giovedì 27 novembre 2014

La pentola è pronta manca solo il coperchio

Dice un noto proverbio popolare: il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi. I modernisti, i falsi ecumenisti, i filoprotestanti, i criptomassoni e i rahneriani, partiti baldanzosi, furbescamente e clandestinamente alla conquista del potere supremo della Chiesa cinquant’anni fa, servendosi di un’ottima organizzazione culturale — per esempio la rivista Concilium e numerose case editrici compiacenti —, nonché di un’astutissima e diabolica falsificazione delle dottrine del Concilio Vaticano II, con incredibile ostinazione ed audacia e l’impiego di mezzi potentissimi, economici e politici, penetrando progressivamente negli istituti accademici della Chiesa, gabbando progressivamente ambienti sempre più vasti del mondo cattolico, compresi certi vescovi ed oggi addirittura certi cardinali, sono ormai giunti nei pressi della casa di Pietro, convinti, nella cecità della loro superbia, di avere ormai la vittoria in mano, col persuadere il Vicario di Cristo ad abbracciare le loro eresie e le loro bestemmie.
Segno tra i tanti di questo grandioso quanto stolto progetto è il prossimo convegno che si terrà in questo mese a Bose, nel corso del quale la cosiddetta “Scuola di Bologna” diretta da Alberto Melloni e ispirata dal suo profeta Enzo Bianchi, col concorso di centinaia di studiosi di fama internazionale, proporranno solennemente e perentoriamente al Papa una “riforma del papato”, che comporta da parte del Papa la rinuncia all’infallibilità dogmatica, sul modello delle Chiese degli scismatici orientali (1). Ai loro occhi il Papa, dopo la nomina di Bianchi a collaboratore della Santa Sede, e tanti altri segni che per loro sanno di simpatia per il modernismo, ormai è pronto, grazie all’azione dello Spirito Santo ad accogliere le loro idee. Credono che il Papa sia un ingenuo o un complice che essi possono giocarsi come meglio credono. La pentola è pronta. Ma il coperchio? Il coperchio non ci sarà mai ed anzi anche la pentola sarà distrutta.
Non c’è dubbio che il Santo Padre da tempo sta dando prova, accanto a sagge e coraggiose posizioni e scelte di carattere dottrinale — e  come diversamente potrebbe essere nel Successore di Pietro? —, di esprimere giudizi o valutazioni su teologi o di prendere decisioni riguardo l’assunzione o la rimozione di collaboratori, che appaiono in contrasto con la linea dottrinale e riformatrice sulla quale egli intende procedere; fatti, questi, che invece di frenare il modernismo finiscono per favorirlo, permettendo che si diffonda l’opinione ingannevole e calunniosa del Papa “modernista”.
Un esempio eclatante di quanto dico è ciò che è avvenuto e sta avvenendo in questi giorni. C’è stato un sinodo dei vescovi dedicato ai problemi del matrimonio e della famiglia. Il Papa, al termine, ha pronunciato un forte discorso, nel quale ha condannato tanto il lefevrismo quanto il modernismo, sotto il nome di “buonismo distruttivo” [vedere il mio precedente articolo qui e quello di Antonio Livi qui].
Dunque non era difficile rintracciare nella condanna di quest’ultimo non solo una certa tendenza lassista, che si era manifestata tra i vescovi, ma anche le famose proposte del Cardinale Walter Kasper, del quale pure il Papa in precedenza aveva parlato in tono elogiativo come di grande teologo, e che proclamava davanti a tutti che la sua proposta l’aveva elaborata col consenso del Papa. Da qui lo strombazzare fatto dai modernisti secondo i quali Kasper era col Papa, mentre il “conservatore” Burke, insieme con gli altri cardinali del suo gruppo sono “contro” il Papa.
Si conosce bene, sulla bocca dei modernisti, il significato infamante dell’appellativo “conservatore”. Il conservatore, per loro, è uno che resta attaccato a cose superate dal progresso ed inutili: è uno escluso dalla storia, e quindi dalla salvezza, giacchè, hegeliani, immanentisti e modernisti come sono, non ammettono verità sovrastoriche, eterne e ed immutabili, ma per loro la verità è filia temporis, è solo nell’oggi, nel moderno. I concetti mutano. La natura umana, la legge morale mutano. La natura umana in Cristo è confusa con quella divina. Dio stesso diviene.
