giovedì 12 marzo 2009

Il Papa: «Mi hanno attaccato con una veemenza mai sperimentata».

Perché Benedetto XVI abbia deciso di pubblicare una lunga lettera per spiegare le motivazioni che lo hanno portato, il 21 gennaio scorso, a revocare la scomunica ai quattro vescovi consacrati nel 1988 da Marcel Lefebvre senza il mandato della Santa Sede, viene spiegato nelle prime righe della stessa missiva: la revoca della scomunica ha suscitato «una discussione di una tale veemenza quale da molto tempo non si era sperimentata». Addirittura «alcuni gruppi» hanno «accusato direttamente il Papa di voler tornare indietro, a prima del Concilio». Insomma, si è assistito a «una valanga di proteste, la cui amarezza rivelava ferite risalenti al di là del momento». Si è trattato di una «disavventura imprevedibile» che ha di fatto costretto il Pontefice a intervenire, a spiegare meglio, perché altrimenti «il discreto gesto di misericordia verso quattro vescovi» avrebbe continuato ad apparire quello che in realtà non era: «come la smentita della riconciliazione tra cristiani ed ebrei, e quindi la revoca di ciò che in questa materia il Concilio aveva chiarito per il cammino della Chiesa».Dunque il Papa non torna indietro, come molti vescovi gli hanno chiesto di fare in queste settimane, sulla decisione presa di revocare la scomunica ai lefebvriani. Dice che il gesto era necessario per intraprendere la strada del «ritorno» dei quattro vescovi nella Chiesa cattolica. E spiega che la strada è ancora lunga perché, prima della piena comunione con Roma, manca ancora da parte dei lefebvriani la piena accettazione del «Concilio Vaticano II» e del «magistero post-conciliare dei Papi».La lettera di Ratzinger è inusuale. Non capita tutti i giorni di vedere un Pontefice costretto a scrivere una lettera di spiegazione di un suo gesto. Ma, appunto, la cosa aveva assunto toni troppo gravi. E troppo gravi erano le accuse mossegli direttamente contro. E occorreva soprattutto puntualizzare la giustezza della decisione presa dicendo anche che la revoca della scomunica non tradisce «la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore di Pietro in questo tempo». Ovvero «condurre gli uomini verso Dio e, verso Dio che parla nella Bibbia». E non tradisce «l’atmosfera di amicizia e di fiducia che come nel tempo di Giovanni Paolo II anche durante tutto il periodo del mio pontificato è esistita e, grazie a Dio, continua a esistere».Benedetto XVI non nasconde gli errori compiuti nelle ultime settimane. Anzi, dice di aver imparato «la lezione» di Internet. Ovvero del fatto che una maggiore osservazione del web gli avrebbe dato la possibilità di «venir tempestivamente a conoscenza del problema».E, ancora, dice che vi sono stati errori di comunicazione che hanno poi ingenerato equivoci, soprattutto nella Chiesa. Gli ebrei, infatti, si sono comportati lealmente: «Hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l’atmosfera di amicizia».È vero, errori di comunicazione ve ne sono stati. Ma, giustamente, il Papa non cita mai padre Federico Lombardi. Non è stato il portavoce vaticano, infatti, a valutare erroneamente che le dichiarazioni di Williamson sulla Shoah erano di poco conto. Secondo indiscrezioni, invece, sarebbero stati alcuni porporati che, riunitisi in segreteria di Stato il 22 gennaio appena dopo la revoca della scomunica e l’inizio del montare delle polemiche, hanno valutato che problemi non ve ne erano.Benedetto XVI è consapevole delle difficoltà di governo della curia romana. E la pubblicazione della lettera indica che ha voluto cominciare ad aggiustare le cose. Facendo capire che lui è presente, è al timone della Chiesa, è non è disposto a cedere alle pressioni esterne ed interne. Alla Chiesa dice che se è vero che i lefebvriani debbono accettare il Vaticano II, è anche vero che «coloro che si segnalano come i grandi difensori del Concilio devono essere richiamati alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa». Non c’è Vaticano II, insomma, senza ciò che c’è stato prima.Ancora alla Chiesa dice che a lui, i 491 sacerdoti della Fraternità San Pio X, non sono indifferenti: «Davvero - si chiede - dobbiamo lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa?».Quindi, ecco un passaggio molto amaro: «A volte si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi - in questo caso il Papa - perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo».
Il Papa confida che gli è venuto in mente di scrivere la lettera il giorno in cui ha visitato il seminario romano. Era il 29 febbraio. Allora, sulla Chiesa, ebbe parole durissime: «Vediamo bene - disse - che anche oggi» ci sono situazioni dove, «invece di inserirsi nella comunione con Cristo, nel Corpo di Cristo che è la Chiesa, ognuno vuol essere superiore all’altro e con arroganza intellettuale vuol far credere che lui sarebbe migliore». Al posto di questa arroganza intellettuale c’è la possibilità dell’amore. L’amore - scrive il Papa nella lettera odierna - «è la priorità suprema». È questa priorità che Benedetto XVI ha messo in campo coi lefebvriani. Nonostante in molti non l’abbiano capito. Nonostante in molti abbiano reagito a questo suo mite gesto con «un’ostilità pronta all’attacco».

(Fonte: il Riformista, 12 marzo 2009)

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