mercoledì 18 giugno 2014

Appunti fuori dal coro sul Convegno Pastorale Diocesano di Roma 2014.

1. “Buona la prima”.
La prima serata - al di là del sole cocente all’entrata, durante la snervante attesa in fila (due ore prima dell’apertura dei varchi), e il diluvio universale scatenatosi impietosamente all’uscita - va considerata a mio avviso come il momento “clou”, quello più “positivo” di questa assise. Grazie soprattutto alla presenza di Papa Francesco, che ha calamitato completamente l’attenzione generale del numerosissimo pubblico.
E su questo fatto, mi sia concessa una prima nota critica diretta agli organizzatori.
Doveva essere un “Convegno Diocesano”? Un incontro del Vescovo della Diocesi di Roma con i “suoi” operatori pastorali? Allora non capisco perché il 40% dei presenti fossero persone provenienti dai paesi più lontani e disparati, in particolare dall’America latina, totalmente digiune della più elementare conoscenza dell’italiano, apertamente disinteressate agli scopi del Convegno, e quindi richiamate esclusivamente dalla possibilità di “vedere” il papa da vicino.
Si parla in totale di circa 12.000 partecipanti "iscritti": io penso di meno, visto che la Sala Paolo VI (che tanti ne contiene) non era completamente occupata. Comunque, obiettivamente, “troppi” per un gruppo di lavoro.
Ora mi chiedo: con quale criterio sono stati dispensati i “passi”? perché trasformare un “colloquio” privato, tra il “Padre della Diocesi” e i suoi figli, in una “udienza” generale del mercoledì? Non sarebbe stato meglio offrire agli operatori pastorali diocesani (quelli veri!) la possibilità di stringersi attorno al loro Vescovo, magari spogliando l’occasione dai tanti inutili orpelli esibizionistici? Ma si sa. Per alcuni una folla urlante e schiamazzante fa molto “chiesa”: e che c’è di meglio da presentare al Papa di uno stuolo immane di “fedeli”, non importa chi siano e da dove vengano, purché documentino la vivacità della fede nella diocesi romana? Mah!
Poi, l’intervento di Papa Francesco: un intervento che io definisco diretto, paterno, cordiale, fatto quasi interamente a braccio, a cuore aperto. Come al solito parole chiare, allusioni dirette, intercalate da silenzi improvvisi, sospensioni magistrali del discorso, occhiate penetranti all’assemblea: i suggerimenti, gli avvisi, le raccomandazioni, sono arrivate dritte al cuore e alla testa di chi voleva capirlo (intelligenti pauca!). Per altri, per quelli cioè che abitualmente ostentano “superiorità”, sentendosi “a posto”, tetragoni ad ogni assalto critico (e se ne vedevano molti in giro, soprattutto preti), sarà stato un intervento normale, condito dai soliti pittoreschi ricordi di sue datate esperienze pastorali. Una cosa è comunque emersa in maniera tragica: la sua reale e accorata preoccupazione per la deriva verso cui da tante parti viene spinta la Chiesa di Cristo.
Invece «la gente che viene sa, per l’unzione dello Spirito Santo, che la Chiesa custodisce il tesoro dello sguardo di Gesù e noi dobbiamo offrirlo a tutti: quando arrivano in parrocchia quale atteggiamento dobbiamo avere? Dobbiamo sempre accogliere tutti con cuore grande. Come in famiglia. Chiedendo al Signore di farci capaci di partecipare alle difficoltà e ai problemi che spesso i ragazzi e i giovani incontrano nella loro vita. Dobbiamo avere il cuore di Gesù il quale, “vedendo le folle ne sentì compassione perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore”». C'è di che meditare!

