mercoledì 14 gennaio 2015

Per quale libertà vogliamo lottare

Diceva oltre un secolo fa lo scrittore inglese G.K. Chesterton che il grave errore delle Scienze sociali è l’uso dello schema medico, ovvero cercare di definire la malattia prima di ricercare la cura. Ma nella società umana, avverte Chesterton, questo schema porta in un vicolo cieco, il rimedio non si trova mai. «In ambito sociale – spiega – ci si deve prima curare della piena definizione di uomo e della sua dignità, prima di considerare i suoi mali». Vale a dire, che è facile e ovvio essere d’accordo su ciò che è male, il problema nasce quando passiamo a definire il bene, perché non c’è dubbio che quello che una parte della popolazione considera bene, un’altra parte lo considererà un male peggiore. Queste riflessioni mi sono tornate in mente guardando l’oceanico corteo umano che ieri ha attraversato Parigi e le altre analoghe manifestazioni in tutta la Francia.
In effetti il terrorismo, la violenza cieca del fanatismo religioso è un male evidente su cui tutti siamo d’accordo: per quel che è successo a Parigi il 7 gennaio – come altrove nel mondo – non ci può essere alcuna giustificazione. Il problema – e la divisione – nasce quando passiamo a definire come è possibile fermare tale fanatismo, come si costruisce – o su quali valori si costruisce - una società dove diverse culture possano convivere pacificamente.
Tutti siamo stati concordi nel definire la strage del Charlie Hebdo e dell’ipermercato Kosher «un attacco alla libertà». Ma è quando andiamo a definire cosa sia la libertà che allora le strade si dividono e si comprende che quel popolo così unito in piazza contro il terrorismo ben difficilmente lo sarà domani quando si tratterà di decidere cosa fare per difendere la libertà.
La libertà, per chi condivide il pensiero dei giornalisti di Charlie Hebdo, è totale assenza di legami, disconoscimento di ogni paternità.
Per questo diventa fanatismo laicista, l’obiettivo preferito è la religione, tutte le religioni. È l’espressione di una ragione “ridotta”, secondo la definizione di Benedetto XVI nella tanto citata quanto incompresa lezione di Ratisbona, una ragione che esclude la possibilità del divino. È l’altra faccia – sempre seguendo Benedetto XVI - di una fede in un Dio che agisce anche contro la ragione, come avviene nell’islam, e produce perciò quel fanatismo cieco cui stiamo assistendo.
Ma tornando all’Occidente, diceva papa Ratzinger, «una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell'ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture». È la fotografia dell’Europa odierna, che ad esempio fa ancora fatica a capire il fallimento del multiculturalismo.
Di più: siamo di fronte – diceva il cardinale Giacomo Biffi nel 2000 nella famosa lettera alla città di Bologna - a una «ricerca della ”libertà senza verità", che finisce col mortificare la dimensione etica della vita. In conseguenza di questa libertà incondizionata e vuota di valori, l’uomo è insidiato nella sua stessa dignità e perfino nella sua sopravvivenza: le fantasie genetiche, il crollo della natalità, il disprezzo della vita umana (soprattutto con la vergognosa legalizzazione dell’aborto), la glorificazione delle devianze sessuali, la corrosione dell’istituto della famiglia e il permissivismo dilagante ne sono i segni più manifesti».
E una libertà senza verità tende a diventare totalitarismo, arbitrio del potere. Così succede oggi: tutti difendono la libertà di Charlie di offendere e bestemmiare, nella stessa Francia dove appena pochi mesi fa la polizia picchiava e arrestava tranquilli padri di famiglia colpevoli di essere in piazza a chiedere il rispetto della famiglia naturale. E anche in Italia i soliti giornaloni e leader politici si stracciano le vesti per la minaccia alla libertà di satira proprio mentre stanno cercando di impedire che a Milano si svolga un convegno in difesa della famiglia naturale, mentre infamano le Sentinelle in piedi e vogliono tappare la bocca a tutti coloro che rifiutano l’ideologia omosessualista.
La libertà senza verità si trasforma inesorabilmente nella libertà di dire solo ciò che vuole il potere, qualunque esso sia.
Nella tradizione cristiana, che ha forgiato l’Europa facendone una grande civiltà fondata sul valore sacro della persona – perché immagine e somiglianza di Dio -, la libertà è invece adesione al vero, è fare il bene, cercare e vivere nella verità. È questo attaccamento alla verità che nei secoli ha permesso sia di integrare nuove popolazioni sia di difendersi da aggressioni. L’islam più volte nella storia ha cercato di conquistare l’Europa con la forza ma alla fine è sempre stato respinto, e grazie alla fede di un popolo per cui la libertà consisteva nell’appartenenza alla Chiesa.
Oggi invece l’islam trova “la cultura del niente”, come l’ha definita sempre il cardinale Biffi nella già citata lettera. Così che quanto accaduto a Parigi sembra rappresentare ciò che ancora Biffi aveva profetizzato: «Io penso che l’Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la “cultura del niente”, della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l’atteggiamento dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità. Questa “cultura del niente” (sorretta dall’edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’islam che non mancherà». Da qui l’unica strada possibile: «Solo la riscoperta dell‘avvenimento cristiano come unica salvezza per l’uomo -e quindi solo una decisa risurrezione dell’antica anima dell’Europa - potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto».
Prima di qualsiasi analisi sul male del terrorismo, dunque, dobbiamo scegliere quale libertà vogliamo perseguire. Da domani non basta più dire “Non sono Charlie”, dobbiamo dire chi siamo.

(Fonte: Riccardo Cascioli, La nuova bussola quotidiana, 12 gennaio 2015)
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-per-quale-liberta-vogliamo-lottare-11481.htm

 

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