domenica 24 agosto 2014

È corretto parlare di “tifoseria” papista?

Mi sembra eccessivo l’articolo di Tornielli che si scaglia contro gli «ex papisti» - quelli che due anni fa difendevano Benedetto XVI, mentre oggi «bombardano con sarcasmo e talora disprezzo» papa Francesco - esasperando una presunta conflittualità, pari a quella esistente tra due irriducibili fazioni calcistiche, pro e contro l’attuale papa e l’emerito.
Penso invece che un’analisi obiettiva della situazione richieda necessariamente dei “distinguo”: prima di tutto coloro che criticavano Benedetto XVI (il “conservatore”) lo facevano soprattutto perché egli intendeva con il suo magistero ridare bellezza e sacralità alla Liturgia; perché lottava a difesa della vita e della famiglia insistendo sui valori non negoziabili; perché, con la sua chiarezza cristallina, riprendeva i vari punti della Dottrina, ridandole la giusta chiave di lettura, opponendosi fermamente ai continui tentativi di deformazione e di libera interpretazione moltiplicatesi negli ultimi decenni.
Un comportamento insopportabile per quei teologi d'élite, che negli anni postconciliari si sono adoperati in tutti i modi per imporre nella Chiesa il proprio pensiero unico, talvolta decisamente aberrante; per questo hanno fatto di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote, denigrando e sovvertendo secoli di dottrina e tradizione, arrivando giorno dopo giorno (questi sì con "odio e con disprezzo") a vanificare la sua volontà e le sue iniziative, sfinendolo fisicamente e moralmente.
Al contrario, coloro che oggi si esprimono criticando certi gesti o parole del suo successore Francesco (il “progressista”), lo fanno sempre con devozione e immancabile rammarico (salvo casi sporadici ben circoscritti che non fanno testo, e che comunque sarebbe meglio ignorare opponendosi fermamente ai continui tentativi di deformazione e di liberaAl contrario, coloro che oggi si esprimono criticando certi gesti o parole del suo successore Francesco (il "progressista") lo fanno sempre con devozione e immancabile rammarico (salvo casi sporadici), perché si sentono disorientati; lo fanno perché quelle parole e quei gesti sono fonte di confusione, di perplessità, prestandosi ad interpretazioni dubbie, offrendo l'opportunità ai fautori del pensiero laico e anticattolico di cavalcare l'onda del dissenso dottrinale, insinuando nei fedeli aspettative in netto contrasto con l'autentica Dottrina.
Quindi nessun odio né disprezzo per papa Francesco, caro amico Tornielli; ma soprattutto nessuna lotta partigiana, condotta stupidamente per partito preso, che in ogni caso lascerebbe tutti con l'amaro in bocca. Va evitata, semmai, una indebita equiparazione delle ragioni delle due parti; poiché, a monte di ogni superficiale valutazione, ciò che fa la differenza sono lo spirito, le modalità e le intenzioni delle "critiche", che nello specifico partono da presupposti diametralmente opposti: decisamente negativi per le critiche a Benedetto XVI, fondamentalmente positivi per le altre.i una indebita equiparazione del gioco delle parti; poiché, a monte di ogni superficiale
di nessun odio né disprezzo per papa Francesco; ma soprattutto nessuna lotta partigiana, condotta stupidamente per partito preso, che in ogni caso lascerebbe a tutti l’amaro in bocca. Semmai una indebita equiparazione del gioco delle parti; poiché, a monte di ogni superficiale valutazione, ciò che fa la differenza sono lo spirito, le modalità e le intenzioni delle “critiche”, che nello specifico partono da presupposti diametralmente opposti: decisamente negativi per le critiche a Benedetto XVI, fondamentalmente positivi per lEquiparare quindi gli accorati appelli (perché di questo in fondo si tratta) rivolti da questa porzione di Chiesa a Papa Francesco, a delle scalmanate esternazioni da “tifoseria”, mi sembra assolutamente fuori luogo, riduttivo e in qualche modo offensivo per molti.
(Ma.La., 24 agosto 2014)
 

