subordinato. Come del resto non sopportavamo più noi laiche. Il mondo sta cambiando, saranno cambiate anche loro».
La volontà di comando nelle istituzioni religiose è una grande tentazione per le figlie del Sessantotto e del Concilio Vaticano II. Tale tentazione diabolica, parallela alla teoria di genere, dove i sessi non hanno più cromosomi e impronte digitali, è distruttiva per la collettività e per l’equilibrio psicofisico degli individui.
La Madonna, modello per essenza del ruolo femminile, è sempre stata nella Chiesa la stella polare per ogni donna cattolica, in grado di dirigere con dolcezza e fermezza, con mitezza e determinazione, i passi di ciascuna, sposa o suora che fosse. La donna è chiamata ad essere sposa e madre, sempre, anche quando sceglie l’abito religioso, perché sposa di Cristo e madre spirituale di molti. Se così non fosse sarebbe un’irrealizzata, una frustrata, un prodotto della rivoluzione in itinere, che non ha nulla a che vedere con lo sguardo di eternità della Chiesa, mai legato, per principi e catechesi, alle contingenze e agli accidenti della contemporaneità.
La Madonna non ha mai voluto prendere il posto degli Apostoli e gli Apostoli le hanno sempre riconosciuto il suo elevatissimo gradino di merito e privilegio: unica creatura umana ad essere stata preservata dal peccato originale. Maria Vergine è così sublime, nel suo candore e nella sua potenza d’amore, così immensa nel suo essere Madre di Dio, che è fuori dagli esercizi di potere ecclesiastico. Dio le ha affidato altri compiti, così come li ha affidati alle donne, compiti di carattere nobilissimo, ma diversi da quelli maschili. Anzi, la donna che scimmiotta l’uomo è assai ridicola e lo è perché non è se stessa.
Affermò Innocenzo III: «anche se la beatissima Vergine Maria si trova in un grado più alto ed è più di tutti gli apostoli messi insieme, il Signore non ha affidato a lei, ma agli apostoli, le chiavi del regno». Il Creatore assegna compiti per ogni creatura che umilmente si pone al Suo servizio e al servizio della Chiesa, e cercare di adempiere la Sua volontà significa realizzare se stessi, ottenendo la pace per sé e irradiandola intorno a sé, com’è avvenuto alla Madonna e a tutte le sante.
Le donne del medioevo, in un mondo in cui non esisteva la distorsione del pensiero femminista e, dunque, non c’era nessun antagonismo fra maschi e femmine, le donne religiose sono state donne e come tali hanno avuto riconoscimenti eccelsi, basti ricordare santa Ildegarda di Bingen, santa Chiara di Assisi, santa Matilde di Hackeborn, santa Gertrude la Grande, santa Angela da Foligno, santa Brigida di Svezia, Margherita d’Oingt, santa Giuliana di Cornillon o di Liegi, santa Caterina da Siena, Giuliana di Norwich, santa Veronica Giuliani, santa Caterina da Bologna, santa Caterina da Genova, beata Caterina da Racconigi, santa Giovanna d’Arco… un lungo elenco di autentici volti femminili, che non hanno sentito l’esigenza di indossare maschere allegoriche e pseudoreligiose.
Lucetta Scaraffia è molto fiduciosa in Papa Francesco, ma è pessimista sulla Curia «che non vuole le donne in ruoli direttivi della Chiesa». Al fondo dell’intervista è stato scritto che il Concilio di Calcedonia del 451 stabilì al Canone XV il ministero diaconale alle donne; ma non è vero: le diaconesse dei primi secoli, seppure così chiamate, non sono da confondersi con i diaconi che ricevevano l’ordinazione sacramentale, diventando parte integrante della gerarchia ecclesiastica.
Quindi non si trattava di donne che avessero ricevuto l’ordine sacro; quel Concilio parla in realtà di alcune incaricate in modo permanente a compiere determinati servizi, come istruire le donne catecumene (che avevano chiesto di ricevere il battesimo), sorvegliare la porta durante la Liturgia, compiere atti di varia carità. Sant’Epifanio afferma: «Quantunque ci siano nella Chiesa delle diaconesse, tuttavia non sono incaricate di servizi sacerdotali o per servizi simili, ma per sorvegliare sui buoni costumi delle donne». Di questo tipo di diaconesse parla anche san Paolo, con parole di manifesta gratitudine: «Vi raccomando Febe, nostra sorella, diaconessa della Chiesa di Cencre: ricevetela nel Signore, come si conviene ai credenti, e assistetela in qualunque cosa abbia bisogno; anch’essa infatti ha protetto molti, e anche me stesso» (Rm 16,1-2).
Alle suore ribelli e scalpitanti, che ambiscono ai posti d’onore, quelli che catturano gli occhi delle telecamere, ma non quelli di Dio, ricordiamo ciò che scrisse la mistica Madre Luisa Margherita Claret de la Touche (1868-1915): «La mia ragion d’essere è di essere un nulla, una piuma che vola al vento, un granello di sabbia sollevato dal mare; ma questa piuma, questo granello di sabbia, messaggeri dell’Amore Infinito» (Lettera a Padre A. Charrier, 27 dicembre 1908).
Infatti era sorta l’Opera dell’Amore Infinito, esplicita richiesta di Gesù Cristo affinché si potesse offrire, proprio attraverso l’umile suora esiliata in Italia a causa delle feroci leggi anticlericali francesi, linfa orante e rigenerante per il bene dei presbiteri. Il 6 giugno 1902, festa del Sacro Cuore, mentre la Venerabile visitandina adorava il Santissimo Sacramento e mentre chiedeva di poter avere qualche anima da formare per il noviziato del suo convento, si era sentita rispondere da Gesù: «Ti darò delle anime di uomini».
Non comprendendo il senso di quelle parole, rimase in preoccupato silenzio, ma l’enigma si sciolse quando Cristo disse alla fedele sposa: «Ti darò delle anime di sacerdoti», perché «tu ti immolerai per i miei sacerdoti. Il mio prete è un altro me stesso. Io lo amo, ma deve essere santo. Diciannove secoli fa, dodici uomini hanno cambiato il mondo; ma non erano solo uomini: erano sacerdoti. Anche oggi dodici sacerdoti potrebbero cambiare il mondo».

(Fonte: Cristina Siccardi, Corrispondenza Romana, 25 maggio 2016).



“Amoris laetitia” ha un autore ombra. Si chiama Víctor Manuel Fernández

Impressionanti somiglianze tra i passaggi chiave dell’esortazione di papa Francesco e due testi di dieci anni fa del suo principale consigliere. Un doppio sinodo per una soluzione che era già scritta.

Sono i paragrafi chiave dell’esortazione postsinodale “Amoris laetitia”. E sono anche i più volutamente ambigui, come provano le molteplici e contrastanti interpretazioni e applicazioni pratiche che hanno immediatamente avuto.
Sono i paragrafi del capitolo ottavo che di fatto danno il via libera alla comunione ai divorziati risposati.
Che lì papa Francesco volesse arrivare, è ormai evidente a tutti. E del resto già lo faceva quando era arcivescovo di Buenos Aires.
Ma ora si scopre che anche alcune formulazioni chiave della “Amoris laetitia” hanno una preistoria argentina, ricalcate come sono su un paio di articoli del 2005 e del 2006 di Víctor Manuel Fernández, già allora e ancor più oggi pensatore di riferimento di papa Francesco e scrittore ombra dei suoi testi maggiori.
Più sotto sono messi a confronto alcuni passaggi della “Amoris laetitia” con dei brani di quei due articoli di Fernández. La somiglianza tra gli uni e gli altri è fortissima.
Ma prima è utile inquadrare il tutto.

