venerdì 16 maggio 2025

Contro il culto dell’immagine: il gesto silenzioso e gentile di Leone XIV


In questi primi, intensi giorni del pontificato di Leone XIV, un gesto tanto semplice quanto eloquente ha destato attenzione tra il clero e i fedeli: il nuovo Papa ha declinato, con il garbo e la delicatezza che lo contraddistinguono, la richiesta di scattare selfie. È accaduto con i giornalisti ed anche con i rappresentanti delle Chiese Orientali e in un’epoca in cui tutto sembra ridursi a immagine, immediatezza e visibilità, questo rifiuto suona come un invito potente alla riflessione. In alcune occasioni, il Pontefice ha fatto notare con semplicità che le telecamere già presenti sono più che sufficienti; in altre, ha preferito che fosse una terza persona a scattare la foto, evitando così la dinamica autoreferenziale del selfie.

Non si tratta del selfie in sé, ma di un invito alla riaffermazione del senso del sacro. Il Papa, nella tradizione cattolica, non è un personaggio pubblico come gli altri. È il Vicario di Cristo in terra, come insegna il Concilio Vaticano I (1870), che nella Pastor Aeternus afferma l’autorità spirituale unica del Papa quale successore di San Pietro. Egli non rappresenta sé stesso, ma una realtà trascendente, divina. Negli ultimi decenni si è spesso denunciata una progressiva desacralizzazione del Papato. Il gesto, in sé straordinario, della rinuncia di Benedetto XVI aveva già segnato un cambio di paradigma, aprendo la strada a una visione più funzionale e meno sacrale del ministero petrino. Ma è stato soprattutto il pontificato di Francesco a imprimere una svolta radicale: il Papato si è trasformato in una sorta di bene da esportazione, anche dal punto di vista dell’immagine pubblica. Si pensi, ad esempio, ai profitti generati dal Dicastero per la Comunicazione o al proliferare di figure ambigue — veri e propri mestieranti della fede — che si aggiravano attorno a Casa Santa Marta promettendo apparizioni papali, video, messaggi “da condividere”, fino a raggiungere persino il palco di Sanremo. L’immagine del Pontefice, negli ultimi anni, è stata progressivamente assimilata a quella di una figura mediatica: sorridente nei talk-show, disponibile a ogni fotografia, protagonista involontario di meme e contenuti virali. Non sono mancate situazioni imbarazzanti, in cui il Papa veniva ripreso con la talare macchiata, i capelli disordinati o in pose di evidente sofferenza, spesso del tutto inappropriate. Non stupisce che perfino Vatican News abbia continuato a pubblicare, senza alcun pudore, video in cui il Papa appariva visibilmente affaticato, persino dopo la sua morte.

Un’altra pratica che il Papa non apprezza è quella che era stata inaugurata da Stanisław Jan Dziwisz, ovvero quella dello "scambio dello zucchetto". In più di una occasione ha già spiegato che preferisce non farlo, al massimo benedice quelli che gli vengono presentati. Anche dietro a questo gesto c'è un concetto che effettivamente è preoccupante, senza dimenticare che questi pezzi di stoffa diventano poi i "cimeli" da esibire nelle case dei vari "ragazzetti" che millantano credito e abbindolano presbiteri.