sabato 23 agosto 2014

In Iraq si muore, a Roma si fa accademia

In Iraq si muore, a Roma (e non solo) si fa accademia. È un po’ questa l’impressione che si ricava mettendo a confronto i drammatici appelli che quotidianamente arrivano dai vescovi del Medio Oriente e le incredibili divagazioni sul tema che leggiamo sulla stampa nostrana, spesso ad opera di uomini di Chiesa.
Da Erbil, la città curda dove trovano riparo la maggior parte dei cristiani scacciati da Mosul e dalla piana di Ninive, si sono fatti sentire ieri, ad esempio, i patriarchi orientali cattolici e ortodossi andati lì per portare la propria solidarietà ai cristiani. «Noi lanciamo un grido d'allarme - ha spiegato il Patriarca Youssef II Younane, dei siro-cattolici - Non c'è nemmeno un secondo da perdere. È in gioco  la nostra sopravvivenza in Mesopotamia. Le nazioni libere che aderiscono alla Carta dei diritti dell'uomo devono avere il coraggio di essere fedeli ai loro principi. Noi chiediamo un intervento internazionale in nostra difesa, e non certo per conquistare alcunché. Noi abbiamo il diritto di difenderci e noi chiediamo di essere difesi. La comunità internazionale lo ha ben fatto in precedenza in Kosovo, malgrado l'opposizione, all'epoca, della Russia. Per questo noi domandiamo, assieme a Papa Francesco, di fare in modo che vengano rispettati i nostri diritti per un intervento militare di natura difensiva, per fronteggiare i gruppi jihadisti che ci minacciano». 
«Noi pensiamo – ha inoltre detto il patriarca maronita Bechira Rai - che lasciare campo libero agli jihadisti dello Stato islamico sarebbe davvero vergognoso per l'Occidente. Che un gruppo di terroristi di ispirazione diabolica sia lasciato libero di agire è uno scandalo senza precedenti. Noi chiediamo alla comunità internazionale di assumersi le proprie responsabilità. È inammissibile che un gruppo di questa natura opprima in questo modo dei popoli, e che la comunità internazionale non prenda la difesa di un gruppo incapace di difendersi da solo».
Parole chiare, analoghe nei contenuti e nel tono, a quelle sentite in queste settimane dai diversi vescovi iracheni: è richiesto un intervento urgente; e armato, perché i terroristi dell’ISIS non si fermano a belle parole.  
A Roma invece si continua a discutere sul significato da attribuire alle parole del Papa sul «fermare gli aggressori», e come quindi si può fermarli senza usare le armi, non sia mai che vogliamo le Crociate o solo contrapporre la forza alla forza.
Il Papa fa bene a ricordare i criteri fondamentali che guidano anche un intervento militare difensivo, è la dottrina della Chiesa da sempre, e non sta a lui indicare soluzioni politiche o militari. Ma i laici e coloro che sono chiamati a prendere decisioni o a suggerirle, devono dare contenuti seri a questi criteri, non possono fare omelie sulle parole del Papa riservando al contempo la loro aggressività nei confronti di tutti coloro che chiamano i terroristi con il loro nome e che invocano un intervento serio.
Chi sta facendo la guerra ad Antonio Socci – reo di aver criticato la tiepidezza del Papa – dovrebbe avere il coraggio di andare fino in fondo e criticare tutti i vescovi iracheni e i patriarchi orientali che chiedono di intervenire urgentemente, e possibilmente non a chiacchiere. Socci sarà pure criticabile, ma non è lui che sta sgozzando ostaggi e dando la caccia a cristiani e yazidi. E non siamo noi - che insistiamo nel denunciare la minaccia islamista - quelli che hanno dichiarato guerra agli infedeli, la Terza guerra mondiale tanto per citare il Papa. Chissà se poeti, intellettuali e preti che gridano dappertutto che non c’è bisogno di Crociate sarebbero così compassati e meditabondi sulle parole del Papa se ad essere stuprate e usate come bottino di guerra fossero le loro figlie e mogli e se ad essere sgozzati in nome di Allah fossero i loro figli.