In quegli anni Fernández era professore di teologia alla Universidad Católica Argentina di Buenos Aires.
E in quella stessa università si era tenuto nel 2004 un congresso teologico internazionale di approfondimento della “Veritatis splendor”, l’enciclica di Giovanni Paolo II “circa alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa”, decisamente critica dell’etica “della situazione”, la corrente lassista già presente tra i gesuiti nel secolo XVII e oggi più che mai diffusa nella Chiesa.
Attenzione. La “Veritatis splendor” non è un’enciclica minore. Nel marzo del 2014, in uno dei suoi rari e meditatissimi scritti da papa emerito, Joseph Ratzinger, nell’indicare le encicliche a suo giudizio “più importanti per la Chiesa” delle quattordici pubblicate da Giovanni Paolo II, ne citò dapprima quattro, con poche righe ciascuna, ma poi ne aggiunse una quinta, che era proprio la “Veritatis splendor”, alla quale dedicò un’intera pagina, definendola “di immutata attualità” e concludendo che “studiare e assimilare questa enciclica rimane un grande e importante dovere”.
Nella “Veritatis splendor” il papa emerito vedeva restituito alla morale cattolica il suo fondamento metafisico e cristologico, l’unico capace di vincere la deriva pragmatica della morale corrente, “nella quale non esiste più quel che è veramente male e quel che è veramente bene, ma solo quello che, dal punto di vista dell’efficacia, è meglio o peggio”.
Ebbene, quel convegno del 2004 a Buenos Aires, dedicato in particolare alla teologia della famiglia, si mosse nella stessa direzione tratteggiata da Ratzinger. E fu proprio per reagire a quel convegno che Fernández scrisse i due articoli qui citati, praticamente in difesa dell’etica della situazione.
Anche a motivo di quei due articoli la congregazione per l’educazione cattolica bloccò la candidatura di Fernández a rettore della Universidad Católica Argentina, salvo poi doversi piegare, nel 2009, all’allora arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio, che fece fuoco e fiamme per ottenere il nulla osta alla promozione del suo pupillo.
Nel 2013, appena eletto papa, Bergoglio insignì Fernández perfino dell’ordine episcopale, con il titolo dell’estinta sede metropolitana di Tiburnia. Mentre tenne confinato alla Biblioteca Apostolica Vaticana il principale responsabile della bocciatura, il teologo domenicano Jean-Louis Bruguès, senza farlo cardinale, come invece è tradizione per tutti i Bibliotecari di Santa Romana Chiesa.
E da allora Fernández passa quasi più tempo a Roma che a Buenos Aires, impegnatissimo com’è a fare da ghostwriter del suo amico papa, senza che nel frattempo siano cresciute le sue credenziali di teologo, già tutt’altro che brillanti all’esordio.
Il primo libro, infatti, che rivelò al mondo il genio di Fernández fu: “Guariscimi con la tua bocca. L’arte di baciare”, edito nel 1995 in Argentina con questa presentazione al lettore fatta dall’autore stesso: “Ti chiarisco che questo libro non é stato scritto sulla base della mia personale esperienza quanto della vita della gente che bacia. In queste pagine voglio riassumere il sentimento popolare, quello che la gente prova quando pensa a un bacio, quello che sentono i mortali quando baciano. Per questo ho parlato a lungo con tante persone che hanno molta esperienza in materia, e anche con tanti giovani che imparano a baciare alla loro maniera. Inoltre ho consultato tanti libri e ho voluto mostrare come i poeti parlano del bacio. Così, nell’intento di sintetizzare l’immensa ricchezza della vita sono venute queste pagine a favore del bacio, che spero ti aiutino a baciare meglio, che ti spingano a liberare in un bacio il meglio del tuo essere”.
Mentre per quanto riguarda la considerazione che Fernández ha di sé basta una citazione di un anno fa, da una sua intervista al “Corriere della Sera”, sprezzante nei confronti del cardinale Gerhard L. Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede e quindi esaminatore previo – ma da tre anni inascoltato – delle bozze dei testi papali: “Ho letto che alcuni dicono che la curia romana fa parte essenziale della missione della Chiesa, o che un prefetto del Vaticano è la bussola sicura che impedisce alla Chiesa di cadere nel pensiero ‘light’; oppure che quel prefetto assicura l’unità della fede e garantisce al pontefice una teologia seria. Ma i cattolici, leggendo il Vangelo, sanno che Cristo ha assicurato una guida ed una illuminazione speciale al papa e all’insieme dei vescovi ma non a un prefetto o ad un altra struttura. Quando si sentono dire cose del genere sembrerebbe quasi che il papa fosse un loro rappresentante, oppure uno che è venuto a disturbare e che dev’essere controllato. […] Il papa è convinto che quello che ha già scritto o detto non possa essere punito come un errore. Dunque, in futuro tutti potranno ripetere quelle cose senza la paura di ricevere sanzioni”.
Questo è dunque il personaggio che Francesco si tiene stretto come suo pensatore di riferimento, l’uomo che ha messo per iscritto larghe parti della “Evangelii gaudium”, il programma del pontificato, della “Laudato si’“, l’enciclica sull’ambiente, e infine della “Amoris laetitia”, l’esortazione postsinodale sulla famiglia.

Ed ecco qui di seguito i passaggi della “Amoris laetitia” in cui sono evidenti i ricalchi sulle formulazioni di Fernández di dieci anni fa.
Che è utile leggere tenendo presente quanto detto recentemente da Robert Spaemann, un grande filosofo e teologo al quale Fernández non può neppure essere messo a paragone: “Il vero problema è un’influente corrente di teologia morale, già presente tra i gesuiti nel secolo XVII, che sostiene una mera etica situazionale. Giovanni Paolo II ha ricusato l’etica della situazione e l’ha condannata nella sua enciclica ‘Veritatis splendor’. ‘Amoris Laetitia’ rompe anche con questo documento magisteriale”.

Confronto tra la “Amoris laetitia” e due articoli di Víctor Manuel Fernández di dieci anni fa
I testi con le rispettive abbreviazioni: 
AL – Francesco, Esortazione apostolica postsinodale “Amoris laetitia”, 19 marzo 2016. 
Fernández 2005 – V. M. Fernández, “El sentido del carácter sacramental y la necesidad de la confirmación”, in “Teología” 42 n. 86, 2005, pp. 27-42.
Fernández 2006 – V. M. Fernández, “La dimensión trinitaria de la moral. II. Profundización del aspecto ético a la luz de ‘Deus caritas est’“, in “Teología” 43 n. 89, 2006, pp. 133-163.
Sono indicati ogni volta, accanto alle abbreviazioni, per la “Amoris laetitia” i numeri dei paragrafi e per gli articoli di Fernández le pagine.

“AMORIS LAETITIA” 300
(AL: 300)
Si evita il rischio che un determinato discernimento porti a pensare che la Chiesa sostenga una doppia morale.
(Fernández 2006: 160)
Non si propone in tal modo una doppia morale o una “morale della situazione”.

“AMORIS LAETITIA” 301
(AL: 301)
Per comprendere in modo adeguato perché è possibile e necessario un discernimento speciale in alcune situazioni dette “irregolari”, c’è una questione di cui si deve sempre tenere conto, in modo che mai si pensi che si pretenda di ridurre le esigenze del Vangelo. La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante.
(Fernández 2005: 42)
Tenendo conto dei condizionamenti che attenuano o sopprimono l’imputabilità (cf. CCE 1735), esiste sempre la possibilità che una situazione oggettiva di peccato coesista con la vita della grazia santificante.
(AL: 301)
I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere “valori insiti nella norma morale” [Nota 339] o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa.
[Nota 339: Giovanni Paolo II, Esort. ap. “Familiaris consortio”, 22 novembre 1981, 33: AAS 74 (1982), 121].
(Fernández 2006: 159)
Quando il soggetto storico non si trova in condizioni soggettive per agire diversamente o di comprendere “i valori insiti nella norma” (cf. FC 33c), o quando “un impegno sincero riguardo a una norma determinata può non portare immediatamente ad accertare l’osservanza di tale norma” [Nota 45].
[Nota 45: B. Kiely, “La ‘Veritatis splendor’ y la moralidad personal”, in G. Del Pozo Abejon (ed.), “Comentarios a la ‘Veritatis splendor’“, Madrid, 1994, p. 737].
(AL: 301)
Come si sono bene espressi i Padri sinodali, “possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione”. Già san Tommaso d’Aquino riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù [Nota 341], in modo che anche possedendo tutte le virtù morali infuse, non manifesta con chiarezza l’esistenza di qualcuna di esse, perché l’agire esterno di questa virtù trova difficoltà: “Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, […] sebbene essi abbiano l’abito di tutte le virtù” [Nota 342].
[Nota 341: Cfr Summa Theologiae I-II, q. 65, a. 3, ad 2; De malo, q. 2, a. 2].
[Nota 342: Ibid., ad 3].
(Fernández 2006: 156)
San Tommaso riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù “propter aliquas dispositiones contrarias” (ST I-II 65, 3, ad 2). Questo non significa che non possieda tutte le virtù, bensì che non può manifestare con chiarezza l’esistenza di qualcuna di esse perché l’agire esterno di questa virtù trova difficoltà per disposizioni contrarie: “Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, sebbene essi abbiano l’abito di tutte le virtù” (ibid., ad 3).

