domenica 30 gennaio 2011

Povera Italia!

Povera Italia! Costretta da inchieste e giornali e da una strategia politica che ormai non si ferma più davanti a niente, ad appassionarsi alle mutandine delle donne del Premier! A misurare la morale pubblica sul privato di un uomo, sulle sue debolezze personali, sui suoi vizi, più che sulla sua azione di governo.
Povera Italia! Costretta da inchieste di magistrati politicizzati e giornali e televisione di Stato a rimestare nel fango di una vicenda che non ha nulla a che fare con i problemi veri, quelli di cui sarebbe bene discutere.
Poveri italiani, sputtanati ovunque certo, sì, dalla condotta privata del premier (che se fosse diversa di certo sarebbe meglio), ma soprattutto da chi ha l’interesse ad amplificare la vicenda, a metterla in barzelletta, a parlarne tutti i santi giorni, a diffonderla nel mondo. come se i problemi dell’Italia si riducessero ai trascorsi della signorina Ruby.
La strategia è chiara: stornare l’attenzione generale dall’attività e dai programmi riformatori del governo, da questioni importanti quali il federalismo, la riforma della giustizia e del fisco, perché con l’acqua sporca venga buttato via anche il bambino. Una strategia da bombaroli, da kamikaze, un suicidio collettivo.
Strana Italia, bigotta Italia, dove la morale sessuale sembra contare più di ogni altra cosa. Questo almeno sui giornali e nei salotti televisivi, perché non sembra invece che il Paese reale sia sulla stessa linea. E allora ecco quelli che si scandalizzano perché il premier dà il proprio cellulare a delle signorine che fanno le carine con lui con la speranza di diventare veline, letterine, professorine e via dicendo. E nessuno a scandalizzarsi con la stessa veemenza se il politico dà il proprio cellulare allo scagnozzo che gli procura i voti e che ottiene il posto pubblico (a spese di tutti) per sé e i propri parenti. C’è una differenza sostanziale: Berlusconi paga di tasca propria, mentre in Italia, per decenni, sono stati collocati nella pubblica amministrazione personaggi squallidi, di basso profilo, di dubbie doti morali e capacità lavorative, solo per perpetuare il sistema di potere, ai danni del pubblico bilancio, ingrossando il debito pubblico.
Oggi come oggi, in Italia, se fosse un Paese normale, i giornali dovrebbero parlare solo ed esclusivamente dell’inchiesta sui rifiuti in Campania, dove esiste un esercito di addetti ai lavori che conta più del doppio di quello che servirebbe, per il disservizio che è sotto gli occhi di tutti. Questo sì che è un problema morale, questo sì che è un problema vero! Chi ha governato in Campania in tutti questi anni dovrebbe avere il nome sparato con titoloni su tutti i giornali. Le trasmissioni di approfondimento politico (quelle dove si manifesta la tanto decantata libertà di stampa) dovrebbero stare continuamente sul pezzo, andare a scavare lì, nella monnezza. Un processo esemplare, pubblico, una continua riprovazione di certa politica degenerata dovrebbero costituire il centro di ogni attenzione, dovrebbero dare segnali importanti, dovrebbero mettere alla berlina i comportamenti negativi per educare i giovani a fare diversamente. Invece...
Invece da Santoro si dà spazio ad una signorina dalla dubbia moralità, dai dubbi trascorsi, dalla dubbia credibilità. Una, cui non crede né la madre, né l’ex fidanzato, e nemmeno gli stessi magistrati, diventa per una sera la protagonista assoluta, la bocca della verità, la rivelatrice di chissà quali segreti. Salvo essere poi smentita il giorno dopo dalle sue stesse contraddizioni. Chi riparerà al torto, all’idiozia, al male fatto da quella trasmissione televisiva pagata dagli italiani?
Meglio parlare della Macrì che di Bassolino, comprendo benissimo. Capisco la strategia, capisco il senso dell’operazione. E per questo ripeto e grido: povera Italia!

(Fonte: Gianluca Zappa, La Cittadella, 30 gennaio 2011)

Quando ignoranza, stupidità e ridicolo vanno a braccetto

L’ultimo esempio in ordine di tempo è di ieri, e ce l’offre un comunicato Ansa in questi termini: «Ateo denuncia vescovo per abuso di credulità».
«Somministrare l'ostia consacrata, affermando che è “Corpo di Cristo”, è abuso della credulità popolare. Per questo Dante Svarca, ex comandante dei vigili urbani di Ancona e membro dell'Unione degli atei e degli agnostici razionalisti, ha presentato un esposto contro il vescovo mons. Menichelli. Svarca chiede che vengano acquisiti “campioni di ostia” per procedere all'esame del Dna. Il vescovo non commenta l'episodio».
Il Vescovo per carità cristiana giustamente non risponde, ma ci viene spontaneo chiederci: è mai possibile che un’ignoranza crassa oceanica in materia religiosa possa essere asservita alla insanabile voglia di pubblicità personale? Se questa è la razionalità degli atei c’è di che consolarci! Una ulteriore prova, comunque, del fatto che stanno veramente raschiando il fondo del ridicolo! D'altronde Benedetto XVI ha ribadito anche oggi:''La Chiesa non teme il disprezzo, la persecuzione, in una società spesso attratta dal benessere materiale e dal potere mondano''. Parole sante!

(Fonte: Ansa, 29 gennaio 2011)

martedì 25 gennaio 2011

Eccellenza, non condivido la sua scelta

Il Vescovo di Padova Mons. Antonio Mattiazzo, ha scelto di non partecipare ai funerali dell’alpino Matteo Miotto per non incrementare un’esaltazione retorica che tende a trasformare in eroi i caduti in missioni militari che pretendono di salvaguardare la pace servendosi delle armi. Non condivido tale scelta basata, a mio modesto avviso, su una incompleta valutazione degli eventi in terra afghana.
«L’alpino Matteo Miotto riposa in pace, la sua memoria ancora no. Gli sopravvive un bel dilemma all’italiana,un dilemma non nuovo, né tanto meno così avvincente: è un eroe o non è un eroe?
Singolarmente, questa volta è lo stesso vescovo di Miotto a risollevare la questione. Il soldato era di Thiene, la diocesi è quella di Padova. E proprio la guida spirituale di questa diocesi ha suscitato clamore con la decisione di non celebrare i funerali privati del caduto, limitandosi a inviare una lettera di cordoglio. «La diocesi era rappresentata», ha spiegato monsignor Antonio Mattiazzo ai giornalisti locali. E forse poteva fermarsi lì. Invece ha tenuto ad un’aggiunta molto chiara: «Certo sono dispiaciuto che il giovane sia morto. Ma andiamoci piano con l’esaltazione retorica. Non facciamone degli eroi. Quelle non sono missioni di pace. Vanno lì con le armi, dunque il significato è un altro, non dobbiamo dimenticarlo...».
Sua eccellenza, indubbiamente, solleva polvere con una presa di posizione piuttosto ideologica. Ai cristiani qualunque, che si mettono in coda dietro a una bara, importa poco che dentro ci sia un eroe. Purtroppo c’è un ragazzo,che comunque ha lasciato la vita in circostanze molto particolari, servendo una bandiera e una Patria, regalando scritti toccanti nel segno di un’idea. Sembrerebbe naturale che davanti al corteo funebre, nell’ultimo giorno, ci sia il suo vescovo. In questo caso, il suo vescovo non ritiene degna la circostanza. Prende le distanze. Certo monsignor Mattiazzo ha mille ragioni quando vuole sottrarsi al coro retorico. Troppo spesso l’enfasi patriottica e militaresca sovrasta impietosamente il lutto vero. Normale e forse pure doveroso che il religioso si neghi al rito profano dei superlativi epici. Ma nella sua posizione avrebbe un’opportunità unica: salire sul pulpito per indirizzare le esequie in prima persona, celebrandole secondo la propria convinzione di fede, nel modo più giusto.
Invece il soldato Miotto trova un vescovo che per evitare la retorica decide di scantonare. Con tutto il rispetto, difficile comprendere. Impossibile condividere. Ma c’è di più. monsignor Mattiazzo esprime pure tutto il proprio disaccordo sulla natura della spedizione italiana, schierandosi apertamente: non andiamo a portare la pace, andiamo a fare la guerra.
Torna a riaffiorare l’annosa e irrisolta questione. Il vescovo l’affronta nel modo più lineare e intransigente: dove ci sono armi, c’è guerra. Una Chiesa evangelica e spirituale in senso stretto non può accettare in nessun caso il ricorso alla forza. Questa la nobilissima e rispettabilissima posizione ideale. Ma le cose, nella pratica, sono maledettamente più complicate. Ci sono momenti e circostanze che richiedono la forza per difendere gli indifesi. La stessa Chiesa, anni fa, fu d’accordo con l’intervento militare per fermare gli orrori in Kosovo. E certo non avrebbe niente da ridire se in diverse parti del mondo, oggigiorno, qualche soldato in più difendesse i cristiani perseguitati da satrapi e regimi, da odio e intolleranze.
Sono i discorsi di sempre. Dalla sua nascita, la Chiesa è divisa sull’interpretazione del messaggio. Ne fu degnissimo testimone lo stesso San Francesco, che persino tra i suoi vide nascere divisioni molto aspre: da una parte l’applicazione rigida e letterale del Vangelo, che addirittura ipotizzava l’assenza di cattedrali e monasteri, di regole e di gerarchie, dall’altra una visione più storicizzata e più realistica, dunque aperta a strutture, norme, istituzioni. Passano i secoli, ma siamo sempre al punto di partenza. Le armi mai, le armi qualche volta sì. Però neppure il vescovo di Padova, nel suo impeto pacifista, può negare una verità evidente: tutto possiamo pensare dei nostri soldati, non che siano in giro per il mondo a scatenare tensioni, violenze, ingiustizie e soprusi. Se su un elemento questa povera nazione raccoglie l’unanime ammirazione internazionale, questo è indubbiamente l’approccio umano e leale, pacifico e moderato delle nostre spedizioni.
Monsignore, sia detto con tutta l’umiltà del caso: continui a credere nei suoi ideali assoluti e a difendere le sue posizioni intransigenti, ma provi a scindere tra le imperscrutabili strategie politiche e il ruolo dei nostri militari. Forse, ripensandoci, il funerale di Matteo Miotto le apparirà come una grossa occasione persa. Lei si è trovato nella condizione di spazzare via la retorica e riconoscere semplicemente l’importanza di una morte. Non era necessario chiamarlo eroe. Solo per le lettere che Matteo ha lasciato scritte, un buon vescovo avrebbe sicuramente trovato le parole per dipingerlo come un ragazzo generoso, pulito, idealista. Un uomo giusto. Più di un eroe».

