mercoledì 17 giugno 2015

Le tendenze sessuali morbose

La dimensione animale della nostra persona, come animal rationale, comporta alcune tendenze finalizzate a mantenere il soggetto sano e in vita, come le funzioni accrescitive e l’alimentazione, a difenderlo dalle forze nocive, come i sistemi fisiologici di difesa e l’istinto di aggressività, fondato sull’istinto di conservazione; inoltre, c’è l’istinto sessuale, per il quale il soggetto socializza e riproduce la specie.
A seguito del peccato originale, queste inclinazioni naturali in se stesse buone in quanto create da Dio, ed anzi necessarie alla conservazione e alla sopravvivenza dell’individuo e della specie, diventano facilmente morbose, cattive o difettose, tendono a perdere la giusta direzione, a contravvenire alla loro regola e a mancare della loro misura corrispondente alla vera felicità e sanità del soggetto. Questo succede anche per l’istinto sessuale, il quale può o per motivi innati o per spinte acquisite, avere un orientamento in vari modi contrastante con la sua finalità naturale.
Abbandonate a se stesse, nello stato di natura decaduta dopo il peccato originale o per una mancata disciplina o educazione, le tendenze istintive ed emotive umane, quindi, dette anche “passioni”, non sono affatto sufficienti ad assicurare all’uomo il loro buon uso, se, col soccorso della grazia divina, non sono controllate, purificate, disciplinate, governate e moderate dalla retta ragione e dalla buona volontà, che alla luce della norma morale, le guidano al loro vero fine e quindi al loro vero bene.
Mentre infatti l’animale, almeno quello sano, è sufficientemente guidato dall’istinto al conseguimento dei suoi fini naturali, nell’uomo l’istinto, per esempio la tendenza o affettività sessuale, da sola non è tale da guidare l’uomo al conseguimento dei fini della sua natura, che è una natura razionale dotata di libero arbitrio, per cui ciò che nell’agire umano deve giocare in ultima istanza affinchè l’uomo si veda assicurata la sua felicità, è la guida esercitata dalla retta ragione e dalla buona volontà col soccorso della grazia divina, che sana la natura corrotta dal peccato.
Le forze dell’uomo non hanno perduto del tutto il loro orientamento a Dio e al bene, in seguito al peccato originale. Contrariamente a quanto pensava Lutero, la ragione naturale è ancora capace di conoscere la legge morale naturale e di sapere che Dio esiste e il libero arbitrio non ha perduto del tutto il suo funzionamento. Per questo, la vita morale non è solo l’effetto della fede (sola fides) nell’azione della grazia, ma suppone e richiede l’uso saggio delle forze residue e un costante impegno ascetico per l’acquisto della virtù e l’eliminazione del vizio. L’agire cristiano non è solo effetto della grazia, ma suppone l’agire naturale, che prepara il dono della grazia. Per essere in grazia non basta aver fede di essere in grazia, se la ragione e la volontà non collaborano con le buone opere. L’uomo deve collaborare con l’opera della grazia. Il confidare solo nella grazia (sola gratia), come sostiene Lutero, senza il concorso delle opere umane, non corrisponde per nulla al piano della salvezza. Gratia non tollit naturam, sed perficit.
È vero che col peccato la ragione facilmente erra e si illude, e si è introdotto nella volontà e negli appetiti sensibili, compreso quindi l’appetito sessuale, un principio di malvagità o di cattiveria, per il quale, se il bene continua ad esercitare la sua attrattiva naturale e insopprimibile, tuttavia anche il peccato sotto le apparenze del bene, del ragionevole e del piacevole, esercita una forte attrattiva, per la quale il soggetto cade periodicamente ed inevitabilmente nel peccato.
