giovedì 25 febbraio 2016

La carriera politica della pornografia

La politica costruisce la “nuova moralità”. Per snellire la macchina della giustizia il governo, con decreto legislativo, ha depenalizzato una serie di reati considerati “minori”. Tra questi, anche gli atti osceni e le pubblicazioni e spettacoli osceni. Il caso della pornoscuola in piazza a Treviso.

Come è noto il criterio base adottato dal governo per risolvere il problema della edilizia carceraria è stato quello della depenalizzazione dei  reati. Siccome poi i reati vengono trasformati  in illeciti amministrativi  che comportano  cospicue sanzioni pecuniarie per i trasgressori, i nostri oculati governanti dimostrano anche una  notevole sensibilità economica. Infatti  mentre si risparmiano  da una lato  costosi interventi edilizi,  vengono incassati  dall’altro  gli introiti delle  sanzioni:  sono  presi così i famosi due piccioni con una fava,  e guadagnata   la doverosa  riconoscenza del  contribuente che vede con quanta cura  il proprio denaro venga amministrato.
Ovviamente  non sempre il gioco del rapporto costi benefici può valere la candela.  Infatti se per ipotesi ai nostri fantasiosi governanti venisse in mente di depenalizzare il furto, lo stesso contribuente che è già depredato  normalmente dallo Stato,  si troverebbe a dovere fare i conti con l’improvviso proliferare dei ladri privati  che vedrebbero incentivata dallo Stato la propria professione,  e di questo non avrebbe motivo di rallegrarsi.  Ora se  per il momento  sembra che non si parli ancora di depenalizzare il  furto e la rapina,   di recente ci è stata data la possibilità di verificare con quanta oculatezza, economica e no, siamo governati.
Il 15 gennaio scorso è stato approvato il d.lgs. n.8  di depenalizzazione di una  congerie di reati il cui accertamento, si è detto, ingolfava la macchina giudiziaria, con molti inutili costi e senza beneficio morale per la collettività. Questa  almeno la ragione portata trionfalmente  a sostegno del  parto normativo  realizzato  dal governo su legge di delegazione parlamentare.
Il diritto penale, come è riconosciuto da sempre, non coincide con la morale ma la presuppone.   Infatti vengono perseguiti penalmente quei comportamenti che contraddicono un’etica consolidata nella società. E che comunque vanno prevenuti attraverso la minaccia di una sanzione “forte” come quella propria della legge penale,  perché se lasciati liberi di proliferare impunemente,  minerebbero un ordinato svolgimento della convivenza comune.  La legge penale ha dunque anche finalità di prevenzione generale dei comportamenti offensivi del vivere comune oltreché dello interesse particolare delle  vittime.
Una  categoria di reati si distingue da un’altra in base al valore etico ovvero all’interesse, di valore collettivo, che lo Stato sente il dovere di proteggere  attraverso la sanzione rafforzata della legge penale, e che è il “bene giuridico” tutelato dalla singola norma. La gravità di un reato, il suo peso negativo sulla società viene espressa  dalla entità della pena inflitta. Con le pene più gravi, ergastolo o reclusione temporanea sola o congiunta con la pena pecuniaria  vengono puniti i reati ritenuti dal legislatore più gravi per la importanza sociale del bene violato, con la sola pena pecuniaria i reati sentiti come meno minacciosi per la convivenza comune. (Resta il fatto che la sanzione penale di qualunque natura od entità costituisce da sola un notevole deterrente,  per il fatto di essere inflitta dalla autorità giurisdizionale, e quindi  attraverso un procedimento che viene sentito di per sé come mortificante dal soggetto che lo subisce).
