lunedì 17 giugno 2019

Lezioncina di Ravasi sul rosario di Salvini. E scorda la papessa Rihanna


Il cardinale Ravasi torna sul Rosario di Salvini ed è lapidario: «Non ci si salva ostentando croci e simboli religiosi. Gesù li chiamava ipocriti». Chissà se si riferiva anche al MetGala 2018 da lui sostenuto e promosso in cui sfilarono vestite da papesse le star hollywoodiane…

Il cardinale Gianfranco Ravasi ha rilasciato una intervista domenicale al Corriere della Sera nel corso della quale non si capisce bene per quale motivo è stata fatta, dato che ha spaziato davvero su tutto, dalla Brianza all’eternità. Alcuni passaggi non sarebbero neanche male, ad esempio la differenza tra il cristianesimo del Dio incarnato e l’Islam che è come una pozzanghera, in grado cioè di riflettere l’immagine del sole e niente più. Non poteva mancare però una domanda sul Rosario di Salvini. Sembra che un vescovo o un cardinale non possano passare l’esame di educazione civica se non gli si fa prima una domanda sull’evento politico mediatico dell’anno.
Geniale è come si è arrivati alla fatidica domanda sui rosari, partendo da Giobbe, che accosta Dio ad un arciere sadico a Ravasi che intima: «Cristo perdona tutte le colpe, ma non sopporta le ipocrisie». In mezzo c’erano le domande volè di Aldo Cazzullo: «Che cosa se ne deduce?». Risposta: «Che agitare il Vangelo, ostentare il rosario, baciare il crocefisso non fa di te necessariamente un credente». 
Alla domanda se Salvini sbaglia, Ravasi risponde: «Sono segni che di per sé non rappresentano l’autenticità del credere. Cristo perdona tutte le colpe, ma non sopporta le ipocrisie. Non è il gesto rituale che salva, altrimenti è rito magico. Magia». 
Ravasi si unisce così alla schiera degli ecclesiastici di rango che hanno attaccato frontalmente il gesto di Salvini. 
Curioso davvero. Curioso che un vescovo cardinale che ha definito i massoni «cari fratelli», disposto a dialogare con tutti, sia così duro e poco misericordioso con un politico che agita un Rosario e si permette di affidarsi al Cuore immacolato di Maria. 
Curioso davvero che Ravasi sia in possesso di uno screening di coscienza e escluda d’imperio una sola persona dalla salvezza mentre vi accolga tutti gli altri. Ha forse un filo diretto col Padreterno per sapere che chi agita i Rosari non si salverà? Ma non si era detto “chi sono io per giudicare?”. 
Sicuramente avrà anche ragione nel dire che non ci si salva solo con i gesti esteriori, le ostentazioni e le ipocrisie. Ma anzi, sicuramente ha ragione da vendere sua eminenza. Quando parla di ipocrisia ad esempio, di ostentazione, di manifestazioni esteriori, forse Ravasi si riferiva anche a quella nota parata di star hollywoodiane, da Rihanna a Miley Cirus, da Luis Veronica Ciccone in arte Madonna a Sarah Jessica Parker per il MetGala 2018: sfilarono per pubblicizzare la mostra di paramenti sacri provenienti dalla collezione personale del sommo pontefice mostrando e ostentando crocifissi e immagini sacre di ogni tipo. Papesse, conturbanti total black con croci in trasparenza, rosso della passione accostato ai rosari. 
Ebbene: a tenere a battesimo a quell’evento, tanto da dare il via libera al prestito delle opere e a scrivere la prefazione del catalogo, c’era proprio lui: il prefetto della Cultura Ravasi, il quale, scherzando con Donatella Versace che si complimentava per il suo rosso cardinalizio, la invitava a vederlo con indosso il viola vescovile. Chicche di fine impero, dell’ostentazione di chi mostra i simboli della fede per eventi modani. Il tutto possibile solo su interessamento proprio di Ravasi. Com’è che li chiama Gesù? Ipocriti? Suvvia, com’è severo su se stesso, sua eminenza…