Noi non vogliamo dichiarare guerra a tutti i musulmani, ci mancherebbe altro. O affermare che tutti i musulmani sono potenziali terroristi. Al contrario, vogliamo valorizzare tutto quello che di positivo si muove nel mondo islamico. Ma allo stesso tempo non si può chiudere gli occhi davanti a quel che sta accadendo e, in ogni caso, prima ancora di discettare sui princìpi dell’islam, occorre «fermare l’aggressore». E bisogna essere concreti: se non si vuole fare una guerra, in quale altro modo si possono fermare questi barbari?
Non si può giocare con le parole, come fa ad esempio, il segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, monsignor Mario Toso. In una intervista a Radio Vaticana, commentando le parole del Papa, ha detto ieri che si deve rinunciare «definitivamente all’idea di ricercare la giustizia mediante il ricorso alla guerra». Bene, e allora cosa facciamo davanti all’Isis? «Occorre - dice Toso - imboccare vie alternative: va cioè coltivata la multilateralità come via che offre maggiori garanzie di giustizia, anche nel caso che si debba attuare il principio di responsabilità di proteggere etnie e gruppi che sono minacciati di morte, come sta avvenendo in Iraq, da gruppi terroristici». E cosa vuol dire? La multilateralità non è una risposta al «cosa facciamo», al massimo è un metodo. E il resto sembrano frasi fatte, senza un senso vero, tanto per dare l’idea di dire qualcosa di profondo.
Ma cominciamo a vedere seriamente quali sono le alternative: i paesi occidentali, tutti d’accordo, si stanno muovendo per armare i curdi e dare loro la possibilità di difendersi. Va bene questo per i nostri amici che non vogliono Crociate? Non suona un po’ ipocrita e vagamente vigliacca come soluzione? Noi non vogliamo la guerra, ma vi diamo le armi per farla. Così abbiamo un doppio guadagno: non ci rimettiamo vite umane e ci facciamo i soldi con la vendita delle armi. Dare la possibilità a chi è attaccato di difendersi è giusto, ma fatta in questo modo non suona certo come un impegno. E senza considerare che anche questa via ha le sue controindicazioni: si incrementa la proliferazione di armi, anche pesanti, che in giro per Medio Oriente e Africa sono già troppe, e si aprono futuri contenziosi visto che i curdi ora si aspettano come ricompensa la creazione e il riconoscimento del loro stato, il Kurdistan.
La scorsa settimana, il nunzio apostolico all’Onu di Ginevra, monsignor Silvano Tomasi, aveva anche suggerito di bloccare il flusso di fondi e armi verso i miliziani dell’Isis. Più che giusto, ma anche questa non è una strada facile, immediata e risolutiva: ormai gli jihadisti hanno trovato il modo di autofinanziarsi – i rapimenti di occidentali servono a questo – e comunque c’è una pressione forte da fare sui paesi – Arabia Saudita, Qatar, Kuwait – da cui passano gran parte dei rifornimenti per l’Isis. E nessuno in questo momento sembra neanche pensare a questa strada, non ultimo perché anche in Europa siamo dipendenti dagli investimenti di questi paesi.
Dunque, quali sarebbero le altre alternative immediate a un intervento militare? Sicuramente ce ne saranno anche se in questo momento non ci vengono in mente, ma invece di meditare profondamente sulle parole del Papa, le si prenda sul serio e si formulino ipotesi concrete. Ad esempio, si prendano per la collottola i nostri governanti, molto più interessati a discutere del patetico topless di una ministra ultracinquantenne che non ad affrontare la minaccia jihadista che arriva da noi anche in barca (e li andiamo pure a prendere).
Soprattutto si risponda a questa domanda: e se le Nazioni Unite non avessero alcuna intenzione di muoversi, come peraltro appare evidente al momento (quante riunioni d’urgenza del Consiglio di sicurezza sono state convocate per discutere del Califfato?), che cosa si fa? Ce la sentiamo di abbandonare i fratelli cristiani iracheni - e mediorientali in genere - al loro destino, consolandoci con il fatto che tanto la persecuzione è nel nostro Dna?