Il rischio di questa deriva? È quello di diluire l’autorità spirituale in una sorta di esposizione permanente, dove la familiarità si confonde con la banalizzazione e il carisma si appiattisce nella logica dello spettacolo. Lo stesso Joseph Ratzinger, poi Benedetto XVI, nell’Introduzione al Cristianesimo, metteva in guardia contro la tentazione di ridurre il sacro alla portata del profano. «Dove Dio diventa troppo accessibile, egli cessa di essere Dio», scriveva con la sua consueta profondità. In questa luce si comprende il significato della scelta, tanto semplice quanto eloquente, compiuta da Papa Leone XIV di non concedersi ai selfie: un gesto profetico, che si colloca in continuità con quelle parole e quei segni che, già in questi primi giorni di pontificato, ci stanno facendo respirare un’aria nuova. È un invito a riscoprire il mistero, il silenzio, la venerazione — dimensioni che custodiscono la sacralità e proteggono l’incontro con Dio dal rischio della banalizzazione. 
Un gesto emblematico di rispetto verso la missione del Pontefice è il bacio dell’anello del Pescatore, segno antico di obbedienza e devozione verso colui che guida la Chiesa universale. Questa pratica, oggi quasi scomparsa, è stata apertamente scoraggiata durante il pontificato di Francesco, dimenticando che quel gesto non era rivolto alla persona di Jorge Mario Bergoglio, ma al Successore di Pietro e all’ufficio che egli incarnava. Non si tratta di idolatria né di cieca sottomissione, ma di un segno sacramentale, attraverso il quale si rende onore al ministero spirituale e non alla persona che lo esercita. Il significato profondo di questo gesto affonda le sue radici nella Scrittura — dove l’anello è simbolo di autorità e missione (cfr. Gn 41,42; Est 8,2) — e nella tradizione della Chiesa medievale, quando l’anello del Papa serviva anche a sigillare i documenti ufficiali. È un segno visibile di una realtà invisibile: l’unione e la fedeltà alla Chiesa attraverso il suo Pastore universale.

San Giovanni Paolo II ricordava che “l’onore reso al Papa non è mai diretto all’uomo, ma a Cristo stesso che lo ha chiamato a essere suo rappresentante”. Il venir meno di questi segni esteriori – il bacio dell’anello, il chinarsi per la benedizione, il tono solenne – corrisponde spesso a un indebolimento della consapevolezza del divino nel quotidiano. È dunque il momento di chiederci: abbiamo dimenticato il sacro? In tal caso, come possiamo ritrovarlo?

Il pontificato di Leone XIV sembra voler iniziare proprio da qui: dal ripristinare il senso del limite tra ciò che è umano e ciò che è divino, tra ciò che è visibile e ciò che deve restare mistero. «Sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato, spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo» ha detto Leone XIV nella Santa Messa con i cardinali. 
Si tratta di una testimonianza controcorrente, di cui avevamo tanto bisogno, in favore di un mondo che ha sete di spiritualità autentica. Nel suo gesto silenzioso e gentile, Leone XIV ci richiama a puntare lo sguardo su Dio, il quale spesso è dimenticato in un mondo fatto di flash e frastuono.


(Silere non possum, 14 maggio 2025)

 

venerdì 9 maggio 2025

Papa Leone XIV: Pietro, il ministero che eccede la persona


In queste ore in cui la Chiesa ha ricevuto un nuovo Pontefice, Leone XIV, mi ha colpito ascoltare alcune reazioni che, seppur comprensibili, tradiscono una certa incomprensione della natura del papato: “Io ci vado cauto, prima vediamo com’è, poi giudichiamo”. Quasi che si trattasse dell’elezione di un amministratore delegato o di un rappresentante politico da vagliare, approvare, mettere alla prova. Ma non è così. Il Papa non si valuta, non si misura. Il Papa si accoglie, perché è il Successore di Pietro, e Pietro è scelto da Dio per guidare la Sua Chiesa. Certo, le decisioni che prende un Pontefice possono essere discusse, criticate o apprezzate, ma la sua persona, il suo ministero, non sono e non possono essere oggetto di giudizio.

Qualunque sia il suo nome, la sua provenienza, il suo temperamento o le sue idee, il Successore di Pietro è una scelta che il Signore fa per il suo popolo. Non siamo noi a doverlo studiare, incasellare, approvare. È un ministero che eccede la persona. E questa verità semplice, forse, l’abbiamo un po’ dimenticata, dopo dodici anni in cui il papato è stato spesso vissuto e percepito in chiave personalistica. Dodici anni in cui si è parlato molto del Papa, e troppo poco del Signore Gesù. Leone XIV, nella sua prima omelia davanti al Collegio cardinalizio, ha saputo restituire questa verità con parole luminose: “Il nostro compito è sparire perché rimanga Cristo, farci piccoli perché Lui sia conosciuto e glorificato, spenderci fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo.” Questo è il Papa: colui che, svuotandosi, lascia spazio a Cristo.