(Fonte: Andrea Zambrano, LNBQ, 17 giugno 2019)
http://www.lanuovabq.it/it/rosari-lezioncina-di-ravasi-e-scorda-la-papessa-rihanna


Radio Radicale, la solita truffa ideologica


Come era prevedibile alla fine i fondi statali per Radio Radicale sono arrivati, grazie anche ai voti della Lega e con il plauso di molti cattolici che contano. Una scelta scriteriata che premia il parassitismo e la cultura della morte. Ed Emma Bonino presenta subito il conto alla Chiesa.

Come volevasi dimostrare alla fine arriva sempre la manina che salva l’elargizione di soldi pubblici a Radio Radicale. Quanto successo giovedì scorso alle Commissioni Bilancio e Finanze della Camera non sorprende perciò più di tanto: la Lega ha votato insieme alle opposizioni (incluse Fratelli d’Italia e Forza Italia) a favore di un emendamento proposto dal Pd che concede altri 7 milioni a Radio Radicale, 3 per il 2019 e 4 per il 2020. Certo, non sono più soldi per la convenzione relativa alla trasmissione delle sedute parlamentari, per cui si dovrà procedere a un regolare bando (dopo 25 anni!), ma è pur sempre un escamotage per continuare a finanziare l’organo della Lista Pannella. Si tratta di fondi devoluti per la digitalizzazione dell’archivio di Radio Radicale, che pare essere una sorta di tesoro della Repubblica, dal modo in cui ne parlano i politici che in qualche modo devono giustificare questa decisione.
Già alcune settimane fa, Stefano Fontana ha spiegato molto chiaramente ai nostri lettori (clicca qui) perché nel caso di Radio Radicale non si possa parlare di servizio pubblico e tanto meno di sussidiarietà e perché quindi questo finanziamento, fatto con i soldi dei contribuenti, sia del tutto ingiustificato. Invitiamo perciò a rileggere quell’articolo, soprattutto per quei tanti cattolici che in questo periodo si sono sbattuti per sostenere Radio Radicale.
Qui però vogliamo mettere in risalto due aspetti della vicenda che colpiscono. Il primo: abbiamo visto che la Lega di Matteo Salvini è capace di votare contro il governo, incurante delle conseguenze, se ritiene la materia importante. Ce ne rallegriamo. Evidentemente i soldi a Radio Radicale sono una materia importante per la Lega – anche se ci sfugge il motivo -, vedremo quindi prossimamente se, su temi come vita e famiglia, dimostrerà la stessa determinazione.
Il secondo aspetto è l’insistenza di cattolici ed esponenti del centro-destra nel difendere il finanziamento statale a Radio Radicale con il fatto che questa emittente dà conto delle posizioni di tutti: «È possibile seguire i nostri convegni, i nostri congressi – abbiamo sentito tante volte in questi giorni – solo grazie a Radio Radicale». Pare di capire dunque che i contribuenti dovrebbero essere felici di pagare questa emittente non solo per la possibilità di seguire le sedute del Parlamento (chissà quanti italiani poi sono davvero interessati a questa trasmissione) ma anche perché possiamo farci una playlist con l’intervento di Silvio Berlusconi alla Convention di Forza Italia del 1998 ad Assago, le performance di Matteo Renzi alla Leopolda, perfino il discorso con cui Massimo Fini scioglie Alleanza Nazionale nel 2009, confluendo nel Popolo delle Libertà. E chissà quanto altro ancora.