(Fonte: Riccardo Cascioli, La nuova bussola quotidiana, 22 agosto 2014)
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-in-iraq-si-muorea-romasi-fa-accademia-10100.htm

giovedì 21 agosto 2014

Paolo Deotto: “Perché sono scandalizzato”

Ci sono riflessioni che è meglio fare “a freddo”, per evitare toni polemici, spesso inutili, se non dannosi. Altri amici ben più capaci di me sono già intervenuti sulle sconcertanti iniziative “di pace” a cui abbiamo di recente assistito e a cui assisteremo. Dal famoso incontro di preghiera nei giardini vaticani (ai quali è seguita, impossibile non notarlo, una furiosa ripresa di ostilità nella striscia di Gaza… ), alla programmata “partita di calcio per la pace” è difficile capire dove stia dirigendosi una politica vaticana che non riesce a far nulla di concreto per la pace, ma in compenso riesce a seminare dubbi ed equivoci.
Ma parliamo delle parole pronunciate ieri nell’intervista in aereo da Bergoglio. Le conosciamo tutti. Perché mi dichiaro scandalizzato?
Perché abbiamo una situazione spaventosa: un mondo islamico che getta la maschera, almeno per chi ancora credeva ingenuamente in questa maschera da Biancaneve che nascondeva le fattezze del lupo, e si scatena in una strage spaventosa. Il lupo non ha più alcun freno per sfogare il suo sanguinario istinto contro i cristiani. Le efferatezze che si consumano ogni giorno sono note a tutti. È nota a tutti anche la “reazione” occidentale, che per ora si è concretizzata in qualche missione di bombardamento ordinata da quel signore che per masochismo degli americani siede alla Casa Bianca, e che con l’occasione ha reso di nuovo attuale il dubbio sulla sua appartenenza o meno all’islam.
I demoni, che per l’occasione si chiamano “Isis”, sono armati e organizzati militarmente. Sarebbe interessante anche capire come abbiano fatto a raggiungere questa potenza; ma siamo anche sicuri che, volendolo realmente, l’Occidente avrebbe i mezzi per spazzarli via rapidamente.
Già, signori. Perché i delinquenti vanno spazzati via, non c’è altra soluzione. Troppe teorie fanno sì che la virtù del “porgere l’altra guancia” sia spostata sulla condizione di porgere l’altra guancia, purché si tratti della guancia altrui.
Perché mi dichiaro scandalizzato? Perché quando leggo su La Stampa che il Vescovo di Roma dice che “dove c’è un’aggressione ingiusta, soltanto posso dire che è lecito “fermare” l’aggressore ingiusto. Sottolineo il verbo “fermare”, non dico bombardare, fare la guerra, ma fermarlo. I mezzi con i quali si può fermare dovranno essere valutati. Fermare l’aggressore ingiusto è lecito. Ma dobbiamo avere memoria, quante volte sotto questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto la vera guerra di conquista. Una sola nazione non può giudicare come si ferma un aggressore ingiusto. Dopo la Seconda Guerra mondiale c’è stata l’idea della Nazioni Unite, là si deve discutere e dire: c’è un aggressore ingiusto? Sembra di si, e allora come lo fermiamo? Soltanto questo, niente di più”; quando leggo queste affermazioni, mi chiedo davvero: ma sono parole dette dopo un minimo di riflessione su ciò che si dice, o sono parole buttate lì, a casaccio? Di sicuro molto ben inquadrate in quel pacifismo che propone inutili e inaccettabili festival di parole, magari seguiti dall’invio di qualche contingente di “Caschi blu”, la cui perfetta inutilità è stata sperimentata fin troppe volte.
Mi dichiaro scandalizzato perché leggo che il Papa, che non ha forze militari, ma ha un’enorme influenza morale anche sul mondo non cattolico, si rimette al giudizio dell’Onu, al tempio di quel mondialismo che sta distruggendo il mondo. Da quando in qua il Vicario di Cristo rinuncia a formulare un giudizio e un’indicazione morale su un problema di così spaventosa portata, e “delega” le Nazioni Unite?
Nessuno ama la guerra, ma ci sono casi in cui è inevitabile, e ci sono casi in cui è anche giusta e lecita.
Mentre in Iraq si consumano le stragi, la proposta è quella di istituire qualche bel “tavolo” per decidere se l’aggressione è più o meno ingiusta (c’è ancora qualche dubbio?) e poi decidere se e come agire per fermarla. Nel frattempo gli aggressori sanguinari potranno agire come vogliono. Gli altri, i fuggitivi, i cristiani, sono liberi di farsi sgozzare, crocefiggere, decapitare, seppellire vivi. Staremo a vedere se con queste impostazioni ci sarà ancora qualcuno vivo per gioire di una splendida iniziativa come la partita di calcio per la pace.
Non mi soffermo nemmeno su un seguito di altre affermazioni ad alta quota, intrise di quello strano ecumenismo che sempre più sembra scivolare nel sincretismo. Per scandalizzarmi mi basta questo atteggiamento assurdo verso una strage continua, queste affermazioni che suonano – mi sia consentito – come una mancanza di rispetto per le terribili sofferenze delle vittime.
Diamo dunque incarico all’Onu per aprire una bella discussione, magari preceduta da una seduta del Consiglio di sicurezza. Alla fine si potrà redigere un bel documento di condanna contro tutte le violenze. Ma a quel punto le violenze saranno cessate, perché saranno finite le vittime. Tutti morti. In attesa che la ferocia islamica si scateni in altre parti del mondo, rassicurata anche dal fatto che la Chiesa ha rinunciato al suo ruolo di guida morale e lo ha delegato all’Onu.
Scusate, ma a questo punto è così strano essere scandalizzati?

(Fonte: Paolo Deotto, Riscossa cristiana, 20 agosto 2014)
http://www.riscossacristiana.it/perche-sono-scandalizzato-di-paolo-deotto/?fb_action_ids=735645719804212&fb_action_types=og.likes&fb_source=other_multiline&action_object_map=%5B818729714806676%5D&action_type_map=%5B%22og.likes%22%5D&action_ref_map=%5B%5D

Attualità di sant'Atanasio: oggi come allora è in pericolo l'ortodossia della fede

Agli amici de Il Giudizio cattolico voglio offrire la storia di un grande e famoso santo che però non viene solitamente ricordato nella sua completezza. Si tratta di sant'Atanasio (295-373), colui che difese il mistero dell'Incarnazione dalle minacce dell'Arianesimo, l'eresia che negava la divinità di Cristo.
Ma - dicevo - si tratta di un santo grande, anche famoso, ma di cui non si sa completamente tutto. Ed è proprio ciò che solitamente non si ricorda che rende questo santo molto attuale.
LA GRANDE CRISI DELLA ORTODOSSIA
L'epoca in cui visse sant'Atanasio fu di grande crisi della ortodossia, cioè della dottrina autentica. Siamo intorno al 360. In quel periodo (così come oggi) la verità cattolica rischiava di scomparire. Celebre è la frase di San Girolamo che descriveva quei tempi: "E il mondo, sgomento, si ritrovò ariano."
In tale contesto, sant'Atanasio non si piegò. Egli era un giovane vescovo di Alessandria d'Egitto. Rimase talmente solo a difendere la purezza della dottrina che per quasi mezzo secolo la sopravvivenza della fede autentica in Gesù Cristo si trasformò in una diatriba tra chi era per e chi non per Atanasio.

