giovedì 28 giugno 2012

Gay Pride a Roma: "Vogliamo diritti e matrimonio"

Chi – non io – sabato 23 si è trovato a passare, a Roma, tra piazza della Repubblica e piazza Bocca della verità, avrà visto la carnevalata di carri e di piume, cappelli, travestimenti: uomini che sembrano donne, donne che sembrano uomini, uomini che sembrano uomini ma sono donne «dentro» (anche fuori?) e viceversa; qualcuno/a che deve ancora decidere, altri/e che decidono di volta in volta, a seconda di dove tira (il vento, si intende).
«Quindici carri e un’esplosione di colori», «un serpentone giocoso e colorato» han raccontato i media, che in queste situazioni sono sempre ossequiosamente generosi.
Carnevale fuori stagione? Macché! «Festa dell’orgoglio». Che non è più solo, come una volta, orgoglio gay. Tocca aggiornarsi in tempo reale, perché nell’epoca del «gender» è così veloce la trasformazione, che, nell’associazione che riunisce chi non accetta più di essere banalmente (?) «maschio» o banalmente (?) «femmina», si aggiungono di giorno in giorno sempre pezzi nuovi. E così, il 23 giugno, a Roma, la parata era per la «festa dell’orgoglio Lgbtqia».
Proverò a spiegare, anche se non sarà semplice. Andando con ordine e nel rispetto – forse – del galateo, l’acronimo, aggiornato ad oggi (ma avverto che già domani potrebbe cambiare), sta per lesbian, gay, bisexual, transgender, questioning, intersex, and asexual. Metrosexual forse non ci stava nella sigla – magari sarà per la prossima volta –, ma i metrosessuali erano, pure loro, nella «giocosa carnevalata» di sabato. Insieme agli etero appartenenti a partiti, gruppi e associazioni che hanno deciso di aderire al Gay Pride di Roma.
Tutto si è sentito dire, dare, fare, baciare, lettera, testamento ai partecipanti del Gay Pride di Roma, e siccome non è carnevale, gli slogan, i cartelli, i gesti provocatorio-allusivi-irriverenti, i gavettoni, lo sfavillio degli abiti, le vere o finte tette al vento, le drag queen non erano lì a sfilare per ridere o per far ridere. Il corteo rigorosamente arcobaleno, aperto dallo striscione e dallo slogan «vogliamo tutto», scandito al ritmo di «I want it all» dei Queen, ha riassunto, letteralmente, il senso della manifestazione, come spiegato da Andrea Berardicurti del circolo Mario Mieli: «Non ci accontentiamo di Pacs e unioni civili, puntiamo dritti al matrimonio e i partiti devono saperlo: se vogliono i voti della comunità devono accogliere le nostre richieste senza se e senza ma».
«Senza se e senza ma» anche Paola Concia, deputata del Pd: «Lo slogan di quest'anno non poteva che essere questo. Non avendo niente, vogliamo tutto. In vent’anni in Italia non si è fatto niente ed ora ci si deve adeguare, tutto di un botto, alla civiltà». Che i partiti sappiano. Ed anche chi dentro i partiti milita; soprattutto i cattolici sedicenti «adulti» che ti chiedi che posizione prenderanno (senza doppi sensi), perché non è carnevale e dunque le richieste sempre più pressanti degli Lgbtqia non sono uno scherzo: sono, per loro che le fanno, «la» priorità di un serio (a detta loro) programma politico. Punto uno all’o.d.g. E attenzione, perché «vogliamo tutto» significa proprio tutto-tutto.
E infatti il matrimonio omosessuale è il leitmotiv anche del carro di Muccassassina: un’enorme torta nuziale sulla quale ballerini e drag queen hanno salutato i partecipanti al corteo.
Chi – non io – sabato 23 si è trovato a passare, a Roma, tra piazza della Repubblica e piazza Bocca della verità, avrà dunque visto le immagini che ora girano e piroettano anche in rete, riprese da ogni possibile inquadratura (e che poi non si dica «io non sapevo…») ed ha sentito quel che chiede a gran voce la minoranza Lgbtqia.
Spenti i riflettori sul Gay Pride di Roma, sarà bene puntarli ora sui cattolici impegnati in politica. Che ci facciano capire da che parte stanno. E' facile. Basta dicano forte e chiaro (e non in «politichese»!) se – nel merito – seguono la Parola, la Tradizione, il Magistero della Chiesa oppure no.

(Fonte: Luisella Saro, Cultura Cattolica, 25 giugno 2012)