“AMORIS LAETITIA” 302
(AL: 302)
Riguardo a questi condizionamenti il Catechismo della Chiesa cattolica si esprime in maniera decisiva: “L’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere diminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali” [Nota 343]. In un altro paragrafo fa riferimento nuovamente a circostanze che attenuano la responsabilità morale, e menziona, con grande ampiezza, l’immaturità affettiva, la forza delle abitudini contratte, lo stato di angoscia o altri fattori psichici o sociali [Nota 344]. Per questa ragione, un giudizio negativo su una situazione oggettiva non implica un giudizio sull’imputabilità o sulla colpevolezza della persona coinvolta [Nota 345].
[Nota 343: N. 1735].
[Nota 344: Cfr ibid., 2352; Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. “Iura et bona” sull’eutanasia, 5 maggio 1980, II: AAS 72 (1980), 546. Giovanni Paolo II, criticando la categoria della “opzione fondamentale”, riconosceva che “senza dubbio si possono dare situazioni molto complesse e oscure sotto l’aspetto psicologico, che influiscono sulla imputabilità soggettiva del peccatore” (Esort. ap. “Reconciliatio et paenitentia”, 2 dicembre 1984, 17: AAS 77, 1985, 223)].
[Nota 345: Cfr Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Dichiarazione sull’ammissibilità alla comunione dei divorziati risposati, 24 giugno 2000, 2].
(Fernández 2006: 157)
Ciò appare in un modo esplicito nel Catechismo della Chiesa cattolica: “L’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere diminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali” (CCC 1735). Il Catechismo fa riferimento ugualmente all’immaturità affettiva, alla forza delle abitudini contratte, allo stato di angoscia (cf. CCE 2352). Nell’applicare questa convinzione, il pontificio consiglio per i testi legislativi afferma, riferendosi alla situazione di divorziati risposati, che solo si parla di “peccato grave, inteso oggettivamente, perché (p. 158) dell’imputabilità soggettiva il ministro della comunione non potrebbe giudicare” [Nota 42].
[Nota 42: Pontificio consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000, punto 2a].
(Fernández 2005: 42)
D’altra parte, dato che non  possiamo giudicare la situazione soggettiva delle persone [Nota 23] e tenendo conto dei condizionamenti che attenuano o sopprimono l’imputabilità (cf. CCE 1735), esiste sempre la possibilità che una situazione oggettiva di peccato coesista con la vita della grazia santificante.
[Nota 23: Su questo punto alcuni interventi recenti del magistero non lasciano posto a dubbi. Il pontificio consiglio per i testi legislativi afferma, facendo riferimento alla situazione dei divorziati risposati, che si parla di “peccato grave, inteso oggettivamente, perché dell’imputabilità soggettiva il ministro della comunione non potrebbe giudicare”: Pontificio consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000, punto 2a. Allo stesso modo, in una recente notificazione della congregazione per la dottrina della fede, si sostiene che per la dottrina cattolica “esiste una valutazione precisa e ferma sulla moralità oggettiva delle relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso”, mentre “il grado di imputabilità morale soggettiva che tali relazioni possono avere in ogni caso singolo è una questione che qui non è in discussione”: Congregazione per la dottrina della fede, Notifica su alcuni scritti del Rev.do P. Marciano Vidal, 22 febbraio 2001, 2b. Evidentemente, la base di queste affermazioni si trova in quanto difende il Catechismo della Chiesa cattolica nel punto 1735, citato alla fine del testo di questo articolo].

“AMORIS LAETITIA” 305
(AL: 305)
A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa [Nota 351]. Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti.
[Nota 351: In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei sacramenti…].
(Fernández 2006: 156)
Questo dinamismo trinitario che riflette la vita intima della divine persone può realizzarsi anche entro una situazione oggettiva di peccato (p. 157) sempre che, a causa del peso dei condizionamenti, non sia soggettivamente colpevole.
(Fernández 2006: 159)
… una “realizzazione del valore entro i limiti delle capacità morali del soggetto” [Nota 46]. Ci sono, allora, “obiettivi possibili” per questo soggetto concizionato, o “tappe intermedie” [Nota 47] nella realizzazione di un valore, anche se orientate sempre al pieno compimento della norma.
[Nota 46: G. Irrazabal, “La ley de la gradualidad como cambio de paradigma”, in “Moralia” 102/103 (2004), p. 173].
[Nota 47: Cf. G. Gatti, “Educación moral”, in AA.VV., “Nuevo Diccionario de Teología moral”, Madrid, 1992, p. 514].
(Fernández 2006: 158)
Non c’è dubbio che il magistero cattolico ha ammesso con chiarezza che un’atto oggettivamente cattivo, come è il caso di una relazione prematrimoniale o l’uso di un preservativo in un rapporto sessuale, non necessariamente porta a perdere la vita della grazia santificante, dalla quale trae origine il dinamismo della carità.
(Fernández 2005: 42)
D’altra parte, posto che non possiamo giudicare della situazione soggettiva delle persone e tenendo conto dei condizionamenti che attenuano o sopprimono l’imputabilità (cf. CCE 1735), esiste sempre la possibilità che una situazione oggettiva di peccato coesista con la vita della grazia santificante.
(Fernández 2005: 42)
Non giustifica questo l’amministrazione del battesimo e della cresima ad adulti che si trovano in una situazione oggettiva di peccato, sulla cui colpevolezza soggettiva non si può emettere giudizio?

(Fonte: Sandro Magister, www.chiesa, 25 maggio 2016)




La dittatura del Partito Radicale di Massa

Il coro pressoché unanime seguito alla morte di Marco Pannella, non ancora sepolto e già risorto nelle celebrative e nostalgiche parole di politici, giornalisti e – addolora dirlo – persino sacerdoti ed alti prelati, è qualcosa di troppo vasto e imbarazzante, per impedire a chiunque di cogliere che si sta celebrando la nascita di un nuovo, travolgente soggetto politico: il PRM, il Partito Radicale di Massa. Previsto con enorme anticipo, su tutti, dal grande Augusto Del Noce (1910–1989) nel suo Il suicidio della rivoluzione (1978) – in cui spiegava che «l’esito dell’eurocomunismo» non avrebbe potuto «essere che quello di trasformare il comunismo in una componente della società borghese ormai completamente sconsacrata» -, il PRM non è solo un soggetto politico nuovo ma del tutto monopolizzante, che oltre a superare sta annientando quel che resta di Destra e Sinistra inglobandole sotto le insegne del Pensiero Unico.
Dell’esistenza di questo Partito – esistenza oggi constatabile sulla base di tantissimi elementi, primo fra tutti l’impressionante prossimità che, a livello parlamentare, le forze politiche fanno registrare sui temi etici, sui quali le divisioni sono, salvo rarissimi casi, pura finzione – si vociferava da tempo, ma il decesso del suo italico profeta è stata l’occasione della fondazione ufficiale. Del resto, solo con una morte poteva esordire un Partito che di morte odora lontano un miglio, radunando tutti i favorevoli all’aborto di Stato, alla fecondazione extracorporea, alla legalizzazione delle cosiddette droghe leggere nonché – per restare in tema – alla “dolce morte”, appunto. Ma la forza di questo nuovo soggetto non nasce solo dal numero dei suoi adepti, ma anche dal quello delle sue sedi territoriali. Quante sono? Quanti sono i suoi adepti.
Il PRM, infatti, è completo sia di una dimensione religiosa individualistica – condensata nel culto, come osserva il filosofo Marcello Veneziani, alla divinità cinica ed egoista di Kazzimiei – sia di un potere talmente esteso da non temere alcuna competizione elettorale. Del resto, che bisogno dovrebbe avere di elettori, un Partito che vanta già sudditi? Perché dovrebbe preoccuparsi del consenso, un Partito che controlla già coscienze omologandole su tutti i temi antropologicamente decisivi? Per quale ragione affannarsi a raccogliere iscrizioni quando si hanno già milioni di adesioni inconsapevoli e volontarie al tempo stesso? Il PRM non segue i sondaggi, non teme le urne, né i referendum costituzionali. Solo di una cosa ha enorme paura: della Verità, intesa come svelamento di tutte le menzogne sulle quali un’antropologia individualistica si sostiene propagando il verbo di Kazzimiei.
La forza della Verità – senza dubbio irresistibile – non deve però far credere che il PRM sia a rischio di sconfitta né, tanto meno, di scioglimento dato che il suo radicamento, oggi, è persino superiore alle previsioni di Del Noce, che probabilmente non immaginava un arruolamento massiccio, nel Partito, anche di uomini di Chiesa. Inoltre, la Verità – a differenza delle menzogne – abbisogna di testimoni, di gente disposta a perderci; ma la gente disposta a perderci per la Verità è oggi molta meno, purtroppo, di quella disposta a perdersi per il Partito. Viene così facile pronosticare, almeno nel breve termine, una ulteriore espansione di questa entità omologante, che seguiterà  orwellianamente a collezionare nuove reclute quasi agli stessi ritmi con cui colleziona errori. Tanto, il solo scopo che si prefigge è il Caos, lo svuotamento etico foderato di filantropia.
Non sentirete infatti mai esplicite parole d’odio o di rabbia da parte di uomini del Partito, non perché odio e rabbia oggi siano scomparsi – tutt’altro –, ma perché i sentimenti forti, qualunque essi siano, rischiano di rianimare l’elettroencefalogramma di una massa che deve essere anestetizzata, che non deve più vivere ma vegetare. Il PRM propone così una solidarietà al ribasso, uno stare insieme che sia coesistenza senza essere fratellanza, convivenza senza essere comunione, tutti insieme eppur tutti soli, senza radici né in Cielo né in terra: non in terra per non ricordarsi di avere una memoria da coltivare, non in Cielo per non sognarsi un futuro da costruire. Purtroppo per il PRM, però, l’uomo ha desideri più grandi delle sue minime necessità e, per quanto il Pensiero Unico prosperi come prospera oggi, ci saranno sempre alcuni con nostalgia di Verità, di cose grandi e pure. Una nostalgia destinata, un domani, ad incenerire il PRM, che finirà nel Nulla per cui si è sempre battuto.