LA VITA DI SANT'ATANASIO
Qualche cenno biografico. Egli nacque ad Alessandria nel 295. Nel 325 presenziò al celebre Concilio di Nicea, in qualità di diacono di Alessandro ch'era vescovo di Alessandria. Concilio famoso quello di Nicea perché fu lì che venne solennemente proclamato la fede nella divinità di Cristo in quanto consustanziale al Padre. E' lì che fu stabilita la definizione per intendere l'uguaglianza del Figlio con il Padre: homoosius, che vuol dire "della stessa sostanza". Attenzione a questa definizione (homoosius) perché questa sarà la sostanza del contendere.
Torniamo alla vita di sant'Atanasio. Il 17 aprile del 328 morì il vescovo Alessandro e il popolo di Alessandria d'Egitto chiese a gran voce Atanasio come vescovo. Fu vescovo per ben 46 anni, ma furono 46 anni durissimi, 46 anni di lotta contro l'eresia ariana e contro gli ariani. Questi ovviamente rifiutavano proprio ciò che il Concilio di Nicea aveva detto di Gesù, il termine homoosius, che, come ho già ricordato, vuol dire: della stessa sostanza del Padre.
Il comportamento degli ariani di quel tempo è indicativo per capire quanto le vicende che toccarono a sant'Atanasio siano straordinariamente attuali. Sant'Ilario di Poiters (315-367) racconta che gli ariani ebbero sempre la scaltrezza di rifiutare ogni scontro dogmatico in merito alla questione della natura di Gesù perché sapevano che le loro tesi non potevano essere fondate sulla Tradizione né sul Magistero definito. Si limitavano a fare ciò che solitamente fa chi non sa controbattere in una discussione: invece di rispondere sugli argomenti, calunnia. La discussione dottrinale veniva spesso trasformata in conflitto su questioni personali. Il povero sant'Atanasio fu accusato delle più grandi nefandezze: di aver imbrogliato, di aver violentato una donna, di aver ucciso, di minare all'unicità della Chiesa. Una tecnica che non passa mai di moda. D'altronde il demonio è sempre lo stesso e ha sempre la stessa monotona fantasia.
Gli ariani però non si limitarono a questo. Operarono anche con grande astuzia. Prima di tutto cercarono di occupare quante più sedi episcopali e poi lanciarono quello che successivamente è stato definito come semiarianesimo. Altra tecnica tipica delle eresie: una volta condannate, riemergono proponendo un compromesso tra la verità e l'errore. Gli ariani propagandarono la necessità di sostituire il termine stabilito dal Concilio di Nicea, homoousion, con il termine homoiousion. Differenza di una sola lettera, minimale, ma che cambiava tutto. Infatti, il primo termine (homoousion) significa "della stessa sostanza", il secondo termine (homoiousion) significa "simile in essenza". Traducendo si capisce quanto la differenza non sia di poco conto.

SANT'ATANASIO RIFIUTA IL COMPROMESSO DOTTRINALE
Mentre molti vescovi si lasciarono convincere da questo compromesso terminologico, che era cedimento sulla dottrina, sant'Atanasio tenne fermo, resistette come un leone. Subì l'esilio per ben cinque volte, ma non cedette. E –come si suol dire- non era tipo che la mandasse a dire né che parlasse alle spalle. Si sentiva il dovere di difendere le anime per cui non lesinò un linguaggio polemico per mostrare a tutti quanto fossero in errore e quanto fossero pericolosi i semiariani, che invece agli occhi di molti sembravano innocui. Se la prendeva anche con chi voleva accettare il compromesso dottrinale. Sentite cosa diceva a riguardo: "Volete essere figli della luce, ma non rinunciate ad essere figli del mondo. Dovreste credere alla penitenza, ma voi credete alla felicità dei tempi nuovi. Dovreste parlare della Grazia, ma voi preferite parlare del progresso umano. Dovreste annunciare Dio, ma preferite predicare l'uomo e l'umanità. Portare il nome di Cristo, ma sarebbe più giusto se portaste il nome di Pilato. Siete la grande corruzione, perché state nel mezzo. Volete stare nel mezzo tra la luce e il mondo. Siete maestri del compromesso e marciate col mondo. Io vi dico: fareste meglio ad andarvene col mondo ed abbandonare il Maestro, il cui regno non è di questo mondo."
Nel 335 a Tiro, in Palestina, fu convocato un sinodo per dirimere la controversia e dunque per decidere quale atteggiamento avere nei confronti di ciò che affermava sant'Atanasio. Il concilio definì il Vescovo di Alessandria con questi termini: "arrogante", "superbo" e "uomo che vuole la discordia". Il papa Giulio I (?-352) cercò di difenderlo, ma poi di lì a non molto morì e il povero sant'Atanasio fu nuovamente attaccato.