(Fonte: Cristiano Gatti, Il Giornale, 24 gennaio 2011)

venerdì 21 gennaio 2011

Il voltafaccia senza vergogna degli opportunisti incalliti

«E gli anticlericali corrono a tirare la tonaca del Papa», scrive Mario Giordano commentando l’intervento del Card. Bertone sui recenti fatti di cronaca (Il Giornale, 21 gennaio 2011). E prosegue: «Ma tu guarda, adesso sono diventati tutti papisti. Silenzio, parla il cardinal Bertone. E s’inginocchiano. Interviene il Vaticano. E fanno il segno della croce. Sempre sia lodato. Ma come? Non erano ingerenze? Pericolose invasioni? Indelicate interferenze? Che è successo? Semplice: sono diventati tutti papisti. Così papisti che si sentono persino in dovere di dare lezioni al Papa, tirandolo per la tonaca e spiegandogli che cosa fare. C’è don Aldo Cazzullo che gli insegna dottrina dalle colonne del Corriere della Sera, c’è il Fatto Quotidiano che illustra la retta via al Pontefice secondo il Vangelo di Travaglio. E poi via, una lunga sfilza di editoriali che sembrano encicliche, interviste che sembrano parabole, articoli che sembrano paragrafi del catechismo: tutti all’improvviso pii e religiosi, devoti al Sommo Pontefice, purché egli si sbrighi a condannare quel diavolo d'un Berlusconi, che ha tanto peccato per sua colpa, sua colpa, sua grandissima colpa. Amen. Vi ricordate i giornaloni fieri dei loro laicismo, gli editorialisti anticlericali, i feroci critici del Vaticano? Vi ricordate quelli che attaccavano la Chiesa, la giudicavano immorale, deridevano le posizioni retrive in fatto di etica? Vi ricordate quelli che in piazza Navona offendevano il Papa colpevole di non aver particolari simpatie per il Gay Pride? Vi ricordate quelli che lo sbeffeggiavano per non aver ancora celebrato in San Pietro matrimoni omosessuali? E quelli che gli imputavano la colpa della mancata beatificazione delle coppie di fatto e dello zapaterismo gaudente? Ebbene, tutto dimenticato, tutto cambiato: adesso costoro sono diventati i custodi dell’ortodossia morale, i templari delle virtù teologali, chierichetti dell’ordine della sacra castità. E quegli interventi della Chiesa che fino all’altro giorno venivano considerati bieche intromissioni o attacchi clericali alla laicità dello Stato, ora diventano benedizioni del Signore. Attese come uno zampillo d’acqua fresca nel deserto o come un’idea nella testa di Rosy Bindi.
«Il Papa non taccia», intima l’editoriale-sermone in prima pagina del Fatto. «Occorre dalla Chiesa una parola più esplicita», fa eco l’editoriale-sermone del reverendo cuneese Cazzullo sul Corriere della Sera. E poi è tutto un pendere dalle labbra del cardinal Bertone (ha parlato! Ha parlato!), aspettando il cardinal Bagnasco (parlerà? Non parlerà?) e invocando direttamente una scomunica di Benedetto XVI, magari durante l’Angelus di domenica, perché no? Nell’attesa i giornalisti ingannano il tempo in modo assai pio, facendosi illuminare dalla parola dei frati di San Francesco d’Assisi o inginocchiandosi di fronte al reggente della Penitenzieria apostolica, il tribunale vaticano dei peccati e delle pene, ansiosi di vedere appioppata a Berlusconi una penitenza severa (dieci Pater, 50 ave Maria, l’astinenza dalle carni e un pellegrinaggio d’espiazione al Quirinale).
Ma tu guarda, adesso sono diventati tutti devoti, quasi baciapile. Fino a qualche tempo fa descrivevano la Chiesa come una congrega di molestatori di bambini, pedofili incalliti, un’istituzione scivolata verso la depravazione e ormai priva di ogni autorità morale. Adesso, all’improvviso, invece, sono tutti apostolici romani, papalini fino al midollo, quasi gli viene il torcicollo a forza di guardare verso la finestra che s’illumina in piazza San Pietro. Ah, il cardinale Bertone! Ah, la scomunica! Ah, la dottrina della fede! Ah, il Sant'Uffizio e la Congregazione del Clero! Fosse per loro, a questo punto, tornerebbero pure all’Inquisizione. Alla faccia dalla laicità dello Stato: pur di dare addosso a Berlusconi, sarebbero disposti ad accettare le ingerenze di Torquemada, pubblicherebbero a dispense il catechismo di Pio X e trasformerebbero Savonarola nel nuovo idolo di Repubblica, nell’attesa che Veltroni la smetta di essere come la temperatura di Campobasso quando il satellite fa capricci: non pervenuto.
Per i cattolici è bello scoprire all’improvviso tanti nuovi fratelli di fede, ex mangiapreti diventati bigotti dell’ultima ora, pronti a usare il Papa come se fosse un parlamentare Idv, disposti saltare addosso alle parole di Bertone per attaccare Giovanardi, entusiasti, come solo i neofiti sanno essere, nel lanciare appelli ai credenti perché si ribellino all’immoralità berlusconiana in virtù del sesto comandamento. Con l’obiettivo, magari, di formare un bel governo arcobaleno, tutti insieme appassionatamente, Vendola, Bonino, i matrimoni gay, le coppie di fatto, la fecondazione in stile Frankenstein e l’eutanasia. Chissà come sarà contento così, il Vaticano, vero? Provate a chiederlo ai nuovi sacerdoti che sui giornali fanno il sermone al Papa. Noi, che ci volete fare? Siamo ancora fermi al vecchio catechismo. Quello per cui il Pontefice non si tira per la tonaca. E il bunga bunga, per quanto disdicevole, resta sempre meglio di un’ammucchiata.»
Un’ultima considerazione peregrina: se i pm ordinassero intercettazioni private anche su personaggi tipo Bindy, Vendola, Bonino, Franceschini, Fini, Di Pietro e quant’altri, che oggi si stracciano pubblicamente le vesti, voi che pensate ne verrebbe fuori? Allora non sarebbe forse meglio meditare su: “chi è senza peccato scagli la prima pietra”?: del resto la moralità invocata da Bertone nella vita pubblica, non è a senso unico, vale per tutti! Anche per le Cassandre strillone.