 È dunque evidente che se la gravità della pena inflitta misura la gravità del reato, quest’ultima è legata  a sua volta alla valutazione che il legislatore dà di quel certo comportamento umano. Una valutazione che dovrebbe essere guidata dal comune sentire ed essere orientata dalla costante finalità del bene comune, ma che può di fatto essere distorta da ideologie di potere e da interessi che non collimano con l’interesse generale. Il potere politico può produrre e produce infatti anche leggi che andando contro  l’interesse o il sentire della società finiscono poi per condizionare proprio   la stessa sensibilità sociale. Non c’è qui lo spazio per approfondire il rapporto tra la società e le leggi che la governano, ma dovrebbe essere chiaro a tutti, ad esempio, come la pressoché totale depenalizzazione dell’aborto abbia prodotto i sei milioni di aborti accertati dalla entrata in vigore della legge 194, come l’introduzione del divorzio abbia creato la dissoluzione dell’istituto famigliare, e come una qualunque legalizzazione della convivenza su base erotico sessuale tra persone dello stesso sesso sarebbe, e sarà, la definitiva distruzione etica di una intera società attraverso la corruzione  di intere nuove generazioni.
L’articolo 1 del decreto, diventato legge vigente  il 6 febbraio scorso,  pone come criterio guida del provvedimento la trasformazione in illeciti amministrativi  di tutti i reati puniti  con la sola pena pecuniaria. Quindi il criterio di base prescelto appare subito chiaro:  meglio sottrarre alla costosa macchina processuale i reati meno gravi,  che quindi  non turbano troppo la pace sociale e la coscienza comune, e affidarne la prevenzione alla sanzione pecuniaria eventualmente inflitta dalla autorità amministrativa di turno.
Sennonché questo principio, che in tempi di vacche magre e di ingolfamento cronico della macchina giudiziaria potrebbe avere la propria ragion d’essere e incontrare il plauso della gente, viene poi subito  contraddetto  dalla stessa  legge che dichiara meritevoli di essere depenalizzati anche singoli reati, puniti   almeno formalmente con la reclusione, in ragione del loro intrinseco disvalore sociale.
Segno che  vi sono valori sociali che i governanti ritengono non più meritevoli di protezione  perché superati o da superare, sicché questi stessi governanti si arrogano il diritto di disegnare  attraverso la legge una nuova etica collettiva.
Così è stato segnata la fine del disvalore sociale del reato di ingiuria che rubricato da sempre tra i reati contro l’onore, è diventato di  fresco  banale infrazione  amministrativa.  Una cosa da praticare con parsimonia solo per motivi pratici, come la sosta vietata. Segno evidente   che il concetto di onore deve essere diventato del tutto  incomprensibile per chi guida la macchina del potere politico verso la società incivile.
Tuttavia di questa nuova  funzione rieducatrice assunta del potere politico troviamo un esempio ancora più significativo nella depenalizzazione degli articoli 527 (atti osceni) e 528 (pubblicazioni e spettacoli osceni) del codice penale  che puniva con la reclusione pubblicazione e spettacoli osceni. Certo in tempi in cui di pornografia si nutrono tutti i mezzi di comunicazione, quella pena deve essere risultata  eccessiva,  ma non è di questo che qui vale la pena di discutere,  quanto  invece del trasferimento di  comportamenti  scandalosi  come quelli previsti dall’articolo 528 c.p tra gli illeciti amministrativi.  E l’occasione  ci è offerta da una recente iniziativa patrocinata dal comune di Treviso. E’ stato allestito nello spazio pubblico, appunto col permesso compiacente della amministrazione comunale che veglia sul progresso morale e culturale della popolazione, una  sorta di scuola peripatetica aperta a tutti, minori compresi, volta a svelare i sublimi misteri di attività sessuale di ogni tipo, in tutte le  sue  forme, e declinazioni possibili. Per saperne di più [cliccate qui].
Rimettiamo il giudizio ai lettori. Della sporcizia mentale di quanti hanno realizzato l’evento e di quanti l’hanno autorizzato non vale parlare, perché tutto si descrive da sé.
