Potrebbe sembrare che la materia sia arcana, specialistica e d'interesse quasi solo per i teologi di professione, ma non è così. Fu Benedetto XVI a chiedere alla Commissione di studiare in modo approfondito il «sensus fidei», e lo studio si è protratto per ben quattro anni, in dialogo prima con lo stesso Papa Ratzinger e poi con Papa Francesco. E non a caso Benedetto XVI chiese di studiare questo tema proprio mentre iniziava a suggerire un nuovo esame delle tematiche relative alla famiglia e ai divorziati, esame che ha portato con Papa Francesco alla convocazione del prossimo Sinodo sulla famiglia.
Di che si tratta? Il «sensus fidei», spiega il documento, è l'«istinto dei fedeli per le verità del Vangelo, che permette loro di riconoscere quali sono le dottrine cristiane autentiche e di aderirvi». Questo «istinto», che viene dalla grazia e che è soprannaturale, è stato riconosciuto già dai Padri della Chiesa e dai teologi medievali, specie benedettini, ed è stato studiato in modo approfondito da teologi del calibro di Melchior Cano (1509-1560), Johann Adam Möhler (1796-1838), Giovanni Perrone (1794-1876) e del beato John Henry Newman (1801-1890), il cui On Consulting the Faithful in Matters of Doctrine (1859) rimane ancora oggi un testo fondamentale sul tema.
Dal libro di Newman si evince che il Magistero, quando si pronuncia, tiene conto della Scrittura, del Magistero precedente, delle opinioni espresse dai teologi ma anche della «testimonianza» diffusa nel popolo fedele. Così avviene in materia di canonizzazioni, e così è avvenuto in occasione della proclamazione dei dogmi dell'Immacolata Concezione e dell'Assunzione di Maria. Ma il documento nota che anche la dottrina sociale della Chiesa, così come «lo sviluppo sorprendente, anche se omogeneo» - la rivendicazione dell'omogeneità viene da Benedetto XVI - in materia di libertà religiosa, dal Sillabo del Beato Pio IX (1792-1878) alla dichiarazione Dignitatis humanae del Vaticano II, sarebbero difficili da capire se non si considerasse il ruolo avuto nella loro preparazione da studiosi, economisti, imprenditori, giuristi e politici laici.
Il «sensus fidei» è dunque un elemento fondamentale per comprendere il ruolo dei fedeli, anche laici, nella Chiesa: un ruolo che non è solo di passiva ricezione del Magistero ma che in qualche modo partecipa alla sua formazione. Tuttavia, nota il documento, sul «sensus fidei» si sono diffusi recentemente anche equivoci ed errori. Si è immaginato cioè che l'appello al «sensus fidei» potesse diventare uno strumento per contestare il Magistero. Questo, chiarisce il documento citando anche puntuali interventi sul punto di Benedetto XVI, è totalmente sbagliato, e falsifica la dottrina esposta da Perrone e dalla «scuola romana» di cui fu autorevole esponente, nonché dal beato Newman. Quest'ultimo scriveva con grande chiarezza: «il dono che permette di discernere, discriminare, definire, promulgare e dare forza di legge a una qualunque parte della Tradizione spetta esclusivamente alla Chiesa docente», cioè al Papa e ai vescovi uniti con lui. Il documento precisa che è «il Magistero [che] giudica se le opinioni che sono presenti nel popolo di Dio e che possono sembrare "sensus fidelium" corrispondono realmente alla verità della Tradizione trasmessa dagli Apostoli». Cioè: nel popolo fedele si rilevano sensibilità e opinioni su elementi che il Magistero non ha ancora completamente chiarito. Il Magistero le studia e ne tiene conto. Ma ultimamente è il Magistero che decide, discerne e giudica se queste sensibilità «corrispondono realmente alla verità della Tradizione» oppure testimoniano semplicemente che tra i fedeli circolano equivoci ed errori, in questo secondo caso intervenendo per chiarirli.