Diffamazione e critica teologica

Uno dei mali del periodo postconciliare, denunciato molte volte da studiosi attenti alle vicende della Chiesa, è la debolezza delle autorità nel correggere gli errori dottrinali, oggi molto diffusi proprio a causa di questa desistenza dell’autorità, conformemente al simpatico motto popolare “quando la gatta dorme i topi ballano”.
Ma la cosa grave è che in questi ultimi anni è avvenuta una escalation, se così si può dire, in questa inosservanza al proprio dovere da parte delle autorità preposte: non solo oggi essa tollera la libera diffusione delle eresie mostrandosi priva di vigilanza, pavida e latitante, ma addirittura qua e là essa, intimorita dal chiasso dei modernisti che spesso hanno raggiunto posizioni di potere, cede ad un vergognoso rispetto umano che la porta non solo a ignorare quei pochi che ancora cercano di correggere gli errori e diffondono e difendono la sana dottrina, ma addirittura a censurali o a perseguitarli in nome di futili pretesti, privi di qualunque fondamento giuridico e di buon senso pastorale.
E’ un po’ come se il primario di un ospedale, impaurito dalla pressione di medici invidiosi nei confronti di un collega zelante ed attivo, proibisse a questi di curare i malati e lasciasse gli altri a compiere tranquillamente i loro guasti ai danni dei malati.
I modernisti, raggiunte posizioni di potere, sono diventati schiavi di un’arroganza e di una conseguente cecità che li portano ad ignorare le critiche che a loro vengono rivolte dai teologi fedeli alla sana dottrina, al Magistero e al Papa. Ed anzi, se reagiscono a queste critiche, facilmente accusano il cattolico fedele di “diffamazione”, mostrando con ciò stesso di abusare delle parole e di ignorare le prescrizioni del diritto, della giustizia e della verità. Ma a loro importa poco, perché si sentono forti e pensano di poter vincere non con la lealtà e la forza del diritto, ma con la prepotenza e la violenza.
Essi abilmente confondono le acque chiamando “diffamazione” quella che può essere un’acuta ed opportuna critica teologica, la quale, per così dire, “scopre i loro altarini” e denuncia le loro truffe. Ciò ovviamente dà a loro un immenso fastidio, ma poiché, naturalmente, essendo dalla parte del torto, non hanno validi argomenti per difendersi, quando non si chiudono in un sprezzante silenzio, reagiscono con insulti, false accuse e provvedimenti repressivi, loro che volentieri proclamano il “rispetto del diverso”, la “libertà della ricerca” e il “pluralismo teologico” nonché l’“ecumenismo” e il “dialogo interreligioso”, persino con i “non credenti”.
Essi inoltre, con la scusa della “complessità” delle questioni, si valgono della lentezza per non dire a volte dell’insensibilità delle supreme autorità romane, dove pure esistono degli infiltrati e degli elementi compiacenti (il recente furto al Papa di documenti segreti ne è un sintomo). La “pulizia” che il Papa invocava nella sua famosa omelia del Venerdì Santo del 2005 bisognerebbe cominciare a farla dalla Curia romana. O come disse quel tale al Concilio di Trento: “Gli eminentissimi cardinali hanno bisogno di un’eminentissima riforma”.
Ma il tragico di oggi non è solo il bisogno di una riforma morale ma di correggere errori dottrinali presenti nello stesso collegio cardinalizio, cosa tragica, forse mai avvenuta in tutta la storia della Chiesa, giacchè, se in passato abbiamo conosciuto gravissimi scismi con antipapi e nemici interni di vario genere, mai finora l’errore dottrinale - il “fumo di Satana”, come disse Paolo VI -, era penetrato così profondamente senza un’apparente salutare reazione laddove dovrebbe splendere quella luce di verità che illumina tutto il mondo, anche se naturalmente è beninteso che il supremo Pastore, circondato dai buoni vescovi, sempre resterà l’infallibile guida dei fratelli nel nome di Cristo. Sembra giunto il fatale momento dell’ “abominio della desolazione nel luogo santo” (Mt 24,15), predetto da Cristo come segno della fine del mondo. Credo tuttavia - è mia semplice opinione - che prima di questa fine dovrà essere realizzato in pienezza il rinnovamento promosso dal Concilio Vaticano II, secondo l’auspicio di tutti i Papi a partire dal Beato Giovanni XXIII.
In tal senso si deve dire a chiare lettere, contro incauti e forse inconsapevoli difensori della “Tradizione”, che anche le dottrine (non parlo dei provvedimenti pastorali-disciplinari) del Concilio Vaticano II sono infallibili, giusta quello che recentissimamente ha detto il Papa ai Lefevriani: “non dovete dire che nelle dottrine del Vaticano II ci sono degli errori”.
In tal modo le questioni si trascinano per anni e per decenni in mezzo a tergiversazioni, politica dello struzzo, riprovevoli ritardi, sottovalutazione del pericolo, ipocrite tolleranze, rispetti umani, mancanza di discernimento e di energia pastorale. E intanto il popolo di Dio rimane confuso, scandalizzato, diviso, ingannato, frastornato e tentato di seguire gli impostori col gravissimo danno di falsificare o perdere la fede. Ne approfittano i furbi e gli ipocriti come quelle stesse autorità che dovrebbero intervenire e non fanno niente, ma ciò naturalmente col danno di tutti, di chi sta in alto e di chi sta in basso.
Oltre ovviamente alla mancanza di credibilità di quella Chiesa che oggi si vorrebbe animata da un nuovo slancio missionario. Ma se non si pone rimedio a questi mali, il parlare di “nuova evangelizzazione” e “recupero delle radici cristiane dell’Europa” diventano frasi di pura retorica o che sanno di una presa in giro.
Ridurre la critica teologica a diffamazione è l’espediente meschino, sleale e giuridicamente inconsistente dei modernisti, per far tacere i loro critici e farli passare per persone incompetenti che non sanno quello che dicono o sono animate da invidia e rancore per le legittime autorità e i probati auctores dell’establishment modernista, che si ritiene la punta avanzata della Chiesa di oggi, dopo le lunghe tenebre (l“era costantiniana” o l’ “era piiana” - da Pio V a Pio XII - come dice Rahner), che hanno preceduto il Concilio Vaticano II, da loro interpretato ad usum delphini ossia come avallo dei loro errori.
Se di diffamazione si può parlare, questa semmai è quella perpetrata contro quei pochi coraggiosi che si ergono a difesa della verità, della sana dottrina e del Magistero della Chiesa, rinunciando a qualunque ambizione umana e a posizioni di prestigio. Se io avessi voluto far carriera o aver successo, non avrei seguito certo S.Tommaso da 50 anni a questa parte, ma mi sarei messo nella congrega dei rahneriani. Questo certo non vuol dire che a tutt’oggi non esistano ancora ai vertici della Chiesa e in campo teologico degnissime autorità. Saranno appunto loro, appoggiate dal popolo, a far quella “pulizia” che ha auspicato il Papa, pulizia ben più impegnativa, delicata ed importante di quanto è richiesto per lo sgombero dei rifiuti a Napoli.
La diffamazione - dovremmo ben saperlo - si fonda sulla menzogna ed è mossa dall’odio o dall’invidia. Per questo è giustamente punita dal diritto. La critica teologica è “diffamazione” solo per i teologi che hanno la coda di paglia, prime donne da teatro che non sopportano nessuna critica, spiriti gonfi di se stessi, permalosi e suscettibili, incapaci di opporre validi argomenti perché non li hanno, sofisti che seducono o incantano la gente con i loro show da buffoni o da finti profeti o geni di uno svampito romanticismo, ormai fuori moda.
La critica teologica si distingue essenzialmente dalla diffamazione perché è basata sulla verità ed è animata da disinteresse, carità e giustizia. Certamente essa poi rileva con prudenza, coraggio ed acribia difetti ed errori comprovati e può a tutta prima ferire l’orgoglio o compromettere la fama dell’errante, può anche suscitare un certo sdegno o scandalo nei seguaci dell’errante, siano essi in buona o cattiva fede.
Ma in fondo l’intervento della critica, per quanto a tutta prima possa essere doloroso e conturbante, a differenza della diffamazione che è solo distruttiva, è salutare, come l’intervento di un medico buono ed esperto che con franchezza denuncia un male nascosto, ma con l’intento e la possibilità di guarirlo, solo che il malato si lasci curare.
Purtroppo i medici sanno bene che esistono malati che non riconoscono i propri mali e che quindi non vogliono lasciarsi curare. Questo avviene purtroppo anche nel campo dello spirito, con la differenza che qui i mali, per quanto gravi, come per esempio l’eresia, se il malato è umile, docile, pentito e vuol guarire, possono essere sempre curati, a differenza dal campo della vita fisica, dove, come sappiamo bene, se sorge un morbo grave, non si guarisce anche con i medici migliori e tutta la buona volontà di guarire.
Bisogna mettersi in testa una buona volta, contro una certa mentalità catastrofica, occhiuta ed arcigna del passato, che dalle eresie si può guarire. Ed è con questa mentalità che occorre affrontarle. Altrimenti che cosa è la conversione? Che cosa è la metànoia della quale parla S.Paolo? E’ abbandonare le proprie certezze per seguire le mode, come alcuni hanno stupidamente sostenuto, è rinunciare a conservare la verità per abbracciare le favole, sotto pretesto del “nuovo” e del “progredito” o non è piuttosto riconoscere umilmente di aver sbagliato o di essere magari caduti inconsapevolmente nell’eresia, pronti a correggersi per abbracciare la verità?
Così come esistono progressi della medicina, per cui oggi si guarisce da malattie un tempo inguaribili, altrettanto oggi una pastorale più evangelica che per il passato, ispirata dal Concilio Vaticano II, consente di curare anche quelle malattie dello spirito, per le quali un tempo si era troppo intolleranti e per cui con durezza e troppa fretta adottavano metodi repressivi anziché avviare una paziente e caritatevole opera pastorale di recupero e di correzione, sull’esempio dei grandi santi del passato, a cominciare dall’esempio sommo di Gesù Cristo, con l’enorme pazienza ma anche fermezza che ebbe nell’opera educativa e correttiva dei suoi apostoli, divenuti poi luce del mondo e sale della terra.
Si parla tanto di dialogo, ma spesso i grandi maestri del “dialogo”, vittime di grossolani errori filosofici e teologici, non tollerano le minime osservazioni fatte peraltro da teologi dotti, caritatevoli e pienamente fedeli alla buona dottrina ed al Magistero della Chiesa. Essi “dialogano” solo con coloro che condividono i loro errori nonché con gli esponenti delle dottrine più strampalate ed anticristiane respingendo sdegnosamente gli avvertimenti, i richiami o le critiche di qualunque genere fatti dai fratelli di fede.
Speriamo che il prossimo Anno della Fede sia occasione per tutti - perché nessuno è infallibile - per una sincera revisione delle nostre idee, per vedere se sono veramente conformi alla sana ragione, alla verità del Vangelo ed alla dottrina della Chiesa, in un rinnovato impegno di approfondimento della verità e di comunicazione di essa all’intera umanità.

(Fonte: P. Giovanni Cavalcoli, OP , Riscossa cristiana,  22 giugno 2012)
 

Omosessualismo: il Gay Village a Roma

Come capita purtroppo già da qualche tempo, anche quest’anno, la città di Roma, città sacra del Cristianesimo, ospita quella tristissima manifestazione che porta il nome di Gay Village, una sorta di grande Gay Pride, prolungato per varie settimane. Come di consueto si tratta di una manifestazione di nicchia e di minoranza che però i grandi mass media nazionali promuovono in ogni modo, quasi si trattasse di un lotto di beneficenza e non, come è, di una fiera della volgarità, dell’intolleranza e dell’immoralità (cfr. “Corriere della Seraˮ e “Repubblicaˮ del 20 giugno 2012).
La cosa che rende triste la già tristissima ripetizione di queste fiere del peccato è l’assoluta mancanza di reazione da parte di quel mondo cattolico che, seguendo il Catechismo ufficiale della Chiesa, dovrebbe contrastare la tendenza omosessuale in quanto «oggettivamente disordinata» (CCC, 2358) e ritenere le pratiche omosessuali, esaltate al Gay Village, come «peccati gravemente contrari alla castità» (CCC, 2396).
Purtroppo da parte di non pochi fedeli la condanna cattolica dell’omosessualità è ristretta alla sola sfera morale, personale e privata, svincolando totalmente l’omosessualità e la sua affermazione legislativa dai problemi che pone nella sfera pubblica, sociale, culturale, igienica, estetica, scientifica, etc. Ma così non fa il Magistero della Chiesa.
Per esempio nelle Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, pubblicate dal card. Ratzinger nel 2003 ed approvate da Giovanni Paolo II, la Santa Sede non restringeva il problema dell’omosessualità ad un problema di morale individuale, fermandosi all’enunciato ovvio e banale: «omosessualità uguale peccato». Ma faceva cenno all’omosessualità quale devianza dilagante e diffusa ad arte dai media del progressismo, come «fenomeno morale e sociale inquietante», che «diventa più preoccupante nei Paesi che hanno già concesso o intendono concedere un riconoscimento legale alle unioni omosessuali» (n. 1).
I vari Gay Pride e Gay Village, al di là dell’aspetto mondano, esibizionista e immorale che contengono, sono i luoghi e i momenti principali in cui le danarose e potentissime lobby gay cooptano giovani e meno giovani, anche minorenni, istruendoli, arruolandoli e rendendoli, dopo osceni lavaggi del cervello, “devoti alla causa”. In tal senso il documento vaticano disapprova perfino la mera tolleranza sociale verso la cultura omosessuale, invitando i cattolici a «smascherare l’uso strumentale o ideologico che si può fare di questa tolleranza; affermare chiaramente il carattere immorale di questo tipo di unione; richiamare lo Stato alla necessità di contenere il fenomeno entro limiti che non mettano in pericolo il tessuto della moralità pubblica e, soprattutto, che non espongano le giovani generazioni a una concezione erronea della sessualità» (n. 5).
Alla luce delle limpide righe citate, ci sono certamente, secondo noi, gli estremi per vietare questo tipo di manifestazioni contrarie al buon costume, in cui, come noto, si oltraggia il comune senso del pudore, il sentimento religioso e il prevalente credo cattolico della popolazione. In quelle lugubri parate (ben descritte da Luca di Tolve, Ero gay, Piemme, Milano 2011, pp. 248, € 15.00), si invita il giovane e l’innocente al vizio (alcool, droghe, eccessi di ogni tipo), si insegna la trasgressione e l’odio di ogni norma sociale soggettivamente non apprezzata, e infondo di ogni repressione poliziesca o culturale, in nome della “diversità” e della “libertà”.
In ultima analisi si attacca impunemente la stessa Costituzione della Repubblica la quale stabilisce la famiglia quale unione naturale fondata sul matrimonio. Per tutte queste ragioni, chiare come il sole, il Gay Village, non solo non andrebbe promosso e foraggiato da enti pubblici e privati, come il Comune di Roma, ma andrebbe vietato ed impedito.