Potete risparmiarci i dettagli, per favore?

Non siamo bacchettoni, viviamo nel mondo. Non vogliamo imporre censure né strapparci le vesti facendo gli indignati nel nome della morale. Ma ci sembra che in questi giorni si sia davvero toccato il fondo.
I quotidiani più seri sono zeppi di particolari piccanti, di retroscena erotici, di ammiccamenti pornografici. La mattina, mentre sei in macchina e accompagni i figli a scuola, devi tener spenta la radio perché pure i radiogiornali sono tutto un doppio senso, un’indugiare sui dettagli relativi alle prodezze sessuali delle ragazze alla corte del premier.
Non parliamo poi dei programmi d’intrattenimento, che da mane a sera, senza badare a fasce protette, sono infarciti di particolari piccanti. Tutti ora si contendono Ruby, la procace ragazza marocchina alla quale – detto in tutta sincerità – ben pochi avrebbero dato l’età che ha.
Tutti tuonano contro l’esibizione delle parti intime femminili, dello squalificante commercio del corpo delle donne, del sesso ridotto a squallida merce di scambio per fini di carriera. E intanto, proprio quelli che s’indignano, continuano a trasmettere notizie, a mettere in pagina, a imbastire talk show, a proporre approfondimenti che vanno inesorabilmente a finire lì. Continuano, insomma, a fare audience, in nome del diritto di cronaca, proprio con il corpo delle donne.
Intendiamoci: nessuno vuole porre bavagli o mettere in discussione il diritto di cronaca. Ma c’è da chiedersi se in nome di questo diritto sia necessario proprio descrivere ogni particolare. Dove finisce il diritto di cronaca e dove inizia il voyerismo? Per capire ciò che è accaduto, per inquadrarlo, per fornire un’informazione completa, è davvero necessario questo fuoco di fila esibizionista?
Non c’è solo il triste «Bunga bunga» di Arcore. Era già accaduto con il caso Marrazzo: in quelle settimane, non c’era canale tv, non c’era talk show ad ogni ora del giorno e della notte che non avesse come ospite fisso un transessuale. Ma il problema si pone pure per i tragici, recenti casi di cronaca, come quello di Avetrana, come ha ben spiegato nell’intervista a La Bussola il filosofo Silvano Petrosino.
Non è facile immaginare soluzioni. I codici deontologici non bastano, non reggono. È come se, in nome dell’audience, si spingesse sempre più in là il limite. Il dio dell’Auditel è signore incontrastato nello stabilire il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, il bello e il brutto. È un gran casino…

(Andrea Tornielli, La Bussola quotidiana, 20 gennaio 2011)

domenica 16 gennaio 2011

Giovanni Paolo II, beato

La notizia era attesa; ora è ufficiale ed è stata data alla Chiesa e al mondo: Karol Wojtyla sarà beatificato il primo maggio 2011. Dopo la promulgazione del decreto che attribuisce un miracolo all'intercessione di Giovanni Paolo II, il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha annunciato che il rito di beatificazione avverrà il primo maggio, domenica della Divina misericordia. A presiedere il rito di beatificazione lo stesso Benedetto XVI.
Sono trascorsi solamente sei anni dalla morte di Giovanni Paolo II: era il 2 aprile del 2005. Benedetto XVI ha derogato alle norme canoniche che prevedono l’attesa di cinque anni dalla morte prima di dare avvio al processo canonico per la beatificazione e il 13 maggio 2005, nella cattedrale di San Giovanni, il Papa annunciò la propria decisione di consentire l'apertura immediata della causa canonica per Giovanni Paolo II. A derogare per la prima volta a questa norma, consentendo l'immediato avvio del processo canonico per madre Teresa di Calcutta, morta nel 1997 e beatificata nel 2003 fu proprio Giovanni Polo II.
La Congregazione per le Cause dei Santi, in una nota informativa, ha precisato: “furono osservate integralmente le comuni disposizioni canoniche riguardanti le Cause di beatificazione e di canonizzazione … La validità giuridica dei processi canonici fu riconosciuta dalla Congregazione delle Cause dei Santi con il Decreto del 4 maggio 2007 ... Il 19 dicembre 2009il Sommo Pontefice Benedetto XVI autorizzò la promulgazione del Decreto sull’eroicità delle virtù ... I Medici della Consulta medica del Dicastero … si espressero a favore dell’inspiegabilità scientifica della guarigione [dal "morbo di Parkinson" di Sr. Marie Simon Pierre Normand]. I Consultori teologi, il 14 dicembre 2010 … riconobbero l’unicità, l’antecedenza e la coralità dell’invocazione rivolta al Servo di Dio Giovanni Paolo II, la cui intercessione era stata efficace ai fini della prodigiosa guarigione … L’11 gennaio 2011 [i Cardinali e i Vescovi] della Congregazione delle Cause dei Santi … hanno emesso un’unanime sentenza affermativa, ritenendo miracolosa la guarigione di Sr. Marie Pierre Simon, in quanto compiuta da Dio con modo scientificamente inspiegabile, a seguito dell’intercessione del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II …”.
Benedetto XVI, Successo del Beato Pietro si è pronunciato in favore della vita vissuta alla luce dei consigli evangelici del suo Predecessore. Pertanto, direi che i dibattiti e le disquisizioni sulla opportunità o meno di tempi rapidi per la canonizzazione debbono cedere il passo alla decisione della Chiesa che non dubita delle virtù eroiche e della santità della vita di Giovanni Polo II.
Più volte papa Benedetto si è espresso pubblicamente sulla vita vissuta in Dio del Papa polacco non lasciando dubbi sulla sua eredità spirituale:«Bastava osservarlo quando pregava: si immergeva letteralmente in Dio e sembrava che tutto il resto in quei momenti gli fosse estraneo».Per Benedetto XVI, Wojtyla «intratteneva una conversazione intima, singolare e ininterrotta» con Dio, nutrita da tante qualità umane e «soprannaturali».
Con ogni probabilità la salma del Beato Giovanni Paolo II sarà traslata dalla Grotte Vaticane, dove si trovano ora, alla cappella di San Sebastiano, collocata alla destra della navata centrale della Basilica Vaticana tra la Pietà di Michelangelo e la Cappella del Santissimo Sacramento. E’ ancora allo studio la realizzazione della tomba; sembra infatti che nessuno sia in grado si assicurare se si tratterà di un monumento in pietra, senza esposizione del corpo, o una teca in cui la salma sarà esposta con il volto ricoperto da una leggera maschera di protezione, realizzata in cera per ricalcare in maniera fedele i lineamenti di Giovanni Paolo II, come già avvenne per Giovanni XXIII.

