domenica 19 luglio 2015

Viganò fa l’ermeneutica del papa, ma dimentica la colossale gaffe di Asunción

Nella conferenza stampa sul volo di ritorno dal viaggio in Ecuador, Bolivia e Paraguay papa Francesco ha usato un parola per lui inusuale: “ermeneutica”.
In pochi muniti l’ha ripetuta undici volte e ha chiesto di applicarla a lui stesso, alle sue parole che effettivamente spesso si prestano a interpretazioni ambigue, polivalenti.
Ed ecco puntuale, due giorni dopo su “L’Osservatore Romano”, il primo intervento pubblico di monsignor Dario Viganò nella sua nuova veste di prefetto della neonata segreteria vaticana per la comunicazione, tutto dedicato proprio allo “stile comunicativo di Bergoglio tra oralità e concretezza”:
> Francesco nel villaggio globale
Come caso di studio dello stile comunicativo di Francesco, Viganò ha preso il discorso fatto dal papa ai giovani del Paraguay, la sera del 12 luglio: un discorso fatto a braccio, dopo aver abbandonato il testo scritto precompilato.
Scrive Viganò:
“Credo che la chiave per comprendere la pratica comunicativa di papa Francesco vada ricercata a partire dagli studi ormai classici sul rapporto tra oralità e scrittura. Un discorso preparato è noioso, perché è un testo concepito nella forma di uno scritto. Sappiamo infatti come la cultura scritta, rispetto a quella dell’oralità, abbia privilegiato la sinteticità, l’analiticità, l’oggettività, il pensiero astratto.
“Lo stile del pontefice si pone invece come uno stile ridondante, capace di comprendere la forza determinante della contestualità – il richiamo all’ermeneutica durante la conferenza stampa nel viaggio di ritorno dal Sud America è stato preciso – e la concretezza. Tutt’altro che negativa, la ridondanza appare piuttosto come intrinseca esigenza di chi comunica oralmente, chiamato a procedere a velocità pedonale sui sentieri della parola e con un incedere zigzagante, attraverso cioè una frequente ripetizione di ciò che ha già detto”.
E conclude:
“Il dire di papa Francesco sta avviando la pratica antica del passaparola, comunicazione che a sua volta edifica una riconoscibilità e una stabilità negli interlocutori – vera e propria comunità – innescando una reticolarità basata sul gusto di un ritrovato abbraccio tra umanità e Vangelo”.
Ridondanza, ripetizioni, incedere zigzagante…. Se però monsignor Viganò avesse preso come caso di studio non il discorso di Francesco ai giovani del Paraguay, ma quello tenuto dal papa la sera prima, sempre ad Asunción, ai rappresentanti della società civile, avrebbe potuto rilevare non solo i benefici, ma anche i seri limiti di una troppo disinvolta “oralità” comunicativa.
Lì Francesco a un certo punto disse testualmente, a braccio:
“Ci sono cose, prima di concludere, a cui vorrei fare riferimento. E in questo, poiché ci sono politici qui presenti, c’è anche il presidente della Repubblica, lo dico fraternamente. Qualcuno mi ha detto: ‘Senta, il tale si trova sequestrato dall’esercito, faccia qualcosa!’. Io non dico se è vero o non è vero, se è giusto o non è giusto, ma uno dei metodi che avevano le dittature del secolo scorso era allontanare la gente, o con l’esilio o con la prigione; o, nel caso dei campi di sterminio, nazisti o stalinisti, la allontanavano con la morte. Affinché ci sia una vera cultura in un popolo, una cultura politica e del bene comune, ci vogliono con celerità giudizi chiari, giudizi limpidi. E non serve altro tipo di stratagemma. La giustizia limpida, chiara. Questo ci aiuterà tutti. Io non so se ciò qui esiste o meno, lo dico con tutto rispetto. Me lo hanno detto quando entravo, me lo hanno detto qui. E che chiedessi per non so chi… non ho sentito bene il nome”.
Il nome che Francesco non aveva “sentito bene” era quello di Edelio Murinigo, un ufficiale sequestrato da più di un anno non dall’esercito regolare del Paraguay – come invece il papa aveva capito – ma da un sedicente “Ejército del pueblo paraguayo“, un gruppo terrorista marxista-leninista attivo nel paese dal 2008.
Eppure, nonostante la dichiarata ed enfatizzata sua ignoranza del caso, Francesco non ha temuto di utilizzare i pochi e confusi dati da lui malamente raccolti poco prima da un passaparola per accusare “fraternamente” l’incolpevole presidente del Paraguay addirittura di un crimine assimilato ai peggiori misfatti nazisti e stalinisti.
Onore al presidente paraguaiano Horacio Cartes (nella foto) per la signoria con cui ha lasciato cadere nel vuoto l’impressionante pubblico affronto.
 

(Fonte: Sandro Magister, Settimo Cielo, 17luglio 2015
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