Il funerale di papa Francesco sul sagrato di San Pietro e la traslazione del feretro a Santa Maria Maggiore, nel grandioso scenario della Roma antica, barocca e ottocentesca, hanno rappresentato un momento storico carico di simbolismo. Sovrani, Capi di Stato e di governo, uomini pubblici di ogni rango, convenuti da ogni parte a Roma, non hanno reso omaggio a Jorge Mario Bergoglio, ma all’istituzione da lui rappresentata, come era accaduto l’8 aprile 2005 per le esequie di Giovanni Paolo II. Anche se molte di queste personalità appartengono ad altre religioni o professano l’ateismo, tutte erano consapevoli di ciò che ancora significa la Chiesa romana, caput mundi, centro del Cristianesimo universale. L’immagine di Donald Trump e Vladimir Zelensky faccia a faccia su due semplici sedie, tra le navate della Basilica di San Pietro, sembrava esprimere la loro piccolezza, sotto la volta di una basilica che racchiude i destini del mondo. E i 170 leader convenuti nella Città eterna, con la loro presenza sembravano anche interrogarsi sul futuro del mondo, alla vigilia del conclave che si aprirà il 7 maggio.
Il conclave che eleggerà il successore di Francesco è, come
tutti conclavi, un momento straordinario nella vita nella Chiesa. Mai come nel
conclave, infatti, il Cielo e la terra sembrano incontrarsi per l’elezione del
Vicario di Cristo. I cardinali, che costituiscono il Senato della Chiesa,
devono scegliere colui che è destinato a guidarla e a governarla. Il momento è
così importante che Cristo stesso ha promesso alla Chiesa di assisterla nella
scelta, attraverso l’influsso dello Spirito Santo. Come ogni grazia, quella
dovuta allo speciale intervento dello Spirito Santo presuppone però la
corrispondenza degli uomini che, in questo caso, sono i cardinali riuniti nella
Cappella Sistina. Ad essi, infatti, l’assistenza divina non toglie la
libertà umana. Lo Spirito Santo li assiste, ma non determina la loro
scelta. L’assistenza dello Spirito Santo non significa che nel conclave venga
necessariamente scelto il candidato migliore. La Divina Provvidenza però, dal
peggior male, quale può essere l’elezione di un cattivo Papa, trae sempre il
maggior bene possibile, perché è Dio e non il demonio, che sempre trionfa nella
storia. Per questo nel corso della storia furono eletti papa santi, ma anche
papi deboli, indegni, inadeguati alla loro alta missione, senza che ciò
pregiudichi in alcun modo la grandezza del Papato.
Come ogni conclave della storia, anche il prossimo conclave
subirà tentativi di interferenze. Nel conclave del 1769, Clemente XIV fu eletto
dopo 185 scrutini e oltre tre mesi di trattative, dopo essersi impegnato con le
corti borboniche a sopprimere la Compagnia di Gesù. L’Imperatore d’Austria
Francesco Giuseppe, nel conclave del 1903, che elesse san Pio X, pose il veto
per l’elezione del cardinale Rampolla del Tindaro. Ma anche il conclave che
elesse Pio XII, e soprattutto quello che seguì alla sua morte, subirono
pressioni politiche. Nel 1958, l’azione diplomatica più invadente fu condotta
dalla Francia del generale De Gaulle, il quale prescrisse al suo ambasciatore
presso la Santa Sede, Roland de Margerie, di fare di tutto per impedire che
potessero essere eletti i cardinali Ottaviani e Ruffini, considerati
“reazionari”. Il “partito francese”, che faceva capo al cardinale decano
Eugenio Tisserant, appoggiò invece il patriarca di Venezia Giuseppe Roncalli,
che fu eletto con il nome di Giovanni XXIII. In tempi più recenti, sono note le
manovre della cosiddetta “Mafia di San Gallo” nei conclavi del 2005 e del 2013,
per evitare l’elezione di Benedetto XVI e poi per assicurare quella di Papa
Francesco. La prima manovra fallì, la seconda riuscì
Queste pressioni non determinano però l’invalidità di
un’elezione. Giovanni Paolo II, nella costituzione Universi Dominici
gregis del 22 febbraio 1996, pur senza proibire che durante la Sede
Vacante ci possano essere scambi di idee circa l’elezione, stabilisce che i
cardinali elettori devono astenersi «da ogni forma di patteggiamenti,
accordi, promesse od altri impegni di qualsiasi genere, che li possano
costringere a dare o a negare il voto ad uno o ad alcuni. Se ciò in realtà
fosse fatto, sia pure sotto giuramento», decreta «che tale impegno sia
nullo e invalido e che nessuno sia tenuto ad osservarlo» e commina «la
scomunica latae sententiae ai trasgressori di tale divieto»
(nn. 81-82). La costituzione definisce invalidi gli accordi, ma non l’elezione
che ad essi seguisse. L’elezione rimane valida anche se sono stati compiuti
patti illeciti, salvo che emerga un vizio sostanziale gravissimo che
comprometta la libertà del conclave.
