Il corpo femminile è svilito da una “ripetuta, indecente, ostentata rappresentazione delle donne come nudo oggetto di scambio sessuale, offerta da giornali, televisioni, pubblicità.” Così indicava l’appello per la mobilitazione “se non ora quando”, ma sarei curioso di sapere a quale tipo di valore si vorrebbe legata la dignità sessuale della donna.
Le femministe degli anni d’oro nella loro rivista “Effe” – maggio 1976 – parlavano di una sessualità “libera, attiva, che mira anche ad altro , e che non può contentarsi di una parità tra i sessi che si svolga solo nella sfera intima e privata. Una sessualità che ammetta tranquillamente certe differenze, che dichiari le proprie eventuali “devianze”, che si confessi senza paure”.
Da questa definizione il passo verso il nudo femminile "come oggetto di scambio sessuale" non è poi così lungo: cosa resta, infatti, della dignità del corpo femminile dopo la liberazione sessuale auspicata 35 anni fa dalle femministe di "Effe"?
Nulla, a meno che non si voglia sostenere che l’unica libertà è quella di fare come pare e piace. Ma d’altra parte il vento del “vietato vietare” era decisamente impetuoso, ad esempio nel 1967 a Firenze, in vista del congresso del Partito Radicale, veniva distribuito un volantino in cui era scritto che “la società spinge il suo autoritarismo fino a sindacare sul diritto dell’individuo a disporre liberamente del proprio corpo, a godere del piacere dei sensi.”
Tutto cominciò nei mitici anni ’60 dove sulle ali della filosofia di Marcuse si teorizzava che liberando gli istinti si potevano eliminare contemporaneamente dominio e autorità, fossero di tipo familiare, civile o religioso.
Durante quegli anni parlare di verginità, biancheria intima, anticoncezionali e posizioni del kamasutra diventa un fatto normale, sulle ali della battaglia per una femminilità forte compaiono diversi segni che testimoniano il nuovo modo di essere donne, ad esempio la minigonna e i collant, i roghi dei reggiseno e la comparsa del primo topless a Saint Tropez nel 1970. In quegli anni la psichiatria dava manforte alla rivoluzione sessuale teorizzando la necessità “scientifica” di questa liberazione dell’individuo, lo psicoanalista inglese David Cooper rivolgendosi alle donne affermava che si può amare un altro essere solo a condizione di amare totalmente sé stessi al punto da masturbarsi veramente fino all’orgasmo.
Così nel 1973 sul libro “Donnità - Cronache del femminismo romano” a pag. 7 si trova scritto lo slogan “faremo figli se ne avremo voglia”, coerente con l’idea che il piacere del corpo nulla ha a che fare con il concepimento. Siamo ovviamente agli antipodi di quanto indicava nel 1968 la lettera enciclica Humanae Vitae di Papa Paolo VI dove si sottolineava il nesso inscindibile tra significato unitivo e procreativo dell’atto sessuale; non è un caso che la battaglia per l’aborto e per gli anticoncezionali prende vigore proprio da quegli ambienti di liberazione della sessualità femminile. E’ del 1975 la chiusura del “famoso ambulatorio” CISA di Firenze (Centro Italiano di sterilizzazione aborto) fondato da Adele Faccio e per cui finì agli arresti anche l’allora ventisettenne Emma Bonino.
Da tutte queste battaglie forse l’unica cosa che è stata veramente “liberata” è l’idolatria per il piacere fine a sé stesso, deriva di uno strano concetto di libertà che poi si è paradossalmente incontrato anche con un certo edonismo capitalistico.
La morale si fonda su quello in cui si crede, ma vorrei osare dire che si radica nel soggetto delle nostre preghiere. A tal proposito sul libro citato “Donnità…” (1973) si trova questa frase: “se mai ci verrà voglia di pregare questa sarà la nostra preghiera: Madre ti ringrazio di avermi fatto donna.” Amen.
(Fonte: Lorenzo Bertocchi, Libertà e persona, 17 febbraio 2011)
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