Domenica era sembrata una giornata come le altre. Vedere il Papa uscire, andare in giro e salire addirittura sulla papamobile, aveva rasserenato molti. Papa Francesco aveva attraversato piazza San Pietro sulla jeep e aveva impartito la benedizione Urbi et Orbi dalla loggia centrale senza indossare il cappotto bianco.
Nel pomeriggio, il Pontefice aveva riposato e poi cenato in tranquillità. Nessun allarme, nessuna preoccupazione apparente tra chi gli era vicino. Ma alle prime luci dell’alba di lunedì, qualcosa è cambiato. Erano da poco passate le sei del mattino quando le prime avvisaglie del malore hanno scosso la quiete di Casa Santa Marta. Più di un’ora dopo, disteso sul letto del suo appartamento al secondo piano, Papa Francesco ha alzato una mano in segno di saluto verso Massimiliano Strappetti, il suo assistente sanitario personale. Poi, il silenzio. Il Pontefice è entrato in coma. Il Policlinico Gemelli è stato allertato ma ormai era troppo tardi. Non c’era più nulla da fare.
È questo il racconto, scarno ma intenso, che fanno alcuni dei più stretti collaboratori del Santo Padre. Coloro che, da quando era tornato dal Gemelli, non lo avevano mai lasciato solo. Un epilogo semplice, quasi disadorno.
Dopo l’annuncio, è scattata sui media la corsa degli “elogi
sperticati”, “a tutto campo”, del “santo immediatamente”.
Questa mattina, un cardinale ha parlato della morte di
Francesco. Le sue parole sono state nette: «Vorrei sottolineare una cosa. Il
99% di quanti oggi tessono l’elogio di questo pontificato, scrivendo post
celebrativi, messaggi, ecc., inizia con: “da ateo, dico che…”, “da non
credente, dico che…”, “da non cattolico, dico che…”, “non credo nella Chiesa
ma...”. È strano che chi ha conosciuto bene Francesco oggi stia in silenzio o ne
parli con prudenza. È strano che venga elogiato da chi ha sempre odiato la
Chiesa”». Parole dure; e prosegue: «Non è accaduto che queste persone
ora odino meno la Chiesa, grazie al Papa. Questo, in parte, era avvenuto con
Giovanni Paolo II. Oggi no. Oggi abbiamo chi odia il Papa come istituzione, ma elogia
Jorge Mario Bergoglio come persona, continuando a odiare la Chiesa».
Il tono è amaro, ma non rassegnato. Lo stesso presule ha
concluso con uno sguardo rivolto al futuro: «Abbiamo bisogno di un Papa che
riporti al centro della Chiesa Gesù Cristo, che dia fastidio a chi porta avanti
i propri interessi di potere e difenda la Chiesa di Gesù Cristo. Abbiamo
bisogno di un Papa che porti unità, dove tutti si possano sentire accolti e non
membri di fazioni. Oggi questo è evidente: ci sono delle schiere, già pronte a
combattere. E ogni schiera ha il suo promoter”».
Nel giorno in cui la Chiesa si prepara a celebrare le
esequie del Pontefice defunto, tra i collaboratori serpeggia l’ansia per ciò
che saranno questi giorni di “venerazione della salma”.
Il ricordo di Francesco si intreccia già con il dibattito
sul futuro. C’è chi cercherà di raccontare la sua “solitudine” come conseguenza
delle sue riforme “scomode”, del suo desiderio di una Chiesa povera, delle
solite accuse di corruzione in Curia. Retoriche logore, che da anni circolano e
che oggi, chi ha cercato di sfruttarle, si ritrova con frutti sterili e con una
certa amarezza. La verità è un’altra: Francesco, con le sue “aperture”, si è
circondato di persone che lo hanno sfruttato. Giornalisti in cerca di
interviste esclusive; analfabeti pronti a pubblicare libri, apparire in
televisione e guadagnare potere in Curia; e i potenti del mondo, che hanno
strumentalizzato il suo magistero per legittimare le proprie agende, nel nome
del “green” e dell’ecologia. Quando invece affermava, senza sé e
senza ma, le verità di fede e la sacralità della vita veniva tacciato,
censurato, ignorato.
Sulla stampa e in Tv, in queste ore, iniziano a volteggiare
gli avvoltoi. C'è chi corre a farsi ospitare nei salotti dove vengono dette un
sacco di idiozie, c'è chi tenta di dare letture falsate di un pontificato come
quello appena terminato, e c'è chi inizia a fare i nomi più assurdi per la
successione.
Il mio consiglio, come sempre, è quello di chiudere la
televisione che è un veleno e di non leggere "i retroscena"
(peraltro, falsi e frutto della fantasia delle megere di borgo) che vengono
spammati su giornali e social. La Chiesa al momento ha due priorità:
pregare per il Papa defunto e rimettere insieme i propri cocci e riflettere
(seriamente!) sul successore.
Oggi la Chiesa non è soltanto orfana del suo Pastore Supremo, ma anche smarrita. Questi dodici anni sembrano il passaggio di un uomo giunto davvero “dalla fine del mondo”, che è entrato nella stanza del governo ecclesiale, ha sparso i fogli, svuotato i cassetti… e poi se n’è andato, lasciando dietro di sé il caos e un senso profondo di vuoto.
(Silere non possum!)