Il passato è passato. Non c’è niente in esso che debba essere conservato, recuperato, rivalorizzato o restaurato, al massimo può esser ricordato come un fatto precedente della storia; ma in sè è solo spazzatura da gettar via e basta. Sarebbe stoltezza voler farlo rivivere oggi, così come lo il conservare la scatola del latte che abbiamo consumato o i mezzi per arare i campi che usavano i nostri bisnonni. Secondo me manca nei modernisti il concetto di conservare inteso come conservare, custodire o mantenere con fedeltà valori del passato, che essendo immutabili e sempre autentici, valgono anche oggi e varranno sempre.
Per questo l’appellativo che essi danno di “conservatore” al Cardinale Raymond Leonard Burke è chiaramente calunnioso, teso a metterlo in cattiva luce per poter esser loro ad emergere come unici detentori della verità, che è storia come storia dell’oggi, perchè tutto si risolve nell’oggi: l'”Assoluto — come recita un libro di Kasper dedicato a Schelling — è “nella storia ” (2). Non esiste fuori, prima e al di sopra della storia, ma solo nella storia, per la storia e identico alla storia. Senza la storia l’Assoluto non è l’Assoluto.
In realtà Burke appartiene ai migliori cardinali, tra i più fedeli al Magistero pontificio e della Chiesa, esimio giurista, profondo conoscitore del diritto canonico, uomo pio, prudente e dottissimo così in campo morale come in campo giuridico, coraggioso difensore dei valori della giustizia, profondamente amante della Chiesa e delle anime.
Il suo equilibrato tradizionalismo, che nulla ha a che vedere col lefebvrismo, non è altro che la gelosa custodia dei valori perenni, in piena conformità con la riforma del Concilio Vaticano II e con la santa libertà che esso promuove, come per esempio la celebrazione della Messa Tridentina, in consonanza col ben noto Motu proprio di Papa Benedetto XVI Summorum Pontificum.
In occasione del recente sinodo il Cardinale Burke, come è noto, insieme con altri Porporati, compreso il Cardinale Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e tutti i cattolici ai quali stanno a cuore la dignità cristiana del matrimonio e della famiglia, ha fatto sentire alta e chiara la sua voce contro le note proposte di mutamento dell’attuale disciplina ecclesiastica nella delicata materia, proposte apparentemente più attente ai casi pietosi, ma in realtà inficiate da un retroterra morale lassista, privo del fattore ascetico e fondato sulla falsa convinzione di origine rahneriana che tutti hanno la fede (“esperienza atematica preconcettuale”), tutti sono benintenzionati (“opzione fondamentale”) e ben orientati a Dio (“autotrascendenza”), tutti sono in grazia (“esistenziale soprannaturale”) e tutti si salvano (“cristianesimo anonimo”). Ciò esclude nell’educatore e nel pastore il compito della correzione dell’errante o del peccatore (far passare dal peccato alla grazia), per cui la sua unica funzione si ridurrebbe a potenziare nel soggetto tutto e solo ciò che ha già di positivo (farlo passare o progredire dal bene al meglio).
Si comprendono allora le conseguenze sconcertanti e dirompenti di questo metodo nell’ambito della prassi e della legislazione canonistica e giudiziaria: se non esistono delitti, non esistono neanche le pene. Sorge una generale tendenza alla depenalizzazione e alla soppressione delle sanzioni canoniche, che, sotto pretesto della misericordia e del rispetto per la persona, finisce per favorire le ingiustizie, e per far crollare l’intero sistema dell’ordinamento giuridico e il senso stesso del diritto canonico, come già avvenne nei tempi entusiastici e spontaneistici, ampiamente utopistici, della riforma luterana e come rinacque nel clima della rivoluzione del ’68, col famoso slogan “vietato vietare”. Non si presuppone in questa impostazione formativo-pastorale una verità certa, unica, oggettiva e immutabile, ma solo un pluralismo di culture e tutto si risolve nel primato e nell’assolutezza della coscienza soggettiva, secondo i placet di Lutero, Cartesio ed Hegel. E’ ciò che il Papa ha condannato come “buonismo distruttivo” e falsa misericordia.
Ciò che preoccupa maggiormente in queste idee non sono tanto le suddette proposte, tutto sommato appartenenti a quel campo della disciplina canonica, dove la Chiesa può anche mutare, ma è il sottofondo storicistico, antimetafisico e relativista, che si intravede e che almeno nel Cardinale Kasper non è difficile rintracciare anche nella sua lunga attività a capo dell’ecumenismo e nelle sue opere di cristologia (3).