Per questo la Chiesa non teme la tempesta. La barca, anche quando è scossa dal vento, anche quando il Signore sembra dormire, resta salda. Come disse Benedetto XVI nel suo commiato: “La barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare.” È questa certezza che ci permette di vivere ogni pontificato con fede e fiducia, senza sbattere la porta. È questa certezza che ci ha guidato in questi dodici anni nei quali, seppur criticando legittimamente alcune scelte vissute in modo personalistico, abbiamo sempre guardato al Successore di Pietro per ciò che è, con filiale affetto. Il Signore ci ama, non ci abbandona. Ne abbiamo avuto una testimonianza vivente ieri, in Piazza San Pietro: quei giovani americani accanto a noi che, al vedere il fumo bianco, hanno iniziato a esultare senza sapere chi fosse l’eletto. Perché per loro – e per noi – non conta il nome, ma il fatto che c’è un nuovo Pietro. Ed è sufficiente.

Leone XIV non è un buon Papa perché ha indossato la mozzetta rossa o la stola pontificale, né sarebbe stato un cattivo Papa se non l’avesse fatto. La differenza vera rispetto al passato è che certe scelte sembrano non essere segnali ideologici, ma semplici gesti di un uomo mite, visibilmente emozionato, forse persino spaventato, ma docile allo Spirito. Un uomo che ama la vita consacrata, che ha servito con discrezione, che ha portato frutti, e che ora si trova a dover dire “sì” a una chiamata immensa. Un uomo che è la carezza di Dio alla sua Chiesa. Non riduciamo la fede a una mozzetta, a una mitria, a un’omelia in latino. Non commettiamo l’errore – fatto da progressisti e tradizionalisti allo stesso modo – di valutare tutto secondo le apparenze. Non è la forma in sé a essere irrilevante, perché spesso la forma è sostanza, ma è l’intenzione del cuore, la trasparenza della fede, a dire se quella forma è abitata da Cristo.

Nel 2013, l’omelia del Pontefice eletto (Bergoglio) si soffermava sulle mancanze della Chiesa, con accenti duri e autoreferenziali: “Siamo mondani, siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore.” L’accento era sull’uomo, sui suoi limiti, sulle sue colpe. Oggi, nella Cappella Sistina, abbiamo ascoltato parole diverse: parole che hanno rimesso al centro Gesù Cristo, con un invito chiaro e semplice, che dice tutto del compito di un Papa: sparire.

Siamo davanti a un uomo che, con voce tremante ma cuore saldo, sembra sapere che il suo ruolo non è quello di mettersi in mostra, ma di farsi trasparente. E allora sì, possiamo guardare avanti con fiducia e pace. Perché Pietro è Pietro. E la barca è, sempre e comunque, nelle mani del Signore — anche se, forse, ce ne eravamo dimenticati. 


(Fonte: Silere non possum, 9 maggio 2025) 
https://silerenonpossum.com/it/editoria-pietroilministeroeccedelapersona/

 


giovedì 1 maggio 2025

IL CONCLAVE PER IL NUOVO PAPA: “PER L'ONORE DELLA CHIESA”


