In questi primi, intensi giorni del pontificato di Leone XIV, un gesto tanto semplice quanto eloquente ha destato attenzione tra il clero e i fedeli: il nuovo Papa ha declinato, con il garbo e la delicatezza che lo contraddistinguono, la richiesta di scattare selfie. È accaduto con i giornalisti ed anche con i rappresentanti delle Chiese Orientali e in un’epoca in cui tutto sembra ridursi a immagine, immediatezza e visibilità, questo rifiuto suona come un invito potente alla riflessione. In alcune occasioni, il Pontefice ha fatto notare con semplicità che le telecamere già presenti sono più che sufficienti; in altre, ha preferito che fosse una terza persona a scattare la foto, evitando così la dinamica autoreferenziale del selfie.
Non si tratta del selfie in sé, ma
di un invito alla riaffermazione del senso del sacro. Il Papa, nella tradizione
cattolica, non è un personaggio pubblico come gli altri. È il Vicario di Cristo
in terra, come insegna il Concilio Vaticano I (1870), che nella Pastor
Aeternus afferma l’autorità spirituale unica del Papa quale successore di
San Pietro. Egli non rappresenta sé stesso, ma una realtà trascendente, divina.
Negli ultimi decenni si è spesso denunciata una
progressiva desacralizzazione del Papato. Il gesto, in sé straordinario,
della rinuncia di Benedetto XVI aveva già segnato un cambio di paradigma,
aprendo la strada a una visione più funzionale e meno sacrale del ministero
petrino. Ma è stato soprattutto il pontificato di Francesco a imprimere una
svolta radicale: il Papato si è trasformato in una sorta di bene da
esportazione, anche dal punto di vista dell’immagine pubblica. Si pensi, ad
esempio, ai profitti generati dal Dicastero per la Comunicazione o al
proliferare di figure ambigue — veri e propri mestieranti della fede — che si
aggiravano attorno a Casa Santa Marta promettendo apparizioni papali, video,
messaggi “da condividere”, fino a raggiungere persino il palco di Sanremo. L’immagine del Pontefice, negli ultimi anni, è stata
progressivamente assimilata a quella di una figura mediatica: sorridente nei
talk-show, disponibile a ogni fotografia, protagonista involontario di meme e
contenuti virali. Non sono mancate situazioni imbarazzanti, in cui il Papa
veniva ripreso con la talare macchiata, i capelli disordinati o in pose di
evidente sofferenza, spesso del tutto inappropriate. Non stupisce che
perfino Vatican News abbia continuato a pubblicare, senza alcun pudore, video
in cui il Papa appariva visibilmente affaticato, persino dopo la sua morte.
Un’altra pratica che il Papa non apprezza è quella che era
stata inaugurata da Stanisław Jan Dziwisz, ovvero quella dello "scambio
dello zucchetto". In più di una occasione ha già spiegato che preferisce
non farlo, al massimo benedice quelli che gli vengono presentati. Anche dietro
a questo gesto c'è un concetto che effettivamente è preoccupante, senza
dimenticare che questi pezzi di stoffa diventano poi i "cimeli" da
esibire nelle case dei vari "ragazzetti" che millantano credito e
abbindolano presbiteri.
Il rischio di questa deriva? È quello di diluire l’autorità
spirituale in una sorta di esposizione permanente, dove la familiarità si
confonde con la banalizzazione e il carisma si appiattisce nella logica dello
spettacolo. Lo stesso Joseph Ratzinger, poi Benedetto XVI, nell’Introduzione
al Cristianesimo, metteva in guardia contro la tentazione di ridurre il
sacro alla portata del profano. «Dove Dio diventa troppo accessibile, egli
cessa di essere Dio», scriveva con la sua consueta profondità. In questa
luce si comprende il significato della scelta, tanto semplice quanto eloquente,
compiuta da Papa Leone XIV di non concedersi ai selfie: un gesto profetico, che
si colloca in continuità con quelle parole e quei segni che, già in questi
primi giorni di pontificato, ci stanno facendo respirare un’aria nuova. È un
invito a riscoprire il mistero, il silenzio, la venerazione — dimensioni che
custodiscono la sacralità e proteggono l’incontro con Dio dal rischio della
banalizzazione.
Un gesto emblematico di rispetto
verso la missione del Pontefice è il bacio dell’anello del Pescatore, segno
antico di obbedienza e devozione verso colui che guida la Chiesa universale.
Questa pratica, oggi quasi scomparsa, è stata apertamente scoraggiata durante
il pontificato di Francesco, dimenticando che quel gesto non era rivolto alla
persona di Jorge Mario Bergoglio, ma al Successore di Pietro e all’ufficio che
egli incarnava. Non si tratta di idolatria né di cieca sottomissione, ma di un segno
sacramentale, attraverso il quale si rende onore al ministero spirituale e non
alla persona che lo esercita. Il significato profondo di questo gesto
affonda le sue radici nella Scrittura — dove l’anello è simbolo di autorità e
missione (cfr. Gn 41,42; Est 8,2) — e nella tradizione della Chiesa medievale,
quando l’anello del Papa serviva anche a sigillare i documenti ufficiali. È un
segno visibile di una realtà invisibile: l’unione e la fedeltà alla Chiesa
attraverso il suo Pastore universale.
San Giovanni Paolo II ricordava che “l’onore reso al Papa
non è mai diretto all’uomo, ma a Cristo stesso che lo ha chiamato a essere suo
rappresentante”. Il venir meno di questi segni esteriori – il bacio
dell’anello, il chinarsi per la benedizione, il tono solenne – corrisponde
spesso a un indebolimento della consapevolezza del divino nel quotidiano. È
dunque il momento di chiederci: abbiamo dimenticato il sacro? In tal caso, come
possiamo ritrovarlo?
Il pontificato di Leone XIV sembra
voler iniziare proprio da qui: dal ripristinare il senso del limite tra ciò che
è umano e ciò che è divino, tra ciò che è visibile e ciò che deve restare
mistero. «Sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia
conosciuto e glorificato, spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi
l’opportunità di conoscerlo e amarlo» ha detto Leone XIV nella Santa Messa
con i cardinali.
Si tratta di una testimonianza
controcorrente, di cui avevamo tanto bisogno, in favore di un mondo che ha sete
di spiritualità autentica. Nel suo gesto silenzioso e gentile, Leone XIV ci
richiama a puntare lo sguardo su Dio, il quale spesso è dimenticato in un mondo
fatto di flash e frastuono.
(Silere non possum, 14 maggio 2025)