2. “Inutile la seconda”.
Sono convinto che in tanti condivideranno questo mio giudizio sulla seconda serata del Convegno, ma non si esprimono per paura di sembrare “out”.
Avevo già avuto la stessa impressione in occasione di un precedente esperimento, sempre a livello diocesano, volto a raccogliere suggerimenti ed iniziative da parte della base. Anche ieri sera – perlomeno nella mia sezione, ma per sentito dire anche in tante altre – c’è stata la solita passerella di personaggi autoreferenziali, che hanno sciorinato le loro “esperienze”, quasi tutte uguali, spesso di una prolissità noiosa e di una banalità disarmante.
Non critico tanto gli autori degli interventi: hanno cercato in buona fede di proporre al meglio le loro esperienze: ma forse gli esperti organizzatori avrebbero dovuto già immaginare a priori che sarebbe stata una carrellata di “dejà vu”, di esperienze stranote, che poco sarebbero servite per offrire nuovi input ad una catechesi che oggi deve essere “d’urto”, al passo con i tempi.
A ragione il card. Vallini, salutando il gruppo all’inizio dei lavori, raccomandava di non indulgere in “amarcord” personali o in riproposizioni di situazioni di scarso rilievo ai fini innovativi di una catechesi veramente “missionaria”.
Il nostro lavoro di operatori pastorali in una Chiesa in cammino, in una Chiesa che è “mamma” (come ha spiegato il papa) e cerca di riportare a casa i suoi figli, non può prescindere dalla realtà sociale dei nostri giorni. Oggi viviamo in un clima a dir poco indifferente, se non decisamente contrario alla dottrina e alla morale cristiana.
I bambini, cui è diretto il lavoro di catechesi di iniziazione cristiana, oggi non sono i bambini di trenta o venti anni fa: oggi provengono in larga maggioranza da famiglie “open”, plurigenitoriali, da famiglie sfasciate; provengono da situazioni e da ambienti totalmente inadatti a fornire loro i primi rudimenti della fede. Nell’era della comunicazione esasperata, della pubblicità battente, dell’offerta mediata e subdola di ideologie edoniste e materialiste a tutti i livelli, i bambini vengono parcheggiati davanti alla televisione, l’elemento che oggi si è arrogato ad ogni effetto il ruolo di primo “educatore”. Ovviamente conosciamo tutti a quale livello si attesti tale educazione.
Quindi trovo assolutamente anacronistico condizionare la nostra catechesi di iniziazione cristiana dei bambini, alla presunta, ma troppo spesso inesistente, collaborazione della famiglia.
La famiglia purtroppo è in via di estinzione: da troppe parti si cerca di distruggerla, anteponendola o parificandola ad unioni omosessuali con diritto di “avere” figli ad ogni costo. L’Unione Europea, succube delle potenti lobby economiche facenti capo ai vari movimenti Lgbt, sta già forzando in tempi stretti l’allineamento in tal senso degli stati membri, Italia compresa.
È chiaro che presupporre da parte di siffatti “genitori” un qualunque supporto nella educazione cattolico cristiana dei figli, è pura utopia.
Per questo la Chiesa deve accogliere questi bambini come una “mamma” e come tale deve offrire loro tutto l’affetto e la cura di cui abbisognano,cercando di offrire loro quel primo, sano ambiente famigliare di cui non hanno alcuna esperienza.
L’incontro con Cristo, nel loro caso, avverrà attraverso la conoscenza e la stima dei loro “catechisti”, che – soprattutto con l’esempio, con la coerenza della loro vita con quanto insegnano – li introdurranno gradualmente nella conoscenza del “mistero”: dell’esistenza di un Padre che è sempre presente, che li ama, a cui devono affidare i loro pensieri, i loro problemi, ricambiando il suo amore; un Padre che possono incontrare personalmente nella preghiera, in qualunque momento, davanti al SS.mo, o comunitariamente, partecipando gradualmente alla preghiera liturgica della Chiesa, ecc…
I bimbi di oggi non hanno bisogno di “formulette” o di storielle: intuiscono il nocciolo della questione con una rapidità sorprendente. Hanno solo bisogno di "sapere", di venire “traghettati” nel mondo della fede, nella conoscenza dell’esistenza del Dio Amore, cui siamo legati fin dalla nascita da un cordone ombelicale irrecidibile ; e noi dobbiamo assecondarli con tatto, con preparazione personale, con estrema sincerità e concretezza.
Avrei preferito una discussione metodologica fatta in questa prospettiva futura - problematica e forse dissacrante ma a mio avviso molto più produttiva per nuove soluzioni - piuttosto che la consueta rassegna di singole e personali esperienze didattiche di un passato pur se recente.

(Ma.La.)

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