L’argomento è davvero curioso: perché un cittadino dovrebbe trovare giusto pagare un contributo affinché un soggetto privato – di cui non gli importa nulla - possa avere registrate le proprie conferenze e congressi su una radio che non ha alcuna intenzione di ascoltare? Certo, anche noi della Nuova BQ – che non viviamo di finanziamenti pubblici ma solo con il sostegno dei nostri lettori - troveremmo estremamente comodo che le conferenze che organizziamo fossero tutte registrate a spese del contribuente anziché nostre. Ma sarebbe giusto? Noi diciamo di no, non sarebbe servizio pubblico ma solo una forma di parassitismo, per non dire peggio.
L’altro aspetto che si trascura totalmente quando si propone questo argomento è il vero scopo di Radio Radicale. Ammettiamo anche che appartenga alla cultura radicale dare voce a tutti, ma l’obiettivo vero è portare avanti le proprie battaglie che, come sappiamo, promuovono la cultura della morte e puntano diritto alla demolizione della presenza cattolica in Italia. Cioè Radio Radicale non nasce per trasmettere esclusivamente le sedute parlamentari e le idee di tutti, ma per combattere le proprie battaglie e modellare la società secondo la propria ideologia, in cui è compreso anche far ascoltare il pensiero degli altri. C’è una bella differenza: in pratica da 25 anni, con la scusa di un presunto servizio pubblico, lo Stato finanzia le campagne ideologiche anti-vita e anti-famiglia di una radio-partito, con il plauso di gran parte del mondo cattolico, almeno di quello che conta. Come si può isolare un fattore, ignorando totalmente il contesto in cui è inserito? Ma allora allo stesso modo non si dovrebbe avere nulla da ridire se domani tale servizio dovesse essere garantito da, diciamo, Al Jazeera, che sostiene il fondamentalismo islamico; oppure da una improbabile Radio Corleone International, una copertura per la promozione della cultura mafiosa.
Ironia della sorte, i cattolici di cui sopra non hanno fatto in tempo a festeggiare il successo per i fondi a Radio Radicale che subito Emma Bonino – insieme ad altri parlamentari - ha presentato una mozione per: abolire l’ora di religione cattolica nelle scuole, rivedere i criteri di distribuzione dell’8xMille (per togliere fondi alle Chiesa cattolica), rivedere le norme sull’Imu degli immobili della Chiesa, recuperare l’Ici non pagata dalla Chiesa negli anni passati.
Ecco, questo è uno dei rarissimi casi in cui i radicali ci provocano un moto di simpatia.