(Fonte: Giuliano Guzzo, 21 maggio 2016)



Le donne prete: l’ultimo attacco gender alla Chiesa

Anche se l’annuncio di ieri (con fanfara, trombe e tamburi) parla di una “apertura al diaconato per le donne”, per compiere opere di catechesi e servizio (diaconessa non è il femminile di diacono), le campane nella nostra mente stanno suonando a martello. Ancora una volta. Le donne infatti nella Chiesa compiono già opere di ogni tipo e parlare di diaconato è solo un espediente per aprire al sacerdozio femminile, anche perché il diaconato femminile non ha alcuna liceità, essendo il primo grado del sacerdozio.
Si vuole quindi imporre la donna prete entro breve. Non ci sono altre letture. Ormai il metodo di lavoro di Papa Francesco lo conosciamo e presto o tardi qualcuno ci verrà a dire che le donne prete sono perfettamente in linea con la Bibbia, ma anche con i Veda, il Corano e, perché no, con il Necronomicon.
Su questo argomento però non si può discutere e l’unico modo per avere le donne prete sarebbe andare contro il Magistero, anche recentissimo, della Chiesa e contro le pronunce di due predecessori dei tempi moderni, Beato Paolo VI e San Giovanni Paolo II. Sappiamo però che Francesco se vuole fare una cosa la fa, esattamente come è accaduto con la pericolosissima Amoris Laetitia che apre all’Eucarestia per i divorziati (sì, esatto), ma su questo frangente il discernimento caso per caso non esiste (se poi esista in generale è una discussione ancora aperta). O le donne possono fare le pretesse o no. E ovviamente non possono.
E’ chiaro che le donne diacono ci metterebbero pochi minuti ad arrogarsi il diritto di celebrare messe, “consacrare”, imporre le mani, impartire sacramenti. Sappiamo che succederà. E quindi fra pochi anni ci diranno “ormai è prassi pastorale, le donne prete nei fatti ci sono già e non c’è motivo per cui non vadano pienamente ordinate”.
Ora capiamo perché l’Osservatore Romano poco tempo fa ha pubblicato sproloqui riguardo il sacerdozio femminile. Non era una boutade fuori controllo, ma qualcosa di predisposto ad hoc. La strategia è quella di indorare la pillola. E capiamo perché Bergoglio ha voluto sottolineare la possibilità di lavare i piedi alle donne, visto che la lavanda dei piedi è l’episodio evangelico in cui si istituisce il sacerdozio.
Il bombardamento mediatico d’altronde è già iniziato, puntuale come un orologio svizzero. La frase fotocopia sui giornali è la seguente: “la motivazione comunemente addotta per dire che le donne non possono fare i preti è che durante l’ultima cena non erano presenti donne”. Quel “comunemente addotta” è la tipica espressione da progressista che vuole comandare in casa d’altri.
Comunemente” in questo caso rappresenterebbe il pensiero dei pontefici della Chiesa Cattolica, che evidentemente passavano in Vaticano per caso, oltre ad una presa di posizione fattualmente ex Cathedra di Giovanni Paolo II, dunque infallibile e non modificabile, nemmeno da un suo successore, perché basata nientepopodimenoche sulle disposizioni di Nostro Signore Gesù Cristo.
“Pertanto – scriveva Giovanni Paolo II nel 1994 – al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa”.
Però, siccome pare non valga più neanche l’espressione “l’uomo non divida ciò che Dio ha unito” pronunciata da un certo Gesù (qualcuno se lo ricorda?), tanto meno può valere il pronunciamento di un Papa. Di fronte a questa volontà di stravolgere ogni sacramento è comunque bene ricordare che mai e poi mai le donne potranno essere presbitero. E’ definitivo. Qualora le donne diventassero pretesse la Chiesa Cattolica non sarebbe più tale, perché andrebbe contro il disegno di Dio. Nessun uomo è proprietario dei sacramenti, men che meno il Papa.
Paolo VI al riguardo scrisse : “La ragione vera è che Cristo, dando alla Chiesa la sua fondamentale costituzione, la sua antropologia teologica, seguita poi sempre dalla tradizione della Chiesa stessa, ha stabilito così. Che in un coro di voci umane vi sia il tenore e vi sia il soprano, e con quale differenza e insieme con quale armonia di effetti artistici, non è una preferenza per l’uno e un torto per l’altra, ma un ordine, fondato sull’essenza delle persone che lo compongono, una bellezza che ha per origine la sapienza ontologica della natura, cioè di Dio creatore”.
E’ chiaro che, alla luce di quanto appena riportato, si smaschera ancora una volta cosa ci sia dietro la possibilità che le donne diventino prete. Una volontà malcelata di azzerare i sessi e le loro differenze, una teoria del gender in salsa ecclesiastica, che va ad attaccare la base stessa del disegno divino anche e soprattutto contro il sacramento dell’Ordine. Per costruire il mondo di Satana non basta confondere i ruoli di padre e madre, ma si deve attaccare anche e soprattutto quello del sacerdote.
Che sia un Papa a dare adito a tutto ciò, è sinceramente sconfortante. Che nessuno, neanche fra i fantomatici “buoni pastori” apra bocca da mesi, lo è ancora di più.

(Fonte: Francesco Filipazzi, Campari & De Maistre, 13 maggio 2016)
http://www.campariedemaistre.com/2016/05/le-donne-prete-lultimo-attacco-gender.html



sabato 21 maggio 2016

Marco Pannella, “santo subito”

Per una curiosa coincidenza, ieri mattina nella consueta omelia a Santa Marta, papa Francesco ha commentato - Radio Vaticana - il brano del Vangelo di Marco in cui Gesù spiega l’indissolubilità del matrimonio affermando che la comprensione per i peccatori va di pari passo con l’affermazione senza compromessi della verità.
Dico una curiosa coincidenza perché tale importante distinzione arriva nel giorno in cui si è registrato un totale sbracamento di alte gerarchie ecclesiastiche nel commentare la morte di Marco Pannella, dove quella che appare chiara è la confusione tra la dovuta pietà – e in alcuni casi l’amicizia – verso un defunto e il giudizio storico su quanto dallo stesso defunto realizzato in vita.
Bello sapere che il Papa abbia offerto a Pannella un’amicizia e che qualche altro prelato lo abbia visitato fino agli ultimi giorni, speriamo per dargli una possibilità di redimersi prima di presentarsi davanti al Giudice supremo. È il segno di un’umanità fatta nuova da Cristo, che punta dritto al cuore dell’uomo per offrirgli la salvezza. E certamente anche in Pannella si poteva cogliere almeno un raggio di quel desiderio di eternità di cui è fatto ogni uomo. Qualcosa che si può intravedere anche dalla lettera inviata a papa Francesco e resa pubblica ieri.