Il funerale di papa Francesco sul sagrato di San Pietro e la traslazione del feretro a Santa Maria Maggiore, nel grandioso scenario della Roma antica, barocca e ottocentesca, hanno rappresentato un momento storico carico di simbolismo. Sovrani, Capi di Stato e di governo, uomini pubblici di ogni rango, convenuti da ogni parte a Roma, non hanno reso omaggio a Jorge Mario Bergoglio, ma all’istituzione da lui rappresentata, come era accaduto l’8 aprile 2005 per le esequie di Giovanni Paolo II.  Anche se molte di queste personalità appartengono ad altre religioni o professano l’ateismo, tutte erano consapevoli di ciò che ancora significa la Chiesa romana, caput mundi, centro del Cristianesimo universale. L’immagine di Donald Trump e Vladimir Zelensky faccia a faccia su due semplici sedie, tra le navate della Basilica di San Pietro, sembrava esprimere la loro piccolezza, sotto la volta di una basilica che racchiude i destini del mondo. E i 170 leader convenuti nella Città eterna, con la loro presenza sembravano anche interrogarsi sul futuro del mondo, alla vigilia del conclave che si aprirà il 7 maggio. 

Il conclave che eleggerà il successore di Francesco è, come tutti conclavi, un momento straordinario nella vita nella Chiesa. Mai come nel conclave, infatti, il Cielo e la terra sembrano incontrarsi per l’elezione del Vicario di Cristo. I cardinali, che costituiscono il Senato della Chiesa, devono scegliere colui che è destinato a guidarla e a governarla. Il momento è così importante che Cristo stesso ha promesso alla Chiesa di assisterla nella scelta, attraverso l’influsso dello Spirito Santo. Come ogni grazia, quella dovuta allo speciale intervento dello Spirito Santo presuppone però la corrispondenza degli uomini che, in questo caso, sono i cardinali riuniti nella Cappella Sistina. Ad essi, infatti, l’assistenza divina non toglie la libertà umana. Lo Spirito Santo li assiste, ma non determina la loro scelta. L’assistenza dello Spirito Santo non significa che nel conclave venga necessariamente scelto il candidato migliore. La Divina Provvidenza però, dal peggior male, quale può essere l’elezione di un cattivo Papa, trae sempre il maggior bene possibile, perché è Dio e non il demonio, che sempre trionfa nella storia. Per questo nel corso della storia furono eletti papa santi, ma anche papi deboli, indegni, inadeguati alla loro alta missione, senza che ciò pregiudichi in alcun modo la grandezza del Papato.

Come ogni conclave della storia, anche il prossimo conclave subirà tentativi di interferenze. Nel conclave del 1769, Clemente XIV fu eletto dopo 185 scrutini e oltre tre mesi di trattative, dopo essersi impegnato con le corti borboniche a sopprimere la Compagnia di Gesù. L’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe, nel conclave del 1903, che elesse san Pio X, pose il veto per l’elezione del cardinale Rampolla del Tindaro. Ma anche il conclave che elesse Pio XII, e soprattutto quello che seguì alla sua morte, subirono pressioni politiche. Nel 1958, l’azione diplomatica più invadente fu condotta dalla Francia del generale De Gaulle, il quale prescrisse al suo ambasciatore presso la Santa Sede, Roland de Margerie, di fare di tutto per impedire che potessero essere eletti i cardinali Ottaviani e Ruffini, considerati “reazionari”. Il “partito francese”, che faceva capo al cardinale decano Eugenio Tisserant, appoggiò invece il patriarca di Venezia Giuseppe Roncalli, che fu eletto con il nome di Giovanni XXIII. In tempi più recenti, sono note le manovre della cosiddetta “Mafia di San Gallo” nei conclavi del 2005 e del 2013, per evitare l’elezione di Benedetto XVI e poi per assicurare quella di Papa Francesco. La prima manovra fallì, la seconda riuscì

Queste pressioni non determinano però l’invalidità di un’elezione. Giovanni Paolo II, nella costituzione Universi Dominici gregis del 22 febbraio 1996, pur senza proibire che durante la Sede Vacante ci possano essere scambi di idee circa l’elezione, stabilisce che i cardinali elettori devono astenersi «da ogni forma di patteggiamenti, accordi, promesse od altri impegni di qualsiasi genere, che li possano costringere a dare o a negare il voto ad uno o ad alcuni. Se ciò in realtà fosse fatto, sia pure sotto giuramento», decreta «che tale impegno sia nullo e invalido e che nessuno sia tenuto ad osservarlo» e commina «la scomunica latae sententiae ai trasgressori di tale divieto» (nn. 81-82). La costituzione definisce invalidi gli accordi, ma non l’elezione che ad essi seguisse. L’elezione rimane valida anche se sono stati compiuti patti illeciti, salvo che emerga un vizio sostanziale gravissimo che comprometta la libertà del conclave. 