(Fonte: Fabrizio Cannone, Corrispondenza Romana, 27 giugno 2012)


giovedì 21 giugno 2012

Cristo nel Sacramento abita la Sua casa!

«Una interpretazione unilaterale del Concilio Vaticano II ha penalizzato questa dimensione, restringendo in pratica l’Eucaristia al momento celebrativo. In effetti, è stato molto importante riconoscere la centralità della celebrazione, in cui il Signore convoca il suo popolo, lo raduna intorno alla duplice mensa della Parola e del Pane di vita, lo nutre e lo unisce a Sé nell’offerta del Sacrificio. Questa valorizzazione dell’assemblea liturgica, in cui il Signore opera e realizza il suo mistero di comunione, rimane ovviamente valida, ma essa va ricollocata nel giusto equilibrio. In effetti – come spesso avviene – per sottolineare un aspetto si finisce per sacrificarne un altro. In questo caso, l’accentuazione posta sulla celebrazione dell’Eucaristia è andata a scapito dell’adorazione, come atto di fede e di preghiera rivolto al Signore Gesù, realmente presente nel Sacramento dell’altare.
Questo sbilanciamento ha avuto ripercussioni anche sulla vita spirituale dei fedeli. Infatti, concentrando tutto il rapporto con Gesù Eucaristia nel solo momento della Santa Messa, si rischia di svuotare della sua presenza il resto del tempo e dello spazio esistenziale. E così si percepisce meno il senso della presenza costante di Gesù in mezzo a noi e con noi, una presenza concreta, vicina, tra le nostre case, come «Cuore pulsante» della città, del paese, del territorio con le sue varie espressioni e attività.
Il Sacramento della Carità di Cristo deve permeare tutta la vita quotidiana. In realtà, è sbagliato contrapporre la celebrazione e l’adorazione, come se fossero in concorrenza l’una con l’altra. E’ proprio il contrario: il culto del Santissimo Sacramento costituisce come l’«ambiente» spirituale entro il quale la comunità può celebrare bene e in verità l’Eucaristia. Solo se è preceduta, accompagnata e seguita da questo atteggiamento interiore di fede e di adorazione, l’azione liturgica può esprimere il suo pieno significato e valore.
L’incontro con Gesù nella Santa Messa si attua veramente e pienamente quando la comunità è in grado di riconoscere che Egli, nel Sacramento, abita la sua casa, ci attende, ci invita alla sua mensa, e poi, dopo che l’assemblea si è sciolta, rimane con noi, con la sua presenza discreta e silenziosa, e ci accompagna con la sua intercessione, continuando a raccogliere i nostri sacrifici spirituali e ad offrirli al Padre».

(Benedetto XVI, Omelia per la Santa Messa del Corpus Domini, 7 Giugno 2012)

Omosessuali: la caccia alle streghe contro Cassano e Fioroni

Ci perdoneranno se ancora una volta ci occupiamo di questioni legate all’omosessualità, ma il tema in questo periodo è molto caldo e tante cose ci sono e ci saranno da dire. Ogni giorno arrivano da tutto il mondo notizie di violenza e discriminazione omosessualista nei confronti di chi ha idee differenti sul comportamento omosessuale e sulle nozze gay. Spesso ne abbiamo dato notizia, proprio per sottolineare l’incoerenza di una lobby che finge di essere discriminata -nonostante il completo sostegno del potere mediatico- e invoca tolleranza (e privilegi vari), ma poi aggredisce con una feroce intolleranza chi osi pensarla differentemente.
E’ nota a tutti la risposta del calciatore della Nazionale Antonio Cassano ad una domanda sulle frasi di Alessandro Cecchi Paone (per qualcuno satiricamente Checca Paone), secondo cui in Nazionale ci sarebbero «due gay, un bisessuale e tre metrosexual». Cassano, divertito da queste ossessioni omosessualiste, ha risposto: «Se dico quello che penso sai che cosa viene fuori… mi auguro che non ci siano veramente froci in Nazionale». Come ha fatto notare Emmanuele Michela su Tempi.it, il clima tra i giornalisti (si veda il video sotto) era di allegria rispetto alla spiritosa schiettezza e bonaria spontaneità del giocatore azzurro. Spenti i microfoni, è invece subito piombato il dovere di strumentalizzare il caso per la solita marchetta al mondo gay: i bigotti moralisti hanno appeso al muro Cassano per aver usato il termine “frocio” (lo stesso era capitato a Beppe Grillo quando ha parlato di “busoni”, per fortuna l’omosessuale Nino Spirlì ha dichiarato: «Crocifiggerlo per il termine frocio nel 2012 mi sembra veramente fuori dalla grazia di Dio»), il gay onnipresente Franco Grillini ha sostenuto che il giocatore ha violato i diritti umani e perciò «Prandelli deve lasciare a casa Cassano dagli Europei», mentre la lesbica onnipresente Paola Concia si è offerta per “rieducare” e “allineare” Cassano alla mentalità e al pensiero unico del politicamente corretto. Tra le poche difese a Cassano, quella di Giuseppe De Bellis, videdirettore de Il Giornale: «Cassano dice solo quello che pensa, senza la pretesa che sia giusto. Quelli che lo attaccano, invece, vorrebbero che lui dicesse ciò che pensano loro».
L’altra recente vittima della lobby omosessuale si chiama Beppe Fioroni, deputato del Partito democratico (Pd) ed ex ministro dell’Istruzione durante il secondo governo Prodi. Il motivo della discriminazione? Ha agito con coerenza opponendosi alla plateale apertura del leader del PD Pier Luigi Bersani alle unioni omosessuali (stesso partito in cui milita Paola Concia), e al testamento biologico, a cui hanno seguito le dichiarazioni di tanti altri esponenti democratici, come quella del condirettore di “Europa” (quotidiano ufficiale del Partito Democratico) Federico Orlando, militante dei radicali. Fioroni ha ufficializzato la sua posizione in un’intervista per “Avvenire”: «se Bersani dovesse dimenticare le priorità, sarei costretto a riflettere e, magari, a muovermi [...], su questioni che non sono da tessera di partito, ma interpellano la nostra coscienza e sulle quali – le assicuro – non ci saranno blitz. Io ho sempre avuto una posizione chiara e continuerò ad averla. Ho sempre detto i miei “sì” e i miei “no” e continuerò a farlo. Senza timore di essere messo alla porta e consapevole di non essere solo. C’è un’area vasta nel Pd pronta a dire no a derive eutanasiche e coppie gay» (una vasta area tanto silenziosa che pare inesistente, a dir la verità).
Fioroni si è beccato una serie di insulti e inviti ad abbandonare il Partito Democratico, tanto che il direttore di “Europa” Stefano Menichini è dovuto intervenire: «Fioroni lo si può criticare, ma insultarlo è esagerato». Il deputato del Pd Andrea Sarubbi ha tentato timidamente di farsi sentire a sua volta: «Dura vita dei cristiani Pd. A sinistra mi danno del talebano, nell’Udc mi danno del laicista. E noi qui, qui nel mezzo, finche ce n’è. Evitiamo questo clima da curve contrapposte, il Pd, come d’altronde il Paese, è il frutto dell’incontro di culture diverse, in cui quella cattolica rivendica la sua dignità, ma si deve parlare nel rispetto reciproco». Lo stesso Fioroni, su Twitter: «Mi indigna profondamente sentirmi da alcuni chiamare omofobo quando per storia e cultura il rispetto dell’Altro è la mia vita».
Lo stesso copione di sempre, insomma: chi osa pensarla diversamente dal mainstream omosessuale viene coperto di fango.

(Fonte: UCCR, 15 giugno 2012)

Le leggende nere sulla Chiesa non finiscono mai. L’ultima: «Pio XI fu assassinato!»