L'IMPERATORE COSTANZO E PAPA LIBERIO
Intanto anche il potere politico si accaniva contro di lui: l'imperatore Costanzo l'odiava. Fu convocato un concilio ad Arles e qui si costrinsero i vescovi a sottoscrivere una condanna di sant'Atanasio. Chi si opponeva difendendolo veniva mandato in esilio, fu il caso di Paolino di Treviri. Stessa sorte toccò anche al papa legittimo Liberio (?-366), che venne sostituito da un antipapa, Felice.
Fu allora che accadde ciò che viene ricordato come "caduta" di un papa. Liberio, per ottenere il potere e tornare a Roma come papa legittimo, decise anch'egli di accettare l'ambigua definizione semiariana, eppure fino ad allora si era distinto per una convinta definizione dell'homoosius del Concilio di Nicea.
Altri concili segnarono il trionfo dell'eresia: quelli non ecumenici di Rimini e di Seleucia, siamo nel 359. Ma era prevedibile che per come era stato trattato sant'Atanasio e soprattutto per come era stata rinnegata la vera fede il castigo fosse alle porte. All'imperatore Costanzo, morto nel 360, successe Giuliano detto "l'apostata" (330-363), che arrivò a ripudiare il battesimo cercando di restaurare il paganesimo.
Non passò molto tempo e il nuovo imperatore Valente, così come il nuovo papa Damaso, capirono che sant'Atanasio aveva ragione e lo riabilitarono. L'intrepido difensore della fede cattolica morì il 2 maggio del 373.

MANTENERE ACCESA LA LUCE DELLA FEDE
Ancora due cose vanno messe in rilievo. La prima: ai tempi di sant'Atanasio a difendere la fede ci fu solo lui e una piccola comunità, i vescovi dell'Egitto e della Libia. Solo loro seppero mantenere accesa la luce della fede. La seconda: è significativo che colui che combatté da solo contro l'eresia ariana, non fu mai un teologo. La sua grande sapienza teologica, più che dagli studi, gli venne dall'incontro con i suoi maestri cristiani che testimoniarono il martirio durante le persecuzioni di Diocleziano; e soprattutto dall'incontro con il grande sant'Antonio. Ario, invece, raccoglieva grande consenso per la sua grande preparazione biblica e teologica. Era insomma come tanti teologi che oggi vanno per la maggiore nei dibattiti, nelle prime pagine dei quotidiani e nei talk-show televisivi. Atanasio però sapeva quanto qui stesse l'insidia del demonio. Nella sua celebre Vita di Antonio egli riporta un insegnamento del suo grande maestro: "(…) i demoni sono astuti e pronti a ricorrere ad ogni inganno e ad assumere altre sembianze. Spesso fingono di cantare i salmi senza farsi vedere e citano le parole della Scritture. (…). A volte assumono sembianze di monaci, fingono di parlare come uomini di fede per trarci in inganno mediante un aspetto simile al nostro e poi trascinano dove vogliono le vittime dei loro inganni."

(Titolo originale: Corrado Gnerre, Attualità di sant'Atanasio, Il Giudizio Cattolico, 09 agosto 2014
http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3404

 

martedì 12 agosto 2014

Massacro dei cristiani. Perché un Vaticano così debole e reticente?