(Fonte: Riccardo Cascioli, LNBQ, 17 giugno 2019)
http://www.lanuovabq.it/it/radio-radicale-la-solita-truffa-ideologica



martedì 11 giugno 2019

Il problema è teologico: i vescovi non stanno col popolo


L’osservatore, anche distratto, nota che i vescovi italiani fanno politica e la fanno a senso unico. Lo avevamo riscontrato durante la campagna elettorale per le elezioni europee e lo abbiamo nuovamente sperimentato in occasione della recente tornata amministrativa conclusasi con i ballottaggi di domenica scorsa. 
La cosa è molto evidente. Prendiamo due argomenti politici di attualità come la disciplina degli ingressi degli immigrati e il riconoscimento dei diritti LGBT. Il primo punto è espressivo della politica della Lega, il secondo è portato avanti soprattutto dal Partito Democratico, tanto che il segretario Zingaretti ha subito aderito al “mese del pride”, durante il quale si sono tenuti cortei in molte città italiane.
Ora, nel periodo delle elezioni amministrative, i vescovi sono intervenuti in gran numero e con grande forza sul primo tema, mentre non sono intervenuti per niente sul secondo. Si può pensare che, così facendo, fossero ignari della ricaduta politica dei loro interventi? I vescovi del Lazio hanno fatto leggere in tutte le chiese, durante le sante Messe domenicali, un lungo documento nel quale contestavano direttamente la politica del governo in carica sulle immigrazioni. Sullo svolgimento dei gay pride non è stata detta nessuna parola. Durante questi pride non si sono viste solo oscenità e strumentalizzazioni di bambini, ma anche si è assistito a bestemmie, a orrendi scimmiottamenti delle preghiere cristiane, a profanazioni e a insulti alla Madonna. Inoltre sfilavano gruppi di “Cristiani LGBT in cammino” senza che qualche precisazione ecclesiastica qualificasse la cosa. 
A ridosso della domenica del ballottaggio, poi, Repubblica ha pubblicato una lunga intervista al presidente della CEI, il cardinale Gualtiero Bassetti. Centro culminante dell’intervista è stata la frase: “La Lega non riuscirà a dividere il popolo italiano dal Papa”, con la quale anche il Papa è stato politicizzato. Ma perché, ci si chiede, gli unici due argomenti adoperati dall’episcopato sono sempre l’accoglienza indiscriminata degli immigrati e il rosario agitato in piazza da Salvini?   
In Italia non c’è un bipolarismo chiaramente politico, ma se ne sta profilando un altro di tipo valoriale: da una parte le élite borghesi, i fautori dei nuovi diritti compresa l’eutanasia, i sostenitori di un europeismo ad oltranza, i globalisti contrari alle nazioni e ai popoli, i paggi del pensiero unico. Dall’altra le classi popolari, chi respinge il disordine dei nuovi diritti e difende vita e famiglia, i critici di un’Europa oppressiva, i difensori dei popoli contro la società globale spersonalizzata. Da tempo i vescovi ci danno continue prove che stanno da una parte, la prima.
Fin qui la constatazione dei fatti. Proviamo ora a chiederci perché questo avvenga. Quando un atteggiamento è sistematicamente ripetuto, come in questo caso, significa che esso risponde ad una forma mentis consolidata e non a cause accidentali. Qualcuno sostiene che sotto potrebbero anche esserci degli interessi materiali. Potrà essere o non essere, ma a mio avviso i motivi fondamentali sono teologici.
É da molto tempo che la nuova teologia sostiene che il cristianesimo deve esprimersi in forme politiche e con linguaggio politico. Nella “società secolare” di Harvey Fox, un linguaggio religioso – si diceva già negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso – sarebbe incomprensibile. Ecco perché il teologo tedesco J.B. Metz parlava di “teologia politica” come del linguaggio – secolare e politico appunto – del cristianesimo nel mondo diventato adulto e non più cristiano. Di recente è stato detto che coloro che emigrano per trovare lavoro all’estero sono i “moderni pellegrini”: ecco un esempio di un linguaggio profano al posto di uno religioso a proposito del pellegrinaggio. Da tempo molti osservano – e lamentano – che il magistero si occupa più dei problemi sociali che di quelli spirituali.
Ecco perché i vescovi fanno politica, perché lo dice da decenni la nuova teologia che tutti loro hanno studiato in seminario. Rimane da spiegare perché la facciano a senso unico, con particolare riguarda alle ideologie che secolarizzano, demitizzano, denaturalizzano il cristianesimo e che più spingono per il relativismo, l’individualismo, il narcisismo. Sembra un mistero che lascia stupefatti, ma non lo è. Se la Chiesa deve adoperare il linguaggio politico del mondo, e non più il proprio linguaggio religioso, deve continuamente aggiornarlo e adeguarlo ai cambiamenti cui il mondo è soggetto. La cosa assolutamente da evitare è adoperare un linguaggio di contrapposizione al mondo, come per esempio estrarre un rosario in piazza. Diventa invece opportuno e doveroso fare i progressisti, accogliere e accompagnare le novità, per non rimanere indietro. 
Che l’atteggiamento sia ideologico è testimoniato dal fatto che viene mantenuto anche quando, attuandolo, si perdono le elezioni, cioè quando il mondo lo rifiuta.

