venerdì 4 aprile 2014

Lettera aperta al direttore del mensile paolino “Jesus”

Una lettera forte, assolutamente condivisibile per la sua obiettività, che merita di essere letta con attenzione e meditata, senza dover ricorrere ad un inconsulto "stracciarsi le vesti" per bestemmia. Quelle che seguono sono le testuali parole che il sacerdote padre Ariel Levi di Gualdo rivolge a padre Antonio Rizzolo, direttore responsabile del mensile “Jesus”:
«Caro Confratello. La rivista Jesus è divenuta una tale melassa di luoghi comuni di estrazione modernista da farla ormai apparire come un’appendice della esotica congrega bosiana del cattivo maestro Enzo Bianchi, vostra firma di punta [qui, qui] assieme a Gianfranco Ravasi [qui].
Se l’autorità ecclesiastica avvertisse la propria naturale vocazione alla difesa della verità contro l’errore, anziché essere paralizzata nel ristagno originato dal peccato di omissione che genera la peggiore impotenza, la vostra congregazione religiosa sarebbe stata commissariata al posto di quella dei Francescani dell’Immacolata, ed al vostro giornale la Conferenza Episcopale Italiana avrebbe provveduto da tempo a togliere il titolo di “cattolico”, con relativa precisazione che Jesus per un verso, Famiglia Cristiana per un altro, non rappresentano il sentire della comunità cattolica italiana e quello dei vescovi che la guidano.
Come spiegavo a un auditorio di Rieti pochi giorni fa durante una conferenza promossa dalla Fondazione Internazionale Tomas Tyn [qui, qui], oggi il peccato di omissione va per la maggiore tra i nostri vescovi, mentre il principio di inversione tra bene e male pare regnare sovrano. La conseguenza logica e al tempo stesso tragica è uno stato di ristagno che genere quella impotenza in virtù della quale tutti fanno tutto e nessuno reagisce, se non nei confronti di chi tenta di difendere la sana dottrina cattolica.
Dopo che nel corso degli ultimi cinquant’anni il dogma è stato fatto a pezzi dall’ascia dei Rahner e degli Schillebeeckx, per poi seguire appresso con la dispersione dei brandelli sezionati per opera del prolifico esercito dei loro nipotini ideologici, la situazione odierna è quella di una Chiesa nella quale una non meglio precisata “dottrina” antropocentrica si è andata sostituendo a quella cristocentrica.
Passo adesso a commentare una frase chiave apparsa sul tuo ultimo editoriale di Jesus: «E’ passato un anno dall’elezione di Papa Francesco, il 13 marzo 2013, ma la sensazione è che si siano fatti enormi passi in avanti nella Chiesa, riducendo quel ritardo di 200 anni di cui parlava il cardinale Martini». In occasione di questo anniversario bisogna «riflettere sulla Chiesa del futuro, sulle prospettive aperte dalla rinuncia di Benedetto XVI, gesto profetico che ha desacralizzato la figura del Papa, e l’elezione di Bergoglio che ha rimesso al centro il Vangelo» [testo integrale: qui].
Sorvolo sui deliri fanta-ecclesiali dell’ultimo Carlo Maria Martini citato in somma gloria come un profeta e riguardo il quale pochi osano dire la verità a proprio rischio e pericolo [qui]. Proverò a dirla io con la devozione dovuta a un vescovo dalla sincera tenerezza di un sacerdote che reputa opportuno richiamare quanti fossero interessati a un’evidenza così solare: «Il re è nudo!».
l’Arcivescovo emerito di Milano ha vissuto gli ultimi anni della sua vita ed è morto colpito da una profonda crisi di fede, lo dimostrano i suoi ultimi discorsi angosciosi e alcuni inquietanti libri-intervista. Se ne facciano una serena ragione, i devoti Martinitt. Perché se negli anni Settanta molti preti progressisti, anziché fare i confessori e i direttori spirituali si sono messi invece a giocare con le indagini psicanalitiche, inevitabilmente, quelle stesse tecniche d’indagine, finiranno all’occorrenza applicate simile modo ai preti stessi e a certi loro vescovi bandiera.