La Universi Dominici Gregis aveva stabilito
l’elezione del Pontefice con una maggioranza qualificata di due terzi, ma nel
caso che il conclave si fosse protratto oltre 30 scrutini in 10 giorni,
prevedeva che i cardinali avrebbero potuto eleggere il nuovo Papa con la
semplice maggioranza assoluta dei suffragi (nn. 74-75). Non era un cambiamento
irrilevante, perché la maggioranza assoluta rende più verosimile l’ipotesi di
un Papa contestato, bastando l’invalidità di una scheda per rendere nulla
l’elezione di un Papa eletto con un voto di maggioranza. Forse per questo, con
la Lettera Apostolica dell’11 giugno 2007, De aliquibus mutationibus in
normis de electione Romani Ponteficis, Benedetto XVI ha ripristinato la
norma tradizionale secondo cui per l’elezione a Sommo Pontefice è sempre
richiesta la maggioranza dei due terzi di voti dei cardinali elettori
presenti. La necessità dei due terzi rende più forte la posizione di una
minoranza di blocco e fa sì che il conclave possa anche prolungarsi nel tempo.
Ciò è accaduto molte volte nell’età moderna. Basti ricordare che il conclave
che elesse Barnaba Chiaramonti, con il nome di Pio VII (1800-1823), durò oltre
tre mesi, dal 30 novembre 1799 al 14 marzo 1800, mentre il conclave che elesse
Gregorio XVI (1831-1846) durò circa 50 giorni, dal 14 dicembre 1830 al 2
febbraio 1831. Il Papa eletto fu Bartolomeo Alberto Cappellari, un monaco
camaldolese, prefetto della congregazione di Propaganda Fide, che
non era neanche vescovo al momento dell’elezione. Dopo essere stato eletto
Papa, fu prima ordinato vescovo e poi incoronato.
Le esequie di papa Francesco sono state un momento di
apparente unità. Il prossimo conclave, riflettendo la vera situazione della
Chiesa, sarà invece il luogo di divisione, che imporrà ai cardinali di
assumersi la loro responsabilità per il bene della Chiesa? La porpora, che
simboleggia il sangue dei martiri, ricorda ai cardinali che devono essere
pronti a combattere e a versare il loro sangue in difesa della fede e il
conclave è sempre un teatro di lotta che vede impegnata la porzione più nobile
del Corpo Mistico di Cristo. In piazza San Pietro, il 26 aprile, la Chiesa ha
ricevuto gli onori inconsapevoli di un mondo che la combatte. Nella Cappella
Sistina i cardinali, o almeno una minoranza di essi, dovranno combattere per
l’onore della Chiesa, oggi umiliata dai suoi avversari, soprattutto interni. Un
conclave lungo e contrastato apre per questa ragione, orizzonti di speranza
maggiori di quanti non ne potrebbe riservare un conclave breve, in cui, fino
dall’inizio fosse scelto un candidato di compromesso.
Il Papa migliore non sarà il Papa “politicamente corretto”
suggerito dai mass media, né il Papa politico che, presentandosi come
“pacificatore”, otterrà il pontificato attraverso garanzie e promesse che non
manterrà.
La Chiesa e il popolo fedele hanno bisogno di un Papa integro nella dottrina e nei costumi che non presenti come concessioni ciò che nella fede, nella morale, nella liturgia e nella vita spirituale è un diritto non revocabile; hanno bisogno di un autentico Vicario di Cristo, che renda alla Cattedra di Pietro il suo ruolo di luce della verità e della giustizia. Altrimenti, se questa luce mancherà al mondo, alla Chiesa non resteranno più che i meriti della sofferenza e le risorse della preghiera.
(Roberto de Mattei - 30 Aprile 2025)
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