(Fonte: Umanesimo cristiano, 15 gennaio 2011)

L’amore è il principio, la ragione e il fine della vita

La formula del «finché morte non vi separi» sembra non funzionare più e ogni tre matrimoni celebrati uno finisce con una separazione. A dirlo sono i dati impietosi del ministero della Giustizia: quasi 300 coppie sposate ogni mille chiedono la separazione, soprattutto consensuale. E a questa media bisogna aggiungere i 234 divorzi richiesti nel frattempo. Sociologi e teologi pastoralisti si interrogano sulle cause. La ragione principale è il mutamento della società secondo la quale l'idea della separazione è entrata a far parte del senso comune collettivo. Anche l'emancipazione femminile ha aiutato il processo per cui le donne non hanno più paura di separarsi potendo contare, altresì, su una maggior indipendenza economica e nutrendo molto meno timore di affrontare la vita senza un compagno.
Inoltre, qualcuno attribuisce il fenomeno non solo al fatto che in Italia le coppie hanno iniziato a separarsi più tardi rispetto al resto d'Europa, ma anche perché nel nostro Paese ci si sposa ancora molto, mentre nel in Europa, soprattutto in quella del Nord, si preferisce la convivenza.
Oggi, trovare una coppia decisa a unirsi in matrimonio unico, fede e indissolubile, espresso con un consenso convinto, libero e irrevocabile non è facile in questo mondo tanto egoista. Le unioni coniugali sono in genere celebrate per piacere e interesse, o per convenienza economica o sociale. Di fronte a tanti matrimoni falliti e a coppie e a famiglie turbate da eventi così penosi (in quanto non dimentichiamo che comunque sia ogni separazione è un fallimento personale!) è doveroso chiedersi il perché e quale sia la causa?
Lungi dall’indulgere in facili moralismi sembra proprio che il perché e il motivo di tanti fallimenti delle unioni matrimoniali sia da ricercare nel materialismo e nell'egoismo smodato che esiste nella società di oggi che è orientato a ricercare il bene esclusivo di sé e dei propri cari senza avere in mente il bene degli altri cittadini. Tutto ciò genera ingiustizia, discordia, infedeltà, dolore, divisione, separazione e divorzio a tutti i livelli umani. Disimpegna, separa, allontana e produce invidia, rancore, odio, discordia, lotte e litigi. In buona sostanza l’egoismo è la causa di tutti i mali dell'uomo.
Quanti di noi hanno incontrato una persone così egoiste e grette che in apparenza avevano tutto, ma alle quali mancava l’amore e la compassione? L’egoismo materialistico ed esacerbato portato a vivere da sola e nella tristezza. Quanti di noi hanno incontrato egoisti benestanti ai quali mancavano l'amore e la pace.
Ebbene, la società di oggi ha bisogno di sostituire l'egoismo disordinato e materialista con l’amore altruista e solidale umano e cristiano che addolcisce la vita e rende dignità alle persone, alle coppie, alle famiglie. Questo amore è principio ragione e scopo della vita; esso produce gioia, pace, misericordia, compassione, sostegno, perdono e comunione di beni spirituali e materiali.
L’amore è forza potente che genera la vita, fa andare avanti il mondo, unisce e condivide i bisogni, le gioie, i dolori, i successi e gli insuccessi nel rispetto della libertà personale di ciascuno degli individui e dei coniugi, preservando la fedeltà, base e misura della felicità domestica. L’amore rende gentili, coraggiosi, altruisti e sacrificati al lavoro e combattivi insieme nella stessa direzione per il raggiungimento dello stesso obiettivo. L’amore muove le persone alla verità, alla bontà e alla bellezza, e le fa essere pazienti, disponibili, fedeli, sicure, tolleranti e solidali con gli altri.
Gesù di Nazareth riassume tutta la Legge mosaica nell’amare Dio e il prossimo, e insegna: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli" (Gv 13, 35). Giovanni Evangelista dice: "Dio è Amore, chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio in lui" (1Gv 4,16). Inoltre: "Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20). E Paolo di Tarso scrive: "La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità” (1Cor 13, 4-6).
Teresa di Calcutta ha detto: "Dio ci ha creati per amare ed essere amati". Dante, nell'ultimo verso del Paradiso della Divina Commedia, ha scritto: "L'amor che muove il sole e l‘ altre stelle". San Giovanni della Croce ha detto: "L'anima che cammina nell'amore nonannoia gli altri né stancasé stessa." Lacordaire disse: "L'amore è prima di tutto, la ragione di tutto e il fine di tutto". Francesco de Quevedo disse: "L'amore è l’ultima filosofia del cielo e della terra". Infine S. Agostino di Ippona, il più importante dottore e padre della Chiesa, scrisse: “Ama, e fai ciò che vuoi: se tu taci, taci per amore. Se tu parli, parla per amore. Se tu correggi, correggi per amore. Se tu perdoni, perdona per amore”. (Conf. 13, 9)

(Fonte: Umanesimo cristiano, 12 gennaio 2011)

Se l’uomo si inchina solo dinanzi a sé stesso

È stato un mio caro amico, il filosofo morale Luigi Alici, a farmi notare il principio idolatrico di cui sono intrisi due celebri slogan adottati da una grande multinazionale di telefonia cellulare. Uno dice: “Tutto il mondo intorno a te”, l’altro “Life is now”, ovvero “La vita è adesso”. Messi insieme, illustrano bene l’orizzonte morale e culturale del nostro tempo e di tanti nostri giovani: soggettivismo spinto e appiattimento sul presente. Il soggettivismo elimina l’altro e toglie valore alla relazione, vissuta, al più, in modo strumentale. L’appiattimento sul presente elimina la memoria e il progetto: tutto ciò che conta è passare da un’esperienza all’altra senza trarne alcuna lezione se non quella che ribadisce l’esigenza di accumulare altre esperienze.
Più ancora e prima ancora del potere e del denaro, gli idoli dell’uomo del ventunesimo secolo sembrano essere proprio questi. Ciò che li accomuna è un’idea particolare di libertà. Essere liberi non significa, in questa prospettiva, assumere su di sé la responsabilità della vita nel rapporto con l’altro, ma stare al centro della scena e soddisfare se stessi godendo il più possibile di questa centralità. Al posto della relazione io-tu, ecco l’egocentrismo. Al posto del principio di responsabilità, ecco il principio del piacere.
“Idolo” viene dal greco eidòlon, immagine. Il verbo eido significa vedere. L’idolo è un’immagine alla quale l’uomo attribuisce un significato divino. Non è Dio, ma un’immagine di Dio. Come tale, è costruita dall’uomo. Operazione comprensibile (abbiamo un disperato bisogno di rendere visibile l’invisibile, toccabile l’intoccabile) ma puerile. Trasformando l’immagine in divinità, Dio si allontana, non si avvicina.
La storia dell’idolatria è vecchia quanto l’uomo. Ma oggi c’è una novità: l’idolo è l’uomo stesso. Al posto di un vitello d’oro c’è uno specchio che rimanda la nostra stessa immagine. Abbiamo sacralizzato noi stessi. E’ davanti a noi stessi che ci inchiniamo in adorazione e pratichiamo sacrifici, come si vede bene nel dilagante culto del corpo e dell’efficienza fisica.
L’antica radice indoeuropea di sacrum pare possedere due significati: quello di aderire e quello di seguire. In un caso come nell’altro siamo di fronte a una relazione. Aderisco a qualcuno o a qualcosa, seguo qualcuno o qualcosa. Oggi non si può dire che non c’è più spazio per il sacro. Lo spazio è rimasto, ma è cambiato il soggetto. Dio non è più un altro e la dimensione del sacro non è la relazione. Dal momento che l’immagine divina rimandata dallo specchio è la mia, la dimensione del sacro si esaurisce in quella dell’io.
Nel cristianesimo la relazione io-tu è esaltata al massimo grado. Il Dio cristiano si mette talmente in relazione con la creatura da farsi uomo. E’ la religione del logos, della parola che si incarna. Per questo, quando l’idolo sono io stesso, il cristiano e la sua fede diventano per me pietre d’inciampo da eliminare. Per l’egocentrismo idolatrico non è tollerabile una fede fondata non solo su un rapporto ma addirittura su un incontro, e un incontro d’amore!
Una volta il professor Salvatore Mancuso, ginecologo del Policlinico Gemelli, mi ha raccontato che le cellule staminali del feto si trasferiscono nel corpo della madre e restano lì per tutta la vita della donna. Lo scambio incomincia fin dal primissimo istante della fecondazione, non finisce mai e per la madre ha un valore curativo perché le cellule del figlio funzionano da soccorritrici, andando a sistemarsi là dove sono più necessarie alla salute della donna. Non è solo la mamma a dare la vita al figlio. Anche il figlio, letteralmente, dà vita alla mamma. Per questo, dice Mancuso, “fa bene la mamma ad accarezzarsi il pancione: un gesto d’affetto verso il bambino che ancor prima di nascere si prende cura di lei”.
Ecco un caso in cui la fisiologia parla con linguaggio forse più chiaro di quello della filosofia.

