venerdì 15 gennaio 2016

Valentina Colombo, esperta di islam: "Sono incompatibili con le altre religioni"

«Scomunicare» i terroristi è un esercizio insensato, a parere di Valentina Colombo, docente di Geopolitica dell’islam all’Università Europea di Roma. Con lei ci addentriamo nel vasto tema delle fonti di ispirazione del terrorismo. «In una religione dove non esiste un’autorità dirimente a livello interpretativo, quando un fedele legge il testo sacro, trova quel che vi vuole trovare», ci spiega.
D. Nel caso del Corano, poi, il testo appare particolarmente ambiguo rispetto alla Bibbia. Qual è il problema?
«Si può parlare di una parte del Corano scritta alla Mecca, quando l’islam si presenta a una società politeista e propone di credere a un Dio solo e nell’aldilà, di aiutare il povero e l’orfano. In quelle sure (i capitoli, n.d.r.) si trovano affermazioni come: “A voi la vostra religione, a me la mia”. E se ci fermiamo a questa parte del testo l’islam risulta compatibile con le altre religioni monoteiste».
D. Anche con la modernità di Charlie Hebdo?
«Certo. Anche se allora non ci si doveva confrontare con la laicità. Ma si proponevano dei valori».
D. Poi cosa accade?
«Quando Maometto emigra a Medina, diventa il capo della comunità locale e l’islam si trasforma in una religione di Stato. Il suo sogno primo diventa quello di tornare alla Mecca, sua città natale, che non lo aveva seguito, e riconquistarla. Da questo punto in avanti, il Corano diventa la rivelazione che combatte per affermarsi. In quest’ultima parte, abbiamo tutte le leggi e tutti i dettami che riguardano il rapporto fra la Ummah (cioè la comunità islamica), e l’altro. Ed è da qui che oggi si attinge per giustificare qualsiasi atto legato al terrorismo islamico».
D. E in particolare?
«L’estremista islamico, che considera tutto il Corano valido ancora oggi si può concentrare prevalentemente su alcune sure medinesi ed, estrapolandone dei versetti, trovarvi le ragioni per combattere il miscredente, che può essere il cristiano, l’ebreo, il giornalista di Charlie Hebdo o anche il musulmano che non la pensa come lui. Perché nessuno può decidere quale sia la nozione valida di miscredente».
D. Ma c’è anche una tradizione islamica.
«Alla parola di Dio, si aggiunge la seconda fonte, gli hadith, cioè i detti e i fatti di Maometto. Nella sua biografia ufficiale, fra l’altro, si narra che Maometto ha ucciso di sua mano gli ebrei».
D. Quella lettura non è accolta soltanto dai terroristi. Se Charlie Hebdo fosse stato stampato in Arabia Saudita, i suoi vignettisti sarebbero stati condannati a morte, secondo la legge locale, ispirata alla sharia.
«Certo, anche se l’Arabia Saudita ufficialmente ha condannato l’attentato a Charlie Hebdo, ha comminato nello stesso tempo la prima parte della pena (cento frustate su mille, sulla pubblica piazza, 10 anni di reclusione, pena pecuniaria e 10 anni senza poter uscire dal territorio nazionale) a Raif Badawi, blogger trentenne che ha fondato un sito di pensatori liberali. E in carcere oggi si trova ancora il suo avvocato, attivista per i diritti umani, arrestato in base alla legge antiterrorismo».
D. Nessuno è in grado di sfidare quel predominio culturale?
«Ci sono dei tentativi. L’istituzione presieduta dal gran mufti d’Egitto, Dar al-Istà, recentemente ha pubblicato un testo, The ideological battle, dove si spiega che tutti i versetti utilizzati dall’Isis vanno contestualizzati perché rivelati in occasioni particolari e non più validi per la situazione attuale. Purtroppo però, gli intellettuali e i riformisti che hanno proposto una storicizzazione del testo, sono finiti impiccati, come Mahmoud Mohammed Taha in Sudan, o sono stati mandati in esilio, come Nasr Hamid Abu Zayd in Egitto».


(Fonte: Andrea Morigi, Libero.it, 10 gennaio 2016)


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