E bene sapere però che chi fosse trasportato  da sacrosanto  sdegno per questo scempio ordito ai danni di tutti, e soprattutto dei più giovani, non potrà rivolgersi più alla autorità giudiziaria perché giustizia sia fatta. Tutt’al più potrà chiedere l’applicazione ai responsabili di una sanzione pecuniaria, alla stessa autorità che ha consentito l’evento.
La coincidenza  tra l’entrata in vigore il 6 febbraio scorso della nuova legge di  depenalizzazione , e la pornokermesse  del 14 febbraio, certamente non è casuale. Gli organizzatori sapevano già di poter godere della novella impunità.
Ma conviene ritornare per questo sugli intenti del legislatore. La depenalizzazione degli articoli 527 e 528 infatti sta a significare una sola cosa: che un valore difeso tenacemente e severamente dal vecchio legislatore, ora lo si vuole cancellare definitivamente in via legislativa anche dalla mente del cittadino comune.
Le norme in questione tutelavano ancora l’onore sessuale e il sentimento del pudore, concetti evidentemente incomprensibili per il legislatore attuale e per il campionario umano che alberga nelle stanze della politica e nei dintorni.
 La sessualità è lo spazio privilegiato in cui l’uomo può dimostrare tutta la propria capacità di sottrarsi al dominio degli istinti e sollevarsi sopra di essi attraverso la loro sublimazione morale e razionale. Non per nulla nella  sublimazione dell’eros si è manifestata tutta la miracolosa capacità  creativa dell’arte.  L’uomo vi ha dispiegato la profondità delle sue  scelte morali, l’attitudine a leggere il limite posto da una realtà avvolta dal sacro. Il luogo dell’incontro tra anima e corpo  deve  essere quello in cui viene realizzata  una armonia  superiore, e non l’abisso di un abbrutimento che mira a travolgere altri simili fino ai più piccoli e indifesi.
Ora il sacrario della divina sintesi superiore, che è propria  dell’homo sapiens, deve essere invaso e devastato, violato come l’altare di Notre Dame dalle meretrici del nuovo potere.
Questa opera di demolizione non è cominciata certo oggi.  E cominciata più di mezzo secolo ed è proseguita instancabile attraverso tappe ben precise. Tra le altre, quella della riforma del 1996 che ha trasferito la violenza sessuale fra i reati contro la libertà della persona, al pari di quelli, che coinvolgendo dei minori, vengono puniti anch’essi come offese alla libertà. Della devastazione morale che essi comportano, il legislatore nulla sa. Insomma, mentre per gli estensori del codice l’onore sessuale e il sentimento del pudore erano beni giuridici da tutelare per il loro alto contenuto morale, per l’etica nuova tutto viene assorbito nella tutela del valore “civico” della libertà personale intesa in senso meramente materiale. Della libertà morale l’etica del terzo millennio può bellamente fare a meno.
 In un tempo in cui la società ha perduto le proprie coordinate etiche e religiose ed è soggiogata dal  belluino potere mediatico, in tempo di devastanti ideologie di potere, la legge crea l’etica consustanziale a questo potere  stringendo  sempre più al collo della gente comune il proprio capestro.
Piero Buscaroli, che ci ha lasciato da pochi giorni dopo avere donato al mondo il patrimonio di una immensa ricchezza di pensiero, di una intelligenza e di una  cultura senza pari, di una straordinaria sensibilità politica, di un’etica superiore, ha titolato parecchi anni fa una propria raccolta di saggi sulla storia nazionale “Una nazione in coma”.
A distanza di pochi decenni possiamo dire tranquillamente che l’Italia della ideologia e della politica, senza più storia né religione, senza dignità nazionale e senza più cultura, l’Italia delle Ravera e delle Parietti, dei Gad Lerner e degli Ovadia, dei Colombi e delle Cirinnà,  dei Renzi e delle Fedeli, e delle periferie esistenziali di Treviso, questa Italia è solo un corpo in avanzato stato di decomposizione.

(Fonte: Patrizia Fermani, Riscossa Cristiana, 23 febbraio 2016)


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