Il dramma in corso dei cristiani perseguitati vede i laici (perfino governi anticlericali come quello francese) quasi più sensibili del mondo cattolico ed ecclesiastico. Dove si trattano con poca sensibilità e qualche fastidio le vittime, mentre si usa una reticente cautela – cioè i guanti bianchi – verso i carnefici.
Duecentomila cristiani (ma anche altre minoranze) sono in fuga, cacciati dai miliziani islamisti che crocifiggono, decapitano e lapidano i nemici. In queste ore mi giungono pure notizie ufficiose di efferatezze indicibili su donne e bambini (speriamo non siano vere).
Considerando questo martirio dei cristiani che sono marchiati come “nazareni” senza diritti, braccati, uccisi, con le chiese bruciate e la distruzione di tutto ciò che è cristiano, la voce del Vaticano e del Papa – di solito molto interventista e vigoroso – è stata appena un flebile vagito.
Neanche paragonabile rispetto al suo tuonare cinque o sei volte “vergogna! Vergogna! Vergogna!” per gli immigrati di Lampedusa, quando peraltro gli italiani non avevano proprio nulla di cui vergognarsi perché erano corsi a salvare quei poveretti la cui barca si era incendiata e rovesciata mentre erano in mare. [vedi qui]
LA NOTA (STONATA)
Ha ragione Giuliano Ferrara. Che di fronte all’orrore che si sta consumando nella pianura di Ninive, il Vaticano abbia partorito, giovedì (in grave ritardo oltretutto), una semplice “nota” di padre Federico Lombardi dove, a nome del Papa, si chiede alla “comunità internazionale” di porre fine al “dramma umanitario in atto” in Iraq, è quel minimo sindacale che ha l’unico obiettivo di salvare la faccia.
Anche perché è ben più di un “dramma umanitario” e nulla si dice su cosa bisognerebbe fare. Inoltre – osserva Ferrara – “nulla, nella dichiarazione freddina, viene detto su chi siano i responsabili di questi ‘angosciosi eventi’. Non un accenno alle cause che hanno costretto le ‘comunità tribolate’ a fuggire dai propri villaggi”.
Ormai la forza con cui Giovanni Paolo II difendeva i cristiani perseguitati è cosa passata e dimenticata. E anche la limpidezza del grande discorso di Ratisbona di Benedetto XVI – che era una mano tesa all’Islam perché riflettesse criticamente su se stesso – è cosa rimossa.
Quella dell’attuale pontificato è una reticenza sconcertante di fronte a dei criminali sanguinari con i quali – dicono i vescovi del posto – non c’è nessuna possibilità di dialogo perché nei confronti dei cristiani loro stessi han detto “non c’è che la spada”.
Una reticenza che è ormai diventata consueta nell’atteggiamento di papa Bergoglio, che non pronuncia una sola parola in difesa di madri cristiane condannate a morte per la loro fede in Pakistan o in Sudan (penso ad Asia Bibi o a Meriam), che si rifiuta perfino di invitare pubblicamente a pregare per loro, che quando c’è costretto parla sempre genericamente dei cristiani perseguitati e arriva ad affermare, come nell’intervista a “La Vanguardia” del 13 giugno: “i cristiani perseguitati sono una preoccupazione che mi tocca da vicino come pastore. So molte cose sulla persecuzione che non mi sembra prudente raccontare qui per non offendere nessuno”.
Per non offendere chi? I criminali sanguinari che crocifiggono i “nemici dell’Islam”? Non è sconcertante?
Ci sono migliaia di innocenti inermi in pericolo di vita, braccati e laceri, in fuga dagli assassini e Bergoglio si preoccupa di “non offendere” i carnefici?
Perché tutti questi riguardi quando si tratta del fanatismo islamista? Perché nemmeno si osa nominarlo? E perché si chiede alla comunità internazionale di mettere fine al “dramma umanitario” senza dire come?
L’ESEMPIO DI WOJTYLA
Oltretutto il papa poteva seguire l’esempio di Giovanni Paolo II. Ci aveva già pensato questo grande pontefice infatti a elaborare la nozione di “ingerenza umanitaria”, venti anni fa: quando si deve impedire un crimine contro l’umanità e non vi sono più altri mezzi diplomatici è doveroso, da parte della comunità internazionale, un intervento militare mirato e proporzionato che scongiuri il perpetrarsi di orrori incombenti.
Bastava a Bergoglio ripetere questo principio che è stato già recepito a livello internazionale.
D’altra parte che di questo ci sia bisogno lo dicono i vescovi di quelle terre: “Temo che non ci siano alternative in questo momento a un’azione militare, la situazione è ormai fuori controllo, e da parte della comunità internazionale c’è la responsabilità di non aver fatto nulla per prevenire o fermare tutto questo”.
Lo ha dichiarato Bashar Matti Warda, l’arcivescovo di Erbil che si trova in prima linea, immerso nel dramma.
E’ troppo comodo – da parte di certi cattolici – lanciare generiche denunce contro l’Occidente, contro il “silenzio colpevole” (di chi?), quando da anni fra i notabili cattolici si evita accuratamente di denunciare i fanatici islamisti con nome e cognome, quando si ha cura solo di sottolineare che il loro non è il vero Islam (che com’è noto è rose e fiori), quando non si richiama mai energicamente il mondo islamico al dovere di rispettare le minoranze cristiane e si evita di chiedere un intervento concreto della comunità internazionale per mettere fine al massacro.
L’INAUDITO
Del resto Bergoglio non solo non ha chiesto ingerenze umanitarie, ma nemmeno ha lanciato operazioni di soccorso umanitario o iniziative di solidarietà a livello internazionale che coinvolgessero il vasto mondo cattolico. Tardiva è stata anche l’attivazione della diplomazia.
Domenica scorsa, all’Angelus, non ha detto una sola parola sulla tragedia in corso e ha perfino taciuto sull’iniziativa della Chiesa italiana che ha indetto una giornata di preghiera per il 15 agosto a favore dei cristiani perseguitati.
Anche pregare per i cristiani perseguitati è “offensivo” verso i musulmani?
Quantomeno quella dei vescovi italiani sarà una vera e seria preghiera cristiana. E non capiterà di rivedere l’imam che, invitato in Vaticano per l’iniziativa di pace dell’8 giugno scorso con Abu Mazen e Peres, ha scandito un versetto del Corano dove si invoca Allah dicendo “dacci la vittoria sui miscredenti”.
Quasi un inno alla “guerra santa” islamica nei giardini vaticani. Un incidente inaudito.
Alla preghiera indetta dalla Cei non accadrà. Ora ci si aspetta almeno che il Papa, prima o poi, si associ all’iniziativa dei vescovi, magari replicando la preghiera in piazza San Pietro per la pace in Siria che, come ricordiamo, combinata con la diplomazia, qualche buon effetto lo ebbe.
Auspicabile sarebbe anche un’attivazione di tutta la cristianità per iniziative di aiuto e di solidarietà ai perseguitati.
Ma pare proprio che non sia questa l’aria. Sembra di essere tornati indietro allo smarrimento dei cupi anni Settanta, alla subalternità ideologica dei cristiani, a quel buio che fu dissolto solo dall’irrompere del grande pontificato di Giovanni Paolo II.

