giovedì 29 maggio 2008

Prime comunioni: un qualcosa che si “deve” fare?

Primavera. Tempo di Prime Comunioni e di Cresime. Per molti genitori, almeno dalle nostre parti, per quello che vedo, si tratta solo di riti obbligati, di qualcosa che "si deve fare". I diplomini che attestano la ricezione del Sacramento sono un po' come il patentino del ciclomotore, o la patente europea del computer: meglio averceli, non si sa mai. Possono tornare utili, prima o poi, magari quando ci si sposerà in chiesa.
Ed è così che, in questa Italia sedicente cattolica, di questi tempi ci si preoccupa della cerimonia, del vestito, dell'acconciatura, del pranzo con parenti e amici, di bomboniere e confetti, del servizio fotografico. Poi, passato lo stress, tutto finisce nel dimenticatoio.
La prima Comunione diventa anche l'ultima, come si suol dire.
E allora cosa ti hanno escogitato quei parlamentini cattolici che sono i vari sinodi diocesani, con tanto di commissioni e sottocommissioni pensanti? Perché il Sacramento sia più "intensamente vissuto", "partecipato" e "capito" hanno allungato gli anni di catechismo. La prima Comunione oggi si fa in quinta elementare. Per la Cresima ci si rivede in prima superiore. Praticamente il Sacramento è diventato un mezzo per tenersi stretti i ragazzini in parrocchia.
Ho una zia che è catechista convinta. Ci mette tutto l'impegno del mondo ad "istruire" questi bimbi che non sanno più niente di Cristo e della Chiesa, perché non ci sono più famiglie cristiane. Il suo compito sembra essere quello di una brava maestrina che, libro di catechismo per bambini alla mano, segue il programma.
Non sto qui a mettere in dubbio la sua buona fede, nonché a discutere l'impegno lodevole che profonde. Dico solo che, come tantissimi altri, è fuori strada. E non è colpa loro, quanto delle teste pensanti di una Chiesa cattolica dove sembra molto diffuso un atteggiamento e un convincimento, direi, di tipo gnostico. I Misteri vanno compresi, attraverso un lungo tirocinio, perché solo se si comprendono possono essere consapevolmente vissuti. Sarà la cultura religiosa, e l'assidua meditazione della Parola che ci salveranno e ci renderanno cristiani "credibili" ed autentici. Gnosticismo e protestantizzazione del cattolicesimo.
Dio mio, solo a ripetere queste formule mi viene il voltastomaco! Ma è proprio questo che si dice e si sostiene in molti ambienti ecclesiali. Risultato? Bassissima frequenza ai Sacramenti e spaventosa ignoranza. Che è quella, per esempio, che noto nei miei studenti che hanno da poco ricevuto la Cresima, unita ad un dato preoccupante: la fede per loro non è affatto un abito, una dimensione della loro esistenza. Nel modo di pensare e di guardare la vita non sono affatto diversi da un non cristiano.
Forse è perché nelle parrocchie italiane ci si sta molto preoccupando di istruire e molto, molto poco di vivere. Si parla al cervello e molto, molto poco ai cuori. Si creano "classi" di catechismo, e non "comunità", dove si vive l'esperienza cristiana che ti prende tutta la vita.
Il mio amico don Luigi è uno che va controcorrente. Praticamente solo in tutta la sua diocesi, dà la Prima Comunione ai bimbi fin dai sette anni. Si espone consapevolmente alle critiche e alle opposizioni di coloro, Vescovo in testa, che sostengono quello che ho spiegato fino ad ora. Lui ripete invece che è proprio a sette anni che il bambino può ricevere un marchio incancellabile nel cuore. Perché a quell'età un bambino ne sa veramente di più sulla fede che non un ragazzino di dieci anni, che ha già perso quel cuore da bambino che ci vuole per incontrare il Signore.
Cosa deve capire, cosa deve sapere un bambino per ricevere Gesù nell'ostia? Basta che comprenda che quello che mangia non è pane, ma il Corpo di Cristo, per effetto della consacrazione del sacerdote. Basta che aderisca a questo Mistero, e che lo ami con la semplicità del suo cuore. Del resto, c'è qualche cristiano adulto che può dire di comprendere di più, di fronte al mistero dell'Eucarestia, di un bambino di sette anni?
Mio figlio ha dunque ricevuto il Signore a questa "tenera età". Il giorno della sua Prima Comunione cantava, con gli altri amichetti del catechismo, "Sotto quel velo bianco c'è il Re del mondo". Ecco, bastava questa strofa per sapere tutto quello che c'era da sapere. Il resto lo faceva il raccoglimento, la compostezza della cerimonia, le parole calde del sacerdote, la devozione con cui quei bambini hanno vissuto il loro primo incontro con Gesù.
Il "catechismo" è terminato, la Comunion è stata fatta, ma mio figlio, ogni lunedì, continua a frequentare la parrocchia (che è in un paese a più di 15 chilometri).. Perché don Luigi non fa catechismo: condivide con i bambini l'ora del pranzo, poi gioca con loro, poi li fa studiare, poi li raduna un attimo in chiesa e li fa pregare, poi di nuovo a giocare, poi a servire la Messa. Un ritmo massacrante. E ha più di sessant'anni! Don Luigi non usa libri di testo, non fa "lezioni". Non ci sono classi, non ci sono aule. Invita i bambini a vivere un'amicizia grazie alla quale essi percepiscono che Cristo è tutto, è il centro di tutto. E che il sacerdote è colui che porta a Cristo. E pazienza se non si segue un "programma".
Non saranno delle nozioni che ci salveranno. Il cristianesimo, come ci ha ricordato Benedetto XVI nella sua prima enciclica, è un fatto, un avvenimento da incontrare e da vivere.
Per una cosa così puoi dare la vita. E' solo una cosa così, che ti coinvolge personalmente, cuore e mente, a cambiarti la vita, a segnartela per sempre. (Gianluca Zappa, La Cittadella, 27 maggio 2008)

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