giovedì 31 gennaio 2008

La mia Chiesa, ridotta a “spelonca di ladri!”


Mentre c’è chi schiamazza per la visita del Papa alla Sapienza, farneticando contro le presunte intromissioni della Chiesa nella vita civile, non si va troppo per il sottile quando si tratta di personcine a modo come il Vescovo stregone Milingo e il prete camionista don Sante Sguotti, le cui comparsate televisive e mediatiche vengono salutate con entusiasmo anche - e soprattutto - dai mangiapreti. I due, uno scomunicato e l’altro sospeso a divinis, non hanno mancato di farsi notare nemmeno a Tuttosposi, alla Fiera d’Oltremare, il primo comparendo in abito piano con la concubina in kimono, il secondo con un golfino blu e la camiciola da clergyman: quello che sembrava di più un sacerdote era certamente don Sguotti, la cui recente cacciata dal santuario non ha tolto il pessimo gusto nel vestiario, tipico del basso clero allergico alla talare. Un’altra grottesca comparsata di don Sante si è avuta su Markette, la cui puntata 102 è stata replicata su Comedy Central qualche sera fa. La vena provocatoria di Chiambretti non solo ha fornito un vergognoso pulpito a Sguotti, ma ha invitato a dargli man forte il non meno contestatore don Andrea Gallo e la squallida e patetica suor Paola D’Auria, altra presenzialista di tutti i programmi che nulla hanno a che vedere con la Religione. Per l’importante occasione di poter sputar veleno contro la Chiesa Romana, don Gallo aveva pure rispolverato un impeccabile clergyman nero, di quelli che in Vaticano, per l’assenza di Prelati in veste, sono oggi considerati al pari di una talare filettata. Viceversa la povera suor Paola sfoggiava un golfino a maglia da tricoteuse, un vistoso ciuffo permanentato fuori dal velo e dei braccialetti da bigiotteria cinese: quando si dice che l’abito non fa il monaco. Orbene, se già in varie occasioni don Sante si era mostrato poco incline a concionare efficacemente il suo uditorio, a Markette egli ha superato se stesso, proponendo le proprie inani argomentazioni contro il Sacro Celibato con il tono soporifero di Romano Prodi, nonostante Piero Chiambretti facesse di tutto per rianimarlo. È poi comparsa in collegamento video suor Paola, nel ruolo di difensora d’ufficio della Chiesa: non ha saputo altro che perdersi in sconcertanti banalità del tipo «l’amore è una cosa meravigliosa», «io mi sono innamorata molte volte» e addirittura «mi sposerei con un calciatore, non con un prete». Avendo davanti il ben poco avvenente don Sante, non stupisce che nell’eventualità di una fuitina sacrilega la suora preferisca i prestanti sportivi, ma resta da vedere se questi, abituati alle modelle e alle veline, accetterebbero di accompagnarsi ad una zitella grassoccia con la faccia da pacioccona. Il terzo membro della meschina Trimurti era quel don Gallo che, per l’assiduo ministero presso il porto di Genova, ha mutuato anche il colorito linguaggio dei camalli. Inutile dire che le argomentazioni a sostegno di don Sante sono state accompagnate ad una generica denigrazione della disciplina e della dottrina ecclesiastica, condita di battutacce generosamente applaudite dal selezionato pubblico di Markette. A suggellare l’attacco alla Chiesa sono stati poi letti i versi 55-72 del secondo canto dell’Inferno, mentre una spogliarellista finiva di scoprire le proprie nudità davanti ai due ecclesiastici e a suor Paola, tutti e tre assolutamente consenzienti circa l’opportunità della performance coreutica. A parte il pietoso qualunquismo buonista della suora, che la Superiora dell’Ordine non ha ancora ridotto al silenzio perpetuo in una remota clausura, vien da chiedersi con quale disinvoltura siano stati ordinati due soggetti come don Gallo e don Sguotti, e con quale incomprensibile disinteresse li si sia lasciati impunemente al loro posto per tutto questo tempo, nonostante l’indole ribelle. Don Sante è stato sospeso a divinis, a scandalo scoppiato, ma di certo aveva dato segni di insubordinazione ben prima, senza che alcun provvedimento disciplinare fosse adottato; e don Andrea, le cui posizioni contestatarie ed eterodosse sono note a tutti, è ancora a capo di una comunità in quel di Genova, e continua a farsi invitare a manifestazioni e programmi in cui attacca con irridente empietà la Chiesa, il Papa e la Gerarchia. A cosa dovrà arrivare costui, perché sia finalmente cacciato con infamia e si impedisca che continui ad irretire le menti dei semplici? «...vos autem fecistis eam speluncam latronum» (Matth. XXI, 13): «...avete ridotto la Mia casa come una spelonca di ladri». (Baronio, Petrus, 15 gennaio 2008)

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