Ma ciò che è stato detto e scritto da illustri ecclesiastici come valutazione dell’attività politica e sociale di Pannella è oggettivamente uno scandalo, che ripugna alla coscienza dei cristiani. C’è stata una sorta di beatificazione sul campo per un personaggio universalmente celebrato dai media e dai politici come protagonista di un cambiamento culturale dell’Italia che si può ben definire scristianizzazione. Si può sopportare lo spettacolo di vescovi e intellettuali cattolici che osannano e presentano a modello chi ha cercato per tutta la vita di cancellare ogni presenza cristiana? 
Sconcertanti i commenti di alcuni vescovi che sfruttano penosamente qualsiasi occasione pur di mettersi in mostra, ma le parole che hanno creato vero e proprio sconcerto anche per il ruolo che occupa, sono quelle del portavoce vaticano, padre Federico Lombardi: «È una persona – ha detto tra l’altro a Tv2000 - che ci lascia una bella eredità dal punto di vista umano e spirituale per la franchezza dei rapporti, la libertà d’espressione e soprattutto per la dedizione totalmente disinteressata alle cause nobili. Aveva un impegno politico e sociale che non cercava il proprio interesse ma era attento ai problemi delle persone più deboli».

Una bella eredità spirituale? Dedizione a cause nobili? Attento ai problemi delle persone più deboli?
Da non credere queste espressioni sulla bocca del portavoce vaticano. Contraccezione, divorzio, aborto, fecondazione artificiale, eutanasia (a proposito, qualcuno si è fatto la domanda sulla sedazione che lo ha portato alla morte?), droghe libere, sperimentazione sugli embrioni: sono queste le cause nobili che stiamo celebrando? So già la risposta: è vero, ma si è occupato anche di carcerati, di fame nel mondo, di persecuzioni religiose. Insomma, avrebbe fatto cose condivisibili e cose non condivisibili. Da notare anche l’uso di questa terminologia: non si dice mai “buono” e “cattivo”, che implicano un giudizio chiaro e definitivo sulle azioni, ma si condivide o no, “eravamo d’accordo su alcune cose e su altre no”, “abbiamo lottato su fronti opposti”, cioè siamo nel campo delle opinioni, l’una vale l’altra.
Allora bisogna dire con chiarezza che mettere sullo stesso piano divorzio e aborto da una parte e il problema delle carceri dall’altra è un insulto alla realtà. La distruzione della famiglia e il disprezzo della vita, perseguiti tenacemente per sessanta anni, dimostrano la volontà di sovvertire l’ordine della creazione e sono causa prima della grave crisi economica, sociale e morale nella quale ci troviamo. Pannella ha rappresentato in Italia la testa d’ariete di quell’ideologia relativista e nichilista che sta portando la nostra civiltà al suicidio. Si può mettere questo sullo stesso piano di una pur giusta attenzione per il problema dei carcerati?
Soltanto parlando di aborto, alle campagne di Pannella dobbiamo sei milioni di bambini uccisi in 38 anni, gli esseri umani più deboli e vulnerabili in assoluto (l’aborto è la minaccia più grave alla pace nel mondo, diceva Santa Teresa di Calcutta). Se ci fosse stata davvero giustizia avrebbe meritato un processo per crimini contro l’umanità, invece abbiamo addirittura il portavoce vaticano che ne esalta la «dedizione a cause nobili».
Certo, se ne può apprezzare la franchezza, la coerenza, la gentilezza, perfino il disinteresse nel perseguire i suoi ideali. Tutte belle caratteristiche della sua personalità se paragonate all’opportunismo e alla codardia di tanti suoi presunti avversari, ma questi non sono valori in sé, il problema sono gli ideali. Anche il diavolo è tenace, coerente e tremendamente persuasivo, solo Gesù ha saputo resistergli totalmente; ma c’è qualche vescovo che per questo è disposto a farne pubblici elogi?
C’è un altro aspetto paradossale in tante lodi da parte di uomini di Chiesa. 
Pannella si è battuto per la situazione delle carceri, per alcune minoranze religiose perseguitate, per la fame nel mondo. È vero questo, ma davvero i cattolici devono imparare da lui? Alla fine quelle dei radicali sono denunce, urlano l’esistenza di un problema e chiedono che lo Stato o chi per lui intervenga. Ma il metodo della Chiesa non è anzitutto la denuncia, è la presenza e la condivisione. Così la vita cambia realmente e il mondo diventa più umano, non con le campagne radicali.
Da secoli i missionari vanno nelle parti più remote del mondo e con l’annuncio del Vangelo che libera l’uomo hanno dato il massimo contributo possibile alla lotta alla fame; in tanti Paesi i cristiani hanno affrontato e affrontano il martirio per testimoniare la Verità (quella Verità così pervicacemente combattuta da Pannella e soci) e la dignità dell’uomo; e nelle carceri italiane ci sono centinaia di volontari cattolici che a tanti detenuti hanno ridato la speranza, non di una cella più grande (per quanto questo sia necessario) ma di essere perdonati per il male compiuto e di rinascere a vita nuova.
Se davvero si vuole dimostrare di aver voluto bene a Pannella, oltre ad augurarsi che almeno nell’ultimo istante abbia affidato la sua anima alla misericordia di Dio, ci si può solo impegnare a pregare per lui. Possibilmente in silenzio.

(Fonte: Riccardo Cascioli, La nuova bussola quotidiana, 21 maggio 2016)



venerdì 20 maggio 2016

Vaticanate: La “canonizzazione” di Pannella

È morto Giacinto Marco Pannella ferocemente anticattolico, nonché simbolo di tutte le leggi contro Dio approvata in Italia negli ultimi 50 anni (divorzio, aborto, etc.). 
Eppure, il portavoce della Santa Sede, il gesuita Federico Lombardi, lo ha elogiato pubblicatemene in quanto “ammiratore di papa Francesco”.

