sabato 23 aprile 2016

I nuovi clericali del perdono

La questione non è essere severi o misericordiosi, comprensivi o rigidi, evangelici o rigoristi; no la questione non è questa.
La vera alternativa si pone tra essere cattolici o essere clericali.
Il clericalismo è una brutta bestia che è dura, durissima a morire. Il clericalismo di ogni genere, di ogni colore, di ogni tendenza. Sì, perché il clericalismo, che è una delle tentazioni più forti nella Chiesa, si trasforma esteriormente, restando sempre fedele a se stesso. Si adatta alle mode, alle situazioni, perché il suo scopo è alimentare se stesso.
Non vogliamo fare un trattatello sul clericalismo, non è il nostro scopo e non saremmo in grado di farlo; vogliamo solo coglierne qualche aspetto provocatorio, che inviti ad una riflessione.
Il clericalismo, nella sostanza, è l'operazione che l'uomo compie per sostituirsi a Dio.
Per il clericale non c'è al centro Dio, la sua verità, la sua legge e la sua grazia. Per il clericale al centro c'è l'uomo di chiesa, che sente il dovere di “gestire” per conto di Dio. Il clericale parte da una considerazione giusta, quella che fa dire che non si può andare a Dio senza la Chiesa; ma strada facendo perde Dio e resta solo con la Chiesa. È come un protestantesimo ribaltato, che finisce per avere la stessa erronea separazione tra la Chiesa e Dio: il protestante pretende di arrivare a Dio senza la Chiesa; il clericale pretende di fare gli interessi di Dio fermandosi alla Chiesa.
Il clericale arriva a non porsi più la domanda “Cosa vuole Dio?”, ma si chiede sempre “Cosa possiamo fare perché la Chiesa sia accolta dalla società e non sia messa ai margini?”, “Cosa domanda oggi il mondo alla Chiesa?”.
Solitamente, nel passato, l'accusa di clericalismo era rivolta ai cattolici “rigidi”, un po' conservatori, fedelissimi alla gerarchia e all'applicazione senza sconti delle norme ecclesiali.
Oggi constatiamo che il clericalismo, che come animale camaleontico si adatta ad ogni terreno e clima, è proprio dei cosiddetti cattolici progressisti, che non solo si credono i veri interpreti della volontà di Dio, ma se ne ritengono i liberi formulatori.
Ne è un triste esempio tutto il dibattito attorno al sinodo sulla famiglia, che ora viene prolungato sulla questione del perdono in occasione dell'anno giubilare.

I nuovi clericali pensano di poter gestire politicamente la misericordia, per rendere più simpatica la Chiesa al mondo. Insomma, i clericali gestiscono il perdono di Dio come arma politica per introdursi nel salotto della società: perdonare sempre, non giudicare, comprendere, scusare, accogliere... sono i verbi di moda oggi tra le fila di coloro che vogliono instaurare un nuovo corso del cattolicesimo.
E questi chierici, intellettuali laici o ecclesiastici che siano, sostenitori del perdono assicurato a tutto e tutti, motivano il loro agire con il fatto che i preti non devono sostituirsi a Dio, che unico ha il potere di giudicare.
Prima di andare avanti chiariamo subito che non vogliamo cadere nell'inganno della severità per la severità: la Chiesa si è spinta sempre fino all'estremo per concedere il perdono, perché crede al perdono di Dio. La misericordia divina è infinita, perdona ogni peccato se trova in noi il dolore del pentimento: guai a noi se ponessimo limiti a questo perdono! Ma questo spingersi fino all'estremo possibile, non è mai una falsità retorica: la Chiesa si domanda sempre se ci siano le condizioni perché il perdono di Dio possa fruttificare in noi (ad esempio, il dolore del peccato e il proponimento di non commetterlo più...), e amministrando il perdono prima giudica se ci siano o no queste condizioni. Rinunciare a questo, da parte della Chiesa, sarebbe rinunciare al compito datole da Dio stesso.
Proprio perché è di Dio, il perdono non può essere gestito dagli uomini, anche di chiesa, sganciato dalla stessa Rivelazione di Dio. Dio ha detto la sua volontà su di noi, ci ha ha dato la sua grazia ma anche la sua legge!
Proprio perché è di Dio, i preti non possono sostituirsi a Lui, amministrando assoluzioni a chi non le chiede veramente; e le chiede veramente chi, anche tra mille difficoltà, prova il dolore del proprio peccato e vuole uscirne.
E Dio, cui appartiene il perdonare, non è una pagina bianca nella vita degli uomini: ha detto la verità su di noi e chiede a noi di seguirla.

Allora, clericali della peggior razza, sono tutti coloro che nella Chiesa, non amando il martirio, cercano un posto nel nuovo mondo, ridicolizzando il perdono in una automatica assoluzione, che diventa poi, ed è inevitabile, la benedizione di tutto. E così il male non si ferma e ne vanno di mezzo le anime, a partire dalle più fragili.
Il perdono dei nuovi clericali è falso, è solo una parola vuota, che non cerca quello che Dio cerca in noi: il reale cambiamento, la santificazione possibile, la trasfigurazione nella grazia della nostra vita. Il clericale è pessimista sull'uomo e non ha fede nella grazia, non crede al cambiamento della persona, per questo non perde tempo: dà un facile perdono retorico ed esterno a tutti, e pensa ad altro, impegnato com'è nei salotti della modernità.
Il cattolico crede invece nel cambiamento delle persone, nella salvezza delle anime, per questo lavora affinché ci siano nell'uomo le condizioni per accogliere, con frutto, la grazia che salva.
I preti cattolici amministrano il perdono, che è e resta di Dio; amministrare significa lavorare perché il perdono possa essere reale nella persona e produrre frutti di bene e di santità.
Così ha lavorato, per Dio e per le anime, una schiera infinita di santi confessori.

(Fonte: Editoriale di "Radicati nella fede", Aprile 2016)



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