Sul sito del Corriere della Sera, il 17 maggio scorso, comparve un articolo così intitolato: «Pio XI fu assassinato dal padre di Claretta?». Nel sottotitolo si poteva leggere: «Dall’agenda dell’amante di Mussolini qualcuno ha strappato le pagine dal 5 al 12 febbraio del 1939, e il Pontefice morì il 10. Sul tavolo del Papa era pronta l’enciclica contro l’antisemitismo».
Non è una novità. Questa fosca leggenda fu messa in piazza, a suo tempo, da ambienti comunisti interessati a gettare fango sul Papa regnante, quel Pio XII che aveva tagliato loro la strada verso il potere proclamando la scomunica per chi, nel 1948, avesse votato per il PCI. Certo, fa un po’ specie che questa fanghiglia venga ripescata da una voce autorevole come quella del Corriere. Soprattutto perché non appare sostenuta da validi elementi. Nell’articolo si parla di pagine dei diari di Claretta che sarebbero state strappate. Esattamente le pagine che vanno dal 5 al 12 febbraio 1939 (e Papa Ratti morì il 10 febbraio). Ma (a parte il fatto che solo un cretino può pensare che la donna avrebbe scritto: «Mio padre ha ammazzato il Papa») nei diari di Claretta pubblicati da Rizzoli - lo stesso editore del Corriere - vi sono parecchi vuoti. Non è detto quindi che la giovane amante del Duce scrivesse ogni giorno.
Si fa poi riferimento ad un’affermazione («Lo hanno assassinato») che sarebbe stata fatta nel 1972 dal cardinale Eugène Tisserant e ad una «decisione» di Papa Giovanni XXIII che, vent’anni dopo, avrebbe fatto pubblicare solo in parte la bozza del discorso che Pio XI aveva preparato e che avrebbe pronunciato alla radio se non fosse deceduto (discorso, non enciclica: quella l’aveva già promulgata e diffusa in tutto il mondo).
Prima di tutto, va ricordato che Pio XI fu un deciso avversario del nazismo e del fanatismo razzista. Ne è testimone, appunto, la famosa enciclica «Mit brennender Sorge», alla quale collaborò da vicino colui che poi sarebbe diventato il suo successore, ovvero Eugenio Pacelli. Per saperne di più, mi permetto di ricordare il mio libro (Luciano Garibaldi, O la Croce o la Svastica, pubblicato nel 2009 dalla Lindau), dove la vicenda è ricostruita in ogni particolare.
A seguito di questo rimestare nel torbido, ho ritenuto opportuno ascoltare l’ultimo nipote vivente dell’archiatra pontificio Francesco Saverio Petacci, ovvero, Ferdinando Petacci, settantenne, che vive negli Stati Uniti, in Arizona. Questa l’intervista esclusiva:
D. Che c’entra il cardinale Tisserant con questa confusa storia?
«Chiaramente il cardinale Eugène Tisserant non ha mai parlato né affermato niente riguardo alla questione, ma, dopo la sua morte, misteriosamente apparve uno scritto anonimo (e il Corriere della Sera non dice che era anonimo), scritto che fu attribuito a lui e che accuserebbe mio nonno».
D. Qual era il suo esatto ruolo in Vaticano?
«Mio nonno era uno degli archiatri pontifici, ma non il capo di essi. Inoltre, era legato da personale amicizia con Papa Ratti fin da molti anni prima che il cardinale salisse al trono pontificio».
D. Come e perché nacquero le insinuazioni contro di lui?
«I comunisti furono i primi ad accusare mio nonno, ma il motivo è evidente: dovevano fare apparire mio nonno, e mio padre Marcello, come dei filonazisti per giustificare l'assassinio di mio padre a Dongo, assassinio di un uomo che non solo collaborava con l'Intelligence Service sotto il nome di copertura di "Fosco" (come ha riportato anche Urbano Lazzaro, il capo partigiano che catturò Mussolini, nei suoi libri di memorie), ma si dedicava anche a salvare ebrei, come testimoniano numerose lettere in mio possesso e che lei, Garibaldi, conosce da tempo. Per i comunisti, la vergogna di avere ucciso un collaboratore degli Alleati doveva essere a tutti costi evitata».
D. Approfondiamo questo aspetto, invero poco conosciuto, della personalità di suo padre e di suo nonno.
«In realtà, mio nonno e mio padre collaboravano con gli inglesi ed aiutarono ebrei anche attraverso il Vaticano durante il pontificato di Pio XI. Riguardo alla solidarietà di Papa Ratti nei confronti degli ebrei, del resto, è sufficiente rileggersi l'articolo di Andrea Tornielli, un giornalista studioso dei fatti vaticani, apparso su "Il Giornale" il 17 dicembre del 2008. Ora, se due più due fa quattro, è chiaro che esisteva una via vaticana di aiuto agli ebrei a cui mio nonno e mio padre collaboravano. Del resto, come ricordavo prima, lei lo sa perché ha letto le lettere inviate dagli ebrei nell’immediato dopoguerra a mia madre, lettere che testimoniano dell'aiuto ricevuto. Ed oltre a ciò, io ne ho un ricordo preciso perché ho vissuto personalmente quelle vicende quando, da giovanetto, andai, con mia madre e mio fratello, a vivere a Milano. Ricordo perfettamente l'apprezzamento di numerose famiglie ebree per la memoria di mio padre».
D. L’articolo del Corriere on line afferma anche che suo nonno era «ricattabile» dal regime fascista.
«Che mio nonno fosse ricattabile è un'altra invenzione. Il nonno scriveva sul “Messaggero” articoli sulla salute. Ma che non fosse non solo ricattabile, ma neanche influenzabile, lo dimostra il fatto che, alle ripetute richieste del Duce di divenire il suo ministro della Sanità, oppose sempre un netto rifiuto».

(Fonte: Luciano Garibaldi, Riscossa Cristiana, 20 giugno 2012)

La teologia politicante di Dossetti, Prodi, Casini, Monti

Il confine tra l’Autore dei miracoli e il miracolista politico comincia ad apparire, quando si legge, nel Vangelo, che Gesù agì senza indugio: Alzati e cammina. Si fa chiaro del tutto quando si rammenta che il miracolista prende tempo: Adesso ti azzoppo ma un giorno organizzerò la tua felicità.
Scoprire che il miracolismo è una parodia del miracolo non vuol dire che il miracolista sia sempre in mala fede e che proponga un futuro del tutto impossibile.
Ad esempio, era nobile l’intenzione dichiarata dal progenitore dei democristiani credenti nel miracolo bancario di Monti, don Giuseppe Dossetti: fugare la notte dell’egoismo, che acceca i possessori della ricchezza.
Nel pio auspicio di Dossetti la buona volontà politicante avrebbe potuto trovare argomenti utili ad un costruttivo dialogo tra atei e credenti. Ove gli atei militanti a sinistra avessero riconosciuto l'esistenza di un rapporto tra la notte dell’egoismo e l’indebito culto che il pensiero di Marx tributa all’economia.
Purtroppo la speranza di Dossetti e dei democristiani intelligenti, era ed è alimentata da un errore - il neomodernismo - che prima di desiderare la correzione dell’egoismo pretende di abbattere quei princìpi del senso comune, adottati dalla Chiesa cattolica per perfezionare la filosofia classica.
E’ questo il punctum dolens: facendo propria la suggestione dei vetero modernisti, Dossetti e i suoi discepoli hanno prestato il fianco ai pregiudizi del relativismo post-moderno.
Di qui la strisciante opinione che attribuisce la causa della cancrena egoistica, in ultima analisi la causa del male capitalista, alla metafisica: la storia della corruzione filosofica, secondo i cattolici intelligenti, inizia da Aristotele e attinge il vertice con San Tommaso.
Il fideismo politico dei cattolici ha dunque origine da un abbaglio accecante, che suggerisce l’istruzione di un processo sommario alla metafisica classica e cristiana.
Non a caso, dietro il sipario, agisce la vecchia teoria (formulata dal teologo liberale Harnak e dai modernisti Loisy e Bonaiuti) sulla necessità di dichiarare la guerra della fede cristiana contro le verità di ragione stabilite dalla metafisica.
Un progetto insensato, che contempla i nemici mortali della fede cristiana nell’aristotelismo e nel tomismo.
La fede cadrebbe sotto il dominio dell’irrazionalità e, diventando nemica della ragione, le dovrebbe attribuire il titolo (inventato da Lutero) di prostituta di Satana.
Il terreno ideale per lo sviluppo del miracolismo è costituito, appunto, dalla tesi riproposta da Sergio Quinzio e Gianfranco Ravasi, secondo cui, prima della contaminazione con il realismo greco, le comunità cristiane avrebbero nutrito una fede del tutto separata dalla ragione ed opposta alla logica classica.
Ora i segnali dell’appartenenza di Dossetti alla fede irrazionale sono inequivocabili. Dossetti, infatti, dichiarando l’adesione senza esternare dubbi e riserve, ad una delle tesi irrazionalistiche di Emanuel Levinas, dichiarò risolutamente che, per contrastare l’egoismo, non è sufficiente rifarsi al principio di solidarietà ma occorre “ribaltare tutta l’impostazione occidentale, rimandando all’impostazione ebraica originale” (“Sentinella quanto resta della notte?”, Edizioni Lavoro, Roma, 1994”, pag. 24, dove sono citate le “Quattro letture talmudiche” di Emanuel Levinas).
La critica alle scuole di pensiero che hanno generato l’egoismo disgregatore è preceduta e indirizzata da un attacco ai fondamenti della metafisica cristiana.
Non senza fatica si può ammettere che Dossetti ignorasse la radice heideggeriana e modernistica del presunto pensiero biblico, ma questo non diminuisce la gravita del suo errore.
L’attacco dossettiano alla metafisica, infatti, non risparmiava neppure il preambolo logico della morale cristiana, l’assioma “nihil volitum nisi praecognitum”, la volontà non può indirizzarsi ad un oggetto sconosciuto.
Dossetti, dopo aver citato, dal libro dell’Esodo, la risposta degli ebrei a Mosé (“faremo e udiremo”) si contorceva in un cunicolo ermeneutico senza sbocchi ed affermava solennemente il nuovo principio della logica: volere prima di conoscere.
Testualmente: “Essi (gli ebrei) scelsero un’adesione al bene precedente alla scelta tra il bene e il male. Realizzarono così un’idea di una pratica anteriore all’adesione volontaria. L’atto con il quale essi accettarono la thorà precede la conoscenza”( Op. Cit., pag. 48).
Secondo l’ispiratore del miracolismo politico, sarebbe dunque possibile eseguire un comando di cui s’ignora il contenuto.
Per quanto sembri incredibile, nella (pseudo) filosofia dossettiana avviene il passaggio dalla teoria del servo arbitrio a quella del servo senza ragione. Obbedire non perché ipse dixit ma benché ipse non dixit.
Questa sarebbe la risposta biblica all’impostazione occidentale: il passaggio dalla ragione al delirio, e dalla realtà all’incubo.
Non occorre altro per penetrare nell’universo mentale del miracolista Romano Prodi e del suo successore, Pier Ferdinando Casini, credente in Mario Monti, miracoloso emissario della Banca Universale Umanitaria & Salvifica.