Se li boni gesuiti compirono un’opera altamente meritoria, tale fu quella di smontare su La Civiltà Cattolica il libro di Vito Mancuso [qui] nel quale erano concentrate perlomeno una dozzina di eresie [qui], siffatta opera resta però compiuta a metà e in modo pure maldestro, perché nessuno scrittore di quella prestigiosa redazione si è premurato di rammaricarsi per l’eminente firma che a quel libro vergò prefazione: il Cardinale Carlo Maria Martini, in assenza della quale mai avrebbe riscosso il successo avuto. Né alcuno ha puntualizzato che fu Carlo Maria Martini in persona a consacrare sacerdote Vito Mancuso per la Diocesi di Milano nel 1986 all’età di soli 23 anni [qui] con la prevista dispensa chiesta e ottenuta dalla Santa Sede. Infatti, l’età minima prevista dal Codice di Diritto Canonico per l’ordinazione dei presbiteri è fissata a 25 anni dal canone 1031. Il vescovo ha facoltà di dispensare un anno, ma al di sotto dei 24 anni è obbligatorio chiedere e ottenere la dispensa dalla Santa Sede.
Nel 1987, ad appena un anno dalla sacra ordinazione, Vito Mancuso mostra tutta la solidità della sua formazione conseguita nel seminario di una diocesi governata dal più celebrato astro del progressismo episcopale italiano, chiedendo di essere sospeso dal sacro ministero. A quel punto, Carlo Maria Martini, cerca di farlo riprendere dalla crisi inviandolo a studiare presso Bruno Forte, affinché la toppa potesse risultare nel tempo molto peggiore dello strappo [qui].
A questo punto la domanda sorge a dir poco legittima: considerando che il Cardinale Carlo Maria Martini chiese e ottenne persino la dispensa dalla Santa Sede per poter procedere all’ordinazione sacerdotale di questa stella nascente della teologia che un anno dopo appena abbandonava il sacro ministero; può essere credibile che dinanzi al vespaio sollevato da questo libro, l’eminente prefatore facesse affermare a varie interposte persone che in verità, questo Vito Mancuso, in pratica quasi non lo conosceva? [qui].
Appresso, li boni gesuiti de La Civiltà Cattolica, per bocca e per penna del Padre Gianpaolo Salvini tentavano di far credere tra le righe che Vito Mancuso aveva strappato al povero cardinale una prefazione quasi con artifizio e inganno, usando sue lettere private e amenità circonlocutorie di vario genere atte però di fatto ad offendere l’intelligenza di chiunque se le sia viste presentare come plausibili giustificazioni veritiere mirate a smontare un dato oggettivo e grave: Carlo Maria Martini ha scritto la prefazione all’autentico distillato di eresie di un personaggio che in verità conosceva così bene da averlo consacrato sacerdote con la prevista dispensa pontificia al di sotto del limite di età, da averlo dispensato come proprio presbitero dall’esercizio del sacro ministero, da averlo inviato a studiare con Bruno Forte e suvvia a seguire. Dal canto suo, Vito Mancuso, ritrovandosi ad essere accusato dai maestri della “riserva mentale” e della “doppia coscienza” di avere compiuto un gesto che in sé sarebbe a dir poco infame — ossia l’avere estrapolato una prefazione da alcuni messaggi privati — essendo sì fuori discussione un eretico conclamato, ma non essendo affatto un uomo né disonesto né bugiardo, rispose dimostrando che quella prefazione era autentica senza facile pena di smentita [qui].
Con queste dovute precisazioni desideravo far calare una trapunta di lana pesante sulla cara persona del Cardinale Carlo Maria Martini, che taluni si ostinano a presentare da morto ancora più che da vivo come un autentico Santo Padre e Dottore della Chiesa, nonché difensore della vera fede cattolica.