Sono certo che il Cardinale Burke accetterà serenamente ed umilmente la decisione papale, non preceduta, a quanto è dato sapere, da alcuna inchiesta, come parrebbe esser stato opportuno per un provvedimento così grave. Devo dire peraltro francamente che non riesco ad armonizzare questa decisione del Papa col suo magistero dottrinale e la sua conclamata volontà di riforma. Burke a mio avviso era da premiare e non da declassare in modo così vistoso ed umiliante, anche se ciò va detto con tutto il rispetto e l’ammirazione per il benemerito e venerabile Ordine di Malta.
Con ogni rispetto per le decisioni sovrane e inappellabili del Papa, mi sia però consentito di dire sommessamente che egli avrebbe potuto avere ben altri modi di allontanare un alto prelato a lui non gradito senza che occorra abbassarlo in tal modo. Pensiamo per esempio a Pio XII, il quale, non essendo soddisfatto di Monsignor Giovanni Battista Montini come sostituto alla Segreteria di Stato, lo nominò arcivescovo di Milano, la diocesi più grande del mondo. Ricordiamoci infatti del famoso, tradizionale e saggio principio promoveatur ut amoveatur, che, salvo casi gravissimi che hanno richiesto sanzioni canoniche, ha risolto tante situazioni scabrose nel governo della Chiesa nel rispetto della giustizia, ma senza offendere la carità e la dignità del suddito.
Ci sono tante maniere di fare un richiamo a un sottoposto senza bisogno di ricorrere a misure del genere. Indubbiamente l’incarico ricevuto dal Cardinale Burke può addirsi al suo livello, ma solo come aggiunta secondaria a impegni più importanti, ma non che il nuovo incarico debba sostituire sic et simpliciter il precedente. Cose del genere non capitano mai. L’umiliare il suddito può essere segno di forza nel superiore, ma lo rende antipatico agli occhi della giustizia e della comunità. Soddisfa solo gli invidiosi e gli avversari.
I modernisti, che adesso canteranno vittoria, dal canto loro hanno imbastito da tempo un’indegna campagna denigratoria nei confronti del Cardinale Burke, mentre hanno innalzato alle stelle la figura del Cardinale Kasper, neanche fosse il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e il più alto luminare dell’ortodossia cattolica. Sono certo che il Papa non si lascia abbindolare da queste mosse vergognose e disoneste; tuttavia, in questa penosa vicenda del Cardinale Burke si ha l’impressione che il Papa, o per ingenuità o sotto il peso di una fortissima e ben orchestrata pressione psicologica, ciò che in diritto si chiama “stato di necessità”, non abbia agito con piena libertà e consapevolezza della sua altissima responsabilità. Indubbiamente i kasperiani e in generale i modernisti devono aver digerito malissimo il discorso del Papa al sinodo, dove lì ha dato chiara, libera e fiera prova di essere Pietro, e probabilmente si sono subito furiosamente scagliati contro il povero Burke, certamente responsabile ai loro occhi dell’abbominevole rigurgito reazionario e conservatore, al quale il Papa avrebbe momentaneamente ceduto col suo disgraziato discorso.
Dobbiamo pertanto considerare che affinché l’azione di un Pontefice sia efficace, come insegna la storia dei santi Pontefici, soprattutto riformatori, bisogna che le scelte relative ai suoi collaboratori siano sagge e coerenti col suo magistero dottrinale.  Se invece esse vi contrastano, non c’è da stupirsi se esse rimangono lettera morta e sorge il sospetto in molti che il Papa stesso non creda veramente a quello che dice. È inutile avere buone idee se poi non se ne affida l’esecuzione a collaboratori fedeli e capaci. E’ inutile proporre ottime dottrine, se poi non si puniscono coloro che spavaldamente le negano. Diversamente, certo il Papa conserverà il carisma della infallibilità dottrinale, ma intanto ciò non impedirà a soggetti disinvolti come Melloni e Bianchi di proporre sfacciatamente al Papa la rinuncia alla sua infallibilità.