(Fonte: Piero Vassallo, Riscossa cristiana, 19 giugno 2012)

Anno della fede, risposta alla povertà spirituale di oggi

«L’ultimo Anno della fede fu tenuto nel 1968 per ricordare il martirio di Pietro. Oggi siamo in un’epoca di "crisi di fede" e il Papa ha voluto che celebrassimo questo speciale anno di preghiera e d’impegno per trovare un rimedio alla stessa crisi. Il momento è critico ma non deve mancare la fiducia che Dio darà alla sua Chiesa tutti gli aiuti per superare questa difficoltà»: lo ha detto oggi in Vaticano mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, durante la presentazione alla stampa dell’Anno della fede, che si aprirà ufficialmente giovedì 11 ottobre 2012 in piazza San Pietro e si chiuderà il 24 novembre dell'anno successivo. Si terrà una solenne concelebrazione con i padri Sinodali, i presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo, i padri Conciliari ancora viventi (35 al momento, ha ricordato mons. Fisichella). Il vasto programma dell’Anno della fede è consultabile sul nuovo sito internet, inaugurato questa mattina: www.annusfidei.va, per ora in italiano e inglese e presto in altre lingue tra le più parlate dalla cristianità.
«Sottoposto da decenni alle scorribande di un secolarismo che in nome dell'autonomia individuale richiedeva l'indipendenza da ogni autorità rivelata e faceva del proprio programma quello di "vivere nel mondo come se Dio non esistesse", il nostro contemporaneo si ritrova spesso a non sapersi più collocare», ha continuato Fisichella. Per il capo-dicastero vaticano, "la crisi di fede è espressione drammatica di una crisi antropologica che ha lasciato l'uomo a se stesso; per questo si ritrova oggi confuso, solo, in balia di forze di cui non conosce neppure il volto, e senza una meta verso cui destinare la sua esistenza".
È necessario, ha aggiunto, "poter andare oltre la povertà spirituale in cui si ritrovano molti dei nostri contemporanei, i quali non percepiscono più l'assenza di Dio dalla loro vita, come una assenza che dovrebbe essere colmata".

Mons. Fisichella si è detto poi "contento di poter dare notizia che la Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti ha approvato il formulario di una messa speciale "per la Nuova evangelizzazione". Un chiaro segno - ha aggiunto - perché in questo Anno e alla vigilia del Sinodo dedicato alla nuova evangelizzazione e trasmissione della fede si dia il primato alla preghiera e specialmente all'Eucaristia fonte e culmine di tutta la vita cristiana".
L'Anno della fede che ha indetto per celebrare i 50 anni del Concilio Vaticano II e i 20 del Catechismo della Chiesa Cattolica, vedrà Benedetto XVI impegnato in 21 impegnativi appuntamenti pubblici. L'elenco degli impegni che prevedono la partecipazione del Pontefice è stato reso noto oggi.
"La Solenne Apertura dell'Anno della fede - ha annunciato - avverrà in piazza san Pietro il prossimo giovedì 11 ottobre, ricorrenza del cinquantesimo anniversario dell'inizio del Concilio Vaticano II. Vi sarà una solenne celebrazione eucaristica concelebrata da tutti i Padri Sinodali, dai presidenti delle Conferenze Episcopali del mondo e dai Padri conciliari ancora viventi". E dieci giorni dopo, domenica 21 ottobre, nella stessa piazza il Papa presiederà la canonizzazione di 6 martiri e confessori della fede che, ha detto Fisichella, "con l'eroismo della loro vita vengono posti dalla Chiesa come esempi di fede vissuta: Jacques Barthieu sacerdote gesuita, martire missionario in Madagascar (1896); Pietro Calungsod laico catechista, martire nelle Filippine (1672); Giovanni Battista Piamarta, sacerdote testimone della fede nell'educazione alla gioventù (1913); Madre Marianne (Barbara Cope) testimone della fede nel lebbrosario di Molokai (1918); Maria del Monte Carmelo, religiosa in Spagna (1911), Caterina Tekakwitha, laica indiana convertita alla fede cattolica (1680), e Anna Schaffer, laica bavarese, testimone dell'amore di Cristo dal letto di sofferenza (1925)".
Il 25 gennaio 2013 la tradizionale celebrazione ecumenica nella Basilica di San Paolo fuori le Mura avrà, nel contesto dell'Anno della Fede, quello che monsignor Fisichella ha definito "un carattere ecumenico più solenne e pregheremo insieme perché attraverso la comune professione del Simbolo i cristiani che hanno ricevuto lo stesso battesimo non dimentichino la via dell'unità come segno visibile da offrire al mondo".
Sabato 2 febbraio la celebrazione per tutte le persone che hanno consacrato la loro vita al Signore con la professione religiosa potranno ritrovarsi nella Basilica di San Pietro per una preghiera comune a testimonianza che la fede richiede anche segni concreti che orientano a mantenere viva l'attesa del Signore che ritorna.
La Domenica delle Palme, il 24 marzo sarà come sempre dedicata ai giovani che si preparano alla Giornata Mondiale della Gioventù. E domenica 28 aprile sarà dedicata a tutti i ragazzi e ragazze che hanno ricevuto il sacramento della Confermazione"."Il Santo Padre - ha rivelato il capo dicastero - conferirà la Cresima a un piccolo gruppo di giovani come testimonianza della professione pubblica della fede a conferma di quella battesimale".
Domenica 5 maggio sarà dedicata alla celebrazione della fede che trova nella pietà popolare una sua espressione iniziale e che nel corso dei secoli si è trasmessa come forma peculiare di fede di popolo attraverso la vita delle Confraternite. Mentre la vigilia di Pentecoste, il 18 maggio, sarà dedicata a tutti i Movimenti: "chiederemo al Signore - ha anticipato ancora il presule - di inviare ancora con tanta abbondanza il suo Spirito perché si rinnovino i prodigi come ai primi tempi della Chiesa nascente".
Alla festa del Corpus Domini, domenica 2 giugno, il Pontefice guiderà la tradizionale processione eucaristica che sarà seguita da una Solenne Adorazione in piazza Santa Maria Maggiore, che avrà luogo mentre in contemporanea in tutto il mondo si adorerà l'Eucaristia a livello locale. Così, ha affermato monsignor Fisichella, "nella cattedrale di ogni diocesi e in ogni chiesa dove sarà possibile alla stessa ora si realizzerà il silenzio della contemplazione a testimonianza della fede che contempla il mistero del Dio vivo e presente in mezzo a noi con il suo Corpo e il suo Sangue".
Domenica 16 giugno sarà dedicata alla testimonianza del Vangelo della vita che da sempre ha visto la Chiesa come promotrice della vita umana e a difesa della dignità della persona dal primo istante fino al suo ultimo momento naturale.
Domenica 7 luglio Benedetto XVI sarà ancora in piazza San Pietro per la conclusione del pellegrinaggio che i seminaristi, le novizie, i novizi e quanti sono in cammino vocazionale compiranno per rendere pubblica la gioia della loro scelta di seguire il Signore nel servizio alla sua Chiesa.
Ben tre grandi celebrazioni impegneranno Papa Ratzinger in Brasile, dal 23 al 28 luglio, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro. Rientrato a Roma, il 29 settembre presiederà invece una celebrazione speciale per i Catechisti, "per rendere più evidente - ha sottolineato Fisichella - l'importanza della catechesi nella crescita della fede e l'intelligenza intelligente e sistematica della fede in rapporto alla vita personale e della crescita comunitaria. Sarà un'occasione per ricordare anche il ventesimo anniversario della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica".
Domenica 13 ottobre vedrà poi la presenza di tutte le realtà mariane per indicare come la Vergine Maria, Madre di Dio, sia icona della fede di ogni credente che nel suo affidarsi obbedienziale alla volontà del Padre può compiere autentiche meraviglie.
E domenica 24 novembre, infine, sarà presieduta dal Papa la giornata conclusiva dell'Anno della fede.

(Fonte: Avvenire, 21 giugno 2012)

Crisi del Vaticano o crisi della fede?