Vorrei poi che tu spiegassi con approfondita ecclesiologia l’altra tua frase agghiacciante: «L’elezione di Bergoglio che ha rimesso al centro il Vangelo». E sarebbe bene spiegarla perché molti cristiani non “adulti”, poiché non cresciuti alla gloriosa Scuola di Bologna di Dossetti&Alberigo, tra un ritiro spirituale a Bose ed un drink ecumenico con una vescovessa luterana lesbica che si diletta a ordinare preti gay [qui], nel loro povero infantilismo pre-adolescenziale e cattolico-paesano potrebbero persino dedurne che sotto i pontificati di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI il Vangelo non era affatto al centro della vita della Chiesa.
Infine l’ultima domanda: siamo forse giunti alla celebrazione della ghigliottina sulle riviste “cattoliche”? Perché nel caso in cui la cosa sfuggisse, merita allora ricordare ai membri dell’episcopato italiano preposti a vigilare ed a difendere la verità dall’errore, che la cultura liberista, anticlericale e massonica ha sempre celebrato il taglio della testa dell’ultimo Re di Francia con parole ben precise: «Il taglio della testa di Luigi Filippo e di Maria Antonietta ha de-sacralizzato la figura del Re, portandolo dalla sua dimensione di monarca avvolto d’aura trascendentale, a quella di cittadino assoggettato come tutti alle leggi del Popolo Sovrano». Quel Popolo ideale e quel Popolo idolo ideologico che voleva dire tutto e niente, perché nei concreti fatti non valeva e non contava niente, visto che padrone della vita e della morte, sulla base di puri umori ed arbitri, era un autocrate sanguinario come Maximilien de Robespierre, il quale finì poi col fare la fine che fece, come del resto quasi tutti i tiranni.
Lasciami pertanto rammaricare per la tua carente cultura storica, teologica ed ecclesiologica, di cui il mensile Jesus ci ha data eloquente saggio in questo numero con l’editoriale da te firmato. E detto questo la chiudo in breve allegando qui di seguito una serie di collegamenti a dei filmati che parlano e che spiegano più di qualsiasi parola quel che è stato prodotto dalla ghigliottina che ha «desacralizzato la figura del Papa».
Negli anni Settanta io ero adolescente, sono nato nell’agosto del 1963. In quegli anni, quando i sacerdoti paolini cominciarono a gettare per primi la talare alle ortiche per indossare completi in giacca e cravatta [qui, qui, qui], esisteva un giornale chiamato Il Male [qui], fatto tra l’altro anche molto bene a livello grafico, al di là dei contenuti difficilmente accettabili per qualsiasi mente cattolica. Questo giornale pubblicava attacchi periodici molto pesanti nei confronti del Sommo Pontefice Paolo VI, nonostante fosse ormai anziano e gravemente ammalato. E non fu solo Paolo VI a subire attacchi d’ogni sorta, li subì anche il Beato Pontefice Giovanni Paolo II nel corso di tutta la prima e la seconda fase del suo pontificato.
Sempre in quegli anni, il giovane rockettaro Edoardo Bennato cantava una canzone irriverente intitolata «Affacciati affacciati», che era tutta una dura contestazione al Pontefice e alla istituzione religiosa e storica del papato [qui, qui].
La differenza che corre tra queste due diverse epoche storiche con annesse conseguenti reazioni, è questa: gli attacchi passati, o se vogliamo quelli di sempre, erano mossi da credo religiosi diversi, da ideologie, da dottrine politiche, da forze occulte quali ad esempio la Massoneria, che miravano all’attacco preciso e deciso, spesso infarcito di filosofismi e politicismi animati da apparente buonsenso e, talvolta, supportati anche su errori o su politiche sicuramente sbagliate portate avanti dalla Chiesa o dai Pontefici nel corso delle varie fasi storiche legate al passato recente e remoto.
Oggi che invece siamo giunti alla desacralizzazione celebrata dal giacobinismo del tuo mensile “cattolico”, quella del Romano Pontefice — casomai non te ne fossi accorto — è una figura che da molti è stata mutata in oggetto di pubblico sberleffo sui giornali e sulle televisioni. Una figura — e si badi bene che parlo della figura e non di Jorge Mario Bergoglio — trattata giornalmente alla stregua di quella di un pagliaccio. Subdola e terribile è infatti la logica: si distrugge l’ufficio, ossia il papato, ed al contempo si esalta la simpatia e l’amabilità della persona di Jorge Mario Bergoglio, che da questo ufficio è stato completamente scisso a livello mediatico. Insomma: «Bergoglio si, papato no!».