(Fonte: Aldo Maria Valli, Piùvoce.net, 11 gennaio 2011)

Il Corriere ha fatto della Cederna la santa vergine degli anni Settanta

A impedirci di amarla basterebbe il fatto che scrisse le peggio cose su Oriana Fallaci, invidiandone probabilmente il successo e i riconoscimenti a livello internazionale. Ma a proposito di Camilla Cederna (1911-1997) ci sono ben altre cose da ricordare, momenti della sua carriera che dovrebbero essere noti a tutti ma non hanno impedito al Corriere della Sera, pochi giorni fa, di celebrarla alla stregua di una Giovanna D’Arco italica, una che non si accontentava della versione dei fatti fornita dallo Stato borghese, bensì preferiva seguire con tenacia altre piste. Poco importa se poi si sono rivelate terribilmente sbagliate e incredibilmente dannose.
Questi i fatti: per Rizzoli sta per uscire – sarà in libreria a giorni – un volumone intitolato “Il mio Novecento”, che raccoglie numerosi articoli della celeberrima firma dell’Espresso dei tempi d’oro. Bene, il 10 gennaio il quotidiano di via Solferino lo ha anticipato con un articolone di Ranieri Polese. Titolo: “L’impegno del lato debole”. E fin qui… Catenaccio sul sito web del Corrierone: “Camilla Cederna, giornalista di costume che denunciò i casi Pinelli e Leone”. Denunciò? Ma che diavolo aveva da denunciare? La Cederna fu tra i principali accusatori del presidente della Repubblica Giovanni Leone, contro il quale scatenò una campagna diffamatoria feroce a partire dal 1975. Oggi, per molto meno, si parla di “macchina del fango”, “metodo Boffo” e via discorrendo. La giornalista pubblicò, nel 1978, il libro “Giovanni Leone. La carriera di un presidente”. Fu un successo, come spesso accade ai testi complottistici con tendenze sinistre; vendette svariate migliaia di copie. Risultato: il povero Leone dovette lasciare l’incarico con disonore. Venne riabilitato soltanto molti anni dopo, quando ormai non serviva più. Dunque che diamine ha denunciato la Cederna? L’unica denuncia fu quella che si prese lei, condannata per diffamazione.
Poi c’è il caso Pinelli. Il pamphlet della Cederna sull’argomento (“Pinelli: una finestra sulla strage”) è stato da poco ripubblicato da Il Saggiatore, si trova in tutte le librerie italiane. Peccato che pure quello sia pieno di falsità, le stesse contenute nella famigerata lettera aperta pubblicata nel ’71 sempre dall’Espresso e sottoscritta da tutti gli intellettuali che all’epoca contavano (quelli filo-comunisti) in cui sostanzialmente si accusava il commissario Luigi Calabresi di aver causato la morte dell’anarchico volato giù da una finestra della Questura. A rimetterci, a causa della lettera e pure del libro successivo, fu il povero Calabresi, che fu barbaramente trucidato da Lotta continua. Non certo la Cederna. La quale continuò a spargere il proprio astio ideologico ancora per parecchi anni, concentrandosi di volta in volta su bersagli appetitosi.
Nel 1990 se la prese appunto con la Fallaci. La descrisse come uno sciacallo, un’arrogante, una specie di pazza isterica che aveva successo solo perché "rompeva i coglioni". Ovviamente i libri della Fallaci e le sue interviste sono stati letti da milioni di persone nel mondo. Quelli della Cederna, fortunatamente no. Eppure il principale quotidiano italiano scrive che la Cederna fu una grande intellettuale impegnata con il coraggio della denuncia. Se uno avesse davvero coraggio, l’unica denuncia da sporgere sarebbe contro chi affianca il nome della Cederna a quello dell’Oriana nel novero delle più importanti giornaliste italiane.

(Fonte: Francesco Borgonovo, L’Occidentale, 16 gennaio 2011)

Il Purgatorio secondo Benedetto XVI

Più che luogo fisico, spazio interiore; non fuoco di fiamme, ma fuoco metaforico, interiore. Benedetto XVI descrive a circa 9.000 fedeli riuniti in Vaticano per l'Udienza Generale la sua immagine del Purgatorio. E per farlo non chiede aiuto a Calliope, come fece Dante, ma ad una mistica del Quattrocento, Santa Caterina da Genova, moglie di un ubriacone e inizialmente dissoluta anche lei, poi spiazzata dalla ''visione'' dell'orrore dei propri peccati e convertita a una esistenza di carità' e dedizione al prossimo.
Se ai tempi di Caterina, spiega il Papa, si pensava al Purgatorio a partire dall’idea dei tormenti dell'aldilà, e come a uno spazio ''nelle viscere della terra'', Caterina invece vedeva il Purgatorio a partire dalla propria anima di peccatrice: la visione del peccato confrontato all'amore di Dio, la portava a espiare e purificarsi. Se di fuoco si trattava, quindi, era certo un fuoco ''interiore''. Da tempo la Chiesa e i Pontefici hanno abbandonato le immagini dell'aldilà che per secoli hanno nutrito l'immaginario collettivo e popolato le arti di diavoli con il forcone, beati tra le nuvole del Paradiso e peccatori non dannati che compiono la propria purificazione.
Nel 2003, Giovanni Paolo II dedicò un ciclo di catechesi a Inferno, Purgatorio e Paradiso, come stati dell'anima legati alla comunione o meno con Dio. In questo solco, Ratzinger ha riflettuto sul Purgatorio, in cui l'anima ''soffre per non aver risposto in modo corretto a tale amore di Dio e l'amore stesso diventa fiamma e lo purifica''. E ha raccomandato di ''pregare con i defunti'' perché completino la propria purificazione e ''affinché possano giungere alla comunione con Dio''. La riflessione sull'aldilà, il peccato e il giudizio di Dio e' affrontato con ampiezza da Benedetto XVI nella sua Enciclica ''Spe salvi'', pubblicata nel 2007. Il Giudizio Finale di Dio, scrive il Papa teologo, esiste, non sarà quello dell'iconografia ''minacciosa e lugubre'' dei secoli scorsi, ma nemmeno un colpo di spugna ''che cancella tutto''; esso chiamerà ''in causa le responsabilità'' di ciascun uomo. La ''Spe Salvi'' ribadisce l'esistenza del Purgatorio e dell'Inferno e lega il motivo della speranza cristiana proprio alla giustizia divina. Anzi, afferma che proprio ''la questione della giustizia costituisce l'argomento essenziale, in ogni caso l'argomento più forte, in favore della fede nella vita eterna''. ''E' impossibile infatti che l'ingiustizia della storia sia l'ultima parola'', chiarisce in uno dei passaggi più forti della lettera Enciclica. ''La grazia - scandisce poi Benedetto XVI- non esclude la giustizia. I malvagi alla fine, nel banchetto eterno, non siederanno indistintamente a tavola accanto alle vittime, come se nulla fosse stato''.

(Fonte: Petrus, 12 gennaio 2011)

venerdì 7 gennaio 2011

Consulta: nozze e unioni gay non sono equiparabili

Nuovo stop della Corte costituzionale alla campagna pressante del movimento gay di ottenere il riconoscimento del matrimonio omosessuale per via giudiziaria. La Consulta con una decisione presa il 16 dicembre e depositata ieri con una ordinanza (la 4 del 2011), ribadisce infatti in modo molto netto quanto già stabilito in una sentenza di aprile e in una ordinanza di luglio del 2010: dichiara, cioè, che non possono essere considerate incostituzionali le norme del codice civile che non consentono il matrimonio tra le persone dello stesso sesso.
Una ennesima prova, dunque, che la insistenza programmatica dell’attivismo omosessuale non può modificare il senso delle leggi, quando si rispetta il significato autentico delle norme. Da notare infatti che la decisione del tribunale di Ferrara di interpellare la Consulta, nel dicembre del 2009, in merito alle richiesta di sposarsi di una coppia di lesbiche, fu commentata trionfalisticamente da un sito degli omosessuali organizzati: «La campagna di affermazione civile continua». Più sotto l’appello a tutte le lesbiche e gay a presentare richiesta di pubblicazioni matrimoniali, per poi poter impugnare il rifiuto. Ma con la ordinanza di ieri la Corte ha ritenuto, sotto il profilo dell’articolo 2 della Costituzione che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo nella sfera individuale e sociale, «inammissibile» la questione di legittimità degli articoli del codice civile che sanciscono che il matrimonio è solo tra un uomo ed una donna. La richiesta promossa dalla coppia di lesbiche è irricevibile, perché, spiega l’ordinanza, «diretta ad ottenere una pronunzia additiva non costituzionalmente obbligata». «Infondata» poi è stato considerato il dubbio di costituzionalità a riguardo dell’articolo 3 della nostra carta fondamentale, sulla uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, richiamato nell’impugnazione delle norme del codice civile, insieme al 29 che riconosce la famiglia come società naturale.
In altri termini per il "giudice delle leggi" è indiscutibile che per la Costituzione l’unico matrimonio possibile è quello tra un uomo ed una donna. Nella sentenza di marzo richiamata nella ordinanza di ieri infatti si affermò che i principi costituzionali vanno interpretati tenendo conto della evoluzione della società, ma non fino al punto da «incidere nel nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati quando fu emanata». L’ordinanza di ieri spiega, poi, che «l’articolo 29 della Costituzione si riferisce alla nozione di matrimonio definita dal codice civile come unione tra persone di sesso diverso, e questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica», anche «perché le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio». In conclusione siccome la unione tra due omosessuali non è affatto equiparabile alle nozze tra un uomo ed una donna, non vi può essere nessuna discriminazione nel fatto che il nostro ordinamento non prevede il matrimonio gay. Assai significativo, poi, il fatto che nella ordinanza pubblicata ieri, a differenza della sentenza precedente, non viene richiamata affatto la Carta dei diritti fondamentali della Unione europea. Infatti è erroneo ritenere che quel documento estenda le competenze comunitarie, restando la normativa relativa al matrimonio di unica competenza delle legislazioni nazionali.