La Universi Dominici Gregis aveva stabilito l’elezione del Pontefice con una maggioranza qualificata di due terzi, ma nel caso che il conclave si fosse protratto oltre 30 scrutini in 10 giorni, prevedeva che i cardinali avrebbero potuto eleggere il nuovo Papa con la semplice maggioranza assoluta dei suffragi (nn. 74-75). Non era un cambiamento irrilevante, perché la maggioranza assoluta rende più verosimile l’ipotesi di un Papa contestato, bastando l’invalidità di una scheda per rendere nulla l’elezione di un Papa eletto con un voto di maggioranza. Forse per questo, con la Lettera Apostolica dell’11 giugno 2007, De aliquibus mutationibus in normis de electione Romani Ponteficis, Benedetto XVI ha ripristinato la norma tradizionale secondo cui per l’elezione a Sommo Pontefice è sempre richiesta la maggioranza dei due terzi di voti dei cardinali elettori presenti.  La necessità dei due terzi rende più forte la posizione di una minoranza di blocco e fa sì che il conclave possa anche prolungarsi nel tempo. Ciò è accaduto molte volte nell’età moderna. Basti ricordare che il conclave che elesse Barnaba Chiaramonti, con il nome di Pio VII (1800-1823), durò oltre tre mesi, dal 30 novembre 1799 al 14 marzo 1800, mentre il conclave che elesse Gregorio XVI (1831-1846) durò circa 50 giorni, dal 14 dicembre 1830 al 2 febbraio 1831. Il Papa eletto fu Bartolomeo Alberto Cappellari, un monaco camaldolese, prefetto della congregazione di Propaganda Fide, che non era neanche vescovo al momento dell’elezione. Dopo essere stato eletto Papa, fu prima ordinato vescovo e poi incoronato.

Le esequie di papa Francesco sono state un momento di apparente unità. Il prossimo conclave, riflettendo la vera situazione della Chiesa, sarà invece il luogo di divisione, che imporrà ai cardinali di assumersi la loro responsabilità per il bene della Chiesa? La porpora, che simboleggia il sangue dei martiri, ricorda ai cardinali che devono essere pronti a combattere e a versare il loro sangue in difesa della fede e il conclave è sempre un teatro di lotta che vede impegnata la porzione più nobile del Corpo Mistico di Cristo. In piazza San Pietro, il 26 aprile, la Chiesa ha ricevuto gli onori inconsapevoli di un mondo che la combatte. Nella Cappella Sistina i cardinali, o almeno una minoranza di essi, dovranno combattere per l’onore della Chiesa, oggi umiliata dai suoi avversari, soprattutto interni. Un conclave lungo e contrastato apre per questa ragione, orizzonti di speranza maggiori di quanti non ne potrebbe riservare un conclave breve, in cui, fino dall’inizio fosse scelto un candidato di compromesso. 

Il Papa migliore non sarà il Papa “politicamente corretto” suggerito dai mass media, né il Papa politico che, presentandosi come “pacificatore”, otterrà il pontificato attraverso garanzie e promesse che non manterrà.

La Chiesa e il popolo fedele hanno bisogno di un Papa integro nella dottrina e nei costumi che non presenti come concessioni ciò che nella fede, nella morale, nella liturgia e nella vita spirituale è un diritto non revocabile; hanno bisogno di un autentico Vicario di Cristo, che renda alla Cattedra di Pietro il suo ruolo di luce della verità e della giustizia. Altrimenti, se questa luce mancherà al mondo, alla Chiesa non resteranno più che i meriti della sofferenza e le risorse della preghiera. 

(Roberto de Mattei - 30 Aprile 2025)