Nelle ultime settimane sembra essersi scatenata all’interno dei Sacri Palazzi, una lotta di potere, a base di fuga di documenti riservati, manovre di disinformazione e illeciti di vario genere. Le carte portate a conoscenza del pubblico per la verità non rivelano particolari malefatte di questo o quel prelato, né tanto meno del Santo Padre. Ciò che effettivamente desta stupore, angoscia e perplessità è la situazione di semi-anarchia che di fatto vige anche nella sponda più nobile del fiume Tevere.
Taluni, davanti alle sparate dei giornali laici, sempre avidi di gossip ecclesiastici, parlano della Curia Romana come il ricettacolo della malavita, il luogo in cui, per eccellenza, tutto è corrotto, e non a caso, ma per sua stessa natura. Costoro, a cui la storia, anche ecclesiastica, insegna ben poco, sembrano proporre un sottile ricatto alle legittime autorità della Chiesa: visto che voi, pur tra i tanti aggiornamenti post-conciliari, non volete cedere nel mantenimento della forma monarchica (e non democratico-elettiva) del Papato – né sul celibato, né sul sacerdozio femminile et similia – siete corresponsabili degli abusi, tipici delle vecchie Corti di potere di questo o quel sovrano.
Le cose, in verità, sono da vedersi in modo diametralmente opposto. E’ stata proprio la tendenza, già protestante, poi modernista, quindi post-conciliare, favorevole al potere dal basso, all’auto-governo e al rifiuto del diritto penale nella Chiesa ad aver fatto prosperare la presente crisi. Già scrivendo ai cattolici d’Irlanda, a proposito degli abusi del clero sui minori, Benedetto XVI segnalava il rapporto di collateralità e con-causalità tra la mentalità larga degli anni del Concilio e la mancata repressione dei delitti, la quale ha indubbiamente favorito e incoraggiato il male della pedofilia, e così tutti gli altri mali.
A forza di identificarsi col mondo, e molto meno col Cristo, la Chiesa ha iniziato ha pensarla a poco a poco come il mondo, il quale dalla Rivoluzione francese in qua, continuamente predica la “libertà” e parallelamente condanna “l’autorità”. Ma senza autorità, la libertà prima o poi diviene arbitrio, licenza, libertinaggio e legge del più forte. E oggi i forti sono i potentati di stampo laico-massonico-finanziario, i quali fanno il bello e il cattivo tempo non solo nell’economia, loro dominio di predilezione, ma ciò che è più grave nella politica e nella cultura. D’altra parte se i sacerdoti cattolici non si formano più alla scuola dell’Imitazione di Cristo e degli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio, ma si (de)-formano seguendo i nuovi cantori teologici della modernità e dell’aggiornamento no limits, la ricerca della perfezione e del distacco dalla mediocrità (il cui nome è legione) diviene merce rara e perfino vista come inutile.
Se nella scelta dei Vescovi prevale, non la fedeltà al Vangelo sine glossa e la vita retta e pia, ma la capacità di rapportarsi dinamicamente al contesto culturale in perenne evoluzione, perché meravigliarsi se questi Pastori non vigilano il gregge loro affidato? E se, in ultima analisi, il Paradiso è dato gratis a tutti e ad ognuno, perché, meravigliarsi se nelle difficoltà della vita e nelle tentazioni il prelato di turno antepone i propri interessi economici e di carriera, a quelli della Chiesa? La fosca luce gettata, a partire dal Concilio, su ogni forma di “moralismo”, “integralismo”, “dogmatismo”, “autoritarismo” non ha forse comportato il prevalere, nelle cattedre, nelle Commissioni e nelle Curie, di una generazione di presuli, il più lontano possibile da ogni intransigenza? Ma senza intransigenza come vincere la carne, il peccato e il mondo?
Che il Pontefice e quei Vescovi che zelano la restaurazione della Chiesa, ora tutta in rovina, non solo non deflettano dalla sequela di Cristo, ma ribadiscano con più veemenza che la dottrina cattolica non è negoziabile, che il Vangelo non cambia, che l’autorità della Chiesa sarà sempre monarchica, e che è proprio la perdita, in moltissime anime, di queste certezze, la causa più profonda degli scandali attuali. Vi sarà una purificazione, certo, ma non nel compromesso col mondo moderno ammorbato da tanti virus, bensì nella lotta contro di esso e della sua mentalità atea, agnostica e anticristiana. Instaurare omnia in Christo!

(Fonte: Fabrizio Cannone, Corrispondenza Romana, 19 giugno 2012)

sabato 9 giugno 2012

L’ultima gaffe dell’Unione Atei e Agnostici Razionalisti

Sta circolando un’immagine offensiva in cui tre scimpanzé, un maschio, una femmina e un cucciolo, vengono irriguardosamente accostati alla Sacra Famiglia. Il motivo del raffronto sacrilego è contenuto nel bodycopy: «Nessuno ha l’esclusiva sui modelli di famiglia». Ovvia l’allusione al magistrale intervento del Sommo Pontefice al VII Incontro mondiale delle famiglie tenutosi a Milano.
Gli ideatori di questa bella pensata sono, ça va sans dire, gli impareggiabili gaffeur dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, che nel perenne tentativo di voler apparire insolenti, beffardi e irrispettosi ad ogni costo, restano spesso vittime di incidenti che li fanno precipitare nel ridicolo o nel comico involontario.
Con quest’ultima boutade delle scimmie, il messaggio che i maldestri impertinenti dell’UAAR intendono trasmettere – così come testualmente si legge nel loro sito istituzionale – è che «non esiste un modello “unico” e “naturale” di famiglia». Il punto è che hanno magistralmente toppato la strategia di marketing utilizzata per veicolare tale messaggio, visto che sono riusciti a trasmettere l’esatto contrario di ciò che intendevano propagandare.
Un omerico autogol, nella migliore tradizione uaarrina.
Ora, a prescindere dall’aspetto blasfemo – sul quale è meglio stendere un velo pietoso – il concetto che con tutta evidenza promana da quella insolente rappresentazione fotografica, è che un modello di famiglia naturale esiste eccome: è composto da un esemplare maschio, un esemplare femmina e da un cucciolo. Il passaggio, poi, dal mondo animale a quello umano è più che naturale.

Una siffatta idea di composizione familiare, tra l’altro, non è per nulla un’invenzione del cristianesimo, né tantomeno della Chiesa Cattolica. Fin dall’antichità, e ben prima, quindi, dell’avvento di Cristo, la famiglia, costituita da un uomo e una donna e fondata sul matrimonio, è stata considerata come la cellula della società, «principium urbis et quasi seminarium rei publicae», per mutuare la celebre espressione di Cicerone nel suo De Officiis, ovvero il fondamento della comunità e una sorta di vivaio dello stato. E questa idea, come ricordava sempre il grande Cicerone, è mutuata dal mondo animale poiché «natura commune animantium, ut habeant libidinem procreandi».
Nel patetico quanto sfortunato tentativo di contestare l’evidenza naturale del concetto di famiglia – così come da sempre è propugnato dal Magistero della Chiesa Cattolica – i nostri goffi dissacratori dell’UAAR sono riusciti a rendere un’immagine plastica di quello stesso concetto, al punto di rischiare qualche severa reprimenda da parte della potente lobby gay. Se non addirittura l’accusa di omofobia. In effetti, è difficile reperire in natura due scimpanzé omosessuali, e se anche, per uno scherzo della medesima natura, qualche esemplare fosse possibile rinvenirlo, certamente sarebbe difficile accostarlo al compagno/a insieme ad un cucciolo.
Anche tra gli scimpanzé, infatti, per generare un essere vivente di quella specie occorre un gamete femminile ed un gamete maschile. La dura realtà è che il mondo animale non conosce le “famiglie arcobaleno” che gli umani cercano caparbiamente di creare a dispetto della natura.
Se non fosse stato per l’irriverente, empio e sacrilego raffronto tra le scimmie e la Sancta Familia, questa volta avremmo potuto persino ringraziare l’UAAR per aver fatto comprendere, attraverso una semplice immagine che vale più di mille parole, come in natura non possano esistere altre famiglie se non quelle costituite da un individuo maschile, uno femminile e dalla prole nata dalla loro unione. Con buona pace di tutte le presunte alternative a questo “unico” ed immutabile modello “naturale”.

(Fonte: Gianfranco Amato, Cultura Cattolica, 5 giugno 2012)