Sinceramente parlando non volevamo dare alcuna voce al fatto, ma la canonizzazione di padre Lombardi alla memoria di Giacinto Marco Pannella (vedi qui) no davvero, è un inaccettabile delirio di onnipotenza! Questo è davvero abuso di potere.
Premesso che un Requiem non si nega a nessuno, noi preferiamo pregare affinché in cielo lo accolga l’esercito di milioni di abortiti che lui ha contribuito a formare, sostenendo, osannando e alimentando la legge più iniqua che l’uomo potesse legiferare, l’aborto.
Non vogliamo neppure pensare di scaraventarlo nell’inferno, o se farsi un certo tempo nell’angolo più doloroso del purgatorio, noi gli auguriamo di cuore di essersi in qualche modo salvato, se non altro per due motivi: il primo perché è costato anche lui, come noi, tanta sofferenza al Cristo che pagò anche per lui con la Sua vita; secondo perché abbiamo a cuore il monito del Cristo: «perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati» (Mt 7,2).
Ma il Vangelo stesso ci spinge a fare discernimento sulle opere inique, sugli operatori di iniquità, e l’aborto è una iniquità che non solo va condannato, ma vanno contrastati anche coloro che operano in questo modo, o vi hanno dato un cospicuo contributo.
Per padre Lombardi è eloquente il titolo: a Pannella piaceva papa Francesco, a quanto pare basta questo per canonizzarlo. Mica ha scritto che “ammirava Gesù Cristo”, o grande difensore della vita, macché, ma ammirava il papa. E poi giù, un necrologio zeppo di pensieri mistici cui le parole più false e più contraddittorie sono queste: “Lo ricordo quindi con stima e simpatia, pensando che ci lascia una eredità umana e spirituale importante, di rapporti franchi”.
È poco prima aveva ammesso che: “Noti i suoi scioperi della fame e della sete con cui era solito manifestare il proprio impegno antiproibizionista, contro la pena di morte, a favore dei carcerati, dell’aborto, del divorzio e dell’eutanasia“.
Ma padre Lombardi c’è o ci fa? Ha capito che quegli scioperi erano a favore dell’aborto e dell’eutanasia oppure, furbescamente, avendo mischiato i suoi impegni contro la pena di morte, vorrebbe far dire che Pannella magari era contro l’aborto e l’eutanasia?
Di quale “eredità spirituale” sta parlando padre Lombardi? Milioni di abortiti sono per lui una ricca e santa eredità spirituale? Qui non stiamo giudicando l’anima del defunto e nessuno di noi può certamente dire dove è finito, ma santo cielo! non siamo dementi! Cristiano non è sinonimo di compromesso o di stordimento. A quando l’elogio funebre ufficiale per dichiararlo “Testimone della fede e confessore”? Magari anche martire, che mica è morto perseguitato, cacciato di casa, ma nella Casa di Cura delle suore che padre Lombardi si è affrettato a minimizzare e a coprire con un più anonimo: “ricoverato in una struttura sanitaria romana”.
L’Ottavo Comandamento ce lo rammenta: non dire falsa testimonianza, che non significa soltanto il non calunniare il prossimo, ma anche non mentire, non ingannare il prossimo. Il Catechismo del concilio di Trento insegna:
“Commettono infine questo peccato gli uomini lusingatori e adulatori che, con blandizie e lodi simulate, si insinuano nelle orecchie e nell’animo di coloro di cui ricercano il favore, il denaro e gli onori, chiamando male il bene e bene il male, come scrive il Profeta (Is 5,20)” (n.349).
Ed anche il Catechismo del 1992, dice su questo Comandamento:
2497 Proprio per i doveri relativi alla loro professione, i responsabili della stampa hanno l’obbligo, nella diffusione dell’informazione, di servire la verità e di non offendere la carità.
La Chiesa non “canonizza” il defunto (per fare questo ci sono i processi della congregazione per i santi), ma lo affida a Dio con il cuore contrito ed umiliato, che  solo da Lui attende la lode a seconda delle opere che avrà compiuto. E c’è, esiste la giustizia divina che è misericordia per i milioni di abortiti. In qualche modo, nelle esequie, la Chiesa, secondo la parabola evangelica del banchetto nuziale (Lc 14,7ss.), pone il defunto all’ultimo posto, ossia “steso a terra” ai piedi dell’altare, e attende che Dio stesso, e solo Lui, sorga e dica “Amico, passa più avanti” (Lc 14,10).
Noi auspichiamo a Pannella questo incontro con Dio, l’unico che potrà giudicarlo, ma la Chiesa stessa non presume mai nei suoi figli quello stato perfetto di santità, che solo Dio può riconoscere e, umilmente, invoca misericordia, eleva il suffragio e si mantiene sotto il giogo della penitenza. Ma nessun sacerdote  può arrogarsi il diritto (abuso di potere) di “canonizzare” qualcuno la cui condotta di vita non è stata affatto esemplare per il cristiano, specialmente se soggetto pubblico, che ha dato di scandalo e per tutta la sua vita ha lottato contro la vita degli altri, godendo per la legge sull’aborto, rivendicandola quale sua opera meritoria.

(Fonte: Le cronache di Papa Francesco, 19 maggio 2016)



Enzo Bianchi: “Gesù non ha mai parlato dei gay, la Chiesa taccia. Sì alle unioni civili”

Il priore di Bose Enzo Bianchi sostiene le ragioni del riconoscimento delle unioni civili tra persone omosessuali ed anche la separazione tra coniugi che non vanno più d’accordo. Lo ha affermato nel corso di una assemblea pastorale diocesana tenutasi a Trento, secondo quanto riporta L’Adige. «La Chiesa non può avvallare il divorzio, ma se due persone non stanno bene assieme, e si avvelenano reciprocamente l’esistenza, è meglio che si separino. – scrive il quotidiano trentino – Diversamente, se due persone dello stesso sesso si vogliono bene e sono propense ad aiutarsi ed a sostenersi reciprocamente è giusto che lo Stato preveda una regolarizzazione del loro rapporto». Il priore della comunità monastica di Bose ha tenuto una lezione magistrale dedicata interamente al valore cristiano della misericordia, poi ha risposto alle domande dei presenti.
«Dobbiamo chiedere scusa – ha detto Bianchi – alle famiglie per la presunta superiorità mostrata dai religiosi nei tempi passati: la vita di coppia è molto difficile, e noi dobbiamo essere in grado di riconoscere il grande merito di chi sceglie di costruire un nucleo famigliare. Tuttavia, in una realtà in cui tutto è precario, dal lavoro alle relazioni, non possiamo aspettarci che l’amore o la famiglia non lo sia. Su questo, però, non possiamo permetterci in alcun modo di giudicare, né, tantomeno, di escludere» riporta ancora l’Adige.
Enzo Bianchi ha spiegato che «se Cristo nel Vangelo parla del matrimonio come unione indissolubile nulla dice in merito all’omosessualità. L’onestà, quindi, ci obbliga ad ammettere l’enigma, a lasciare il quesito senza una risposta. Su questo, io vorrei una Chiesa che, non potendo pronunciarsi, preferisca tacere. Che la Chiesa faccia il matrimonio per persone dello stesso sesso – ha concluso – è una cosa senza senso. Tuttavia, se lo Stato decide di regolarizzare una realtà affettiva, lasciamo fare, applicando la misericordia come vuole il Vangelo, non come la vogliamo noi».

(Fonte: Michele M. Ippolito, Fede quotidiana, 22 settembre 2015)



mercoledì 18 maggio 2016

Sterminate quei monaci. Firmato: il viceré Graziani

Un docufilm solleva il velo sulla più grande strage di religiosi cristiani mai compiuta in Africa. Nel 1937 i soldati al comando del generale italiano uccisero per rappresaglia duemila persone: mille erano membri del clero

È stata la più grande strage di religiosi cristiani mai avvenuta in Africa. Più grande ancora di quella compiuta in questo stesso luogo dagli Ottomani nel luglio del 1531. È costata la vita a circa duemila persone, la metà delle quali erano preti, monaci e diaconi, e a compierla non sono state milizie islamiste ma i soldati al comando del viceré italiano d’Etiopia Rodolfo Graziani. Quella avvenuta nel maggio 1937 nel monastero etiope di Debre Libanos è una voragine nella nostra memoria e una ferita ancora aperta nei rapporti tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa d’Etiopia. 
A sollevare il velo di silenzio che ancora avvolge quei fatti è un docufilm di oltre un’ora che sarà trasmesso da Tv2000 sabato 21 maggio alle ore 21 e replicato domenica alle 18,30. Antonello Carvigiani, giornalista e autore del reportage, ha riportato alla luce documenti e testimonianze inedite scovando anche l’ultimo testimone ancora vivente. E grazie al contributo del più importante studioso della strage, lo storico inglese Ian Campbell che sta per pubblicare un libro sulla vicenda, ricostruisce nel dettaglio l’accaduto. 
Il monastero di Debre Libanos, fondato nel XIII secolo dal santo Teclè Haimanòt, si trova nella regione degli Amara, a Nord-Ovest di Addis Abeba, ed è situato tra una rocca e una gola create dall’affluente del fiume Abbay. È ancora oggi il polmone spirituale del cristianesimo ortodosso etiope.  

«Tutti sistemati»  
L’antefatto della strage si verifica il 19 febbraio 1937, quando Rodolfo Graziani subisce un attentato durante una cerimonia pubblica nella capitale etiope. Alcuni esponenti del movimento dei patrioti ribelli, mescolati tra la gente, lanciano degli ordigni: muoiono sette persone e il viceré italiano rimane gravemente ferito. Sulla base delle prime informazioni che parlavano di un coinvolgimento dei monaci, senza prove e senza attendere l’esito delle indagini ufficiali, Graziani dà l’ordine al generale Pietro Maletti di massacrare tutto il clero di Debre Libanos. 
Il documentario di Tv2000 ricorda che le truppe italiane circondano l’area il 18 maggio, lasciando transitare i fedeli diretti al monastero per la festa di san Michele che si sarebbe celebrata nei giorni successivi, ma impedendo allo stesso tempo di uscire a quanti volevano farlo. I pellegrini rimangono dunque intrappolati, vittime della stessa sorte che toccherà ai monaci. Poi viene sferrato l’attacco. 
Secondo le ultime ricerche storiche, il numero dei morti sarebbe compreso tra 1.800 e 2.200: Ian Campbell ritiene che duemila sia la cifra che più si avvicina alla realtà, nonostante il rapporto ufficiale stilato dal viceré per Mussolini si limiti a citare 449 morti. «I numeri delle vittime riferiti da Graziani furono molto bassi - spiega Campbell -, sappiamo che il numero dei membri del clero, inclusi i monaci, non era inferiore al migliaio». In un telegramma del generale Maletti, spedito il giorno successivo alla strage, si legge: «Confermo che tutti indistintamente i personaggi segnalati sono stati definitivamente sistemati».  