È falsa l’idea luterana che tutte le azioni umane siano peccati, per cui per essere giustificati basterebbe la fede (sola fides) che Dio è misericordioso; in realtà l’uomo alterna l’azione buona all’azione cattiva, per cui con l’azione buona in grazia può meritare il paradiso e può ricevere da Dio misericordia solo se si pente e ripudia il peccato. Questa mentalità luterana oggi ha generato il buonismo rahneriano, per il quale tutti sono in grazia di Dio, per cui il peccato, ammesso che esista, non ostacola la salvezza, la quale comunque è dono di Dio assicurato a tutti. Così capita che vengono in confessionale persone — non oso chiamarle “penitenti” —, le quali invece di accusarsi dei propri peccati, assicurano con spavalderia di non aver peccato e, se il confessore si azzarda di far notar loro con tutta delicatezza che è impossibile, si offendono.
Continuando le nostre costatazioni sulle conseguenze del peccato originale, dobbiamo aggiungere che, mentre nella ragione emerge una eccessiva autostima — quella che gli idealisti chiamano “autocoscienza” — per la quale il soggetto, rigettando il proprio statuto creaturale, aspira a pareggiare la propria ragione a quella divina (la “autotrascendenza” rahneriana), la volontà è presa da una brama di illimitata e sregolata libertà e da una smania di esagerato potere (concetto rahneriano di “libertà“). Appare nella volontà una tendenza all’autoreferenzialità, all’esibizionismo, alla superbia, all’ipocrisia, all’empietà, alla prepotenza, all’egoismo e al disprezzo o addirittura all’odio e all’invidia verso il prossimo, col desiderio di emergere su di esso e di strumentalizzarlo alle proprie voglie e ai propri interessi. Qui abbiamo il principio dei peccati spirituali, che sono i più gravi, perchè sono i più coscienti, calcolati e deliberati in materia grave, come può essere la salute spirituale propria e del prossimo, nonchè l’onore di Dio.
Quanto invece al mondo degli istinti, delle emozioni e delle passioni, esso acquista un’esagerata e sregolata potenza, che si ribella alla volontà divenuta debole, inetta e irresoluta, mal guidata dalla ragione, per cui facilmente l’uomo agisce non sotto la guida di un prudente e saggio consiglio, ma di passioni insidiose, prepotenti e sregolate, dove l’istinto sessuale ha una parte notevolissima, anche abilmente mascherata, come ha notato acutamente Freud.
Qui abbiamo i peccati carnali, che certamente possono essere gravi, in quanto degradano l’uomo al livello delle bestie, ma sono anche meno colpevoli, perchè non nascono da lucida malizia come i peccati spirituali, ma da cedimento alla violenza della passione. Quindi sono peccati di debolezza, più che di malizia. Inoltre, mentre il peccato carnale compromette il bene dell’uomo sotto il profilo della vita fisica, quello spirituale fa deviare lo spirito dal cammino naturale e soprannaturale verso Dio, che è sommo bene dell’uomo, ben più della vita fisica [1].
Per ciò che riguarda la condotta sessuale, l’attrattiva del piacere acquista una forza magari latente e non esplicita di primaria grandezza e tende a padroneggiare tutto il comportamento del soggetto, che, pur di soddisfare la passione, finisce così per calpestare i diritti altrui, ignorandone i bisogni, degrada la propria dignità di persona ad una vita animalesca, estingue o trascura l’interesse per le cose dello spirito e della religione, mettendo eventualmente a repentaglio la sua stessa salute fisica. Freud descrive bene questa schiavitù del soggetto alla libido, che diventa la molla segreta e primordiale, magari inconscia, di tutte le attività del soggetto, anche quelle apparentemente superiori e spirituali.
L’azione dell’appetito sessuale, nell’uomo, si pone dunque a due livelli: un livello fisiologico-istintuale, che è in comune con gli animali, e un livello morale, che caratterizza il comportamento sessuale dell’uomo in quanto uomo, essere dotato di ragione e volontà, fatto non solo per un fine fisico — la salute fisica —, ma anche per una finalità spirituale — salute spirituale —, che è il conseguimento cosciente e libero del sommo bene che è Dio.