Con la sua mossa infelice contro questo suo Cardinale, il Papa forse non si rende conto che in Burke non ha colpito tanto lui e solo lui, ma piuttosto in lui quella parte migliore del collegio cardinalizio, che è la più fedele alla sana dottrina, alla difesa della morale e al Successore di Pietro. Per questo sono certo che in questo gruppo di eletti Porporati non potrà non esserci del malcontento o forse dello sdegno per l’accaduto e non resteranno senza far nulla. “È questa — probabilmente si chiederanno gli Eminentissimi — la gratitudine del Papa per il nostro servizio?”. Ormai le ostilità sono aperte e bisogna lottare per il Vangelo e per il primato di Pietro. Bando ai criptoprotestanti e a tutti gli impostori.
Per molto tempo gli elementi migliori del collegio cardinalizio hanno lasciato parlare i loro confratelli smaniosi di protagonismo ed aspiranti al papato, s’intende un papato “moderno”. Ora sembrano dire: «Adesso griderò e sbufferò come una partoriente» ([Is 42,14]. Consapevoli della loro gravissima responsabilità di stretti collaboratori del Successore di Pietro, hanno cominciato a parlare e nessuno li fermerà. E sono convinto che il Papa capirà ed apprezzerà, se non vuole, come si suol dire, “darsi la zappa sui piedi”. I suoi veri amici non sono i kasperiani, ma il gruppo di Burke, capeggiato dal Cardinale Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il Papa torna spesso a parlare della lotta apocalittica di Satana contro la Chiesa e della protezione efficacissima che viene dalla Madonna. Si vede che egli ha il chiaro sentore di ciò che sta accadendo. Se poi Pietro è la roccia sulla quale Cristo ha edificato La sua Chiesa, è evidente che tolta questa roccia, la Chiesa crollerebbe.
Per questo, tutti gli eretici e i distruttori della Chiesa possono farsi paladini dei più alti valori, ma tutti sono d’accordo nel voler abbattere il papato. Ma ecco che quando sembra che siano giunti a realizzare il loro piano, Dio li abbatte rovinosamente. Perché il fair play di Dio assomiglia a quello di un gran signore, che lascia per un certo tempo che ladri e truffatori gli sottraggono brano a brano parte del suo patrimonio, senza intervenire o facendo finta di non vedere, quasi ad invitarli silenziosamente a ravvedersi e a restituire il mal tolto; ma se questi persistono nello loro disonestà, ecco che improvvisamente si presenta loro ad imporre di pagare tutto il conto fino all’ultimo spicciolo.
Quando il papato è in pericolo, la Chiesa è nel massimo pericolo. Ma ecco che quando tutto sembra perduto, questo è il momento della salvezza e del riscatto.

NOTE
(1) In che consiste l’infallibilità pontificia? Il Papa, come maestro della fede e successore di Pietro, e come pastore universale della Chiesa, salvo il caso in cui egli esprima un’opinione teologica privata o non sia compos sui per alterazione o sofferenza psico-emotiva, quando, in qualunque occasione pubblica o privata e con qualunque mezzo di comunicazione, di sua iniziativa (motu proprio) o sollecitato o interpellato da altri, sia da sé (ex sese), sia come presidente del Concilio ecumenico o capo del collegio episcopale sparso nel mondo, solennemente o semplicemente, in magistero ordinario o straordinario, insegna o interpreta, definendo o non definendo, ciò che attiene direttamente o indirettamente al dogma o ai dati della divina rivelazione o ai misteri della fede, non può dire nè il falso né il falsificabile, perché è assistito da quello Spirito di verità che Cristo ha promesso alla sua Chiesa e al suo Vicario in terra al fine di comunicare con certezza il messaggio della salvezza integro ed autentico a tutto il mondo fino alla fine dei secoli. Resta solo eventualmente un problema di interpretazione di certe sue affermazioni, che la richiedono, relativamente al suo modo di esprimersi, che può essere insolito o meno appropriato, interpretazione che comunque dev’essere benevola e che può dare successivamente, se crede, lo stesso Pontefice. Avanzare qui sospetti circa l’ortodossia dei contenuti, sarebbe una grave ed inammissibile irriverenza nei confronti del Pontefice e metterebbe in serio pericolo l’anima di chi osa formare un tale sospetto e di chi lo prende per buono.
(2) Jaca Book, Milano 1986.
(3) Cf Gesù il Cristo, Queriniana, Brescia 1986; il mio libro Il mistero della Redenzione, ESD, Bologna 2004, pp.318-329.

 
(Fonte: Giovanni Cavalcoli OP, L’isola di Patmos, 12 novembre 2014)
http://isoladipatmos.com/il-caso-del-cardinale-burke-il-diavolo-fa-le-pentole-ma-non-i-coperchi/

 

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