giovedì 22 novembre 2018

Cambiano il “Padre nostro” e il “Gloria”: alcune nostre considerazioni


In questi giorni si sta parlando delle modifiche apportate dalla CEI in merito alla preghiera del Padre Nostro e del Gloria.
Non siamo intervenuti finora, perché tutto sommato riteniamo che la questione non sia decisiva. Ovviamente se ne può discutere l’opportunità, visto che stiamo parlando di modifiche che toccano preghiere dalla vita secolare.
Visto però che se ne continua a parlare. Ci preme fare qualche considerazione. Come sempre breve e schematica, com’è nello stile che ci siamo scelti.
Iniziamo dal Padre nostro.
Va detto che l’espressione “…non ci indurre in tentazione” (è da decenni che se ne parla) può lasciare intendere una cosa che non è teologicamente esatta, ovvero che Dio possa direttamente (attenzione a questo avverbio) essere causa della tentazione. Ovviamente, ciò non può essere perché l’autore della tentazione è il Maligno, e non certo Dio che è costitutivamente buono.
Pertanto, la modifica di questa espressione poteva rientrare nelle possibilità (anche se -a nostro parere- se se ne doveva valutare l’opportunità) di rendere più chiaro il concetto in merito al rapporto tra l’uomo, la tentazione e l’azione provvidenziale di Dio. 
La questione però è un’altra. Ed è appunto di opportunità, che non solo è legata al consolidamento della recita della preghiera, ma anche ad una mentalità oggi diffusa. L’espressione che è stata scelta “non abbandonarci alla tentazione” potrebbe significare due cose che sono ugualmente inaccettabili teologicamente.
La prima è quella di credere che Dio possa abbandonare nella dinamica della tentazione, una volta invocato. Cosa che non è. Quando si cede alla tentazione, la responsabilità è sempre dell’uomo. L’uomo può abbandonare Dio, non Dio l’uomo. Tant’è che sant’Alfonso giustamente diceva: “Chi prega si salva, chi non prega non si salva”, per far capire -appunto- che se s’invoca Dio, Questi non può non donare la grazia necessaria e sufficiente per superare ogni tentazione.
La seconda è che Dio non possa provvidenzialmente servirsi della tentazione. Ecco perché bisogna stare attenti all’avverbio “direttamente”. Dio non può direttamente tentare, ma indirettamente, permettendola, si serve della tentazione per provarci. Il diavolo (ecco perché Dante ne descrive anche l’aspetto “comico”) diviene, nella prospettiva della Provvidenza, una sorta di “strumento” di Dio per la santificazione dell’uomo. Servire Dio quando non ci sono tentazioni, è facile. Servirlo, nelle tentazioni, è invece occasione di grande merito. Questo non significa che bisogna cercarsi le tentazioni (sarebbe un tentare Dio), ma se arrivano…

Veniamo al Gloria.
Qui la modifica -a nostro parere- è stata ancora più inopportuna. Infatti, la frase “uomini di buona volontà” è divenuta “uomini che Dio ama“. Una modifica che -al di là della correzione della traduzione- induce a sminuire la corrispondenza della libertà umana alla grazia salvifica di Dio. Tutto questo in clima di protestantizzazione della fede cattolica e della vita dei cattolici che è quella che è.

(Fonte: Blog Il cammino dei tre sentieri, 19 novembre 2018)
http://itresentieri.it/cambiano-il-padre-nostro-e-il-gloria-alcune-nostre-considerazioni/?fbclid=IwAR3AUHqd3t1_G_xXB-45upkf7MYVtel1wP3ADi62x4fD5mcrto5AZSwfVmY




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