giovedì 12 marzo 2009

Toh, adesso il medioevo è un'età luminosa. Lo dice anche Eco.

“A chi è venuto nel monastero dalla condizione servile non sia anteposto chi è nato libero”. E’ una delle norme che si trovano nella Regola di San Benedetto. Siamo nella metà del VI secolo dopo Cristo, in pieno Alto Medioevo. Nello stendere le regole per quelle particolari “repubbliche” che erano i suoi monasteri, il grande santo spazzava via ogni differenza di ceto. Varcata la porta, tutti erano uguali e nessuno poteva essere “anteposto” ad un altro. Con più di mille anni di anticipo sull’Illuminismo e la Rivoluzione Francese (che, evidentemente, non hanno inventato niente). Quella di San benedetto fu un’autentica rivoluzione rispetto al mondo antico, dove la schiavitù e la riduzione degli uomini a cose non era solo una pratica comune, ma il sistema stesso su cui si fondavano i regni, le società, le economie.
Basterebbe solo questa citazione per sottolineare come il Medioevo è stato ben altro da quell’età “buia” che la diffamazione illuminista ci ha tramandato. Anzi, per certi versi fu un’età molto avanzata, e certe sue acquisizioni si sono perse in seguito e solo faticosamente sono state riconquistate.
Fa piacere che anche un autentico guru della cultura laica come Umberto Eco abbia deciso di rendere il giusto onore all’età medievale, tanto da giocare il proprio prestigio curando la redazione di un’opera sul Medioevo pubblicata, udite udite, dall’Espresso.
E fa molto piacere che sia proprio lui a fare il panegirico di quell’epoca e che nella sua introduzione elenchi a volo d’uccello una lunga serie di fondamentali creazioni medievali: i mulini ad acqua e a vento; le abbazie romaniche e le cattedrali gotiche; le libertà comunali e un concetto modernissimo di libera partecipazione di tutti i cittadini ai destini della città; l’ università (e qui, da buon laico fazioso, si frega, perché sostiene che essa “si costituisce al di là del controllo sia dello Stato che della Chiesa”, omettendo che fu il Papato a costituirsi, fin dall’inizio, come protettore potente dei diritti delle università, nei confronti tanto del potere secolare quanto di quello vescovile).
Ma non è finita: c’è la nascita della scienza anatomica e della pratica chirurgica (con Mondino de’ Liuzzi, nel 1316); quella della banca, della lettera di credito, dell’assegno e della cambiale; il camino; la carta che sostituisce la pergamena; i numeri arabi adottati in quell’eccezionale opera che è il “Liber Abaci” di Leonardo Fibonacci (sec. XIII); il canto gregoriano e la prima polifonia e Guido d’Arezzo che dà il nome alle note musicali; e poi c’è l’uso di tavola e forchetta, i primi orologi; e gli ospedali e l’assistenza ai pellegrini (comincia il turismo).
E la fondamentale invenzione degli occhiali, che prolungò l’attività degli uomini di studio (“è come se le energie intellettuali di quei secoli si fossero di colpo raddoppiate, se non decuplicate”).
Potremmo aggiungere l’innovativa tecnica della rotazione biennale e triennale dello colture, andrebbe sottolineato che non ci sarebbe stato nessun Umanesimo e Rinascimento se il Medioevo, grazie ai monasteri, non avesse salvato dalla distruzione l’imponente patrimonio culturale dell’età classica.
In realtà non si tratta di cose molto nuove. La novità è che le dica con tale entusiasmo un Umberto Eco e che l’Espresso faccia uscire una collana sul Medioevo.
Ma se volete delle riflessioni veramente nuove, allora leggetevi il volume dell’americano Rodney Stark dal titolo “La vittoria della ragione” (Lindau editrice). Qui troverete le invenzioni e le novità che dobbiamo all’età medievale, ma anche e soprattutto una verità già annunciata dal sottotitolo dell’opera, e cioè che fu il Cristianesimo, di cui quell’età era letteralmente impregnata, a consentire quello straordinario progresso, quelle libertà, quella ricchezza.
Se ad un certo punto l’Occidente recupera il gap iniziale che aveva nei confronti di Cina, India e mondo islamico e raggiunge un livello di sviluppo enormemente superiore, è proprio grazie alla sua religione di riferimento. In quelle altre società le religioni innalzarono delle vere e proprie barriere che impedirono lo sviluppo e il progresso, mentre “il successo dell’Occidente, inclusa la nascita della scienza, si appoggiò interamente su fondamenta religiose e venne determinato da devoti cristiani”. Fu la “vittoria della ragione”, perché il Cristianesimo (checché se ne dica) non si è mai costruito contro la ragione umana. E Stark cita Tertulliano, Clemente di Alessandria, Agostino, Tommaso, i filosofi scolastici che “nutrivano molta più fiducia nella ragione dei filosofi contemporanei”.
E’ solo in Europa che l’alchimia si evolvette in chimica, che l’astrologia condusse all’astronomia, che il sapere pratico divenne scienza. Perché? Lo spiegò ad Harvard nel 1925 il filosofo e matematico Alfred North Whitehead: “Il grande contributo del Medioevo alla formazione del movimento scientifico fu la fede inespugnabile che v’è un segreto, e questo segreto può essere svelato”. Dante, nella Divina Commedia, dice che la ragione umana lo può giugner. Questa convinzione, proseguiva Whitehead, “non può provenire che dalla concezione medievale, che insisteva sulla razionalità di Dio, al quale veniva attribuita l’energia personale di Yahweh e la razionalità di un filosofo greco”.
Aspettarsi che anche Eco lo riconosca è forse chiedergli troppo.
Per ora godiamoci il suo entusiastico elogio del Medioevo. E’ già molto.

(Fonte: La Cittadella, 5 marzo 2009)

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