Già i dati, che gli iscritti forniscono, rappresentano una fonte d’informazioni troppo preziosa, per non esser presa in considerazione: non solo nome e cognome, età e scuole frequentate, bensì anche luoghi visitati, ideali, sogni, convinzioni, emozioni, hobby, gusti, tutto quanto insomma fa parte, in fondo, del business.
Secondo il “Washington Post”, Facebook disporrebbe di un proprio centro ricerche almeno dal 2008, centro in cui si raccolgono ed analizzano tutti i dati. «Con tutte le notizie che forniamo a Facebook un buon analista sarebbe in grado di estrarne dei profili psicologici perfetti e ad un livello di accuratezza mai raggiunto prima», afferma Manuel Chao, responsabile del Dipartimento SEM dell’agenzia di marketing on line Hello.
I fatti: almeno 689.003 account sono stati manipolati per elaborare uno studio psicologico in collaborazione con due Università statunitensi, quella di Cornell e quella di San Francisco. Studio, ch’è giunto ad accertare un «contagio emozionale» sulle nostre reazioni. Per comprovare tale tesi, ad un gruppo selezionato di utenti sono state fornite più notizie positive oppure più notizie negative, senza il consenso, né l’approvazione degli interessati.
Un esperimento applicato ad una microscopica frazione di tutti i profili esistenti, questo è certo, ma, legale o meno, il fatto è che per una settimana a centinaia di migliaia di utenti sono state distorte le informazioni relative ai loro contatti, è stata ridotta la loro libertà di ricevere notizie, fossero anche commenti inutili e banali. E, per molti, oggi questo mondo virtuale rappresenta la prosecuzione di quello reale, ne è la replica: mutilarlo o condizionarlo a loro insaputa può provocare conseguenze non immaginabili, anche pesanti.
Secondo Jeff Hammerbache, uno dei fondatori della società di analisi dei grandi flussi di dati Cloudera, ma con un trascorso lavorativo in Facebook, sarebbe tempo di una riflessione dopo il controverso esperimento psicologico condotto. Lui stesso studiò come gli utenti fruiscano degli annunci pubblicitari su Internet. Tutto questo sarà senz’altro utile a fini promozionali, statistici o di marketing, renderà sicuramente la rete più redditizia (nel 2013 le entrate sono state pari a 2.509 milioni di dollari), ma pone seri problemi di etica: i dati vengono infatti utilizzati ed elaborati senza un esplicito consenso da parte degli utenti.
In un’intervista rilasciata al quotidiano spagnolo “Abc”Ismael el-Qudsi, responsabile dell’agenzia “Internet Repubblica”, specializzata in social media, «Facebook è una rete estremamente emotiva. È la nostra vita privata, quella che qui esponiamo. È logico, dunque, che condizioni il nostro modo di sentirci, di pensarci, di percepire. Sebbene sia tutto legale, in quanto si accettano volontariamente le condizioni di utilizzo al momento dell’iscrizione, non si può dire che sia troppo etico… Ciò che si è dimostrato è il fatto d’esser manipolati come persone. Se i prodotti di internet fossero a pagamento, l’utente potrebbe pretendere determinati diritti. Ma se un prodotto è gratuito, sei tu il prezzo. Facebook sta giocando con tutti noi, trattandoci come cavie e monitorando a piacimento il nostro comportamento, le nostre abitudini, tutto».
Silvia Leal, direttore del Dipartimento di Tecnologia della Business School e consulente della Commissione europea, lo afferma a chiare lettere: «Il business sotteso è chiarissimo e mi stupisco che la gente si stupisca. Come sociologo non posso disdegnare tutto questo, poiché mette a disposizione uno strumento importante ed oltre tutto gratis. Ma pensiamo che poi di questi dati non se ne faccia niente?». Nulla, in rete, è casuale.
(Fonte:
Mauro Faverzani, Corrispondenza romana,
6 agosto 2014)
http://www.corrispondenzaromana.it/facebook-peggio-del-grande-fratello-ecco-le-prove/
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