(Fonte: Pier Luigi Fornari, Avvenire, 6 gennaio 2011)

martedì 4 gennaio 2011

L'attacco al Papa dimostra una volta per tutte cos'è l'islam "moderato"

Le parole intollerabili e intolleranti pronunciate da Ahmed al Tayeb, la più alta carica islamica dell’Università di al Azhar, demoliscono senza pietà le facili tesi che attribuiscono ai terroristi di al Qaida la sola responsabilità delle violenze e del martirio di centinaia di cristiani in terra di Islam. Parole che esprimono astio, maleducazione addirittura, che non tollerano che un cristiano parli nemmeno di quanto accade nel territorio abitato dalla Umma. Parole intrise di falsità, perché il Papa, ovviamente non Benedetto XVI, ma il suo predecessore Giovanni Paolo II, ha sempre avuto parole sentite di compassione e di pietà per i musulmani morti in Iraq ad opera di altri musulmani, sia per la guerra voluta da George W. Bush da lui inequivocabilmente condannata.
Chi nella chiesa, come il cardinale Fitzgerald (responsabile per anni del dialogo interreligioso e oggi nunzio apostolico proprio al Cairo), ha sempre dipinto al Azhar e il suo vertice come interlocutore moderato e affidabile, tanto da aver organizzato addirittura un incontro in Vaticano, poi sfumato, con l’allora rettore di al Tantawi, deve ora prendere atto di essersi sbagliato. Al Tayeb ha fama, meritata, di essere il più moderato tra i moderati, ma in questa sua inaccettabile polemica con Benedetto XVI dimostra di essere anch’egli intollerante, fazioso, estremista e soprattutto inaffidabile. Perché le sue parole a favore di una convivenza pacifica tra cristiani e musulmani in Egitto, alla luce di queste critiche rivolte al Papa, significano solo che i cristiani devono accettare di sottomettersi ai musulmani. È questo quel che pensano ormai sempre di più i musulmani moderati, è in questo humus che cresce poi la mala pianta del terrorismo. Da anni in Egitto cristiani vengono uccisi da folle inferocite che intendono impedire loro di costruire nuove chiese, spesso anche di riparare quelle esistenti. Da anni, con ben più di cento cristiani copti massacrati da folle di musulmani o da kamikaze, gli autori e gli incitatori dei pogrom anticristiani in Egitto non vengono perseguiti dalle autorità giudiziarie, ma non vengono neanche colpiti da una dura e responsabile fatwa di al Azhar che si limita a blande esortazioni di pace.
Che la realtà sia quella di un Islam moderato che moderato non è che si dimostra sempre più aggressivo e intollerante verso i cristiani è dimostrato da quello che accade in tutto il mondo musulmano: in una Algeria “laica” in cui è stata da pochi anni introdotta una pena di due anni per i cristiani che tentino di convertire un musulmano, dalla legislazione che in quasi tutti i paesi musulmani condanna a morte i cristiani che facciano proselitismo, dai pogrom della Nigeria, e dell’Indonesia, dalle continue decapitazioni di filippini cristiani in Arabia saudita, dalla permanenza della Blasphemy Law in Pakistan che ha portato alla condanna di centinaia di cristiani per accuse pretestuose di avere offeso Allah o il Profeta, dalle impiccagioni eseguite in Iran di cristiani protestanti, dalle condanne a morte per apostasia emesse in Afganistan.
L’intolleranza, lo spirito jihadista, la risoluzione dei conflitti solo e unicamente attraverso la violenza stanno prendendo sempre più piede in un mondo musulmano che peraltro si dimostra sempre più incapace di modernizzarsi, di esprimere una propria cultura non declamatoria e capace di fertili innovazioni sono perfettamente rappresentate nelle parole d’odio verso il Pontefice pronunciate da Ahmed al Tayeb. Si prenda atto di questa realtà, ne prendano atto anche gli amici di Sant’Egidio che con al Tayeb hanno organizzato molti incontri, convinti della sua moderazione. Può darsi che abbia ragione Antonio Ferrari sul Corriere quando spiega che al Tayeb, effettivamente moderato e laureato alla Sorbona ha preso questa posizione per non rompere con la fortissima pressione estremista che sente anche dentro al Azhar. Ma è una spiegazione che non cambia nulla: al Tayeb, moderato o meno che sia ha espresso una posizione degna di un fondamentalista musulmano, ha eccitato gli animi dei musulmani contro il Pontefice di Roma. Questo è agli atti. Questo è da irresponsabile.
Una sorta di “isteria” islamica, di immotivato complesso di superiorità dell’Islam su tutte le altre fedi (ampiamente peraltro celebrato e descritto dal Corano), sta sempre più prendendo piede nella umma e vanifica tutte le illusioni sugli effetti del dialogo interreligioso. Da qui nasce e cresce la cristiano fobia di cui, finalmente, parla il pontefice tedesco, dopo che per anni la Chiesa aveva taciuto sulle persecuzioni dei cristiani nel nome di un mal interpretato dialogo interreligioso.
C’è sempre meno spazio nel mondo musulmano per fare riferimento allo spirito delle sure che Maometto dedicava alla pace con cristiani ed ebrei nella sua prima predicazione alla Mecca, che da anni ci sentiamo riproporre dai leader musulmani, che però mai hanno fatto gesti concreti perché venissero concretizzate. C’è solo spazio per aderire allo spirito delle invettive contro cristiani ed ebrei che Maometto ha dettato successivamente alla Medina, là dove agiva come un generale armato di spada e ordinava di massacrare ben 650 ebrei inermi di una tribù medinense che aveva accusato, ingiustamente, di tradimento: “ Combattete coloro che non credono in Dio e nel Giorno Estremo, e che non ritengono illecito quel che Dio e il Suo Messaggero hanno dichiarato illecito, e coloro fra quelli cui fu data la Scrittura, che non s’attengono alla Religione della Verità. Combatteteli finché non pagano il tributo, uno per uno umiliati”(Corano, IX 29).
Il più schematico e dogmatico teologo islamico Ibn al Taymmyya, che nel tredicesimo secolo predicava l’obbligo di sottomettere i cristiani e di impedire loro di riparare le chiese, affinché crollassero, è ormai il riferimento diretto o indiretto di milioni e milioni di musulmani.
E non può essere altrimenti, perché l’Islam, questo Islam “moderato” non è minimamente in grado di contrastare neanche sotto il profilo ideale o teologico l’islam al qaidista o terrorista che ormai si spande a macchia d’olio dall’Indonesia alla Nigeria, riattizzando anche quella guerra civile tra sciiti e sunniti che pure lo aveva devastato nel settimo secolo, ma che da allora si era ricomposta. Migliaia sono i musulmani sterminati da musulmani nelle moschee della Umma, ma al Azhar, a fronte di questo scempio, tace, al massimo sussurra. Ed è un pessimo spettacolo.