L’ultimo testimone  
L’autore del docufilm ha potuto incontrare e intervistare l’ultimo testimone della strage, l’ultranovantenne Ato Zewede Geberu, all’epoca bambino. «Nel giorno della festa di san Michele non sono andato a Debre Libanos. Moltissimi fedeli dei villaggi qui intorno sono andati al monastero. Ma la mia famiglia quella volta decise di non andare. Una decisione che ci ha salvato la vita. Non ho visto il massacro. Ma l’ho sentito. Ho sentito i colpi della mitragliatrice. Abbiamo avuto paura, siamo rimasti nascosti nel nostro villaggio. Due-tre giorni dopo sono andato a vedere. C’erano ancora i cadaveri, centinaia di morti, forse 600, 700… E gli animali cominciavano a mangiarli. C’erano soldati italiani che si aggiravano ancora da quelle parti». 
L’eccidio avviene in un luogo isolato. Lontano da testimoni. Molti corpi sono lanciati in una gola profonda circa 500 metri. La memoria della strage doveva essere dolorosa anche per chi l’aveva commessa eseguendo gli ordini ricevuti. Racconta il monaco Abba Hbte Gyorgis: «Alcuni anziani mi hanno raccontato che i militari italiani usavano ombrelli bianchi per proteggersi dal sole. Dopo la strage, alcuni soldati hanno portato al monastero il loro ombrello bianco per chiedere scusa. In segno di riconciliazione. Nel museo del monastero sono conservati tre di questi ombrelli». 
Il docufilm di Tv2000, che si avvale della regia e della fotografia di Andrea Tramontano, si conclude con l’intervista ad abuna Matthias I, Patriarca della Chiesa ortodossa di Etiopia: «Non si è trattato di una cosa buona. Abbiamo perso tantissime persone, inclusi i monaci, il vescovo Abuna Petros. Adesso quasi tutto giustamente è stato dimenticato e perdonato. Posso dire che è bene così. Cosa si può fare adesso?». Forse è meglio ricordare. 

(Fonte: Andrea Tornielli, Vatican Insider, 18 maggio 2016)



martedì 17 maggio 2016

La “Amoris Laetitia” mette a rischio la dottrina sull’indissolubilità del matrimonio”

Il noto teologo professor Monsignor Antonio Livi, curatore dell’ autorevole sito Fides et Ratio, “demolisce” l’esortazione apostolica post-sinodale “Amoris Laetitia” di Papa Francesco con parole chiare e taglienti. Ma lasciamo parlare lui.

Professor Livi, che idea si è fatto dell’ Amoris Laetitia?
“ Un documento molto atteso per conoscere le indicazioni della Chiesa dopo i due Sinodi dei vescovi sulla famiglia e la ridda di interpretazioni da parte dei vescovi favorevoli al mantenimento della disciplina attuale (i cardinali Mueller, Caffarra, Burke, Salah) e di quelli che chiedevano un cambiamento radicale (i cardinali Schoenborg, Marx  e Kasper, l’arcivescovo Forte). Ma l’attesa di un chiarimento è stata delusa. Alcune parti del documento papale sono caratterizzate dall’ambiguità,  che genera gravissimi equivoci di interpretazione. Lo giudico, dunque, scarsamente  lineare e pertanto ha bisogno di successivi chiarimenti. Penso che questa situazione non sia casuale, ma cercata”.

Perchè?
“ Prima di tutto, si corre il rischio, anzi già lo abbiamo corso, di mettere a repentaglio  la dottrina cristiana circa l’ indissolubilità del matrimonio. In quanto alla scarsa chiarezza è vero, come viene detto nel documento, che la dottrina non cambia, ma questo è un dato solo apparente”.

Che cosa vuole dire?       
“ Che il Papa è stato scaltro. Non ha voluto, né ha potuto alterare la dottrina, pena l’accusa di eresia, ma ha cambiato la prassi pastorale, suggerendo ai vescovi di decidere liberamente “caso per caso” e dunque in modo diverso da diocesi a diocesi, da Paese a Paese. Se in vescovi di tutto il mondo facessero come  il Papa ha suggerito, perverremmo ad un relativismo  di fatto, quello del “caso per caso”: e infatti già qualche vescovo (nelle Filippine, in Germania, ma anche in Italia, a Bergamo)  afferma che si può dare la comunione al divorziato risposato civilmente, e   sostiene che lo fa già da tempo. In sostanza, dice che ora, grazie a Papa Francesco,  tutto cambia, mentre lo stesso Papa Francesco ha scritto  che non è cambiato niente. E’ una furbata”.

Da che cosa dipende?
“ Papa Francesco è riuscito nel suo intento, che è sempre stato molto evidente:  basti vedere come erano stati preparati in questa direzione (con la relazione del cardinale Walter Kasper) e poi come sono stati pilotati i due successivi sinodi dei vescovi sulla famiglia. Questo risultato è la dimostrazione di una Chiesa cattolica che sul terreno dottrinale è allo sbando, con il crescente predominio dello storicismo, dell’umanesimo ateo e della teologia della liberazione. Penso al tenore di tanti documenti e al fatto che   i consiglieri maggiormente ascoltati  sono l’ eretico Kasper (un cardinale tedesco) e l’ altro eretico Enzo Bianchi  (un  laico italiano), entrambi favorevoli a un ecumenismo che in pratica è la riabilitazione di Lutero e l’accoglimento delle istanza della sua riforma”.

E allora?
“ La Chiesa ha vissuto tante pagine buie, e la storia ecclesiastica narra di diverse epoche di confusione e di scisma, persino  di pontefici che con la loro condotta di vita hanno scandalizzato. Papa Francesco certamente non lo fa con la sua condotta personale, ma la dottrina teologica che egli favorisce, questa sì che scandalizza, nel senso biblico del temine, nel senso che è una “pietra di inciampo”  per la fede  dei semplici e disorienta le coscienze di tanti”.

Davvero?
“ Vuole un esempio? Il fatto che oggi si parla poco o niente del peccato, che di fatto è stato sdoganato nel nome di una misericordia senza limiti. E’ arrivato il momento che qualche voce si levi, i cattolici non possono stare più zitti,  devono denunciare. Questa Chiesa parla sempre  e solo di misericordia, ma la dissocia dal peccato. Certamente questo rende popolari, perchè il lassismo paga, nel senso che segue lo spirito del mondo, quello che la gente vuol sentirsi dire”.

Immigrazione, che cosa ne pensa?
“  Se le autorità politiche europee continueranno a seguire la linea di una accoglienza senza limiti e  priva di prudenza, rischiamo la totale islamizzazione del Continente. E’ una grave responsabilità dell’Unione europea, che già è nata male, perché non ha voluto riconoscere ufficialmente nel trattato istitutivo le “radici cristiane ”. Ora sembra voler favorire l’islamizzazione del Continente , e questo non può essere certamente favorito dalla Chiesa cattolica. Nemmeno è giusto che le autorità ecclesiastiche critichino le autorità civili se queste ritengono di dover proteggere la popolazione italiana dal terrorismo islamico, magari anche chiudendo i  luoghi di culto islamici dove si predica la violenza contro i “crociati”, cioè noi cristiani. Bisogna che le organizzazioni ufficialmente cattoliche abbiano l’ onestà intellettuale e la serietà pastorale di finirla con il mito del “dialogo con l’ Islam”, se con questa formula vogliono intendere l’esaltazione acritica di una religione che considera “infedeli”  i cristiani. Oggi si ha la sensazione di una Chiesa cattolica che difende maggiormente gli islamici rispetto ai credenti. La carità è una virtù se – come tutte le virtù – rispetta l’ordine stabilito da Dio. La carità, come insegna la Scrittura, si fa prima di tutto aiutando le persone della  propria famiglia e i propri concittadini, che per noi sono gli italiani:  altrimenti la carità con i “lontani” rischia di trasformarsi in demagogia ed esibizionismo”.