Sarebbe poi interessante fare un’indagine storica con relativa ricerca per verificare in quale stile erano impastate nel corso dell’Ottocento le pesanti e infamanti vignette satiriche che prendevano di mira principalmente il Beato Pontefice Pio IX. Immagini durissime nelle quali il Pontefice era ritratto in modo sprezzante sotto la forma di porco o di rospo. Delle immagini che erano mirate a suscitare profondo disprezzo; e per questo lungi dal presentare il Romano Pontefice come un pagliaccio che tra una risata e l’altra suscitava invece simpatia e senso di affetto a scapito del ministero e del mistero da esso incarnato: «Tu es Petrus»[cf. Mt 16,18].
Credo che dovresti ricercare e studiare certi testi e immagini del passato, facili peraltro da trovare perché i tuoi colleghi di Micromega le hanno messe a gentile disposizione in una preziosa pubblicazione [qui] nella quale troverai prova e ragione di quanto ti ho appena espresso in toni doverosamente allarmati.
Dio benedica i tempi nei quali, quando la salma del Pontefice Pio IX fu traslata nella Basilica di San Lorenzo al Verano tra la notte del 12 e 13 luglio 1881, un gruppo di anticlericali furenti cercò di scagliarsi sul suo feretro al grido «Al fiume il papa porco!», con l’intento di gettare la bara nel Tevere. Perché dietro a quell’odio furibondo verso un grande uomo di Dio, c’era un dato di fatto: quegli aggressori riconoscevano — seppure con profondo sprezzo interiore — che il cadavere di quell’uomo era appartenuto al Romano Pontefice. Cosa del tutto chiara, questa, anche ad Ali Ağca un secolo dopo [qui], che pure non proveniva da una cultura né da un contesto storico e sociale cattolico e che tentò di assassinare in Piazza San Pietro Giovanni Paolo II in quanto Sommo Pontefice della Chiesa Cattolica Apostolica Romana, come anni prima accadde a Manila a Paolo VI [qui].
Era molto meglio quando si tentava di gettare a fiume le salme dei Sommi Pontefici consapevoli che erano Pontefici o quando si tentava di assassinarli in Piazza San Pietro. Era molto meglio allora rispetto ai giorni d’oggi, dove grazie alla tua celebrata desacralizzazione i Pontefici sono invece presentati dai mass-media anticattolici e filo massonici come dei buffoni, che in quanto tali strappano un sorriso facendo amorevole tenerezza alla stessa stregua del mitico matto del villaggio, mentre si fa a pezzi il mistero e il ministero di Pietro sul quale Cristo ha fondato la sua Chiesa [Supra: Mt 16,18]
E adesso guardati a una a una le immagini filmate che seguono, poi dimmi se la mia analisi è sbagliata, illustre direttore di Jesus, mensile cosiddetto “cattolico” che esalta «un gesto» — che non è affatto un semplice «gesto» ma una lacerazione e un trauma forse irreversibile — attraverso il quale è stata «desacralizzata la figura del Papa», dopo che noi siamo riusciti a realizzare dall’interno ciò che mai riuscì a realizzare dall’esterno neppure il periodo del terrore della Rivoluzione di Francia che si avventò con rara ferocia contro la Chiesa Cattolica. Firmato: Ariel S. Levi di Gualdo».

(Fonte: Riscossa Cristiana, 3 aprile 2014)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Leggo volentieri Padre Ariel sul Sito: "L'Isola di Patmos". Condivido le sue osservazioni, sempre ben documentate. Non mi dilungo in commenti personali ma mi limito ad affermare che condivido anche questo suo articolo., comprese le sue riserve su "Iesus". Apprezzo la presentazione che ne fa il Direttore (questo gli fa onore) e la scelta di pubblicarla. Grazie P. Ariel