Nel primo caso l’azione o impulso sessuale può sorgere spontaneamente non voluto o non cercato; nel secondo, invece, l’impulso o istinto può essere provocato o guidato dalla volontà. Se l’impulso naturale o fisiologico non avviene secondo i normali procedimenti fisiologici e quindi in armonia col fine dell’istinto sessuale, si dà o si parla di uno stato morboso o patologico comunemente detto anche “disfunzione sessuale”, alla quale possono essere soggetti anche gli animali.
Qui si può parlare altresì di “malattia” sessuale come in generale si parla di malattia per tutti quegli stati o moti dell’organismo che comportano un deperimento, uno scompenso o un disordine o un difetto o un eccesso indotti dall’interno o dall’esterno da agenti patogeni, destabilizzanti, menomanti, disgreganti, paralizzanti o distruttivi o comunque nocivi, che possono anche condurre alla morte dell’individuo.
Il comportamento sessuale volontario è tipico dell’uomo. L’uomo può assumere e mettere in pratica volontariamente, per motivi ragionevoli, come nel matrimonio, l’orientamento naturalmente riproduttivo dell’istinto sessuale o può, come per esempio nella vita religiosa o per altri leciti motivi, astenersi volontariamente dall’esercizio dell’istinto sessuale. In tal caso abbiamo il comportamento moralmente sano, buono e virtuoso, che si presenta come attuazione della temperanza sessuale.
Se invece il soggetto, pur conoscendo la norma etica sessuale, volontariamente non vi si adegua, allora abbiamo il peccato sessuale, che può esser frutto del vizio della lussuria, un peccato più o meno grave a seconda dell’entità della materia del peccato o del livello del consenso volontario. La colpa del peccato diminuisce o può anche mancare del tutto, se il soggetto non per colpa sua non ha chiara coscienza di peccare o perchè mal informato o non istruito sulla norma morale o perchè in stato di insufficiente lucidità psichica, come per esempio nel sonno o in stati mentali disturbati.
La forte passione, in caso di peccato, soprattutto se non volontariamente provocata, ma spontaneamente insorgente, soprattutto nei giovani e in soggetti con forte vitalità sessuale, e in caso di volontà debole, diminuisce la colpa, anche se la materia è grave. La volontà infatti qui pecca propriamente non tanto perchè non vuole, ma perchè non riesce a vincere o dominare un impulso troppo forte o irresistibile. Nemo ad impossibilia tenetur.
Se invece l’atto sessuale illecito è volutamente cercato, nè si evitano le occasioni pericolose, allora la colpa aumenta e può giungere fino al peccato mortale. La passione che nasce da sè non cercata diminuisce la colpa; quella che invece è cercata di proposito, la aumenta. Occorre però tener presente che, se il peccato consiste in un atto sessuale cosciente e volontario, la cui materia sia un atto, un desiderio o un’intenzione contrari al processo e al fine fisiologici e procreativi, il peccato è più grave che se il soggetto compiesse un atto sessuale conforme al processo fisiologico della sessualità. Dobbiamo ricordare infatti che la natura umana ha due dimensioni: ha una dimensione animale ovvero fisiologica, ed ha una superiore, razionale, che è quella che caratterizza l’uomo come tale. Da qui la possibilità di due livelli del peccato sessuale: uno contro la natura razionale e un altro contro la natura animale.
Così, per esempio, in linea di principio e a pari condizioni, è più grave la masturbazione o la sodomia che non l’adulterio, la prostituzione o la fornicazione, perchè in questi secondi casi si suppone il rispetto della naturale unione fra uomo e donna, cosa che invece non avviene nei primi casi. Esistono altresì tendenze sessuali fisiche in linea di principio anormali, ossia non conformi ai fini normali della sessualità, tendenze che possono tuttavia essere innate e quindi praticamente incorreggibili, così come può essere irrimediabile una qualunque grave malformazione innata. Può essere questo il caso dell’omosessualità. In questi casi avviene che il soggetto, con tutta la sua buona volontà, non riesce a evitare il peccato.