Unità e divisioni nella chiesa

Il “Giornale” del 4 giugno scorso riporta una piccola intervista fatta da Stefano Zurlo al Card. Bagnasco per chiedergli un commento del grande raduno verificatosi a Milano in occasione del Convegno per la Famiglia e della visita del Papa.
Il giornalista chiede al Cardinale: “continua la guerra dentro la Chiesa?”. E il Cardinale: - riferisco le parole dell’articolo - “‘Ma vi pare che esistano davvero queste divisioni fra noi? Ma ci avete osservato?’, e nel dirlo muove in modo eloquente le mani quasi a voler sottolineare che certi temi nella sua scala gerarchica non vengono certo ai primi posti”.
Come spesso accade, i giornalisti fanno delle domande con poca discrezione o forse con poca serietà e in circostanze non adatte, benché possano toccare temi o problemi reali e di grande importanza. Questo è stato il caso nell’evento surriferito. E’ evidente a cosa si riferiva il giornalista e forse anche a fatti più gravi oggi esistenti nella Chiesa, almeno italiana: il recente scandalosissimo furto al Papa di suoi documenti segreti nella sua stessa abitazione in Vaticano.
Era forse quello il momento per toccare un tema così delicato e conturbante? No certamente. Si può capire dunque la risposta evasiva del Cardinale, un non rispondere a tono, spostando l’attenzione sull’immensa folla presente a Milano. Non c’è dubbio che la presenza di tante persone è stata consolante per gli organizzatori dell’evento e per tutta la Chiesa italiana.
Un fatto grandioso del genere mostra effettivamente, come ha notato lo stesso Cardinale, la bontà della Chiesa italiana a livello di popolo sia per quanto riguarda l’amore al Papa che l’attaccamento al valore della famiglia cristiana, un gesto di affetto nei confronti del Vicario di Cristo quasi a volerlo consolare dell’amarezza per l’infame tradimento subìto da parte dei suoi stessi intimi collaboratori, per ora rimasti nell’ombra.
Tuttavia una manifestazione così entusiasmante e commovente non basta certamente a mettere in ombra o a cancellare il suddetto tristissimo episodio che è la punta dell’iceberg di una situazione di gravissima crisi della Chiesa italiana e non solo italiana, una crisi che si configura, come notano i Papi del postconcilio e in particolare questo Papa, come crisi di fede a livello di guide come a livello di popolo: scristianizzazione, falsificazione della fede, influenze anticattoliche all’interno del cattolicesimo, forme sincretistiche, secolaristiche, religione-fai-da-te, rilassatezza, soggettivismo, relativismo e ben altre cose, tanto lungo sarebbe l’elenco.
Certamente le grandi giornate milanesi non cancellano tutto questo e in particolare non lo cancellano in una diocesi così importante come quella di Milano, a proposito della quale è nota la lettera di Don Carron la quale, seppure con carità ma anche con lucidità ed evangelica franchezza, mette in luce in modo speciale i mali della Chiesa milanese, mali da troppo tempo coperti e misconosciuti, ma che è meglio che siano venuti alla luce, poiché nella visione cristiana non esistono mali che non siano curabili, se non è lo stesso malato a non voler farsi curare.
Una Chiesa nella quale scorrazza liberamente una gran quantità di idee contrarie al cattolicesimo restando sotto l’etichetta di “cattoliche”, senza apprezzabili interventi dei Pastori, tra i quali stessi non sempre riscontriamo una piena ortodossia ed obbedienza al Papa, si dà lo scontro di partiti avversi come per esempio quello fra modernisti e lefevriani, una diffusa condotta morale di cattolici non coerente con i princìpi della morale cattolica continuamente ricordati dal Magistero, tutto questo è forse il segno di una Chiesa unita come vorrebbe farci credere il Cardinale col semplice gesto di indicare la folla del raduno milanese?
Risolve i nostri dubbi? Placa le nostre angosce? Toglie le nostre amarezze, le nostre delusioni, calma il nostro sconcerto? Se siamo veramente consapevoli di cosa sta accadendo nella Chiesa e lo giudichiamo con quei criteri che il Magistero della Chiesa ci fornisce, ebbene dobbiamo dire seppure con dolore ma con realismo che la Chiesa, almeno quella italiana, non è per nulla unita, ma traversata da forti movimenti centrifughi, in preda ad un’enorme confusione dottrinale, lacerata da fazioni ostinatamente irreconciliabili perché convinte di possedere la pienezza della verità contro gli avversari pressoché demonizzati.
E’ chiaro per il cattolico che la vera Chiesa, la Chiesa cattolica, come Sposa e Corpo Mistico di Cristo, è una ed unita, grazie alla presenza nei cuori dello Spirito Santo che li illumina e li unisce, creando concordia e sano pluralismo, nell’unica verità del Vangelo sotto l’unica guida dei Pastori uniti al Papa.
Ma la domanda del giornalista evidentemente non si riferiva a questa unità spirituale e mistica della Chiesa, unità evidente per ogni credente e di per sé indistruttibile, ma che non tocca le singole e concrete formazioni di cattolici all’interno della Chiesa, cattolici i quali, come è noto, anche se viventi in grazia di Dio, restano sempre peccatori e quindi soggetti a mancare contro la verità e contro la carità.
Se non c’è unità di fede non esiste unità ecclesiale. Questo è il gravissimo problema della Chiesa di oggi. E’ chiaro che i veri cattolici sono uniti tra di loro e col Papa, e in questo senso costituiscono una Chiesa unita. Ma quanti che si dicono cattolici lo sono veramente o lo sono solo di nome, dato che di fatto assumono nel loro pensiero e nella loro condotta idee che in realtà sono erronee, scandalose, empie, blasfeme, assurde o ereticali?
Certo nella vita presente sono pochi o pochissimi, sono solo i grandi santi, quelli che possono vantare una perfetta purezza dottrinale ed una piena comunione ecclesiale, anche se qualche piccola macchia ce l’hanno anche loro. E’ chiaro che oggi la Chiesa è più accogliente, tollerante e misericordiosa che mai nell’avvicinare, accogliere e contattare persone anche lontanissime dal cattolicesimo.
Grazie alla pratica dell’ecumenismo e del dialogo la Chiesa è oggi più larga di un tempo nell’accogliere anche coloro che non accettano in pienezza la dottrina e la morale del cattolicesimo. Ma esiste e deve pur sempre esistere un limite, oltre il quale una persona non può dirsi affatto appartenente alla Chiesa o al cattolicesimo, ed è su questo punto che spesso non c’è chiarezza, per cui, come ho rilevato in un articolo apparso tempo fa su questo sito, molti non sanno più che cosa significa la qualifica di “cattolico” e questo è molto grave, come quando per esempio, conservate le proporzioni, un cibo rinomato conserva il proprio nome ma a causa di truffe o sofisticazioni viene ad essere una qualcosa di lontano o di contrario a ciò che il nome stesso significa.
In conclusione, certo non in sede di un’intervista giornalistica, ma in appropriata sede, è ora di riconoscere francamente le gravi divisioni delle quali stiamo soffrendo. Non si deve aver paura di fare un’analisi realistica, tanto esiste poi la cura che ci è data da una rinnovata volontà di conversione e soprattutto dalla grazia del nostro Salvatore.
Ma coprire e far finta di nulla non serve a niente. Speriamo che il prossimo Anno della Fede possa essere una buona occasione per correggere gli errori nella fede e nei costumi affinché si possa dire che, sia pur sempre nelle misere condizioni di quaggiù, esiste una Chiesa unita a somiglianza della santa unità della Chiesa del cielo.

(Fonte: P. Giovanni Cavalcoli, Riscossa Cristiana, 5 giugno 2012)
 