(Fonte: Carlo Panella, L’Occidentale, 3 gennaio 2011)

Quando i desideri di una popstar stravolgono i veri diritti

«Prendi una stella se ci riesci, desidera qualcosa di speciale… il mio amore è libero». Così cantava Elton John nel brano Are you ready for love? nel 1977 e pare che oggi il baronetto britannico sia riuscito per davvero a realizzare l’impossibile, a prendere quella stella così speciale e così tanto desiderata che ha preso nome di Zachary Jackson, un bebè nato il giorno di Natale da madre californiana, padre ignoto e ora figlio dell’amore libero tra Elton John e il suo compagno David Furnish. In questa vicenda viene alla luce un curioso e inquietante intreccio tra rivendicazioni di certo mondo gay ed esasperazioni delle tecniche di fecondazione artificiale, intreccio paradigmatico almeno per tre motivi. In primo luogo, c’è un parallelo tra il vincolo giuridico che unisce il cantante inglese con il suo compagno e il legame esistente tra questi ultimi e il piccolo Zachary. Entrambi i legami sono infatti artificiali. Il matrimonio (!?!) celebrato tra i due omosessuali sul suolo inglese è una vera e propria finzione giuridica (una fictio iuris), un artefatto normativo, perché manca un requisito di base perché si possa parlare di matrimonio: la diversità dei sessi. In questi casi il vincolo matrimoniale è addirittura inesistente. Come è inesistente il rapporto genitoriale tra i due sedicenti papà e il figlio: nessuno dei due è infatti il padre biologico e la coppia non ha i requisiti naturali indispensabili per accedere all’adozione.
L’artificiosità della procedura attraverso cui questa nuova vita è venuta al mondo è poi parossistica. Non solo l’erede di Elton John è stato concepito al di fuori di un autentico rapporto d’amore tra padre e madre, cioè tramite provetta, ma è stato incubato da un utero che lo ha ospitato solo per il tempo necessario affinché fosse pronto per essere consegnato alla coppia richiedente. La madre ha cioè affittato parte del suo corpo, rifiutandosi di abbracciare suo figlio una volta venuto al mondo.
Idem per il padre biologico, mero fornitore di seme maschile. Il tutto ha dunque il sapore di un’operazione alchemica. Lo snaturamento del legame matrimoniale si riflette dunque fedelmente nell’adulterazione del rapporto genitoriale. Ma in questa vicenda c’è un altro stravolgimento dell’ordine naturale: i desideri diventano diritti e questi ultimi scolorano in mere aspettative. E così un legame affettivo tra due omosessuali viene riconosciuto civilmente; analogamente l’aspirazione di diventare genitore, anche se mancante della figura materna e fuori tempo massimo vista l’età della popstar, è elevato a diritto giuridico. I diritti invece, anche quelli cosiddetti naturali, si svalutano sempre più e mutano in meri interessi personali. Il diritto del figlio a crescere con i suoi genitori biologici e di avere un padre e una madre è solo un desideratum; il diritto della comunità civile di vedersi formata da famiglie composte da un uomo e una donna è solamente un’opzione tra le molte. Infine, questa vicenda d’Oltremanica rivela ancora una volta che l’uso dei volti noti aiuta non poco nello sdoganare e legittimare pratiche difficilmente digeribili dal buon senso dei più, per normalizzare ciò che normale non è. Anche da noi, su temi quali l’omosessualità, la fecondazione artificiale e l’eutanasia, non di rado si pone in essere l’espediente di trovare l’attore famoso, lo scienziato di chiara fama, il presentatore affabile e garbato che metta la sua faccia per sponsorizzare innovativi stili di vita o inediti diritti civili che spesso fanno a pugni con la morale naturale e la dignità della persona umana.

(Fonte: Tommaso Scandroglio, Avvenire, 30 dicembre 2010)

Non più all’Occidente. L’islam adesso punta ai cristiani

Col nuovo decennio il fanatismo islamico ha fatto un salto di qualità: il suo nemico principale non è l’Occidente americano, ma la Cristianità. Una lunga scia di sangue e di attentati, dal Sudan al Pakistan, dalle Filippine al Libano, dall’Irak all’Egitto, mostra che il passaparola è uno: terrorizzare i cristiani, colpirli e perseguitarli. E si teme ora per il Natale copto-ortodosso di venerdì e per il voto in Sudan di domenica. Di ogni strage si è cercato di dare finora una ragione locale, da conflitto interno ai Paesi, come quello egiziano tra copti e islamici. Ma quando i massacri colpiscono i cristiani in Paesi diversi e anche lontani, hai la sensazione che - come ha denunciato il Papa in solitudine - oggi il nemico mondiale dell’islam fanatico sia la civiltà cristiana.
Provo a dare una spiegazione: l’islam fanatico ha bisogno di un nemico per compattare i suoi credenti e richiamare sotto le bandiere feroci di Al Qaida i popoli che si ispirano ad Allah. L’America è stata finora il Nemico Principale, ma ora è caduto in sonno perché Obama non è Bush, e per i fanatici è importante che il Nemico abbia anche un volto e un nome. Al di là delle dicerie sulla sua matrice islamica, il colore della pelle e la provenienza etnica di Obama, e il suo legame più labile con Israele, lo rendono meno indigesto agli arabi e agli islamici tutti. Di conseguenza la Cristianità assurge a Nemico Simbolico, vista come la Religione dell’Occidente; di conseguenza (...) le popolazioni arabe, egiziane, pachistane, sudanesi o egiziane che seguono la religione cristiana sono considerate traditrici. Intelligenza col Nemico, la cristianità come veicolo di occidentalizzazione.
Non ho mai creduto alla guerra di religione ed ho scritto in passato che gli obbiettivi del fanatismo islamico erano sempre rigorosamente laici e riguardavano l’Occidente della finanza e del materialismo americano. Non a caso l’11 settembre colpirono le due Torri a New York e non la basilica di San Pietro a Roma. E così gli obbiettivi seguenti, da Londra a Madrid ai tentativi sparsi in Occidente, colpivano la metro e la City, non la cattedrale di Saint Paul o la Sagrada Familia di Barcellona. Ora qualcosa è cambiato, si avverte una svolta e questo ci chiama in causa anche in quanto europei. Perché, anche se noi non lo ricordiamo, l’Europa è comunque vista nell’islam e nel mondo come la culla della cristianità, cattolica e protestante. L’Europa, lo scrivevo già prima della strage di Alessandria, dovrebbe far sentire la sua voce, accompagnare l’appello del Papa che parla nel nome di una grande religione disarmata, senza pasdaran. Perché, al di là delle confessioni, c’è la nostra civiltà, e noi non possiamo tirarci indietro nel difendere in quei cristiani massacrati anche la nostra civiltà, il nostro rispetto per i diritti delle persone e dei popoli e la loro libertà di culto. Un regista iraniano in cerca di pubblicità-martirio, variante islamica della pubblicità-progresso, desta da giorni in Occidente una vistosa solidarietà perché è stato condannato a sei anni dallo stesso regime che ha finanziato fino a ieri i suoi film, ma è a piede libero perché è solo al primo grado di giudizio. Intanto decine di cristiani vengono massacrati nel silenzio dell’Occidente, milioni di cristiani che rischiano la vita solo per andare in chiesa vengono considerati come un affare interno ai Paesi sovrani. Quando penso a quella gente uccisa solo perché crede in Cristo, quando rivedo quell’immagine di Cristo d’Alessandria schizzata di sangue dei suoi credenti, ripenso al nostro Paese e ai suoi tetri scristianizzatori. Ripenso per esempio alla scuola elementare di Livorno dove il direttore ha vietato i canti religiosi per Natale, per non offendere gli islamici. Ripenso al consiglio d’istituto di Cardano al Campo, nel Varesotto, che ha vietato al parroco di entrare nelle scuole di ogni ordine e grado per la benedizione natalizia (e poi s’indignano per settimane intere per i simboli leghisti di Adro). Ripenso alle insegnanti della scuola elementare Santa Caterina di Cagliari che hanno disertato e fatto disertare la recita natalizia «per rispetto dei bambini musulmani». Ripenso alla scuola materna Casa del Bosco di Bolzano che ha cancellato le canzoni natalizie che citano Gesù, noto terrorista come Battista. Ripenso ai presepi cancellati, a Verona e non solo. E potrei a lungo continuare con uno sciame di idioti, tra insegnanti, collettivi e genitori democratici che fanno del male ai bambini, islamici inclusi, privandoli del piacere di una festa pacifica, serena, gioiosa, che unisce e non discrimina nessuno. E violentano le nostre tradizioni, si vergognano della nostra civiltà cristiana, si prostituiscono all’islam che nemmeno gradisce l’offerta. […] Ripenso tutti insieme questi incivili di ritorno, questi buonisti sterminatori di innocue tradizioni di fratellanza mentre vedo quei cristiani massacrati dall’odio del fanatismo islamico ad Alessandria. E dico nel nome di quella gente, di quei bambini uccisi, di quelle facce ridotte a maschere di sangue e di quel Cristo che ha ripreso a sanguinare: vergognatevi.