La difficoltà di comprendere la gravità del peccato che sorge dalla tendenza omosessuale è oggi accentuata dall’enorme ignoranza che purtroppo esiste anche in ambienti cattolici circa la suddetta distinzione tra i due piani della natura umana: quello animale e quello razionale. Da qui scaturisce una concezione della natura umana e quindi della legge morale, che viene a dipendere non dal dato oggettivo riconducibile al Creatore, ma dall’arbitrio del soggetto, come troviamo nell’etica di Rahner. In taluni ambienti cattolici, inoltre, influenzati dal protestantesimo, si trascura o si ignora il fatto che l’etica sessuale ha di per sè fondamento e principio nella semplice ragion pratica, la quale detta la legge morale naturale, a prescindere dalla fede, la quale suppone il dato razionale e non lo sostituisce. Certo la Scrittura impartisce norme sull’etica sessuale, ma sarebbe sbagliato pensare che per il cristiano esse vengano dalla sola Scrittura (sola Scriptura). La Scrittura invece le presuppone e le conferma, così come fa il Magistero della Chiesa.
Vi sono poi oggi esegeti di tendenza protestante liberale, per i quali, assumere per esempio le idee di San Paolo circa i peccati sessuali sarebbe segno di “fondamentalismo“, ossia di una mentalità ormai superata, mentre la vera etica cristiana ignorerebbe una legge morale oggettiva e dipenderebbe solo dalla libertà dello Spirito Santo. Sono pericolose eresie, che occorre assolutamente evitare.
Che si dovrebbe fare in questa grave e complicata situazione? I soggetti che sono affetti da orientamenti difettosi innati, come può essere l’omosessualità, devono imparare, grazie ad un opportuno e magari lungo sostegno educativo, a convivere serenamente e pazientemente con queste tendenze. Infatti non hanno colpa della tendenza; il che però non li ripara dal peccato, benchè poi, se si pentono, siano perdonati. Invece l’esperienza ed apposite cure insegnano che è possibile vincere una tendenza omosessuale acquisita. E noi confessori conosciamo bene questi casi. Ci sono degli omosessuali che si confessano così bene, che dovrebbero far vergognare i farisei che dicono di non aver peccati. In questi omosessuali dalla tendenza innata, la colpa può abbassarsi da mortale a veniale, perchè, anche ammesso che vi sia l’avvertenza, non c’è sempre un pieno deliberato consenso, ma il soggetto è vinto dalla passione, ossia non ce la fa. Ora, la colpa vera non è il fatto che non ce la faccio, ma il fatto che non voglio. Qui sta la cattiva volontà caratteristica del peccato o della colpa, la quale viene tolta dal pentimento e dal perdono divino.
È molto importante sapere in linea di principio perchè il peccato sessuale è peccato, grave o veniale che sia: è peccato, in quanto atto cosciente e volontario contrario ai fini fisiologici o umani della sessualità. Ma è anche importante saper valutare o da parte dell’educatore e del confessore o dello stesso peccatore, nel suo caso particolare, se c’è stata o non c’è stata colpa e, se c’è stata, quanta ce n’è stata? La difficoltà di vincere il peccato non deve diventare una scusa per minimizzare la colpa o per adagiarsi sulle proprie debolezze, quasi non ci fosse bisogno di correggersi o comunque di lottare sempre contro il peccato e di far penitenza. Certamente il peccatore in campo sessuale conserva sempre le sue qualità personali positive, che possono essere anche superiori a quelle di chi non cade in quel peccato.