Sant'Egidio e Gesuiti: pareri ignorati dal Papa

Continua senza posa la fuga di documenti riservati dal Vaticano. E nessuno sa prevedere quanto durerà ancora.
Certamente la mole di documenti fuorusciti è notevole e sembra riguardare quasi esclusivamente le carte conservate nel Palazzo Apostolico, il cuore della curia romana, l'edificio affacciato su piazza San Pietro nel quale abitano Benedetto XVI e il suo segretario particolare Georg Gänswein, nel quale la segreteria di Stato ha gli uffici e nel quale il segretario di Stato Tarcisio Bertone ha l'abitazione e lo studio.
A tutt'oggi, infatti, quasi nessuno dei documenti pubblicati in varie ondate sembra che sia stato trafugato direttamente da altri dicasteri o uffici della Santa Sede. Quasi sempre, le carte intestate a questi uffici sono finite in pasto al pubblico solo dopo che sono transitate per il Palazzo Apostolico.
Finora l’unico imputato d'aver sottratto documenti è l’aiutante di camera del papa Paolo Gabriele, che certamente poteva aver accesso a una parte della documentazione pubblicata, ma non a tutta.
Rimangono da verificare le motivazioni che avrebbero spinto i ladri di documenti a compiere le loro azioni: soldi, volontà di far pulizia o altro. E non si sa se dietro questa operazione ci sia un disegno unitario o una regia occulta.
A questo proposito i retroscena si sprecano, tanto suggestivi quanto poveri di fatti accertati. C’è chi favoleggia di complotti in atto "da destra”, per far dimettere un papa considerato troppo debole. E c'è chi si augura che una conseguenza di questo marasma sia la messa in mora del reintegro dei lefebvriani nella Chiesa cattolica, evento aborrito dalle schiere progressiste del mondo ecclesiale.
Mentre proseguono le indagini in Vaticano – tramite la commissione d’inchiesta cardinalizia e la magistratura dello Stato della Città del Vaticano – il solo dato certo sono quindi le carte fin qui divenute pubbliche, la cui autenticità non è stata smentita.
Alcune di queste carte hanno avuto un rumoroso rilancio giornalistico da parte di coloro che le hanno ricevute e pubblicate, poco esperti di questioni vaticane e quindi non sempre capaci di valutarne appieno il significato.
Invece, non hanno avuto risonanza sui media, tra le carte trafugate, i documenti riguardanti due realtà di primo piano della Chiesa cattolica, una antica e una nuova: la Compagnia di Gesù e la Comunità di Sant’Egidio.
Della Comunità di Sant'Egidio – la cosiddetta "ONU di Trastevere" – è nota l'attività diplomatica "parallela", che gli episcopati locali poco apprezzano e che la Santa Sede ha sempre giudicato più un ostacolo che una risorsa. Così come accade per il dialogo interreligioso promosso da questa comunità, in concorrenza con il competente dicastero vaticano.
Una prova eclatante dell'irritazione che suscita questo attivismo della comunità fondata da Andrea Riccardi – che oggi è anche ministro del governo italiano – è data proprio da uno dei documenti vaticani oggi divenuti pubblici.
Si tratta di un cablogramma cifrato spedito dalla nunziatura apostolica di Washington alla segreteria di Stato vaticana, il 3 novembre 2011.
In esso si riferisce il parere contrario del cardinale di Chicago, Francis E. George, all’intenzione della Comunità di Sant’Egidio di conferire una onorificenza al governatore dell’Illinois, il cattolico Pat Quinn, per aver firmato la legge con cui questo Stato ha abolito la pena di morte.
Il cardinale definisce "inopportuna" tale onorificenza, poiché – spiega – lo stesso Quinn ha promosso la legge sul matrimonio omosessuale, è a favore dell’aborto libero e ha estromesso di fatto le istituzioni ecclesiali dalle adozioni di minori, non esentandole dall’obbligo di dover dare i bambini anche a coppie gay.
George conosce bene non solo i politici del suo Stato, ma anche Sant'Egidio, in quanto cardinale titolare della chiesa romana di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, affidata alla Comunità.
E la nunziatura apostolica a Washington ha preso molto sul serio le sue osservazioni. Le ha fatte proprie e le ha trasmesse a Roma, nel cablogramma firmato dal suo primo consigliere, monsignor Jean-François Lantheaume.
Il doppio no sembra che sia stato efficace. Infatti non si ha avuto notizia che l'onorificenza al governatore Quinn sia stata conferita.
L'altro interessante documento sottratto alla Santa Sede che non ha avuto risalto sui media – con l'eccezione dei Paesi Bassi – è la lettera di accompagnamento con cui il generale dei gesuiti Adolfo Nicolás ha fatto pervenire a Benedetto XVI una missiva scritta da una coppia olandese molto facoltosa, i coniugi Hubert e Aldegonde Brenninkmeijer.
Il successore di Sant’Ignazio, dopo aver ricordato che i due sono antichi e generosi benefattori della Chiesa e della Compagnia di Gesù, non entra nel contenuto della loro lettera ma sottolinea di "condividere le preoccupazioni" che essi hanno voluto manifestare direttamente al papa.
La lettera di padre Nicolás, in italiano, è stata resa pubblica in fotocopia. Non invece quella dei coniugi, di cui è stata diffusa solo una traduzione, in un italiano un po' incerto.
Il contenuto della lettera è comunque chiaro. Essa è un duro atto di accusa contro la curia vaticana e la gerarchia cattolica in genere.
I ricchi coniugi Brenninkmeijer denunciano che il denaro giochi un ruolo centrale in diversi uffici della curia, in alcune diocesi europee e nel patriarcato di Gerusalemme.
Accusano il pontificio consiglio della famiglia di servirsi di collaboratori creduloni e acritici invece di impiegare personaggi che possano e vogliano agire nel senso dell'"aggiornamento" del Vaticano II. Insinuano che nella cerchia più ristretta attorno al papa si sia accumulata in modo visibile e tangibile una quantità considerevole di potere, aggiungendo di possedere prove scritte a sostegno di quanto denunciato.
I Brenninkmeijer non accusano nessuno per nome, tranne in un caso. Dopo aver sostenuto che in Europa aumentano i credenti istruiti che si separano dalla Chiesa gerarchica senza, a loro dire, abbandonare la fede, e dopo aver lamentato la mancanza di pastori "non fondamentalisti" che sappiano guidare il gregge con criteri moderni, i due coniugi manifestano al papa lo scoraggiamento non solo loro ma anche di molti laici, preti, religiosi e vescovi per la nomina del nuovo arcivescovo di Utrecht, Jacobus Eijk.
Questo si è legge nei due documenti. Ma nessuno ha fatto notare ciò che è accaduto poco dopo l’arrivo di queste lettere.
Willem Jacobus Eijk, 59 anni, colto ma "conservatore" sia in campo teologico-liturgico che nel campo della morale, è stato nominato arcivescovo di Utrecht da Benedetto XVI nel dicembre 2007. La lettera di padre Nicolás è pervenuta in Vaticano il 12 dicembre 2011 ed stata, come si legge nella fotocopia diffusa, vista e siglata dal papa il 14 dicembre 2011.
Ebbene, proprio in quei giorni era in fase di completamento la lista dei cardinali da creare nel concistoro poi annunciato il 6 gennaio 2012. E tra i naturali candidati alla porpora c’era proprio monsignor Eijk, dato che Utrecht è una sede di consolidata tradizione cardinalizia e il suo predecessore Adrianus Simonis aveva già compiuto 80 anni.
Il 6 gennaio di quest'anno, infatti, il nome di Eijk è stato incluso tra gli ecclesiastici che nel concistoro del 19 febbraio hanno ricevuto la berretta, diventando così il terzo tra i cardinali più giovani del sacro collegio.
Dunque, le "preoccupazioni" nei suoi confronti espresse dai facoltosi coniugi Brenninkmeijer e sottoscritte dal generale dei gesuiti non sembrano aver scalfito in papa Joseph Ratzinger la convinzione di aver scelto la persona giusta per la guida della più importante diocesi della Chiesa in Olanda. Semmai, sembrano averla rafforzata.
 
(Fonte: Sandro Magister, www.Chiesa, 7 giugno 2012)

La Scozia vuol uccidere i papà: l'ultima follia del nichilismo

Anche nella vecchia Scozia la dittatura del Politically Correct comincia a farsi sentire, e questo proprio mentre la nazione che da secoli rivendica con passione il proprio diritto all’autodeterminazione nei confronti del potente vicino inglese è sempre più vicina alla libertà. Ma quale libertà? Da mesi è attiva una durissima campagna di stampa contro il Primate scozzese, il cardinale O’Brien, Arcivescovo di St.Andrews ed Edimburgo, “colpevole”, agli occhi di alcuni potenti mezzi di stampa, di non accettare l’equiparazione della famiglia naturale formata da un uomo e una donna, alle coppie omosessuali. Per aver semplicemente ricordato che la seconda forma di convivenza non è una famiglia, il cardinale è stato pesantemente attaccato, e addirittura c’è chi ne ha chiesto l’arresto e il processo. Un esempio di intolleranza in nome della tolleranza. Ma non è un paradosso isolato. Negli ultimi giorni è uscita l’ultima versione aggiornata di un manuale, prodotto dal Sistema Sanitario Nazionale, e dove per “nazionale” si intende proprio della Scozia, e non della Gran Bretagna o del Regno Unito, che si intitola Ready Steady Baby, un simpatico gioco di parole che in italiano suonerebbe grossomodo come “pronti…partenza…bambino!” da anni diffuso tra le coppie in dolce attesa. Tutto quello che c’è da sapere sulla gravidanza, il parto, l’allattamento, i primi mesi di vita del bimbo. Qualcosa di simile a quanto viene diffuso anche da noi da consultori o reparti di maternità o ASL. Il fatto è che in questa ultima versione è scomparsa la parola “padre”. L’unico termine ammesso è “Parent”, ovvero “genitore”: debitamente neutrale e “trasversale” ai sessi, o ai “generi”, come va di moda dire. La bella lingua inglese è ormai da anni oggetto di una severa opera di riscrittura all’insegna del conformismo ideologico: termini che offrono una definizione sessuale precisa come“Man” e “Woman” stanno estinguendosi dal vocabolario, rimpiazzati dal neutro “person”. A volte con esiti anche ridicoli. La parola “papà”, così bella nella sua forma austera father come in quella più dolce e affettuosa Dad o Daddy è stata censurata per il timore di offendere le coppie gay, a seguito della protesta di chi sosteneva che il termine padre «non era una parola che rispetta chi ha relazioni con persone dello stesso sesso coppie dove evidentemente questa paternità non può realizzarsi, e non certo per colpa di nessuno, tanto meno della lingua inglese o dei vescovi che richiamano alle verità elementari, ma perché così è scritto nelle leggi della natura, ovvero della biologia.
È davvero un peccato, dicevamo, che tutto ciò abbia avuto luogo in un paese che lotta per la propria libertà dai tempi di William Wallace, il “Cuore impavido” della Scozia. Certo non è stato molto impavido Michael Matheson, il Ministro della Salute scozzese. Ministro di un Parlamento “regionale” che di fatto ha prerogative, in diversi campi (tra cui la sanità) di tipo nazionale. Un Parlamento che legifera per la Scozia attendendo la possibilità, entro pochi anni, di dichiarare la propria indipendenza ed ammainare definitivamente l’Union Jack da Glasgow fino alle Highlands. Il partito indipendentista, che ha la maggioranza relativa, governa per ora in coalizione. Matheson è membro proprio di questo partito, l’SNP. Un partito che non può non suscitare simpatie: si tratta di una formazione politica caratterizzata da un autonomismo di tipo libertario, non intollerante, mai xenofobo. Matheson peraltro ha anche frequentato le scuole dei Salesiani di Glasgow, una città dove i cattolici sono stati per lunghissimo tempo vittime dell’odio settario. Qualche cosa in merito al coraggio di difendere i propri valori, e di testimoniare la verità della fede, il buon Michael l’avrà pure imparata alla scuola di Don Bosco, se non dei martiri scozzesi, come John Ogilvie e tanti altri che diedero la vita perché la Fede non scomparisse da questa terra benedetta da Dio e vessata da uomini feroci e spietati. C’è da augurarsi che il ministro della salute, recependo le proteste di diverse associazioni, tra cui la Family Education Trust, il cui responsabile Norman Wells ha accusato il Servizio Sanitario Nazionale di aver «sprecato soldi del contribuente per far avanzare i diritti di una minoranza»,ci ripensi, ritrovi un po’ del cuore impavido dei suoi antenati che si batterono a Bannockburn e a Culloden, e restituisca alla guida Ready Steady Baby la parola papà:non servirà a nulla guadagnare l’indipendenza al prezzo di perdere la propria identità. Una Scozia senza padri sarà peggio di quella Scozia senza kilt e senza cornamuse che volevano gli inglesi.

(Fonte: Paolo Gulisano, Il Sussidiario, 30 maggio 2012)