giovedì 22 novembre 2007

Don Di Noto indagato? Sì, per il reato di iperbole


Meno male, ora possiamo dirci tutti più tranquilli: don Fortunato Di Noto da sabato è iscritto nel registro degli indagati. La Sicilia, terra di sventure secolari e ancestrali problemi, vede finalmente aperto un procedimento della procura di Catania contro il pericoloso prete siracusano che da anni stana e denuncia i pedofili. Chiaro il reato secondo le parole dell’accusa: pubblicazione di notizie esagerate. In pratica, come ha spiegato ai giornalisti il procuratore aggiunto di Catania, Enzo Serpotta, don Di Noto aveva definito «raid vandalico» ciò che assomigliava di più a un semplice furto con scasso: lo ha fatto con un comunicato stampa diffuso il 6 novembre scorso, dopo che una delle sedi della sua associazione era stata visitata da ignoti che avevano divelto la porta, messo a soqquadro la stanza e rubato il poco denaro che era in cassa, 126 euro. Insomma, sempre per usare le parole dell’accusa, l’incauto sacerdote avrebbe «turbato l’ordine pubblico», e proprio questo non si può fare: la nostra imperturbabile società è turbata anche troppo – delitti di mafia, studentesse violentate e sgozzate, rapine in villa – senza che ci si metta pure don Di Noto a diffondere il panico. Tra l’altro con un fine ben preciso: «Il suo obiettivo era attirare solidarietà per la sua associazione», la quale – ricordiamolo – non è a delinquere, ma collabora da anni con le polizie postali e le magistrature di mezzo mondo (compresa quella siciliana) per fermare gli “orchi” della pedopornografia. Ammesso e non concesso che don Fortunato, uomo di passione, si sia lasciato un po’ trascinare e abbia trasfuso in quel comunicato tutta la sua amarezza, sconcerta la sproporzione tra il fatidico “reato” e la pronta reazione del pm: undici agenti della Guardia di Finanza inviati con tanto di mandato di perquisizione in quattro luoghi diversi (la parrocchia di Avola, l’abitazione del sacerdote, la sede dell’associazione Meter di Aci Castello teatro del furto, e la sede centrale di Avola) alla ricerca di quello che viene chiamato “il corpo del reato”. Che cosa cercavano gli undici agenti? È sempre il pm Serpotta a spiegare alla stampa: «Confermo che abbiamo proceduto sulla base di quel volantino in cui si parlava di “atto vandalico”, mentre in realtà si trattava di un piccolo furto». Tutto qui? Tutto qui. Undici agenti sulle tracce di un comunicato che, proprio perché rivolto alla stampa, era consultabile su tutti i giornali del 7 novembre. E che comunque è bastato chiedere alla volontaria di Meter presente in quel momento in sede... Di morali dalla storia se ne traggono parecchie.
Prima: d’ora in poi se, tornati a casa, troveremo la porta divelta, le nostre cose a soqquadro e quel poco di spiccioli portati via, facciamo attenzione a parlare di «gesto vandalico», potremmo macchiarci di iperbole e finire sul registro degli indagati alla pari dei criminali. Seconda: non è vero che in Italia le forze dell’ordine sono insufficienti e mancano gli agenti, anzi, ne abbiamo così tanti che possiamo permetterci azioni massicce e tempestive anche per questioni di tale rilievo. Terza: può anche essere che don Di Noto sia «alla ricerca di attestati di solidarietà», ma non sarebbe male se ogni tanto gliene arrivassero, visto che in questi anni ha fatto arrestare centinaia di pedofili e oscurare migliaia di siti pedopornografici, ha subìto minacce di morte e per questo vive sotto protezione. Infine, quella solidarietà che non sempre ha avuto in passato la sta ricevendo in queste ore, proprio grazie all’inchiesta che lo vede indagato: politici di destra e di sinistra, uomini di cultura, semplici cittadini, sono uniti per una volta dalla stessa incredulità. Seriamente “turbati”, è vero, dall’iperbole, e non certo da quella del prete. (Lucia Bellaspiga, Avvenire, 20 novembre 2007)

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