Il dovere del peccatore e dell’educatore di riconoscere e promuovere quelle qualità, da una parte non esime l’educatore dal dovere di ricordare al peccatore il perchè del suo peccato e quindi di aiutarlo, per quanto gli è possibile, a liberarsene, e dall’altra dovere del peccatore è quello di non adagiarsi nella sua condizione di peccatore, anche se continuamente è oggetto della divina misericordia e della tolleranza da parte degli altri e della società. Ma il peccatore deve aver sempre presente come il santo Davide il proprio peccato, per non dimenticare che continua a peccare: «il mio peccato mi sta sempre dinnanzi» [cf. Sal 51,5].
Come è stato notato da acuti osservatori, il documento finale del recente sinodo dei vescovi sulla famiglia e il matrimonio, nel presentare situazioni e comportamenti di coloro che si scostano in vari modi e gradi dalla pratica onesta e santa di questi sommi valori ed ideali cristiani, se da una parte evidenzia il dovere di tutti di riconoscere le qualità personali insite anche in questi soggetti, dall’altra manca di una chiara e motivata riaffermazione di ciò che in queste materia è disordine o peccato e di come, per conseguenza, togliere questi mali.
L’impressione che insomma si trae dal documento è che questi buoni vescovi poco si dedichino al ministero della confessione e alla guida delle anime, altrimenti non sarebbe così fiacco l’interesse per la correzione dei difetti dei fedeli e non sarebbero così scarse le norme indicatrici delle cure da adottare. I vescovi sono medici dello spirito, così come Cristo è stato medico delle anime. Da loro quindi ci attendiamo non solo la valorizzazione e la lode della salute, come potrebbe fare un allenatore sportivo o il miglioramento del benessere, come potrebbe fare un buon governo politico, o lo sviluppo della produzione, come potrebbe fare un capitano di industria, ma anche e soprattutto la segnalazione, la diagnosi e la cura dei mali del nostro spirito, che sono soprattutto gli errori dottrinali, i vizi e i peccati, indicandoci in Cristo come da essi possiamo liberarci per raggiungere la verità, la virtù, la salvezza e la santità. Qui i vescovi svolgono una missione per mandato di Cristo, in unione col Papa, nella quale nessuno li può sostituire.
Non basta fare l’elogio delle buone famiglie e dei valori che si trovano negli omosessuali, nei conviventi o nei divorziati risposati, se poi non si ricorda che questi valori, a differenza di quanto avviene nelle buone famiglie, ligie ai loro doveri a costo a volte di grandi sacrifici, si accompagnano nelle suddette persone a comportamenti peccaminosi, scandalosi o irregolari più o meno gravi, che mettono in pericolo la loro e l’altrui salvezza, e dai quali bisogna assolutamente che si correggano o cerchino di correggersi, accettando con fiducia la disciplina canonica e pastorale stabilita dalla Chiesa a tal fine.
Non si tratta di infierire con durezza o di considerare queste persone come anime perdute [2]; occorrerà tolleranza, pazienza e comprensione, ma esse devono sapere chiaramente che il loro modo di vivere la sessualità è contrario alla legge naturale e alla volontà di Dio: cose che la Chiesa ha sempre detto, ma che vanno continuamente ripetute, così come i medici sempre di nuovo ci prescrivono le cure necessarie per guarire dalle medesime malattie.
Chi segue una condotta perversa, per quanto per certi aspetti scusabile, certo ha una dignità personale identica a quella degli onesti e dei buoni, ma nel contempo non ha nessun diritto di ritenersi in una condizione morale e giuridica alla pari di chi rispetta la legge divina e della Chiesa o addirittura di pavoneggiarsi nel gay pride. Altrimenti può nascere in molti e negli stessi peccatori, che non sembrano più essere peccatori, ma semplicemente “diversi”, la persuasione, che, in fin dei conti, non essendo oggetto di alcuna riprensione o di alcun richiamo, sono del tutto scusati o possono tranquillamente continuare senza sensi di colpa nella loro condotta peccaminosa, che con ciò stesso non appare più tale [3].