(Fonte: Stefano Fontana, LNBQ, 11 giugno 2019)
http://www.lanuovabq.it/it



giovedì 6 giugno 2019

“Ambiguo al di là di ogni misura”. Un teologo della congregazione per la dottrina della fede boccia il papa

Mai quella frase sarebbe passata indenne allo scrutinio della congregazione per la dottrina della fede, se soltanto papa Francesco gliela avesse fatta controllare.
Ma così non è stato. E infatti, dal 4 febbraio, nel solenne documento sulla fratellanza umana firmato congiuntamente ad Abu Dhabi da Francesco e dal Grande Imam musulmano di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, figura la seguente affermazione:
“Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani”.
Niente da obiettare riguardo a colore, sesso, razza e lingua. Ma che anche la diversità di religione sia voluta dal Creatore è tesi nuova e spericolata per la fede cattolica. Perché allora non varrebbe più quello che l’apostolo Pietro, il primo papa, predicava pieno di Spirito Santo dopo la Pentecoste, che cioè “in nessun altro c’è salvezza” se non in Gesù, visto come il suo attuale successore mette alla pari ogni religione a un’altra.
Un mese dopo, nelludienza generale del 3 aprile, di ritorno da un altro viaggio in terra musulmana, in Marocco, papa Francesco ha tentato di aggiustare il tiro. “Non dobbiamo spaventarci della differenza” tra le religioni, ha detto. “Dio ha voluto permettere questa realtà” con la “voluntas permissiva” di cui parlavano “i teologi della Scolastica”. Semmai “dobbiamo spaventarci se noi non operiamo nella fraternità, per camminare insieme nella vita”.
Ma di nuovo, se anche il testo di questa udienza generale fosse stato prima sottoposto al vaglio della congregazione per la dottrina della fede, neppure questo rattoppo sarebbe stato approvato.
Non si contano più, ormai, le volte in cui papa Francesco ha rifiutato di chiedere o accogliere il parere della congregazione il cui compito è di accertare la conformità al dogma.
Se l’avesse fatto, ad esempio, con “Amoris laetitia”, quell’esortazione sul matrimonio e il divorzio sarebbe uscita scritta in modo meno avventuroso, senza sollevare quei “dubia” – firmati e resi pubblici da quattro cardinali – ai quali Francesco ha poi rifiutato di rispondere, imponendo il silenzio anche alla congregazione retta all’epoca dal cardinale Gerhard L. Müller.
E oggi che s’avvicina il varo del nuovo assetto della curia vaticana, ciò che è già trapelato è che la più penalizzata sarà proprio la congregazione per la dottrina della fede, del cui organico fa parte, tra l’altro, la commissione teologica internazionale, il fior fiore dei teologi di tutto il mondo.
Uno dei trenta teologi che compongono la commissione non ha però accettato di arrendersi e di tacere. E il 2 giugno ha pubblicato un suo argomentato atto di protesta contro l’affermazione del documento di Abu Dhabi che attribuisce alla volontà creatrice di Dio la diversità delle religioni.
Questo teologo è lo statunitense Thomas G. Weinandy, 72 anni, francescano, del quale i lettori di Settimo Cielo già conoscono l’accorata e meditata lettera indirizzata a papa Francesco nel 2017, rimasta anch’essa senza risposta:
(Cfr. Un teologo scrive al papa: C'è caos nella Chiesa, e lei ne è una causa).
Ecco il rimando al testo integrale del suo nuovo intervento, questa volta nella forma di un vero e proprio saggio teologico, pubblicato su “The Catholic World Report”, il magazine on line di Ignatius Press, la casa editrice fondata e presieduta dal gesuita Joseph Fessio, discepolo d’antica data di Joseph Ratzinger e membro del suo “Schulerkreis”:
(Cfr. Pope Francis, the uniqueness of Christ, and the will of the Father).
Padre Weinandy prende molto sul serio la gravità della questione, che così inquadra:
“Papa Francesco è noto per le sue affermazioni ambigue, ma trovo che il senso indeterminato dell’affermazione contenuta nel documento di Abu Dhabi va al di là di ogni misura. Implicitamente non solo sminuisce la persona di Gesù, ma anche e ancor più colpisce al cuore l’eterna volontà di Dio Padre. Quindi tale studiata ambiguità mina alla radice la verità stessa del Vangelo. Questo implicito sovvertimento dottrinale di un mistero della fede così fondamentale da parte del successore di Pietro è per me e per molti nella Chiesa, in particolare tra i laici, non solo inescusabile, ma è soprattutto tale da suscitare una profonda tristezza, perché mette in pericolo l’amore supremo che Gesù giustamente merita”.
Già nel 2000 la congregazione per la dottrina della fede, con prefetto Ratzinger, aveva avvertito l’urgenza di fugare fraintendimenti ed errori riguardo a Gesù come unico salvatore del mondo. L’aveva fatto con la dichiarazione “Dominus Iesus”, che a detta del suo autore e col pieno accordo di papa Giovanni Paolo II, intendeva riaffermare proprio questo “elemento irrinunciabile della fede cattolica”, rispetto a qualsiasi altra religione.
Ma nonostante ciò, o forse proprio per questo, la “Dominus Iesus” fu accolta da un fuoco di fila di critiche, da fuori e da dentro la Chiesa, anche da parte di teologi e cardinali famosi, da Walter Kasper a Carlo Maria Martini.
E quelle critiche sono proprio quelle che oggi si trovano accolte e condensate nel passaggio del documento di Abu Dhabi contro il quale padre Weinandy obietta.
Ma c’è di più. Dopo aver rimandato alla “Dominus Iesus” e aver riconosciuto il suo merito, padre Weinandy scrive che nemmeno quella dichiarazione ha saputo andare veramente sl fondo della questione:
“A motivo di questa inadeguatezza vanno smarrite la verità e la bellezza di chi è Gesù e non è pienamente riconosciuto il modo in cui egli è il Salvatore universale e il Signore definitivo. In questo mio saggio io voglio appunto rendere evidente ciò che manca nella ‘Dominus Iesus’ e, facendo questo, invalidare ogni interpretazione del documento di Abu Dhabi che affermi o almeno suggerisca che Gesù e altri fondatori di religioni siano di eguale valore salvifico, e quindi che Dio abbia voluto tutte le religioni nello stesso modo in cui ha voluto il cristianesimo”.
Non resta a questo punto che leggere il saggio di padre Weinandy. Che così conclude:
“Ciò che qui ho argomentato può risultare ovvio a tutti i fedeli cristiani. Tuttavia, data l’ambiguità contenuta nel documento di Abu Dhabi sottoscritto da papa Francesco, una forte riaffermazione è oggi necessaria. Piacerebbe pensare – sempre accordandogli il beneficio del dubbio – che papa Francesco, involontariamente e quindi senza una piena consapevolezza delle implicazioni dottrinali della sua firma, non abbia inteso ciò che il documento sembra dichiarare.
“In ogni caso nessuno, nemmeno un pontefice, può annullare o ignorare la volontà di Dio Padre riguardo a suo Figlio Gesù. È Dio Padre che ‘lo esaltò e gli diede il nome che è al di sopra di ogni nome’. Il Padre ha eternamente stabilito che al nome di Gesù, e non al nome di Buddha, Maometto o di ogni altro passato, presente o futuro fondatore religioso, ‘ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra o sotto terra, e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è Signore’. Fare ciò non è solo glorificare Gesù, ma è anche ‘a gloria di Dio Padre’ (Filippesi, 2, 9-11). Nel suo amore il Padre ha dato al mondo Gesù suo Figlio (Giovanni 3, 16) e ‘non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati’ (Atti 4, 12). In questa suprema verità noi abbiamo da gioire in gratitudine e preghiera”.

(Fonte: Sandro Magister, Settimo cielo, 6 giugno 2019)
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/