giovedì 10 aprile 2008

Eco senza ritorno

Perché siamo orgogliosi di chi dice che «il nostro futuro dipende dalla morte di dieci politici»
L’aspetto sorprendente non è che Umberto Eco abbia detto a El País che «il futuro dell’Italia dipende dal fatto che muoiano una decina di persone ormai molto grandi». Il fatto sbalorditivo non è che abbia poi maliziosamente notato che «Silvio Berlusconi ha più di 70 anni». La cosa che sgomenta non è che abbia detto che anche la classe dirigente del Pd «è vecchia», eccetto Veltroni (ma perché? è del 3 luglio 1955). O che si sia spinto fino a sostenere – non proprio democraticamente – che «è un malcostume che chi perde le elezioni poi si ricandidi» (chissà cosa avrebbero detto Togliatti e Berlinguer). Il fatto singolare non è che abbia dichiarato che le Brigate rosse «avevano una idea giusta di combattere le multinazionali, ma hanno sbagliato nel credere nel terrorismo». O che disprezzi gli italiani medi (cioè tutti) che da anni si fanno abbindolare da chi ne «stimola gli istinti più bassi» affermando che «non si devono pagare le tasse» e attaccando «le forze dell’ordine e la magistratura». E non è nemmeno stupefacente che consigli ai giovani di «andare nel deserto e mettere in pratica una vita ecologica. Questo è il massimo che si può fare: non cambiare il mondo, ma ritirarsi». L’aspetto incredibile è un altro. è per noi motivo di patriottico orgoglio venire a sapere che un nostro connazionale, nato ad Alessandria il 5 gennaio 1932, goda ancora come un riccio, alla veneranda età di 76 anni, a farsi le seghe mentali. (Tempi, 9 aprile 2008)

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