(Fonte: Marcello Veneziani, Il Giornale, 4 gennaio 2011)

Care Iene, istigare al peccato vale davvero un "pugno" di ascolti in più?

Vorrebbero imitare Julian Assange – il già super ricercato mondiale – che sta facendo tremare i grandi del pianeta per i suoi gossip-file raccattati a intercettare le chiacchiere di ambasciatori e consoli onorari davanti alla macchinetta del caffè. Si fanno chiamare “Iene”, forse perché lo sputtanamento altrui gli provoca attacchi di riso imbecille, ma assomigliano molto più a spelacchiati sciacalli, sempre pronti a denunciare con il ghigno sulle labbra le miserie umane (quelle degli altri) e per questo ricevono lauti compensi. Si spacciano per reporter ma fanno del giornalismo cabaret, usano attori e guitti per le loro inchieste fiction e si affidano alle forme di veline e soubrette in attesa di un posto al Grande Fratello.
Non siamo su Wikileaks ma più modestamente su Italia 1, la tv più trendy e spettinata dell’impero berlusconiano, voluta e tollerata così dal Cavaliere perché tanto la vedono in pochi. Ma sono quelli che mai andrebbero a posare il loro telecomando sulle gag di Emilio Fede o le ispirate benedizioni di Gerry Scotti, il paciarotto che tutte le nonne d’Italia vorrebbero come nipote. L’audience di Mediaset, si sa, è come l’arco costituzionale e quello di Italia Uno sarà forse scarso ma sufficiente a spingere un poveraccio di prete, a fine carriera e con vizietto inconfessabile, a buttarsi sotto il treno per la vergogna e il crepacuore.
Don Sergio Recanati aveva 51 anni: alcuni mesi fa era finito nel mirino della trasmissione tv “Le Iene” con l'accusa di aver molestato due ragazzi fingendo di fornire loro un supporto spirituale. In più servizi con telecamera nascosta le Iene lo avevano ripreso nei suoi tentativi di approcci e l’hanno mandato in onda.
E pure al cimitero, ucciso dalla gogna mediatica, quello inventata ben prima della comparsa delle Iene ma che oggi ha in quei pirlotti vestititi di nero come i Blues Brothers e nei blitz ricciani degli “inviati” di Striscia la Notizia l’espressione più compiuta e aggressiva. Questi non vanno a caccia di notizie, le creano, le inventano e le provocano. La loro realtà è la messa in scena: ai finti maghi e indovini mandano un finto cliente angosciato per l’amore perduto, al guaritore farlocco spediscono l’attore che si finge malato, a chi promette miracoli mandano clienti camuffandoli da tonti del villaggio.
Insomma: personaggi improbabili ma bravissimi nel loro lavoro di istigatori a delinquere. Così, avuto notizia di un prete con tendenze gay, le Iene hanno fatto scattare la trappola: hanno inviato una giovane comparsa a fare da esca nella tana del lupo, a risvegliare e stimolare nel sacerdote di Caravaggio le sue inconfessabili passioni. Fingendosi minorenne e omosessuale, il ragazzo si è presentato al prete per confidargli le sue preferenze sessuali. Dal video mandato in onda, si capisce che il sacerdote abbraccia il ragazzo e tenta di baciarlo.
Certo, il suo viso veniva oscurato e pure la voce camuffata, ma nel filmato c’erano indizi chiarissimi che portavano al riconoscimento del disgraziato prete: il gesticolare caratteristico, il modo di atteggiarsi e, soprattutto, l’inquadratura del santuario di Caravaggio dove il sacerdote aveva il suo ufficio. Dopo questo episodio, S. R. era stato sospeso dalle sue funzioni e inviato in una comunità di cura dove stava seguendo un percorso di recupero psicologico e spirituale. Finito sulla massicciata del diretto per Venezia.
Qualcuno dice che trasmissioni come “Le Iene” sono esempi di giornalismo. Anzi, di più: giornalismo di inchiesta. Adescare un prete, abbozzare alle sue toccatine, anzi, incoraggiarle, riprendere la scena di nascosto e mandarla in onda: tutta questa pagliacciata cos’ha a che vedere con l’informazione? Quale lo scopo dello scoop? Documentare che la Chiesa è zeppa di sacerdoti orchi, pedofili e pederasti? La prossima volta perché non ci mandano la Marcuzzi in topless in un convento di cappuccini a mettere alla prova la moralità dei frati? Oppure, la bella Ilary Blasi potrebbe andare fare la danza dei sette veli di Salomè nella grande moschea di Roma, nelle ore di punta del venerdì quando la concentrazione di iman e islamici barbuti è al suo massimo.
Certo, queste Iene della mutua si guardano bene dallo spedire il loro muscoloso attore a fare moine e ammiccamenti in un circolo dell’Arcigay. La mattina dopo sarebbero sommersi di proteste, contro di loro si scatenerebbe tutta la lobby omosex fino alle interrogazioni in Parlamento. Ma no, troppo rischioso per queste Iene spelacchiate scatenare l’ira dei gay organizzati o sfidare le scimitarre di Allah. Meglio andare a sfruculiare i bassi istinti di un pretazzo che tanto il Vaticano mica lancerà una fatwa contro il trio Medusa, Gimmy Ghione o Capitan Ventosa.
La Chiesa conta un fico secco, dunque nel suo recinto c’è libertà di fuoco. Cialtroni per ruolo e molestatori (loro sì) di professione, quando azzannano una preda non la lasciano più: la puntano, l’assaltano, la inseguono, la tormentano sperando che questa, presa dall’esasperazione, sbrocchi e dia in escandescenze davanti alle telecamere. Meriterebbero di venire allontanati con un bel calcio in culo, ma il più delle volte i torturati si sottomettono volentieri al supplizio, i politici poi paiono godere in special modo.
Non tutti infatti hanno il coraggio che ebbe l’allora sottosegretario ai Beni culturali, Vittorio Sgarbi, quando querelò i conduttori delle Iene per averlo definito “un drogato”, “parlamentare assenteista che ruba lo stipendio”. Sgarbi chiese quasi 52 milioni di euro come risarcimento per il danno d’immagine subito. In un'altra occasione, il focoso critico arrivò a spaccare in testa il Tapiro di polistirolo al noioso Staffelli e a respingere l’ennesimo assalto delle Iene al grido di: “Culattoni raccomandati”.
Beh, il povero prete di Caravaggio non ha chiesto indennizzi milionari né ha scagliato il suo crocefisso sul finto gay: si è buttato in silenzio dal ponte della ferrovia nelle campagne di Caravaggio, schiacciato dalla vergogna e dall’insopportabile fragilità. Ovvio, le Iene non si aspettavano questo epilogo né lo desideravano, ma sarà bene che riflettano, come ha ammonito il vescovo di Cremona ai funerali di don Sergio, a quali estremi può portare l’incosciente caccia al mostro, il prendersi gioco “di tutto e di tutti senza pensare alla loro sofferenza”.
Usare della vita degli altri per alzare l’audience televisivo è roba da aguzzini, da kapò e criminali mediatici. Confondere il giornalismo con il far west e la messa alla gogna dei più deboli è invece da codardi, da giustizieri e sceriffi senza stella che vogliono arrestare mezzo mondo solo per far divertire l’altra metà.

(Fonte: Luigi Santambrogio, Il Sussidiario.net, 6 dicembre 2010)