La tendenza omosessuale non può essere considerata, secondo quanto alcuni vorrebbero, come “normale“. Essa invece rientra, come abbiamo visto, nella categoria delle disfunzioni sessuali, che riguardano la dimensione fisiologico-animale della persona. Tale qualifica, quindi, non è assolutamente da confondersi con un giudizio morale negativo. Detta tendenza diventa invece vizio o peccato, precisamente di sodomia, quando essa è volontariamente attuata dal soggetto. L’essere omosessuale non è ancora il peccare di sodomia, come l’essere zoppo non è ancora lo zoppicare o l’inclinazione ad ubriacarsi non è ancora l’atto dell’ubriacarsi. Condannare moralmente o mostrare disprezzo con titoli ingiuriosi un omosessuale per il semplice fatto di essere quello che è, si può configurare come reato di diffamazione, detto nella fattispecie “omofobia”. Viceversa il qualificare come male o come peccato o come atto illecito o dir si voglia l’atto della sodomia, è dovere di chi vuol chiamare le cose col proprio nome, e sarebbe follia considerare come reato tale qualifica, quando è meritata. Così sarebbe follia condannare un medico che fa la diagnosi di una data malattia sotto pretesto che offende la dignità del malato. È invece per amore della dignità della persona omosessuale che l’educatore, il moralista o il sacerdote le ricordano il male dell’atto che compie, nell’intento di aiutarla a correggersi e a liberarsi dal suo peccato.
Il Santo Padre, nel suo discorso a conclusione del sinodo ha denunciato severamente un certo «buonismo distruttivo» e una certa «falsa misericordia», nei quali non è difficile rintracciare i presupposti nel buonismo atematico-trascendentale rahneriano del «tutti in grazia-tutti salvi» [4]. Speriamo che tale forte richiamo del Successore di Pietro serva per il prossimo sinodo a ricordare a tutti che certo Dio è misericordioso, ma che nessuno ottiene misericordia, se non riconosce il proprio peccato e non si sforza di porvi rimedio. Dio chiude un occhio, ma non tutti e due.
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NOTE
[1] Il segno di ciò lo abbiamo nelle polemiche di Gesù contro il peccato. Egli se la prende molto di più contro i peccati spirituali, come l’ipocrisia e la superbia, che non contro i peccati di sesso. Inoltre c’è da considerare che è più facile che si penta un lussurioso che un superbo. Infatti, se la passione è guasta, il rimedio può venire dalla retta ragione. Ma se anche la ragione è guasta, c’è ben poco da fare. È più facile che si penta un pedofilo che un hegeliano o un eretico, così come a quanto dice Cristo, è più facile che si converta una prostituta che un fariseo. Di Madre Angelica, la famosa priora del monastero giansenista di Port-Royal, si diceva che era pura come un angelo e superba come il demonio. Per alcuni un buon prete può seguire Rahner e Schillebeeckx: basta che obbedisca al vescovo, dica Messa e non vada a donne.
[2] Per questo pare inopportuno sostenere, come alcuni fanno, che i divorziati risposati si trovano “in stato di peccato mortale”. È ovvio che l’adulterio in se stesso è un peccato mortale; ma esistono casi nei quali la coppia è obbligata per cause di forza maggiore a praticare la convivenza, la quale certo è occasione immediata di peccato. Ma niente e nessuno impedisce ai conviventi di essere perdonati da Dio dai loro peccati, anche se non possono accedere al sacramento della confessione, perchè Dio dona la sua grazia anche al di fuori dei sacramenti.
[3] Costoro forse reinterpreterebbero così le parole di Cristo all’adultera pentita: “Va’ e continua pure a peccare, tanto Dio è buono e ti perdona”.
[4] Che ebbe negli anni Settanta del Novecento un’applicazione demagogica nel “tutti promossi“, che si diffuse negli ambienti delle scuole.
 

(Fonte: Giovanni Cavalcoli, Isola di Patmos, 15 giugno 2015)
http://isoladipatmos.com/le-tendenze-sessuali-morbose/

 

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