Oggi, nota il documento, la situazione si è complicata perché il «sensus fidei fidelium» viene confuso con la nozione «sociologica» di «opinione pubblica», che è una cosa diversa. L'opinione pubblica si accerta di solito con i sondaggi. È sociologicamente rilevante, ma è anche vero che può essere manipolata e che oggi le tecniche di manipolazione hanno raggiunto un grado di raffinatezza ignoto in altre epoche. I sondaggi e anche l'attenzione a quanto sostengono i media a proposito delle opinioni che sarebbero maggioritarie tra i cattolici, spiega il testo, non sono inutili. Ma è molto importante chiarire che non c'entrano con il «sensus fidei fidelium», dove non conta «la maggioranza espressa secondo le regole della democrazia» ma la fede.
Si viene qui al punto fondamentale del documento. Nell'espressione «sensus fidei fidelium» è cruciale capire chi sono i «fedeli» del cui «senso della fede» il Magistero, pur riservandosi di operare un discernimento autorevole, tiene conto. Certamente non si tratta del «pubblico» in generale, dal momento che all'interno del «pubblico» - che determina l'«opinione pubblica» - oggi i fedeli cattolici sono in minoranza. Ma non si tratta neppure di tutti coloro che si dichiarano cattolici - né dei soli cattolici, perché in una certa misura e cautamente, secondo il documento, si può tenere conto anche della sensibilità dei fratelli separati rispettosi della Chiesa Cattolica e con cui è in corso un dialogo ecumenico. Ma il cuore, il nucleo duro dei «fedeli» di cui tenere conto per accertare qual è il «sensus fidei fidelium» è costituito dai fedeli cattolici che aderiscono al Magistero: «disposizione necessaria per una partecipazione autentica al "sensus fidei" è l'attenzione al Magistero della Chiesa e la volontà di ascoltare l'insegnamento dei pastori della Chiesa». In definitiva, «i soggetti del "sensus fidei" sono i membri della Chiesa che tengono conto delle parole di Gesù a coloro che invia: "Chi ascolta voi ascolta me"». E si tratta del Magistero di oggi, non solo di quello di ieri né di un ipotetico Magistero di domani. Del Magistero anche ordinario, non solo di quello straordinario e infallibile.
Comprendiamo qui perché il documento è importante. In occasione del prossimo Sinodo sulla famiglia la Santa Sede ha distribuito un questionario. Alcune conferenze episcopali, tra cui quella svizzera, si sono affidate a sociologi per accertare le opinioni maggioritarie in tema di divorzio, aborto, omosessualità. Il documento spiega che queste indagini, se sono fatte bene, non sono inutili: come afferma l'«Instrumentum laboris» per il Sinodo, servono almeno ad accertare il gravissimo scollamento fra la società moderna e la dottrina cattolica. Sbaglierebbe però in modo grossolano chi pensasse che così si accerta il «sensus fidei fidelium»: si accerta l'opinione, ma non l'opinione «dei fedeli» perché coloro che si dicono cattolici ma non ascoltano e aderiscono al Magistero non rientrano fra i soggetti rilevanti per accertare il «sensus fidei». Per questi ultimi, più dei sondaggi, rileva la vita ordinaria della Chiesa che è - o dovrebbe essere - nota ai vescovi, i quali interagiscono - o dovrebbero interagire - con le parrocchie, gli ordini religiosi e i movimenti, e sapere quali idee vi circolano, chi segue il Magistero e chi lo contesta.
Così pure, è del tutto inutile che certi teologi, storici o blogger oppongano il «sensus fidei fidelium» come interprete della Tradizione cattolica all'interpretazione della Tradizione cattolica insegnata dal Papa e dai vescovi in comunione con lui, magari citando a sproposito il beato Newman. Tra tante opinioni, maggioritarie e minoritarie, che pretendono di dire che cos'è la Tradizione, il beato Newman - come abbiamo visto, e come ricorda il documento - insegnava che «spetta esclusivamente al Magistero» discernere che cosa fa veramente parte della Tradizione e che cosa è soggettiva opinione di qualcuno. Il «sensus fidei» è un grande elemento di libertà, di coralità e di armonia nella vita della Chiesa. Diventa una mistificazione quando lo si usa per contestare il Magistero.
(Fonte:
Massimo Introvigne, La nuova Bussola Quotidiana, 4 luglio 2014)
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-sondaggi-e-contestazioni-non-guidano-la-chiesa-9648.htm
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