(Fonte: Bruno Volpe, La fede quotidiana, 16 maggio 2016)



Diaconato femminile? Un’altra picconata di Bergoglio contro i sacramenti

In una recente conferenza in Spagna, il card. Gerhard Müller, custode della dottrina cattolica, cercando di mettere una toppa sulle esplosive trovate eterodosse dell’ “Amoris laetitia” di Bergoglio, ha affermato che nessun papa può cambiare la dottrina sui sacramenti istituiti da Cristo.
Poi Müller ha spiegato la loro centralità: “Sant’Agostino ha visto nell’economia sacramentale della Chiesa l’architettura fondamentale dell’arca di Noè, che è il corpo di Cristo, con il battesimo come grande porta. La Chiesa può navigare perché il suo guscio e la sua alberatura hanno la forma di questo amore di Gesù, comunicato nei sacramenti”.
Eppure proprio contro i sacramenti si è scatenata l’opera demolitrice di papa Bergoglio che rischia di far affondare la nave. Quelli più colpiti – con atti ufficiali – sono stati i sacramenti del matrimonio, dell’eucaristia e della confessione (insieme con un paio di Comandamenti). Ma anche il battesimo – con artiglieria minore – è stato bersagliato.
Ora è arrivato il momento di colpire il sacerdozio e Bergoglio lo fa in diversi modi. Anzitutto c’è il simbolico linguaggio dei gesti.

Tocca al Sacerdozio
Per esempio, il papa argentino non ha mai voluto celebrare la “Messa in coena Domini” in Laterano col clero romano. Era tradizione dei papi lavare i piedi a dodici preti romani perché il giovedì santo si fa memoria dell’istituzione dei sacramenti dell’eucaristia e dell’ordine sacerdotale, connessi l’uno all’altro. Invece i giovedì santi bergogliani sono stati dedicati alla lavanda dei piedi di immigrati di tutte le religioni da parte del papa (sempre in favore di telecamera).
Poi c’è la delegittimazione del celibato ecclesiastico, a proposito del quale Bergoglio ebbe a dire: “Non essendo un dogma di fede, c’è sempre la porta aperta”.
Ma c’è pure chi spinge per l’ordinazione delle donne. Su questo Bergoglio sa che la strada gli è sbarrata dalla Lettera Apostolica “Ordinatio Sacerdotalis” di Giovanni Paolo II che – in continuità con tutto il magistero della Chiesa – ha definito “infallibilmente” l’esclusività maschile dell’ordinazione.
Può forse essere aggirata con il diaconato alle donne? Ieri qualcuno deve averlo pensato leggendo i siti dei giornali di tutto il mondo che annunciavano “il papa apre alle donne diacono”.
Bergoglio vuole istituire una Commissione per studiare la cosa. Ma dovrebbe sapere che una tale “commissione” c’è già stata e lavorò per dieci anni, pubblicando le conclusioni nel 2003. Dunque non c’è più nulla da chiarire e studiare.

Come stanno le cose
Il professor Roberto De Mattei, storico della Chiesa, spiega:
“Fin dalle origini la gerarchia apostolica istituita da Gesù Cristo ebbe tre gradi: diaconi,  presbiteri e vescovi. Questo ministero ecclesiastico è di diritto divino e ha natura sacramentale. Fin dall’inizio la partecipazione a questo ministero fu riservata ai soli battezzati maschi. Le cosiddette ‘diaconesse’ dei primi secoli non ricevevano alcuna ordinazione sacramentale, e non avevano niente a che fare con questa sacra gerarchia, come spiega sant’Epifanio, nel suo Panarion, e san Tommaso nella Summa Theologica”.
Dunque da sempre “la tradizione e la prassi” della Chiesa sono chiare e univoche. De Mattei aggiunge:
“Nei primi secoli della Chiesa furono gli eretici (gnostici, marcioniti, montanisti) ad inserire le donne nella gerarchia ecclesiastica, ammettendole ai compiti del predicatore o del sacerdote. A questi eretici i Padri della Chiesa hanno sempre opposto il comportamento di Gesù che scelse gli Apostoli solo tra gli uomini e non affidò a Maria alcun ministero all’interno della Chiesa, pur costituendone Ella il cuore. Infatti, come afferma papa Innocenzo III, ‘anche se la beatissima Vergine Maria si trova in un grado più alto ed è più di tutti gli apostoli messi insieme, il Signore non ha affidato a lei, ma agli apostoli, le chiavi del regno’ “.
Ma qual è allora il senso di questa nuova “apertura” di Bergoglio? Semplice.

Cosa sta accadendo
Fino a Benedetto XVI la Chiesa è stata un ostacolo (katéchon) per certi poteri mondani. Chi ha spinto per “dimissionare” Benedetto e lanciare Bergoglio vuole omologare la Chiesa al mondo, diluendola nell’ideologia dominante.
Bergoglio dice che tale “adeguamento” serve per permettere alla fede cristiana di raggiungere gli uomini moderni. Ma i fatti dimostrano l’esatto contrario, dicono che è un suicidio. Le confessioni protestanti che sono andate in questa direzione modernista sono alla canna del gas, ormai irrilevanti e inesistenti.
Al contrario – come ha rilevato il sociologo americano Rodney Stark – dove e quando si propone una vita cristiana impegnativa e rigorosa, con una forte connotazione ideale, fedele al Vangelo, si ha una risposta (anche vocazionale) straordinaria.
La strada da intraprendere per la Chiesa sarebbe dunque chiara. Ma la via scelta da Bergoglio è invece quella della resa alle ideologie mondane. Egli imita le confessioni protestanti con cui – peraltro – Bergoglio prospetta una specie di ricongiungimento nel 2017, in occasione dei 500 anni dal devastante scisma luterano.
Anche la scelta bergogliana di abbandonare e rinnegare tutte le battaglie pubbliche sui “principi non negoziabili” ha questa ragione: non ostacolare l’ideologia e i poteri dominanti. Per questo Bergoglio ha (mal)trattato con gelido disprezzo il Family day e la recente “Marcia per la vita”.
Egli preferisce loro il Centro sociale Leoncavallo e cavalca le battaglie “politically correct” amplificate dai media: immigrati, ecologia, riscaldamento globale, ecumenismo.

La legge Bergoglio
Il caso della recente legge sulle unioni gay è emblematico. A vararla è stato il trio Renzi-Boschi-Alfano, cioè tre “cattolici”. Nessuno di loro – se non altro per motivi di bottega elettorale – avrebbe firmato un’operazione simile avendo contro la Chiesa. Con Benedetto XVI, per capirci, non sarebbe accaduto.
Invece da Bergoglio hanno avuto rassicurazioni: egli disse che su queste materie “io non m’immischio” (mentre però s’immischiava nelle presidenziali americane bombardando Trump per il tema dell’emigrazione).
Poi il sì bergogliano alle unioni gay è stato addirittura messo nero su bianco in quella “Amoris laetitia” che è un vero manifesto per la demolizione della Chiesa.
Leggere per credere: “Dobbiamo riconoscere la grande varietà di situazioni familiari che possono offrire una certa regola di vita, ma le unioni di fatto o tra persone dello stesso sesso, per esempio, non si possono equiparare semplicisticamente al matrimonio.” (n. 52)
Attenzione alla furbizia gesuitica. Solo in apparenza qua si nega il riconoscimento. In realtà queste parole implicano: (1) che “le unioni omosessuali” fanno parte della “grande varietà di situazioni familiari” da “riconoscere” (fino a ieri la Chiesa affermava che esiste una sola famiglia); (2) che “le unioni dello stesso sesso” offrono una “certa regola di vita (stabilità)” e (3) che “le unioni omosessuali” possono essere “equiparate” al matrimonio, però non in maniera “semplicistica”: con qualche finzione.
E’ precisamente quanto fa la legge appena approvata, che di fatto equipare le unioni gay al matrimonio senza dirlo ufficialmente.
Mons. Galantino ha finto una “protesta”, ma – attenzione – sul metodo di approvazione, non sul merito. Era un modo per salvare le apparenze di fronte ai cattolici, come ha scritto Marcello Sorgi sulla “Stampa”. La solita furbatella bergogliana.
Chi ha capito benissimo che con Bergoglio ci troviamo davanti a un’ “altra Chiesa” (non più cattolica) è Emma Bonino che dichiara: “questa Chiesa non ha nulla a che vedere con la veemenza intrusiva di Ruini”.
E infatti il titolo della sua intervista sulla “Stampa” è: “Ora avanti con eutanasia, cannabis, cittadinanza e asilo”.
Bergoglio e la “sua” chiesa non saranno certo d’ostacolo. I papi per duemila anni hanno detto di seguire l’esempio dei santi, ma invece il “papa argentino” di recente ha indicato proprio la Bonino e Napolitano come i “grandi italiani” da ammirare.

(Fonte: Antonio Socci, Libero, 13 maggio 2016).