(Antonio Socci, Libero, 10 agosto 2014, da Corrispondenza Romana)
http://www.corrispondenzaromana.it/notizie-dalla-rete/massacro-in-corso-di-cristiani-qualcuno-in-vaticano-deve-vergognarsi-davanti-a-dio-e-agli-uomini/

giovedì 7 agosto 2014

Facebook: peggio del “Grande Fratello”, ecco le prove

Facebook sa tutto sui suoi utenti. Ora è provato. Oltre 1.300 milioni di persone, un terzo della popolazione mondiale, viene sistematicamente monitorato tramite i “mi piace” dai soloni dei social network e dai ricercatori, universitari e non, che ne cavano importantissime ed accurate statistiche sul comportamento umano, specie in relazione ai temi di maggior rilevanza sociale o, più recentemente, alle condizioni sanitarie nelle varie aree del pianeta.
Già i dati, che gli iscritti forniscono, rappresentano una fonte d’informazioni troppo preziosa, per non esser presa in considerazione: non solo nome e cognome, età e scuole frequentate, bensì anche luoghi visitati, ideali, sogni, convinzioni, emozioni, hobby, gusti, tutto quanto insomma fa parte, in fondo, del business.
Secondo il “Washington Post”, Facebook disporrebbe di un proprio centro ricerche almeno dal 2008, centro in cui si raccolgono ed analizzano tutti i dati. «Con tutte le notizie che forniamo a Facebook un buon analista sarebbe in grado di estrarne dei profili psicologici perfetti e ad un livello di accuratezza mai raggiunto prima», afferma Manuel Chao, responsabile del Dipartimento SEM dell’agenzia di marketing on line Hello.
I fatti: almeno 689.003 account sono stati manipolati per elaborare uno studio psicologico in collaborazione con due Università statunitensi, quella di Cornell e quella di San Francisco. Studio, ch’è giunto ad accertare un «contagio emozionale» sulle nostre reazioni. Per comprovare tale tesi, ad un gruppo selezionato di utenti sono state fornite più notizie positive oppure più notizie negative, senza il consenso, né l’approvazione degli interessati.
Un esperimento applicato ad una microscopica frazione di tutti i profili esistenti, questo è certo, ma, legale o meno, il fatto è che per una settimana a centinaia di migliaia di utenti sono state distorte le informazioni relative ai loro contatti, è stata ridotta la loro libertà di ricevere notizie, fossero anche commenti inutili e banali. E, per molti, oggi questo mondo virtuale rappresenta la prosecuzione di quello reale, ne è la replica: mutilarlo o condizionarlo a loro insaputa può provocare conseguenze non immaginabili, anche pesanti.
Secondo Jeff Hammerbache, uno dei fondatori della società di analisi dei grandi flussi di dati Cloudera, ma con un trascorso lavorativo in Facebook, sarebbe tempo di una riflessione dopo il controverso esperimento psicologico condotto. Lui stesso studiò come gli utenti fruiscano degli annunci pubblicitari su Internet. Tutto questo sarà senz’altro utile a fini promozionali, statistici o di marketing, renderà sicuramente la rete più redditizia (nel 2013 le entrate sono state pari a 2.509 milioni di dollari), ma pone seri problemi di etica: i dati vengono infatti utilizzati ed elaborati senza un esplicito consenso da parte degli utenti.
In un’intervista rilasciata al quotidiano spagnolo “Abc”Ismael el-Qudsi, responsabile dell’agenzia “Internet Repubblica”, specializzata in social media, «Facebook è una rete estremamente emotiva. È la nostra vita privata, quella che qui esponiamo. È logico, dunque, che condizioni il nostro modo di sentirci, di pensarci, di percepire. Sebbene sia tutto legale, in quanto si accettano volontariamente le condizioni di utilizzo al momento dell’iscrizione, non si può dire che sia troppo etico… Ciò che si è dimostrato è il fatto d’esser manipolati come persone. Se i prodotti di internet fossero a pagamento, l’utente potrebbe pretendere determinati diritti. Ma se un prodotto è gratuito, sei tu il prezzo. Facebook sta giocando con tutti noi, trattandoci come cavie e monitorando a piacimento il nostro comportamento, le nostre abitudini, tutto».
Silvia Leal, direttore del Dipartimento di Tecnologia della Business School e consulente della Commissione europea, lo afferma a chiare lettere: «Il business sotteso è chiarissimo e mi stupisco che la gente si stupisca. Come sociologo non posso disdegnare tutto questo, poiché mette a disposizione uno strumento importante ed oltre tutto gratis. Ma pensiamo che poi di questi dati non se ne faccia niente?». Nulla, in rete, è casuale.

(Fonte: Mauro Faverzani, Corrispondenza romana, 6 agosto 2014)
http://www.corrispondenzaromana.it/facebook-peggio-del-grande-fratello-ecco-le-prove/